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La Voce del Vangelo

La VOCE giugno 2014

“Ho perso per un momento il senso di dove sono! Cos’è? La sala dell’ aeroporto?”
No, è la sala dell’adunanza, due minuti prima che cominci il culto! Ti è mai capitato? Fra il mettere via le cose, organizzare i bambini, salutare gli amici e decidere dove sederti è facile a volte non capire dove ti trovi.
Poi, qualcuno propone il suo canto preferito che nessuno, però, neanche i musicisti, conosce. Sarà nell’innario rosso, o in quello giallo? Mah…
L’abitudinarietà gioca dei brutti scherzi. Confusione, malumore, disordine.
Molto differente dalla prima adunanza che frequentavo a Roma, oltre mezzo secolo fa. Un fratello, ex-controllore delle ferrovie, tirava fuori il suo orologio a cipolla, lo controllava minuto per minuto, e proprio quando avrebbe suonato se fosse stata una sveglia, si alzava in piedi e disse: “L’ora essendo venuta…”
Ci sarà, forse, qualcosa da cambiare nelle nostre abitudini?

Servire non è come lo pensi

Qual è l’eterna “occupazione” del credente? Mi sembra che sia esattamente ciò che professiamo di fare ogni Domenica, quando ci incontriamo in una sala di culto con i nostri fratelli e sorelle in fede.
Nella visione di Giovanni, i salvati “sono davanti al trono di Dio e lo servono giorno e notte, nel suo tempio…” “…Nella città vi sarà il trono di Dio e dell’Agnello; i suoi servi lo serviranno, vedranno la sua faccia e porteranno il suo nome scritto sulla fronte” (Apocalisse 7:15; 22:3,4).
In greco le parole “servo, servire” si riferivano originariamente al servizio proprio di uno schiavo, ma col tempo avevano acquisito il significato di “servizio sacro” e, perciò, anche di “adorazione”. In cielo, noi “serviremo” Dio adorandolo!
Nei Salmi si parla spesso dell’adorazione dei credenti: “potrò entrare nella tua casa; rivolto al tuo tempio santo, adorerò con timore” (Salmo 5:7).
“Date al Signore la gloria dovuta al suo nome; adorate il Signore, con santa magnificenza” (Salmo 29:2).
“Tutta la terra si prostrerà davanti a te e canterà a te, canterà al tuo nome” (Salmo 66:4).
“Venite, adoriamo e inchiniamoci, inginocchiamoci davanti al Signore, che ci ha fatti” (Salmo 95:6).
Prostratevi davanti al Signore vestiti di sacri ornamenti, tremate davanti a lui, abitanti di tutta la terra!” (Salmo 96:9).
Hai notato che solo tre dei cinque versetti citati menzionano effettivamente l’adorazione mentre gli altri due parlano del prostrarsi? Il motivo è semplice: il termine ebraico reso con “adorare, adoriamo” significa letteralmente “prostrarsi, prostriamoci”. Perciò tutti e cinque i versetti potrebbero essere tradotti in italiano con la parola “prostrarsi”.
Il primo dei versetti, Salmo 5:7, dice: “adorerò [cioè mi prostrerò] con timore”. E l’ultimo versetto, Salmo 96:9, dice: “Prostratevi davanti al Signore… tremate davanti a lui”.
È chiaro dalle Scritture che adorare il Signore, riunirsi alla sua presenza in un culto di adorazione, richiede serietà e un esame personale del cuore da parte di ognuno. Non è una semplice abitudine o un rito della Domenica mattina. Timore e tremore sono necessari all’adorazione!
Il Salmo 66:4 afferma che tutta la terra “si prostrerà [o adorerà]… e canterà” al nome di Dio, perciò comprendiamo che il canto fa parte dell’adorazione. Altri versetti ancora spiegano come anche la preghiera e la lode sono atti di adorazione. Dal Nuovo Testamento, poi, sappiamo che i primi cristiani leggevano le Scritture e le spiegavano durante il culto e che ricordavano il sacrificio di Cristo con la cena che Lui ha istituito.
Ma, proprio perché quel tempo è definito “adorazione”, l’atteggiamento del cuore, il pensiero della mente, il senso di umiltà davanti a Dio, il comportamento dignitoso e anche l’apparenza sono tutti una parte essenziale del “timore” e riverenza dovuti.
Non dobbiamo permettere che “l’adorazione” che offriamo a Dio sia ridotta a un mero seguire le nostre abitudini, preferenze, comodità e tempi. Egli merita, e richiede, un’adorazione molto diversa.


Cosa c’è di nuovo?

Sei volte, nei Salmi, i credenti sono comandati a cantare un “cantico nuovo”. Lo fanno? Lo fate voi nella vostra chiesa?
“Alleluia. Cantate al Signore un cantico nuovo, cantate la sua lode nell’assemblea dei fedeli” (Salmo 149:1).
Per secoli, gli Ebrei cantavano solo gli inni che noi chiamiamo Salmi. Ovviamente, se li cantavano da secoli, non erano “nuovi”. Gesù e i discepoli lo hanno fatto dopo aver mangiato insieme la cena della Pasqua, cioè “l’ultima cena”. Probabilmente hanno cantato il Salmo 118, l’ultimo dei sei Salmi che gli Ebrei cantavano abitualmente durante quella festa. Certamente non era un “cantico nuovo”, come l’intendiamo noi.
Ai tempi della Riforma, molti Protestanti hanno cantato soltanto i salmi nei loro culti, ritenendo ogni altro tipo di composizione e testo inappropriato.
Ora, al contrario, sembra che nei culti di molte chiese si cantino soltanto pezzi appena sfornati dall’ultimo giovane convertito. “Canti nuovi” che costringono a costanti aggiornamenti delle raccolte musicali.  Ma il fatto che gli Ebrei e migliaia di credenti abbiano preferito inni antichi come i salmi, per la loro particolare solennità e per il loro contenuto di lode all’Eterno, cosa dice di noi oggi – di positivo o negativo?
Anche voi cantate un “cantico nuovo”? In che senso?


Ciò che mi è successo

“Sono uno studente E voglio raccontarvi ciò che mi è successo…” “Sono una mamma e ho imparato una cosa molto importante…” “Io sono un commesso e voglio spiegare…”
Una “testimonianza” comincia così, catturando immediatamente l’attenzione delle persone, meglio di un sermone o di uno studio biblico. Si tratta di raccontare ciò che si è visto, sentito o vissuto personalmente, in parole semplici che tutti possono comprendere.
Tutti abbiamo più o meno gli stessi problemi, gli stessi dubbi. Perciò non è difficile sentirsi coinvolti nelle esperienze di un’altra persona. Vale anche per chi ascolta la testimonianza di un credente per la prima volta.
La grande bellezza della testimonianza è che qualsiasi credente lo può fare e portare così del bene a chi non conosce Dio.
È altresì utile, fra credenti, dare la possibilità di condividere una testimonianza di una conversazione con una persona riguardo al Signore, o di ciò che si è compreso nella lettura della Bibbia in un momento difficile.
Anche se è vero che la testimonianza diventa interessante proprio perché si tratta di un’esperienza personale, è fondamentale che non siamo noi il centro della storia, ma piuttosto Dio e la sua Parola, la quale è la potenza che potrà aiutare chi ci ascolta.
Provaci!

— Guglielmo Standridge