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La Voce del Vangelo

La VOCE luglio 2018

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La schermaglia vincente – 2 | Un pizzico di sale


Pensavo fosse una cosa privata

C’è un comportamento peccaminoso che è diventato molto comune anche tra i credenti. Anzi, lo consideriamo piuttosto normale, un’abitudine forse non tra le migliori ma un modo di fare che accettiamo e tolleriamo, pensando che, in fondo, non sia nient’altro che un naturale bisogno di parlare e di sfogarsi. O anche solo un fatto di cultura popolare...

È talmente accettato nelle nostre chiese che ormai nessuno si pone la domanda su cosa ne pensi Dio. Perciò è facile continuare a comportarsi così; chi lo fa non trova troppa opposizione ma piuttosto complicità carnale.

Ma non lo dobbiamo sottovalutare come un argomento marginale nella Bibbia, o che sarebbe troppo complicato trattarlo nel modo biblico. No, non sono questi i motivi per cui non facciamo niente per contrastarlo. 

La realtà dei fatti è che la nostra carne prova piacere nel partecipare a questo peccato. 

Ti stai chiedendo quale sia?

Il Nuovo Testamento lo menziona diverse volte, ma oggi te ne voglio parlare basandomi sul Salmo 50. Guardiamolo insieme.

Dio dice all’empio:

«Perché vai elencando le mie leggi e hai sempre sulle labbra il mio patto, tu che detesti la disciplina e ti getti dietro alle spalle le mie parole? Se vedi un ladro, ti diletti della sua compagnia e ti fai compagno degli adulteri. Abbandoni la tua bocca al male e la tua lingua trama inganni. Ti siedi e parli contro tuo fratello, diffami il figlio di tua madre. Hai fatto queste cose, io ho taciuto, e tu hai pensato che io fossi come te; ma io ti riprenderò e ti metterò tutto davanti agli occhi.»  —Salmo 50:16-21 

In questi versetti Dio denuncia l’ipocrisia di tutti quelli che dicono di amarlo, di conoscere le sue leggi e di osservare i suoi patti, ma che detestano affrontare il proprio peccato. Persone arroganti che a parole affermano di seguire Dio mentre le loro azioni dimostrano il contrario: hanno voltato le spalle ai chiari comandamenti della Bibbia. 

La gravità dell’ipocrisia diventa ancora più lampante quando si considerano gli altri comportamenti peccaminosi associati ad essa. 

Provare piacere a passare tempo con i ladri
Non si è più disturbati dalla disonestà di chi ci sta intorno: “Non sarà quel piccolo furto a rovinare il nostro rapporto!” 

Farsi compagno degli adulteri 
Si prova sempre meno sconcerto per tradimenti e relazioni extraconiugali. L’infedeltà è talmente ostentata e celebrata dai mass media che non suscita più scandalo.

Abbandonare la bocca al male e tramare inganni 
Mentire per coprire le proprie colpe, per trarre vantaggio disonesto, per sembrare diversi da chi si è in realtà. E ci si vanta dei successi illegittimi e si cerca di trascinare altri a diventarne complici… 

Per i credenti, tutti questi comportamenti sono rifiutati con un NO assoluto. Ma nella lista di Dio c’è ancora un altro peccato, quello particolare che troppo facilmente si insinua nelle nostre vite. 

Parlare contro tuo fratello 

Nel senso letterale la frase si riferisce al parlare contro il fratello carnale. Capita in tutte le famiglie, è vero, ma non ho mai sentito che qualcuno l’abbia fatto per uno scopo nobile, o che ci sia stato un esito utile o positivo. E non posso fare a meno di pensare che la frase si applichi con maggior valore alle relazioni tra i credenti, tra i membri della famiglia di Dio. Perché criticare i fratelli è una cattiva abitudine che si affaccia anche nelle chiese più sane.

Quanto è breve il passo dall’essere semplici ascoltatori al diventare parte del problema! Chi ascolta le malelingue e tace senza rimproverarle come fa la Bibbia, dimostra di approvarle e si fa automaticamente complice di questo peccato. E sarà molto tentato a spargere agli altri quello che ha sentito.

Calunniare e accusare è quello che fa il diavolo! Quando sparliamo di un fratello o di una sorella in fede disprezziamo qualcuno che è stato comprato da Gesù, con il proprio sangue. È come criticare il Signore stesso (Romani 14:4).

Alcuni poi fraintendono il silenzio di Dio e credono che Egli approvi le loro azioni. Nella loro sconsideratezza sottovalutano la gravità del loro peccato e trovano mille giustificazioni per la loro abitudine all’ipocrisia. Imprudenti! 

Ma Dio non si fa alleato del peccato. Anzi, il suo momentaneo silenzio è ripieno di parole e di insegnamenti che risuonano chiari e forti sulle pagine delle Scritture, ma che questi scelgono di ignorare.

Parlare male. È questo il peccato che divide le nostre chiese, che rende impossibili le relazioni genuine e sincere. Non lo si risolve facendo finta di niente o passandoci sopra con leggerezza, ma solo confessandolo, prima a Dio e poi alle persone che ne hanno subito il danno.

Cinque principi biblici 

1. È un peccato che dev’essere affrontato con urgenza
“Se dunque tu stai per offrire la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì la tua offerta davanti all’altare, e va’ prima a riconciliarti con tuo fratello; poi vieni a offrire la tua offerta” (Matteo 5:23,24).

Secondo le parole di Gesù, i problemi fra i credenti vanno affrontati e risolti prima di qualsiasi altra cosa! Non c’è servizio in chiesa – spirituale o pratico che sia – né culto né evento particolare più importante di questo. Ha priorità assoluta.

2. Non tutto è sempre privato 
“Esorto Evodia ed esorto Sintiche a essere concordi nel Signore. Sì, prego pure te, mio fedele collaboratore, vieni in aiuto a queste donne, che hanno lottato per il vangelo insieme a me, a Clemente e agli altri miei collaboratori i cui nomi sono nel libro della vita” (Filippesi 4:2,3).

Problemi e dissensi possono nascere anche tra i più bravi credenti. Nessuno è totalmente immune da questo peccato. Come Evodia e Sintiche, anche noi possiamo diventare miopi e restare attaccati alle nostre ragioni pensando che sia solo una questione privata che non riguardi gli altri. Ma il fatto stesso che Paolo chiede in una lettera aperta che si intervenga per risolvere questa situazione, significa che non lo è sempre, e se rimane irrisolta ha ripercussioni serie su tutta la chiesa.

3. Il peccato irrisolto porta gravi e persistenti conseguenze per la chiesa 
“Un fratello offeso è più inespugnabile di una fortezza, e le liti tra fratelli sono come le sbarre di un castello” (Proverbi 18:19). 
“Impegnatevi a cercare la pace con tutti e la santificazione, senza la quale nessuno vedrà il Signore; vigilando bene che nessuno resti privo della grazia di Dio, che nessuna radice velenosa venga fuori a darvi molestia e molti di voi ne siano contagiati” (Ebrei 12:14,15) 
“…rendete perfetta la mia gioia, avendo un medesimo pensare, un medesimo amore, essendo di un animo solo e di un unico sentimento. Non fate nulla per spirito di parte o per vanagloria, ma ciascuno, con umiltà, stimi gli altri superiori a sé stesso, cercando ciascuno non il proprio interesse, ma anche quello degli altri” (Filippesi 2:2-4).

Per preservare l’unità nella chiesa e per non lasciare alcun suolo fertile per radici velenose, le differenze di opinioni, le preferenze e gli interessi personali devono essere subordinati alla sana dottrina e all’amore. Chi stima gli altri superiori a sé, non va in giro sparlando di loro dietro le spalle.

4. La fallibilità del pensiero umano 
Lasciare correre e sperare che pian piano tutto si risolva da sé, può sembrare meno dannoso e meno doloroso, ma se Dio ci ha dato chiare istruzioni su come affrontare queste situazioni e risolverle con amore (vedi il punto che segue), chi siamo noi a credere di avere un sistema migliore?

 5. Lo schema biblico da seguire 
Prima di tutto dobbiamo appurare se il problema sia reale o solo un dissenso nato da preferenze personali. Nel corpo di Cristo c’è posto per una grande varietà di preferenze, ma non devono mai diventare un intoppo o motivo di caduta per qualcuno. 

Poi, davanti al Signore dobbiamo chiederci se non sia il caso di passare oltre l’offesa. È questo ciò che insegna il versetto che dice: “Soprattutto, abbiate amore intenso gli uni per gli altri, perché l’amore copre una gran quantità di peccati” (1 Pietro 4:8). Pensaci, è un passo obbligatorio, perché una volta che abbiamo deciso di affrontare il problema con la persona interessata, potremmo dover arrivare a coinvolgere altri in questo processo di chiarimento. 

I princìpi da seguire sono spiegati in Matteo 18. Qualsiasi cosa si faccia, lo scopo è sempre il bene della persona interessata. L’obiettivo non è la punizione in sé, ma quello di ristabilire la relazione tra la persona e Dio in primis, e poi con i fratelli.

UNO Il primo approccio dev’essere in privato tra le due persone interessate, nella speranza di un ravvedimento sincero e senza coinvolgere altri. Non appena ne facciamo parola con qualcuno, abbiamo di fatto scavalcato questo primo importantissimo passo.

DUE Se il primo passo non ha avuto esito positivo, il secondo è quello di coinvolgere altre due o massimo tre persone, ma sempre nella speranza di una soluzione positiva.

Lo sottolineo: coinvolgere altri è solo il secondo passo. 

La persona che chiameremo ad assisterci in questo secondo passo ha il dovere di non diventare un orecchio per le lamentele, ma di essere un agente per spingere l’individuo a voler fare il passo numero uno, il ravvedimento. E non deve soltanto incoraggiarlo a fare questo, ma deve accertare che si segua in tutto e per tutto il principio biblico.

TRE Il terzo passo, nel caso in cui neanche il secondo abbia prodotto un esito positivo, è quello di coinvolgere la chiesa locale. Bisogna che tutta la chiesa comprenda che ogni forma di peccato è sempre un’offesa alla santità di Dio, che ha conseguenze gravi e non deve mai essere sottovalutata. 

Troppi credenti affermano con leggerezza di godere la comunione con Dio mentre di fatto il loro peccato li contraddice.

Ricordi da dove siamo partiti? “Lascia la tua offerta davanti all’altare e prima di ogni altra cosa metti le cose a posto con tuo fratello.” In altre parole, non t’illudere che il tuo “servizio” per il Signore in qualche modo compensi la tua mancanza nel fare le cose giuste. 

In ogni chiesa ci sono situazioni non risolte. La nostra carnalità ci porta a minimizzarle. Non ci va di sporcarci le mani, è più comodo girarci dall’altra parte. Ma abbiamo tutti, in qualche misura, parlato male quando dovevamo tacere, o ascoltato maldicenze quando dovevamo rimproverarle. 

Dio ci comanda di seguire la Bibbia. Il tempo non risolve un bel niente. Potremmo provare a ignorare il problema, ma finché non lo risolviamo, Dio non è contento e noi coviamo amarezza che avvelena i nostri rapporti e condiziona il nostro comportamento. Che cosa siamo pronti a fare?


La schermaglia vincente — 2

Spesso i battibecchi, le schermaglie, le risposte affrettate e infuocate fra marito e moglie, genitori e figli, fratelli o sorelle di chiesa, vicini o colleghi, in qualche modo… piacciono! Hai detto la tua e ti senti liberato, addirittura soddisfatto.

Ma il libro dei Proverbi nella Bibbia dice che quel tipo di risposte sono da “stolti”, e “stolto” è una brutta descrizione per chiunque. Lo stolto è una persona che fa male a se stessa e offende Dio! Nulla di cui vantarsi.

Eppure per molte persone, anche credenti, scagliare parole infuocate è diventata un’abitudine, quasi uno scherzo, un motivo di sottile orgoglio.

Non è da credenti. Non è opera dello Spirito Santo. Non è né buffo né segno di una persona arguta e spiritosa.

L’Apostolo Paolo chiama queste parole “puzzolenti”, “uova marce” e ordina che nessuna parola del genere “esca dalla vostra bocca!” (Efesini 4:29). E aggiunge: “Via da voi ogni amarezza, ogni cruccio e ira e clamore e parola offensiva con ogni sorta di cattiveria!” (Efesini 4:31). 

Perché lo dice? Perché il problema sta proprio qui: quando parli, la tua bocca rappresenta il tuo Salvatore e Signore, oppure te stesso? 

Di solito le prime parole che ci escono di bocca sono quelle più vere. Esprimono i malumori, i risentimenti e l’infelicità che portiamo in cuore da tempo. Cose che non si osano dire in modo diretto, chiaro e pacifico, con l’intento di affrontarle e risolverle. 

Quante persone si sentono consolate dalla loro convinzione di averla detta tutta, di aver risposto per le rime, di essersi dimostrate capaci di difendersi? Ma, in realtà, hanno offeso Dio lasciando dietro di sé una scia di gente ferita e amareggiata.

Qual è il modo migliore per uscire vincitore da una discussione? Di certo servirebbe qualcosa che porti un risultato positivo e costruisca unità e amicizia. Fraternità e amore. È mai possibile? 

È essenziale!

A cosa serve, nel piano di Dio, quella tua risposta, il commento o l’intervento che stai per fare in una conversazione nell’intimità della tua casa, nella chiesa o nella società in cui vivi? 

Paolo te lo dice così chiaramente che non puoi sbagliare: “ma, se avete qualche parola buona (utile, eccellente), che edifichi secondo il bisogno, ditela affinché conferisca grazia a chi l’ascolta” (Efesini 4:29).

Ecco lo scopo che Dio vuole che le tue parole abbiano in qualunque discussione: portare una benedizione, edificare secondo il bisogno, conferire grazia. Non la “tua” parola arguta o battuta di spirito, ma solo quella che Dio può usare per portare pace, unità, sottomissione e gloria a Dio.

“La risposta dolce calma il furore, ma la parola dura eccita l’ira” (Proverbi 15:1). 

Ecco l’unico modo per vincere una schermaglia! Pensaci.

—Guglielmo


 
Ristampa dal febbraio 1965

Un pizzico di sale

“Avete detto che non volete che giochi più con voi?” chiese Daniele con tono di sfida. 
“Sì” risposero Deborah e Davide, con una voce da congiurati di melodramma. 
“E allora... ecco!” Le palline di vetro, che Deborah aveva diviso per colore in tanti vasetti diversi, furono versate con ira in un vasetto comune (quelle che non entrarono ubbidientemente nel vasetto se ne andarono a rotolare sul pavimento). 
Mamma era sulla soglia della porta e stava a guardare la scena. Era venuta a chiamare i figli a colazione e francamente non c’era da perdere neppure un minuto... 
“Adesso che faccio?” si domandò. “Lascio andare e faccio finta di non avere visto?... No, è meglio di no... Questi figli intempestivi!...” 
“Davide, Deborah e Stefanino, andate a lavarvi le mani, mettetevi a tavola e aspettate un momento. Non voglio sentire nessun chiasso! Daniele, tu vieni con me…” 
“Mi devi parlare?” chiese lui con aria contrita. 
“Sì.”  
Mamma si sedette. “Daniele, ti pare di avere fatto un bel gesto a buttare così le perline di Deborah?” 
“No, ma ero triste perchè non erano stati gentili e quando sono triste mi viene da arrabbiarmi.” 
“Non è mai giusto arrabbiarsi e fare le vendette.” 
“Che cosa sono le vendette?” 
“I dispetti a quelli che ci hanno fatto arrabbiare. Ti ricordi la storia di Agar che abbiamo letta ieri? La sua padrona era stata molto cattiva e ingiusta, ma anche Agar aveva fatto male. E l’angelo le ha detto: «Torna indietro e chiedi perdono alla tua padrona»...” 
“Dovrei chiedere perdono ai miei fratelli?” 
“Sarebbe una buona idea...” 
“Ma come è difficile essere pazienti!” (Mamma, in cuor suo, gli diede pienamente ragione.) 
Qualche ora dopo, Mamma stava accanto a Daniele e lo ascoltava mentre leggeva una paginetta del libro di scuola. Ad un tratto, lui si interruppe e le buttò le braccia al collo: “Mamma, ti voglio bene!” 
“Anch’io, caro. Ma perché ti viene in mente ora?” 
“Perché mi aiuti ad essere buono...” 
Molti secoli fa, S. Paolo scrisse al suo giovane discepolo e amico Timoteo: “Predica la parola, insisti in ogni occasione favorevole e sfavorevole, convinci, rimprovera, esorta con ogni tipo di insegnamento e pazienza” (2 Timoteo 4:2). 
Tante volte sarebbe molto più facile chiudere un occhio su una marachella e tollerare un capriccio, o coprire un peccato nella chiesa per un falso concetto di amore e tolleranza. Ma sarebbe un errore grave. Ogni male non curato subito diventa sempre un focolaio di malattia grave e forse di morte. 

 

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