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La Voce del Vangelo

La VOCE novembre 2018

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Consolatori viventi 


La storia di P.B. e A.M. commuove il web. 93 anni lui, 92 lei, sono morti a quattro ore di distanza l’uno dall’altra, al termine di una love story durata ben 67 anni. 

Vivevano in un paesino del nord. Un anno prima P. aveva contratto una grave malattia lavorando in fabbrica a contatto con gli acidi. Poi 

l’Alzheimer ha portato via lei. I tre figli hanno raccontato: “Hanno vissuto una vita insieme, erano legatissimi, il distacco per loro è stato tremendo, un dolore a cui, vista anche l’età avanzata, non hanno avuto la forza di reagire”. 

È una storia struggente che esprime il sentimento di molte persone. Ma la morte arriva a tutte le età: non ce n’è una in cui si è immuni ad essa.

Anni fa ho dovuto tenere in braccio un bambino di pochi anni e cercare di spiegargli che suo papà era stato ucciso. Un compito pesante, anzi difficilissimo. Per un bambino comprendere la morte è quasi impossibile, ma non si può dire che sia più facile per i grandi.

La morte è una grossa incognita che spaventa molti. Cercando conforto e sostegno molta gente si rifugia nella religione. Solo pochi affermano di non temere la morte. 

Comunque sia, tutti noi la dobbiamo affrontare! E ce lo rammenta puntualmente l’arrivo di 

Novembre con la commemorazione dei defunti. 

La Chiesa Cattolica sostiene infatti che bisogna celebrare delle messe e acquistare delle indulgenze per quei morti che hanno commesso peccati 

veniali o non hanno espiato i loro peccati passati. Li aiuterebbe a raggiungere la beatificazione.

L’apostolo Paolo, invece, affermava che per lui il morire era guadagno. Per tanti credenti sicuramente non lo è.

Come figli di Dio, come dobbiamo pensare alla morte per affrontarla con serenità?

Il vostro cuore non sia turbato

Viaggio spesso in aereo e più volte mi capita di sedermi accanto a qualcuno che ha paura di volare. Conosco anche molte persone che non prendono mai l’aereo per lo stesso motivo. Non serve spiegargli che si tratta di una paura irrazionale: si muore di più in auto che in aereo. 

Lana Del Rey, una cantante ricca e famosa, in un’intervista ha ammesso che soffre spesso di attacchi di panico perché sa che dovrà morire, e per questo per lei andare avanti è molto difficile. 

Il pensiero della morte Lana se lo porta dietro fin da bambina. Lei stessa racconta: “Mi ricordo che avevo quattro anni e avevo visto uno sceneggiato in Tv in cui una persona veniva uccisa. Mi sono girata verso i miei genitori e ho chiesto: «Moriremo tutti?» Mi hanno detto di sì. Fui sconvolta. Scoppiai a piangere e dissi singhiozzando: «Dobbiamo cambiare casa!» Sono stata da un terapista, tre volte. Ma preferisco sedermi nel mio studio e scrivere o cantare.”

Infatti, ha scritto un brano che si intitola Born to die (Nati per morire). Lana afferma anche di non volere avere figli perché non li vuole sottoporre al suo stesso terribile destino di dover morire. 

È normale che la morte spaventi. E non dovrebbe scandalizzarci nemmeno che un credente abbia paura. 

Per un non credente la paura della morte è salutare e dovrebbe spingerlo a cercare la riconciliazione con Dio.

Per il credente, Dio non vuole che siamo dominati da qualunque tipo di paura. 

Qualche volta capita di sentirsi in balia delle circostanze. Le persone e gli eventi sembrano in qualche modo arbitri della nostra vita. E quando perdiamo un caro, possono sorgere anche tanti sensi di colpa. Pensiamo che se avessimo fatto più attenzione ai segnali, scelto un dottore più competente o un ospedale migliore le cose sarebbero andate diversamente. 

Ma ragionare in questo modo non tiene conto del fattore determinante nella vita e nella morte. Anzi, della Persona più importante: Dio stesso. 

C’è chi pensa che Dio sia troppo buono per avere a che fare con la morte di un nostro caro. Ci vuole troppo bene per vederci soffrire così. La Bibbia, invece, insegna che Dio è attivamente presente in ogni morte, tanto del credente quanto del non credente, e accompagna i suoi figli attraverso il periodo di lutto. 

Sappiamo che siamo mortali. Sappiamo che un giorno la vita finirà per ognuno di noi, ma in qualche modo non vorremmo che succedesse mai.

Una cosa è certa: nessuno muore prima del tempo. Frasi del tipo “Era troppo giovane per morire” o “Era una persona brava, non meritava di morire”, anche se dette con le migliori delle intenzioni, fanno di noi arbitri del momento in cui uno debba morire.

Giacomo scrive nella sua lettera: “E ora a voi che dite: «Oggi o domani andremo nella tale città, vi staremo un anno, trafficheremo e guadagneremo»; mentre non sapete quel che succederà domani! Che cos’è infatti la vostra vita? Siete un vapore che appare per un istante e poi svanisce. Dovreste dire invece: «Se Dio vuole, saremo in vita e faremo questo o quest’altro». Invece voi vi vantate con la vostra arroganza. Un tale vanto è cattivo” (Giacomo 4:13-16).

Due aspetti sono impliciti in questi versetti. Il primo è che chi pensa di poter pianificare o anche cercare di controllare la lunghezza della vita è arrogante. Il secondo è che la durata della vita è determinata da Dio.

Il salmo 139 afferma: “I tuoi occhi videro la massa informe del mio corpo, e nel tuo libro erano tutti scritti i giorni che mi erano destinati, quando nessuno d’essi era sorto ancora” (v. 16). Siamo stati creati da Dio, e prima che nascessimo Egli aveva già decretato la lunghezza della nostra vita.

Vuol dire che non possiamo morire un secondo prima di quando Dio non l’abbia stabilito! Lasciarsi consumare dalla preoccupazione per la nostra vita non è saggio, e tanto meno cambia i piani sovrani di Dio. 

Ma c’è anche da ricordare il grande valore che Dio attribuisce alla vita di ogni sua creatura. Non c’è da disperarsi: in un mondo con 7 miliardi di persone, tu non sei affatto insignificante; ogni singola vita è speciale agli occhi di Dio! “Due passeri non si vendono per un soldo? Eppure non ne cade uno solo in terra senza il volere del Padre vostro. Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non temete dunque; voi valete più di molti passeri” (Matteo 10:29-31).

La paura fa bene

La paura della morte può colpire anche chi ha capito che il giorno della morte è nelle mani di Dio. Certe volte è indice di una certa saggezza. Chi non conosce Dio fa bene a temere la morte. È scritto nella Parola di Dio: “È stabilito che gli uomini muoiano una volta sola, dopo di che viene il giudizio” (Ebrei 9:27)

La morte è entrata nel mondo come risultato del peccato di Adamo e Eva. È la prova ultima e incontestabile che Dio è sovrano e che nulla sfugge alla sua perfetta giustizia: tutti moriremo e tutti saremo giudicati, perché tutti pecchiamo. 

La Bibbia afferma che “il salario del peccato è la morte” (Romani 6:23). Sono parole categoriche del giusto giudizio di Dio contro la malvagità dell’uomo: la morte seconda nell’inferno.

Morire al di fuori dalla grazia di Dio è spaventoso. “È terribile cadere nelle mani del Dio vivente” (Ebrei 10:31). Per questo Gesù ha avvertito: “Non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima; temete piuttosto colui che può far perire l’anima e il corpo nella geenna” (Matteo 10:28).

Temere la morte è una cosa saggia!

D’altra parte, però, visto che esiste un modo per evitare la condanna eterna, rimanere nella paura NON è saggio! 

La soluzione sta nella seconda parte del versetto che ho citato prima: “Il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore” (Romani 6:23). 

Di questa salvezza scrive anche l’apostolo Giovanni nella sua prima lettera: “Vi ho scritto queste cose perché sappiate che avete la vita eterna, voi che credete nel nome del Figlio di Dio” (5:13).

Noi tutti possiamo affrontare la morte con la certezza del proprio destino eterno. 

Meritiamo la condanna di Dio a causa del nostro peccato, e non possiamo fare nulla per guadagnarci la vita eterna; possiamo solo mettere la nostra completa fiducia nei meriti del Signore Gesù. Egli ha vissuto una vita moralmente perfetta senza peccato, impossibile per noi, e morendo sulla croce si è addossato la condanna che spettava a noi. Per questo suo gesto Gesù è l’unico Salvatore che mai avremo. Per valerci della salvezza che Egli offre, Gesù deve diventare il nostro Signore, dobbiamo conoscere e mettere in pratica la sua parola. Ecco cosa vuol dire credere in Cristo.

Di conseguenza, smettere di avere paura della morte prima di avere affidato la propria vita a Cristo è un atto di completa incoscienza! 

Vincere la paura

Chi ha creduto in Cristo ha vita eterna e non deve temere la morte. Ma come si arriva ad affermare addirittura che: “Per me morire è guadagno” (Filippesi 1:21)? Perché, comunque sia, credenti o non credenti, la morte è qualcosa che si spera avvenga più tardi possibile. Altro che guadagno!

Certo, nei momenti bui, quando la vita è difficile e si è soli e sofferenti, può sembrare un’alternativa migliore. Ma non appena le cose si assestano, morire non è più tanto allettante.

Paolo era anziano e si trovava in prigione quando ha scritto quella frase. Le sue erano forse solo parole da vecchio sofferente? Giovani credenti, invece, sicuri del loro destino eterno, vogliono prima sposarsi, avere figli e godersi la vita e poi saranno anche pronti per la vita eterna.

Credenti più avanti con gli anni, dal canto loro, si preoccupano di come faranno i loro cari ad affrontare la vita senza il loro aiuto e per questo il morire non sembra al momento un grande guadagno per nessuno.

Asaf, nel salmo 73, esclama: “Chi ho io in cielo fuori di te? E sulla terra non desidero che te. La mia carne e il mio cuore possono venir meno, ma Dio è la rocca del mio cuore e la mia parte di eredità, in eterno” (vv. 25,26).

Cosa deve succedere dentro di noi per farci desiderare il cielo, la presenza di Dio, come Asaf?

Tanto per cominciare, preghiamo che si sviluppi in noi un più grande amore per il Signore. Come è scritto: “Nessuno è santo come il signore, poiché non c’è altro Dio all’infuori di te; e non c’è rocca pari al nostro Dio” (1 Samuele 1:2).

Questo non vuol dire che non abbiamo affetti sulla terra, ma che dovremmo curare il nostro amore per il Signore e il desiderio di essere con Lui in primis, in modo che gli affetti terreni siano un’estensione, un riflesso del nostro attaccamento a Lui.

La seconda cosa che deve svilupparsi in noi è un sempre più grande odio per il nostro peccato e un più grande desiderio di vivere una vita pura al cospetto di un Dio santo.

Il salmista Davide scrive: “Perciò io amo i tuoi comandamenti più dell’oro, più dell’oro finissimo. Per questo ritengo giusti tutti i tuoi precetti e odio ogni sentiero di menzogna” (Salmo 119:127,128).

È un processo che inizia qui in terra, ma che avrà il suo pieno compimento solo quando saremo in cielo con il Signore.

Terzo, dobbiamo desiderare di adorare Dio alla sua presenza. 

Oggi la nostra adorazione è imperfetta. In Apocalisse è descritta come sarà in cielo: “Dopo queste cose guardai e vidi una folla immensa che nessuno poteva contare, proveniente da tutte le nazioni, tribù, popoli e lingue, che stava in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, vestiti di bianche vesti e con delle palme in mano. E gridavano a gran voce, dicendo: «La salvezza appartiene al nostro Dio che siede sul trono, e all’Agnello». E tutti gli angeli erano in piedi intorno al trono, agli anziani e alle quattro creature viventi; essi si prostrarono con la faccia a terra davanti al trono e adorarono Dio, dicendo: «Amen! Al nostro Dio la lode, la gloria, la sapienza, il ringraziamento, l’onore, la potenza e la forza, nei secoli dei secoli! Amen»” (Apocalisse 7:9-12).

Che magnifica visione! Che meraviglia essere lì con i santi di tutte le ere ad adorare Dio nella perfezione del cielo!

Quarto, si deve sviluppare in noi un desiderio di conoscere Dio sempre di più. Gesù ha detto: “Questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo” (Giovanni 17:3).

Conoscere Dio comprende anche i tre punti precedenti e perciò deve essere il nostro desiderio più grande: vederlo faccia a faccia come Egli è.

Paolo viveva intensamente queste realtà. Aveva lo sguardo volto verso quello che è eterno, ma non per questo viveva con insoddisfazione la sua quotidianità. Non cercava il suo appagamento nelle cose terrene. 

Fatichiamo a vedere crescere in noi questo amore per il cielo finché restiamo attaccati a quello che è terreno, quello che si rovina e si distrugge. 

In quella stessa lettera alla chiesa di Filippi, Paolo scrive che era convinto che sarebbe rimasto sulla terra non per soddisfare se stesso, ma per continuare a servire il Signore a beneficio dei credenti. Morire è guadagno solo quando abbiamo una prospettiva eterna di tutte le cose.

Amare il cielo, per il credente, non dovrebbe essere difficile.

Il buon cordoglio

Nascere, crescere e morire fanno parte delle stagioni della vita. Vale anche per il cordoglio.

“Per tutto c’è il suo tempo, c’è il suo momento per ogni cosa sotto il cielo: un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare ciò che è piantato, un tempo per uccidere e un tempo per guarire, un tempo per demolire e un tempo per costruire; un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per far cordoglio e un tempo per ballare” (Ecclesiaste 3:1-4).

C’è un senso di abbandono, di distacco, di amore interrotto anche davanti alla morte di una persona cara che sappiamo essere andata in cielo. Non bisogna soffocare la tristezza solo perché si tratta di un credente. Nel cordoglio Dio vuole che siamo consolati dalla certezza divina della risurrezione.

“Fratelli, non vogliamo che siate nell’ignoranza riguardo a quelli che dormono, affinché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza. Infatti, se crediamo che Gesù morì e risuscitò, crediamo pure che Dio, per mezzo di Gesù, ricondurrà con lui quelli che si sono addormentati. Poiché questo vi diciamo mediante la parola del Signore: che noi viventi, i quali saremo rimasti fino alla venuta del Signore, non precederemo quelli che si sono addormentati; perché il Signore stesso, con un ordine, con voce d’arcangelo e con la tromba di Dio, scenderà dal cielo, e prima risusciteranno i morti in Cristo; poi noi viventi, che saremo rimasti, verremo rapiti insieme con loro, sulle nuvole, a incontrare il Signore nell’aria; e così saremo sempre con il Signore. Consolatevi dunque gli uni gli altri con queste parole” (1 Tessalonicesi 4:13-18).

Il distacco per il credente non è motivo di disperazione, perché è solo temporaneo.

Il Signore è un Dio di compassione e promette una cura particolare per coloro che sono nel lutto. Egli conosce la realtà del dolore e non soltanto sa consolarci ma conosce anche gli scopi per cui lo ha permesso.

Nel salmo 119:71 è scritto: “È stata un bene per me l’afflizione subita, perché imparassi i tuoi statuti.”

Nel cordoglio Dio ci sta avvicinando a Lui e “guarisce chi ha il cuore spezzato e fascia le loro piaghe” (Salmo 147:3). 

Il tuo lutto può sembrarti senza fine e senza speranza, ma il salmista testimonia: “Ho pazientemente aspettato il signore, ed egli si è chinato su di me e ha ascoltato il mio grido. Mi ha tratto fuori da una fossa di perdizione, dal pantano fangoso; ha fatto posare i miei piedi sulla roccia, ha reso sicuri i miei passi. Egli ha messo nella mia bocca un nuovo cantico a lode del nostro Dio. Molti vedranno questo e temeranno, e confideranno nel signore. Beato l’uomo che ripone nel signore la sua fiducia” (Salmo 40:1-4).

Il grido, la fossa, il pantano fangoso. Il dispiacere di Davide era profondo e reale eppure, nel tempo, non solo ha ritrovato conforto nel Signore ma è diventato anche un esempio per gli altri che si trovano nell’angoscia. 

Consolatori viventi

Ognuno fa cordoglio in modo diverso. È bene tenerlo presente, perché ci vuole tatto e sensibilità per assistere chi ha perso un caro. Non dobbiamo criticare con durezza comportamenti che per noi potrebbero sembrare inappropriati.

Può darsi che qualcuno, preso dallo sconforto, dica cose poco opportune. Non lo bolliamo definitivamente per come si è espresso in un momento di turbamento.

È naturale che davanti al lutto di qualcuno ci sentiamo a disagio e temiamo di non trovare parole giuste. Non lasciamoci bloccare da questo sentimento e non abbiamo paura di avvicinarci per esprimere le nostre condoglianze. È un momento difficile per tutti. Tutti abbiamo paura di dire la cosa stupida o inappropriata, ma è sufficiente dire semplicemente che sono triste per te e prego per te.

Attenzione, però! Non è il momento della predica! Poche parole sincere e un abbraccio offrono molto più conforto di quello che crediamo.

E se a morire è stato un parente non credente, facciamo attenzione a non dare false speranze! I parenti credenti sanno già ciò che la Bibbia dice sulla morte dei non credenti. Quello che possiamo offrire loro è la nostra spalla e possiamo assicurarli che Dio è giusto e santo in ogni cosa che fa.

Se abbiamo un ricordo speciale da raccontare della persona defunta, facciamolo con garbo: porta un senso di serenità a chi l’ascolta.

La perdita di un caro è anche un momento intenso in cui ci sono molte persone intorno, parenti, amici e colleghi. Nei giorni successivi, però, la solitudine si fa sentire. Anche a distanza di settimane e mesi il distacco e il dolore sono vivi. Non abbandoniamo chi soffre a gestire da solo la sua perdita.

Particolarmente durante le feste, i compleanni e gli anniversari il dolore si riacutizza. Una parola buona è un balsamo per coloro che continuano a fare cordoglio.

 

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