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La Voce del Vangelo

La VOCE ottobre 2022

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A casa nostra... "Piccole bocche della verità" 

Quest’anno, cosa impareranno i nostri figli a scuola?

Tra le materie che saranno insegnate quest’anno a scuola ci sono le scienze, la storia e la biologia. Se ne occuperanno gli insegnanti che proprio per il loro ruolo esercitano una certa influenza sui ragazzi. Sicuramente gran parte, se non tutto quello che insegneranno, sarà filtrata dalle loro idee e opinioni, che esporranno come verità assolute.

Sapere questo dovrebbe spingere noi genitori a riflettere seriamente su chi stia forgiando il modo di pensare dei nostri figli. Chi esercita l’influenza decisiva sulle loro scelte di vita? Quali “verità” e soprattutto chi le sta inculcando nelle menti dei nostri piccoli?

Una verità biblica da tenere sempre presente è “Insegna al ragazzo la condotta che deve tenere; anche quando sarà vecchio non se ne allontanerà” (Proverbi 22:6). Chiunque può attestare l’esattezza di queste parole.

La condotta del bambino è plasmata sin dalla tenera età attraverso l’esempio, le istruzioni e le informazioni che riceve durante la crescita.

Perciò è importante che un genitore valuti  bene chi spende più tempo con i suoi figli e in che modo lo fa.

Tra le persone più presenti nella vita dei figli ci sono sicuramente i maestri e i professori, dal nido fino all'università, ma anche i nonni, gli amici, gli allenatori vari, gli insegnanti di danza e di musica ecc. E non bisogna nemmeno sottovalutare l’influenza di tutto quello che i nostri ragazzi assorbono da televisione, internet e social.

Alla luce di tutto questo è evidente che la maggior parte della fetta di tempo non è occupata dal nucleo famigliare. I tuoi ragazzi sono costantemente bombardati da informazioni trasmesse da persone che non credono affatto quello che credi tu, né hanno a cuore quello che per te è sacro e caro. E non facciamoci illusioni: hanno anche scopi e intenti molto diversi dai nostri.

Tanti genitori si sorprendono che i figli, raggiunta una certa età, abbandonino la fede. La realtà mostra con dispiacere che succede spesso ai giovani cresciuti in famiglie di credenti. Arrivati al liceo, all'università o al primo lavoro mostrano sempre meno interesse per le cose spirituali, e alla fine si allontanano del tutto.

A questi genitori mortificati e avviliti non resta che osservare impotenti il loro allontanamento e rassegnarsi, sperando che i discorsi sulla fede, le scuole domenicali e i campeggi che hanno frequentato da piccoli, possano portare un eventuale frutto, e che prima o poi ritornino al Signore.

Poteva andare diversamente? In che cosa hanno sbagliato? Come hanno fatto questi genitori (e questi nonni) credenti a perdere di vista il loro compito?

Le risposte le troviamo nella Bibbia. 

“Questi sono i comandamenti, le leggi e le prescrizioni che il SIGNORE, il vostro Dio, ha ordinato di insegnarvi, perché li mettiate in pratica nel paese nel quale vi preparate a entrare per prenderne possesso, così che tu tema il tuo Dio, il SIGNORE, osservando, tutti i giorni della tua vita, tu, tuo figlio e il figlio di tuo figlio, tutte le sue leggi e tutti i suoi comandamenti che io ti do, affinché i tuoi giorni siano prolungati. Ascoltali dunque, Israele, e abbi cura di metterli in pratica, affinché venga a te del bene e vi moltiplichiate grandemente nel paese dove scorrono il latte e il miele, come il SIGNORE, il Dio dei tuoi padri, ti ha detto.
“Ascolta, Israele: Il SIGNORE, il nostro Dio, è l’unico SIGNORE.
“Tu amerai dunque il SIGNORE, il tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima tua e con tutte le tue forze.
“Questi comandamenti, che oggi ti do, ti staranno nel cuore; li inculcherai ai tuoi figli, ne parlerai quando te ne starai seduto in casa tua, quando sarai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, te li metterai sulla fronte in mezzo agli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle porte della tua città.”
—Deuteronomio 6:1-9

 Queste parole della Torah (Pentateuco nella Bibbia ebraica) si ripetono regolarmente, ad alta voce, nelle sinagoghe. Fanno parte della preghiera mattutina e serale del popolo d’Israele. Un padre israelita non doveva mai dimenticare quale fosse il suo compito personale.

Prima di tutto aveva il dovere di vivere in modo da onorare in ogni cosa l’Eterno, l’unico vero Dio e suo SIGNORE.

Il padre doveva essere d’esempio al resto della famiglia nell’osservare tutte le leggi di Dio. La sua vita spirituale doveva essere un libro aperto sotto gli occhi di tutti. Doveva amare Dio con tutte le sue forze, con tutta la sua anima e con tutto il suo cuore. Il bene della sua famiglia dipendeva dal suo cammino col Signore.

Oggi per molti padri la priorità è il lavoro e la carriera, sostenere la propria famiglia e raggiungere una certa comodità finanziaria. Un padre che provvede una casa, il cibo, lo sport e le vacanze ai propri figli sembra per molti aver fatto il suo dovere. Ancora meglio se porta i figli in chiesa dove c’è anche un programma per i bambini. Ma il suo esempio nell’amare Dio non può limitarsi alla preghiera prima dei pasti, magari in occasioni sempre più rare in cui mangiano tutti insieme. E non può delegare alla mamma l’esclusiva di dire una preghierina con i figli prima di metterli a letto. Ci vuole solo un attimo e i bambini sono già grandi, e allora tutto diventa più complicato.

Sembra una descrizione troppo pessimistica? Voglio sperare di sì. Sono certo che molti genitori credenti fanno molto meglio.

Spesso a complicare l’educazione dei figli è il fatto che un solo genitore è credente, magari si converte al Signore dopo il matrimonio. Avere due ottiche diverse sulle questioni importanti produce inevitabilmente conflitti, ed è una realtà su cui non si riflette con la dovuta serietà quando una persona cristiana vuole sposarne una non credente. È la dimostrazione che non si sta pensando affatto al bene dei propri figli.

Il ruolo del padre nel piano di Dio, secondo le istruzioni delle Scritture, è di essere l’influenza spirituale della famiglia, l’insegnante e il teologo di casa.

Per quanto riguarda la moglie, la vita spirituale del futuro marito va osservata durante il fidanzamento: una vita che comincia il giorno che ci si sposa e dura fino alla morte.

Per i figli, l’influenza del padre comincia dalla loro nascita e non finisce mai. È sempre attiva, riempie ogni giorno dal momento in cui ci si alza fino a che non si va a letto.

Per essere efficace non deve essere casuale, ma pensata, preparata con cura.

Il padre e la madre faranno tutto ciò che è necessario per ricordarsi di questo e per pianificare con attenzione l’istruzione dei figli, senza pause e senza tentennamenti.

È significativo che la parola “inculcare” nel passo citato di Deuteronomio nella lingua originale implica il concetto di cesellare, in pratica di dare forma al proprio figlio. Il passo spiega anche come avviene questo cesellare: parlando dei comandamenti di Dio, facendone motivo costante di conversazione.

Trovo interessante che molti bambini imparino presto a tifare la squadra del cuore del papà, e che non mi sia capitato mai di sentire un bambino preferire la squadra del cuore della mamma. Molti papà col loro entusiasmo, l’interesse, le parole, l’abitudine di guardare le partite oppure regalando la maglietta del giocatore preferito hanno cesellato uno spazio nel cuore del bambino per la squadra preferita.

La parola “insegnare” usata nel versetto citato del libro dei Proverbi, è concettualmente diversa dall'inculcare. Oltre il suo significato primario contiene anche l’idea di dedizione e di spendere tempo.

È chiaro che ci preme trovare il tempo per ciò che riteniamo importante, che è tutto ciò che in pratica ha più valore per noi. Quanto tempo invece dedichiamo all'istruzione dei nostri figli?

Siamo partiti domandandoci chi stia esercitando influenza maggiore sui nostri ragazzi. La domanda è legata a quello che noi riteniamo più importante per la loro vita. Se è l’istruzione scolastica li spingiamo a studiare, se è lo sport li incoraggiamo a perseguire questi obbiettivi.

Ma se per noi l’importante è il loro amore per Dio, la loro conoscenza di Lui e della sua Parola, e la loro vita spirituale, dobbiamo allora prendere coscienza del fatto che dobbiamo capire come avere un’influenza maggiore, e come prevenire e correggere tutte quelle informazioni sbagliate e pericolose che i nostri figli stanno assorbendo. Ci sono questioni fondamentali da affrontare, a partire dal ruolo di Dio nella creazione, nel mondo e nella vita dei nostri figli, ma anche le informazioni sul gender, su cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, tanto per nominarne alcune.

Dio non ha mai cambiato idea sul ruolo dei padri nella vita dei figli. Quello che l’Apostolo Paolo ha scritto allora vale ancora oggi: “E voi, padri, non irritate i vostri figli, ma allevateli nella disciplina e nell'istruzione del Signore” (Efesini 6:4).

La prima istruzione che Paolo dà è quella di non irritare i figli! I genitori che non svolgono bene il loro compito tendono a provocare ed esasperare i propri figli. Scrivendo la stessa esortazione alla chiesa di Colosse Paolo aggiunge: “Padri, non irritate i vostri figli, affinché non si scoraggino” (Colossesi 3:21).

In questi due versetti Paolo ha usato due parole diverse, ma che sono tradotte entrambe in italiano con “irritate”. La parola originale include l’idea di sventolare la fiamma per ravvivarla, aizzandoli invece di avere un’influenza calmante su loro.

Il motivo per cui fare attenzione a non irritare i figli è che non si scoraggino, che non si spenga il loro spirito. L’idea è di non portare i figli a pensare che non valgono niente, che tutto quello che fanno è sbagliato.

È facile per i padri pensare che il loro compito principale sia quello di correggere ciò che è sbagliato agendo in modo autoritario, ma il rischio è di aggiustare ciò che è visibile, preoccupandosi delle apparenze, e non curando il cuore dei ragazzi.

Anche se davanti a Dio il capofamiglia è il padre, ed è lui il primo responsabile della crescita spirituale della famiglia, questo discorso è rivolto anche alle madri, perché il compito di allevare i figli è senza dubbio responsabilità di tutti e due.

Irritare e scoraggiare i figli li porterà ad avere atteggiamenti e comportamenti negativi. Prima di tutto gli insegna a essere ipocriti. Richiedere ai figli quello che non si è pronti a fare in prima persona apre la porta alla falsità nel loro rapporto con gli altri.

Poco prima della sua esortazione ai padri Paolo aveva avvisato tutti: “Guardate dunque con diligenza a come vi comportate; non da stolti, ma da saggi; ricuperando il tempo perché i giorni sono malvagi. Perciò non siate disavveduti, ma intendete bene quale sia la volontà del Signore” (Efesini 5:15-17).

Un padre saggio e coscienzioso è attento alla sua vita, e prima di mettersi a istruire gli altri cercherà di capire bene quale sia il comportamento che lui stesso deve tenere.

In secondo luogo, la durezza e la cattiveria producono risentimento.

Paolo aveva parlato anche di questo: “Nessuna cattiva parola esca dalla vostra bocca, ma, se ne avete qualcuna buona, che edifichi secondo il bisogno, ditela, affinché conferisca grazia a chi l’ascolta” (Efesini 4:29).

Accade spesso di interagire con i figli più per reazione a qualcosa piuttosto che per un nostro progetto educativo. A volte la fretta di risolvere il problema in questione ci spinge a essere duri, a far vedere la propria rabbia invece di mostrare la grazia di Dio. Ma una parola buona detta al momento giusto ha un effetto molto migliore.

In terzo luogo, la mancanza di ammissione dei propri sbagli e non essere pronti a perdonare sono motivi di grande irritazione per i figli. Paolo ha scritto: “Siate invece benevoli e misericordiosi gli uni verso gli altri, perdonandovi a vicenda come anche Dio vi ha perdonati in Cristo” (Efesini 4:32).

Credetemi, chiedere perdono non sminuisce la nostra autorità, piuttosto la rende più credibile. E offrire il perdono è fondamentale per non scoraggiare chi ne ha bisogno.

I genitori devono smettere di esasperare e scoraggiare i figli facendo il contrario di ciò che gli insegnano sulla disciplina e l’istruzione del Signore. Questo ovviamente è alla base della cura di un figlio.

Allevare vuol dire fare tutto il lavoro necessario dalla nascita in poi per avviare il bambino nella direzione giusta. Il punto focale deve essere sempre il Signore.

Quando si tratta della riprensione è facile lasciarsi dominare dal nervosismo e dal malumore. Giacomo invece ci ricorda che l’ira dell’uomo non compie la giustizia di Dio. L’ira spinge i genitori a riprendere i figli in modo sbagliato, esagerato, a sminuirli chiamandoli stupidi, a metterli a disagio sgridandoli davanti agli altri oppure stabilendo regole o punizioni esagerate del tipo “Non ti faccio uscire più con i tuoi amici” e a essere petulanti.

Educare e disciplinare bene e con coerenza biblica è senza dubbio difficile, a volte frustrante, e sempre stancante. L’impegno di influenzare la loro mente e dirigere il loro comportamento non finisce mai. Per farlo bene ci sono alcuni principi che vanno seguiti.

  • Le istruzioni devono essere chiare. Bisogna tenere conto dell’età dei figli e assicurarsi che abbiano compreso bene quello che gli si chiede.
  • Le aspettative non devono essere esagerate. Aspettarsi che un bambino non rovesci mai il bicchiere sul tavolo è eccessivo, incidenti del genere capitano anche a noi adulti.
  • Le nostre reazioni devono essere attente e appropriate. A volte il problema sta nel discernere tra quando si tratta di un comportamento puramente infantile e quando invece è una vera disubbidienza.
  • Dobbiamo essere coerenti. Sempre. Il no deve significare “no” ogni volta che viene pronunciato. Non può volere dire “fai quello che ti pare fino a che non mi esasperi.”
  • Le nostre istruzioni non devono essere arbitrarie, ma avere una spiegazione ragionevole. Non vuol dire che i figli debbano necessariamente essere d’accordo con le nostre motivazioni, ma noi dobbiamo avere chiaro in mente il perché delle nostre istruzioni.
  • Le correzioni e le punizioni devono essere appropriate. Ogni età richiede un approccio diverso. Non applicherai la stessa punizione per qualunque misfatto e a qualunque età, come non esigerai le stesse cose da un bambino e da un adolescente.

Ricordiamoci che lo scopo di tutto questo è dirigere la mente e il cuore del fanciullo o dell’adolescente verso il Signore, perché il nostro figlio conosca Dio e ciò che Lui vuole da noi. La Parola di Dio deve essere il punto di partenza e di arrivo in tutto quello che facciamo.

“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona” (2 Timoteo 3:16,17).

Ogni giorno a scuola, al parco e durante lo sport i nostri figli sono molto spesso esposti all’influenza di persone che non amano Dio, che non lo conoscono e non hanno l’intenzione di onorarlo.

Il compito di guidarli verso il Signore è principalmente nostro! Dio ritiene ogni genitore, specialmente il padre, responsabile dell’educazione dei figli. Non sono i parenti, gli insegnanti di scuola domenicale o altri. E fino a che dipenderà da noi, scegliamo con attenzione a chi permettiamo di influenzarli.

Genitori, prendete del tempo per riflettere sulla vostra vita davanti a Dio, e per parlare tra di voi di come essere padri e madri che trasmettono ai loro figli un retaggio spirituale eterno. Vale più di quello che il mondo avrà mai da offrire.

Davide Standridge

 

Le piccole bocche della verità

" A CASA NOSTRA..." Ristampa della VOCE, aprile 1973

A casa nostra ho fatto un piccolo patto con i miei figli. “Mi dovete dire i miei difetti perché li possa correggere.”

Ricordo che quando ero bambina c’erano delle cose che mi facevano proprio arrabbiare. Un amico di famiglia che faceva suoni sibilanti con i denti per togliersi il cibo rimasto nelle fessure dagli ultimi 15 giorni, una signora che mangiava il dolce e a ogni boccone si passava la lingua sul labbro superiore, un ragazzo che appena si cominciava a raccontargli una storia, si metteva a tirare su dal naso.

Appena i figli hanno sentito la proposta mi hanno guardata con gli occhi rotondi come galline spaventate: “Come? Noi dirti i tuoi difetti?”

“Non penserete mica che sia perfetta, no?”

“Ah, certo no!” Su questo punto erano pienamente d’accordo.

“Così mi aiuterete a non prendere delle cattive abitudini. Dopo tutto anche i figli possono aiutare i genitori.”

I primi giorni furono abbastanza penosi.

“Ma lo sai che cammini a papera?”

“Fai attenzione a non fare quelle facce buffe per la strada, come se ti stessi raccontando una storia da sola.”

“Eh, fossero solo le facciate... Non diciamo niente di quando parli da sola. Allora sembri proprio... Beh, lasciamo pure perdere.”

Ma piano piano ho imparato ad apprezzare certe osservazioni. E ho notato che erano di solito giuste.

“Io lo trovo poco rispettoso” mi ha detto una signora. “Io penso che i figli debbano abituarsi a non vedere i difetti dei genitori.”

Povera donna, si sbagliava di grosso. Anche la Bibbia dice che ci dobbiamo correggere a vicenda. E chi lo può fare meglio di chi ci vede da mattina sera?

E poi ho fatto anche una scoperta: prima di dirmi quello che devo correggere io, i figli ora si assicurano di non essere in fallo loro. E così prendiamo due piccioni o tre con una sola fava.

Maria Teresa Standridge

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