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La Voce del Vangelo

La VOCE dicembre 2022

Questa è la stagione dei presepi. È tradizione in molte case tirare fuori le scatole con gli addobbi natalizi, le statuine, le casette, le montagne, il muschio e il cielo stellato, e allestire la scena della Natività. 

I miei vicini di casa hanno una vera passione per il presepe. Ogni anno lo arricchiscono con casette nuove, luci particolari, fontanelle e mulini meccanici con acqua vera che scorre. Invece quello dell’altro mio vicino occupa buona parte dell’ingresso di casa. Non oso pensare a quanto tempo passi a costruirlo. E poi a smontarlo!

A Napoli c’è una via, la San Gregorio Armeno, lungo la quale si può respirare l’atmosfera natalizia anche in piena estate. Ci sono numerose botteghe di maestri presepiali che vendono tutto ciò che occorre per realizzare un presepe. Le loro statuette sono costruite a mano, e sono dei veri artisti. Tra i personaggi principali ci sono, com’è ovvio, i pastori, Giuseppe e Maria e il Gesù bambino. 

Alcune famiglie hanno l’usanza di portare l’immagine di Gesù alla messa di mezzanotte, di aspettare la benedizione del sacerdote e poi, finalmente, riportarlo a casa e completare il presepe.

Si stima che in media gli italiani spendano nel periodo natalizio circa 100 euro per un presepe. I più appassionati possono arrivare a spendere addirittura migliaia di euro. 

Certo, si spera che i veri credenti non facciano spese tanto folli per questo.

Per i credenti evangelici è ovvio prendere le distanze da ciò che non è biblico, per questo non seguono le tradizioni natalizie come fanno tanti altri. Ricordano e celebrano la nascita del Salvatore in modo diverso, ma anche loro rischiano di perdere il vero senso della venuta di Cristo. 

Nell’immaginario collettivo il Natale ruota intorno all’essere buoni e al volersi bene, suscitando sentimenti di affetto e dolcezza. Si pensa agli angeli, al bambinello appena nato, alla notte calma e stellata, ai pastori attoniti venuti ad adorare Gesù che dorme nella mangiatoia beato, innocente e ignaro di tutto.

Ma dietro a quella scena serafica si cela una realtà molto drammatica che non dobbiamo dimenticare.

La decisione che il Figlio di Dio doveva venire sulla terra per morire è stata presa dalla Trinità prima della fondazione del mondo. 

Prima ancora di creare i cieli e la terra, Dio sapeva che l’uomo e la donna, fatti gloriosamente a sua immagine e somiglianza, si sarebbero ribellati a Lui, scegliendo di dare retta a Lucifero.  

Nella Genesi, al capitolo 3, è descritta la caduta di Adamo e Eva nel peccato, e la maledizione che ha colpito l’intero universo a causa loro. Tutto il male che c’è nel mondo oggi è il risultato della ribellione a Dio dei nostri progenitori. 

Il peccato permea ogni ambito della società, distrugge i rapporti umani e alla fine porta la conseguenza di un’eternità nell’inferno. 

Dio ha maledetto anche il diavolo: “Io porrò inimicizia fra te e la donna, e fra la tua progenie e la progenie di lei; questa progenie ti schiaccerà il capo e tu le ferirai il calcagno” (Genesi 3:15).

Gesù è la soluzione di Dio al problema, umanamente irrisolvibile, del peccato e di un’esistenza di sofferenza senza fine separati da Lui. Egli è venuto sulla terra pienamente consapevole che la sua stessa vita sarebbe stata immersa nel dolore e nell’umiliazione. Non era un bambino spensierato, ma Dio in terra che veniva a offrire la sua vita per redimere i peccatori.

Isaia, vissuto più di 700 anni prima della nascita di Gesù, aveva scritto di lui queste parole ispirate da Dio: 

"Disprezzato e abbandonato dagli uomini, uomo di dolore, familiare con la sofferenza, pari a colui davanti al quale ciascuno si nasconde la faccia, era spregiato, e noi non ne facemmo stima alcuna.
"Tuttavia erano le nostre malattie che egli portava, erano i nostri dolori quelli di cui si era caricato; ma noi lo ritenevamo colpito, percosso da Dio e umiliato!
"Egli è stato trafitto a causa delle nostre trasgressioni, stroncato a causa delle nostre iniquità; il castigo, per cui abbiamo pace, è caduto su di lui e mediante le sue lividure noi siamo stati guariti.
"Noi tutti eravamo smarriti come pecore, ognuno di noi seguiva la propria via; ma il Signore ha fatto ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti" (Isaia 53:3-6).

La sofferenza faceva parte del piano di Dio per Cristo, “l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo” (Giovanni 1:29).

All’inizio della sua attività pubblica, Gesù entrò nella sinagoga a Nazaret, e lesse quest’altro passo del profeta Isaia: "Lo Spirito del Signore è sopra di me, perciò mi ha unto per evangelizzare i poveri; mi ha mandato per annunciare la liberazione ai prigionieri e il ricupero della vista ai ciechi; per rimettere in libertà gli oppressi, per proclamare l’anno accettevole del Signore."

“Poi, chiuso il libro e resolo all’inserviente, si mise a sedere; e gli occhi di tutti nella sinagoga erano fissi su di lui. “Egli prese a dir loro: «Oggi, si è adempiuta questa Scrittura, che voi udite»” (Luca 4:18-21).

Nell’affermare di essere l’adempimento delle parole del profeta, dichiarava di essere consapevole del motivo per cui era venuto, e di quanto gli sarebbe costato portare a termine la sua missione.

Gesù non era venuto per essere un buon esempio da imitare, ma per salvare l’uomo dalla condanna dell’inferno.

Ecco perché non poteva fare a meno di piangere vedendo le folle come pecore smarrite senza pastore.

Morire sulla croce era il suo obiettivo sin dall’inizio e ne parlò in diverse occasioni. In una di queste, mise a nudo i suoi pensieri dicendo: “L’animo mio è turbato, e che dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma è per questo che sono venuto incontro a quest’ora. Padre, glorifica il tuo nome!” (Giovanni 12:27,28).

Il costo di quel sacrificio, che di lì a poco avrebbe compiuto, sarebbe stato tanto tremendo da portarlo a gridare nel giardino di Getsemani: “«Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Però non la mia volontà, ma la tua sia fatta». Allora gli apparve un angelo dal cielo per rafforzarlo. Ed essendo in agonia, egli pregava ancor più intensamente; e il suo sudore diventò come grosse gocce di sangue che cadevano a terra. E, dopo aver pregato, si alzò, andò dai discepoli e li trovò addormentati per la tristezza, e disse loro: «Perché dormite? Alzatevi e pregate, affinché non entriate in tentazione»” (Luca 22:42-46).

Gesù era pienamente consapevole non soltanto del suo sacrificio, ma anche della debolezza dei suoi discepoli e della crudeltà dei suoi nemici.

Ogni giorno della sua vita ha dovuto affrontare la realtà della solitudine, dell’essere incompreso – e quando invece è stato ben compreso ha ricevuto solo insulti e minacce di morte.

Conosciamo il suo trionfo finale quando il Padre lo ha risuscitato e gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni nome: il Signore! 

A coloro che credono in lui è chiesto di imitarlo, di assomigliargli nei modi di pensare, di agire, di relazionarsi con gli altri, di amare.

La stagione natalizia inizia ormai a novembre con le prime decorazioni nelle vetrine dei negozi e le luci per le strade. Il loro luccichio e i vari preparativi possono distrarre anche i credenti dalle loro responsabilità e dal loro compito principale.

L’apostolo Paolo scrive: 

L’amore di Cristo ci costringe, perché siamo giunti a questa conclusione: che uno solo morì per tutti, quindi tutti morirono; e che egli morì per tutti, affinché quelli che vivono non vivano più per sé stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro. 
Quindi, da ora in poi, noi non conosciamo più nessuno da un punto di vista umano; e se anche abbiamo conosciuto Cristo da un punto di vista umano, ora però non lo conosciamo più così. Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate: ecco, sono diventate nuove. 
E tutto questo viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé per mezzo di Cristo e ci ha affidato il ministero della riconciliazione. 
Infatti Dio era in Cristo nel riconciliare con sé il mondo, non imputando agli uomini le loro colpe, e ha messo in noi la parola della riconciliazione. 
Noi dunque facciamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro; vi supplichiamo nel nome di Cristo: siate riconciliati con Dio. 
Colui che non ha conosciuto peccato, egli lo ha fatto diventare peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui. (2 Corinzi 5:14-21)

Se abbiamo conosciuto e creduto a questo amore incredibile di Gesù abbiamo l’obbligo verso il nostro Signore di portare il messaggio di Dio agli altri.

Siamo nuove creature che vedono il mondo e le persone con occhi nuovi. Per noi le luci e le decorazioni sono un segno del bisogno di tutti gli uomini di conoscere Gesù, non come un bambino carino, ma come il Salvatore di coloro che credono in lui.

Il problema è che questo richiede sacrificio, richiede una vita di scelte e una prontezza a soffrire. Gesù non l’aveva nascosto a quelli che volevano seguirlo per i motivi sbagliati. Cercavano in lui il guaritore, uno capace di riempire le loro pance e parlargli in modo interessante. Di certo non si aspettavano che seguire lui richiedesse da loro il pentimento dei loro peccati, un cambiamento di vita e la prontezza ad accettare le difficoltà.

A volte anche i credenti cadono nel tranello cercando una vita comoda. A volte la pretendono e vivono con un senso di sconfitta e delusione perché il lavoro, la salute, le loro famiglie non funzionano come vorrebbero.

Hanno dimenticato che Gesù ha detto di non farsi tesori sulla terra, che i tesori umani distraggono dai tesori eterni.

Non importa se siamo convinti che il Natale sia da festeggiare o no, oppure in un modo piuttosto che nell’altro, ma ognuno in coscienza, mentre arriva la fine dell’anno, deve prendersi del tempo per rivalutare la propria vita.

Deve chiedersi quali sono le luci che sta rincorrendo. Le luci della comodità, del benessere, della salute, della famiglia, delle proprie preferenze? 

Dio non ci chiama a rincorrere le luci, né provvederà alle nostre priorità sbagliate. 

Al contrario, ci comanda di essere noi la luce. “Fate ogni cosa senza mormorii e senza dispute, perché siate irreprensibili e integri, figli di Dio senza biasimo in mezzo a una generazione storta e perversa, nella quale risplendete come astri nel mondo, tenendo alta la parola di vita, in modo che nel giorno di Cristo io possa vantarmi di non aver corso invano, né invano faticato” (Filippesi 2:14-16).

Dobbiamo essere noi le luci del vangelo, dovremmo splendere di una luce più luminosa, e sicuramente più vera, delle luci che le persone intorno a noi stanno rincorrendo.

Non farti distrarre da un Gesù bambino, ma imita giornalmente il tuo Signore, e splendi per lui nel mezzo delle difficoltà e delle prove che devi affrontare. Non le devi evitare, ma vivere con la sua forza ogni giorno della tua vita! Puoi iniziare essendo quello che Dio vuole nel tuo ruolo di marito, di moglie o genitore, come figlio, come membro attivo di chiesa e in ogni attività che fai.

Davide Standridge

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