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La Voce del Vangelo

La VOCE dicembre 2018

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Un pizzico di sale 


Mai più compromessi

Anni fa il pastore della chiesa che frequentavo ha dovuto affrontare una grave tragedia. La sua nipotina aveva solo due anni quando è uscita dalla porta di casa senza che la famiglia se ne accorgesse. Quando avevano capito che la bambina non era in casa si erano messi tutti a cercarla. Dietro la casa di campagna c’era un laghetto. L’avevano trovata lì, riversa nell’acqua. Tutti gli sforzi di rianimarla, come anche l’arrivo dell’ambulanza, erano stati inutili. La bambina era annegata. 

Questa tragedia ha spinto la famiglia a esaminare e rivalutare le possibili negligenze nella messa in sicurezza della tenuta.

Ma le morti per annegamento sono più comuni di quanto si pensi. Ci sono addirittura istruttori di nuoto che insegnano a bambini di solo un anno cosa fare se dovessero cadere in acqua: come girarsi sulla schiena e spingersi con i piedi fino ad arrivare a bordo piscina, e aspettare fino all’arrivo di qualcuno.

A volte la vita sembra proprio come una piscina dove scivoliamo inavvertitamente. Se non abbiamo imparato a nuotare rischiamo di annegare nelle acque insidiose delle difficoltà. 

Pensando alla nostra vita come era  ieri, e immaginando il domani, siamo davvero preparati a quello che avverrà? Sappiamo cosa fare, dove aggrapparci? O, incerti sul da farsi, saremo inghiottiti senza scampo? 

Cosa ci spinge a fare le cose che facciamo e che modellano il nostro futuro?

Luce o tenebre? Saggi o stolti?

La Bibbia descrive tutti i credenti come persone particolarmente benedette e curate da Dio, eppure molti non conoscono quella vita di pace, senza ansie e amarezze che contraddistingue coloro che conoscono il Signore.

Spesso viviamo come degli struzzi. Nascondiamo la testa sotto la sabbia e speriamo che ignorando il caos intorno tutto si risolva da sé, senza che cambiamo nulla nel nostro modo di affrontare i contrattempi e le complicazioni della vita.

Oppure lasciamo che le esigenze della famiglia, del lavoro e della salute consumino i nostri giorni al punto che non ci rimane tempo per valutare con saggezza il presente, tanto meno per prepararci agli imprevisti del futuro. 

Arrivati allo stremo alziamo le mani sconsolati, abbassiamo la testa e sospiriamo: “Lo so… ma che ci posso fare?” 

Hai notato come le Scritture spesso mettono due cose opposte a confronto? La luce e le tenebre, il saggio e lo stolto, il giusto e l’ingiusto, la carne e lo spirito, il mondo e la volontà di Dio. Questi binomi servono per scuoterci e per spingerci a chiederci da che parte stiamo. 

Siamo figli di Dio, ma forse nella nostra crescita spirituale ci siamo accontentati di troppo poco. 

Abbiamo standard troppo bassi e non abbiamo imparato che quello che è successo ieri serviva per oggi, così che davanti a tutta questa marea di problemi che tenta di farci naufragare non scendiamo a compromessi con il peccato ma rimaniamo integri. E non ci accontentiamo della sufficienza pur di sopravvivere. 

Per uscire dal vortice in cui siamo bisogna cominciare a dare retta a Dio e badare a quello che Lui dice nella Bibbia. 

Se Dio ci chiede di essere saggi, di non amare il mondo, di non vivere carnalmente vuol dire che è possibile con il suo aiuto.

La premessa è sempre la nuova nascita! Se non siamo nati di nuovo, se Dio non ha cambiato il nostro cuore, ogni nostro sforzo di cercare di affrontare la vita come desidera Lui è impossibile. 

Da persone rigenerate, dunque, quando pensiamo a affrontare in modo migliore la vita, abbiamo tre aspetti da tenere presenti.

Prima di tutto, agiamo secondo le informazioni che abbiamo. 

Viviamo in un’epoca senza precedenti: informazioni su qualunque cosa sono alla nostra portata, all’istante, 24 ore su 24. La Parola di Dio è il nostro punto di riferimento incontestabile. Ci informa su tutta la volontà di Dio per la nostra vita. 

Ma essere informati non è sufficiente. La Parola di Dio deve anche convincerci che tutto quel bagaglio d’informazioni che abbiamo accumulato nella vita, se non è in linea con le Sacre Scritture, è falso o sbagliato.

“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona” (2 Timoteo 3:16,17).

La Bibbia ci informa, istruisce e ci fa capire cosa è sbagliato. Ne stai approfittando? Stai permettendo alle Scritture di mostrarti come rimuovere e rimpiazzare i pensieri errati, e di istruirti su come vivere una vita che onori Dio?

Non sto dicendo nulla di nuovo: senza l’istruzione biblica siamo in balia dei nostri pensieri – pensieri che la Bibbia descrive come totalmente diversi da quelli di Dio. “Infatti i miei pensieri non sono i vostri pensieri, né le vostre vie sono le mie vie», dice il signore. «Come i cieli sono alti al di sopra della terra, così sono le mie vie più alte delle vostre vie, e i miei pensieri più alti dei vostri pensieri” (Isaia 55:8,9).

È allarmante quando un credente non sa distinguere quali dei suoi pensieri e ragionamenti siano davvero biblici e quali invece frutto di ragionamenti umani e nient’altro. 

Non solo abbiamo bisogno di essere informati, ma anche di essere convinti che quello che dice la Bibbia sia attuale, la verità necessaria per la vita di tutti i giorni.

Ma come faccio a capire il ruolo che ho permesso alla Parola di Dio di avere nella mia vita? O se mi sto perdendo alcuni dei suoi benefici? 

La risposta non sta nel contare le volte che frequento la chiesa o gli studi biblici. Sta invece in come reagisco quando sono esposto all’insegnamento biblico, quando leggo e studio la Parola di Dio per conto mio, e quando ascolto la sua esposizione.

Un aspetto che molti sottovalutano è la sostanza dell’insegnamento biblico della chiesa che frequentano. Mi spinge a valutare con onestà le mie azioni, i miei pensieri, i miei affetti, i miei sogni e le mie aspirazioni? O mi fa assopire nell’illusione che vada tutto bene così? Presto attenzione a quello che viene detto, o l’ascolto con indifferenza?

Siamo pronti a attraversare mezza città per una cena in qualche location speciale, o sopportare code interminabili  per goderci una bella giornata di vacanza. Ma quando si deve fare uno sforzo per essere istruiti dalla Parola di Dio – garanzia di un beneficio concreto e duraturo – anche il minimo disagio è eccessivo.

Gesù ha pregato che il Padre santificasse i credenti nella verità, dicendo che la Parola di Dio è verità (Giovanni 17:17). 

La Parola di Dio è quella che opera nella mia santificazione, scandagliando e trasformando la mia mente che influenza le mie decisioni. La sto forse ostacolando per la mia negligenza e superficialità? Ci sono degli aspetti della mia vita che devo cambiare? L’insegnamento nella chiesa che frequento mira a questa mia santificazione? 

Sono consapevole del mio bisogno di continuare a imparare, o sono ostinato e fermo nelle mie idee?

Non solo agiamo in base alle istruzioni che riceviamo, ma anche in base agli affetti a cui teniamo. 

Anche questo non è un concetto nuovo: dov’è il tuo tesoro, lì è il tuo cuore. 

“Non fatevi tesori sulla terra, dove la tignola e la ruggine consumano, e dove i ladri scassinano e rubano; ma fatevi tesori in cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove i ladri non scassinano né rubano. Perché dov'è il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore” (Matteo 6:19-21).

“Non amate il mondo né le cose che sono nel mondo. Se uno ama il mondo, l'amore del Padre non è in lui. Perché tutto ciò che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno” (1 Giovanni 2:15-17).

È naturale desiderare quello che soddisfa e appaga i nostri desideri. Vediamo cose che non abbiamo e le desideriamo; e sentiamo il bisogno di essere riconosciuti e approvati. Ma essere succubi di questi desideri è peccato. La nostra peccaminosità perverte questi desideri in modo che non siamo affatto soddisfatti, né riconoscenti di quello che il Padre ci da ogni giorno; non consideriamo che, in fine, è la sua approvazione che conta davvero.

Negli affetti siamo condizionati dalle nostre paure e incertezze. Desideriamo qualcosa, ma nello stesso tempo abbiamo paura di quello che gli altri possano pensare di noi se lo facciamo. Le nostre scelte e le decisioni ne sono fortemente influenzate. 

E come siamo facilmente soggiogati anche dai nostri stessi sentimenti! Quello che proviamo è reale ma il problema è che, se ci lasciamo dominare dai sentimenti anziché dalla Parola di Dio, siamo spinti in direzioni che forse non ci aspettavamo e non avremmo voluto.

Non tutti i desideri o gli affetti sono sbagliati in sé, ma diventano pericolosi quando non impariamo a riconoscerli e a valutarli alla luce delle Scritture, e correggerli quando necessario.

Spesso sono proprio gli affetti che, davanti alle scelte, sembrano metterci in condizione di non trovare alternative. 

“Il cuore è ingannevole più di ogni altra cosa, e insanabilmente maligno; chi potrà conoscerlo?” (Geremia 17:9).

A proposito di affetti, a volte sento alcuni credenti dire che il loro migliore amico non è nato di nuovo. Però, non è strano che ci sia una tale affinità quando i cuori e gli affetti dovrebbero essere molto diversi? O forse il problema è proprio che non c’è differenza? 

Anche qui è bene fermarsi e porsi delle domande. Cosa sta influenzando i miei affetti? Quali sono quei tesori nel mio cuore che dirigono la mia vita? “Chi va con i saggi diventa saggio, ma il compagno degli insensati diventa cattivo” (Proverbi 13:20).

Il terzo aspetto sono proprio le nostre scelte. 

In ogni momento prendiamo decisioni. Nessuna è senza conseguenze. Dio si aspetta che non ci limitiamo a valutare quello che sia giusto o sbagliato. Il suo standard è molto più alto.

Paolo scriveva questo: “E prego che il vostro amore abbondi sempre più in conoscenza e in ogni discernimento, perché possiate apprezzare le cose migliori, affinché siate limpidi e irreprensibili per il giorno di Cristo, ricolmi di frutti di giustizia che si hanno per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio” (Filippesi 1:9-11).

In queste sue parole c’è proprio il succo del nostro discorso. Prima viene la conoscenza, l’essere informati! Con la conoscenza si ha la capacità di apprezzare, di dare il giusto valore, e desiderare le cose migliori. E così si arriva alle scelte e alle azioni che onorano Dio. 

È da sciocchi vivere la vita senza mai fermarsi a valutarla con onestà. 

Se ci colpisce una tragedia, ne saremo travolti? Se scivoliamo in acque agitate, sapremo come reagire?

Oltre a questi tre aspetti importanti ce n’è un quarto che lega tutto. La fede! Di chi ci fidiamo veramente? 

Avere informazioni giuste non serve a niente se non ci credi. 

La fede ti fa agire in base alle informazioni ricevute da Dio. 

La fede insegna a prendere precauzioni ed essere prudenti. La fede si conforma al pensiero di Dio.

Anche i nostri affetti richiedono fede: amare Dio più di ogni altro richiede la convinzione che ne valga la pena. Non a caso Gesù ha detto: “Ama dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l'anima tua, con tutta la mente tua, e con tutta la forza tua” (Marco 12:30).

Trascurare questi principi nel valutare la nostra vita è come sottovalutare il pericolo che alla prossima marea di problemi saremo travolti irrimediabilmente. 


Speriamo bene

“E se dovesse succedere una disgrazia a suo marito... Ce l’avrebbe la pensione?” chiese a Mamma la suora di servizio la vigilia dell’operazione di Papà. 

“No” rispose Mamma e quasi si mise a ridere. Il tatto e la delicatezza non sembravano essere il forte della brava vecchietta dal velo bianco... D’altra parte la vita in un ospedale conduce a fare molte considerazioni pratiche, e un’operazione è sempre un’operazione. 

“No?! Oh, allora speriamo che tutto vada bene!” 

“Dio non fa sbagli. Se siamo suoi, siamo nelle migliori mani che ci siano. Egli ha cura di noi” rispose Mamma. 

I due occhi burberi si addolcirono e si spalancarono un po’ meravigliati: “Eh, sì! È proprio come dice lei... Buona notte, signora.” 

“Buona notte.” 

Le strade erano piuttosto deserte e Mamma arrivò in fretta a casa. I bambini dormivano, c’era una gran pace. Mamma andò a rimboccare le coperte ai gemelli. Danielino si svegliò. 

“Come sta Papà?”

“Bene, ti manda un bacio.” 

“Domani il dottore lo taglia?”

“Sì.” 

“E se si sbaglia, che cosa succede?” 

“Pregheremo il Signore che non si sbagli” rispose Mamma. Anche Danielino, come tatto, non aveva niente da invidiare alla monaca... 

Mamma andò in cucina a lavare i grembiulini di scuola dei bambini e a preparare un po’ di cibo per l’indomani. Mentre affondava le mani nella schiuma e strofinava certe macchie dispettose e pertinaci, un pensiero duro come una coltellata, le attraversò la mente. E il cuore le si mise a battere a precipizio. 

“E se davvero il dottore si sbagliasse o se davvero succedesse una disgrazia?... Se Dio avesse usato una vecchia e un bambino per avvertirla?...” 

Gli occhi le si riempirono di lacrime, mentre continuava a lavorare sui grembiulini macchiati... 

“Dio non fa sbagli” aveva detto poco prima, ma francamente non aveva troppo pensato a tutto quello che rimanere sola con quattro piccoli avrebbe potuto implicare. E ora ne era atterrita. 

Col cuore pesante si dispose ad andare a letto, ma aveva paura di spegnere la luce e di pensare... 

Si inginocchiò accanto al letto. Ci volle un bel po’ prima che riuscisse a pregare: “Padre, tu fai ogni cosa bene...” e quasi senza rendersene conto si trovò che stava enumerando a Dio i vari benefici che aveva ricevuti da Lui durante gli anni di matrimonio. Erano stati otto anni di cose piccole e grandi, di giorni belli e di giorni scuri... 

Ripensava alla venuta dei bambini, ai fallimenti come cuoca, alle conquiste lente e a volte difficili sui misteri delle arti casalinghe, ai problemi e ai dissensi risolti quietamente davanti a Dio, alle ore trascorse con Papà chiacchierando di mille cose, ai viaggi, alle discussioni, agli ospiti, alle malattie... In ogni esperienza c’era stata una benedizione, un qualche cosa che aveva servito magnificamente a cementare la loro unione. Dio era stato fedele e aveva fatto sempre tutto bene. Anche le cose tristi erano state utili e belle. 

“Grazie di tutti i tuoi beni, Padre... E grazie anche di tutto quello che farai domani, qualunque cosa sia...” 

Mamma guardò l’orologio. Non poteva credere ai suoi occhi. Erano passate due ore. Si infilò sotto le coperte con una gioia quieta e perfetta che l’avvolgeva tutta. Forse per la prima volta nella sua vita aveva veramente provato quello che è detto di Abramo che “davanti alla promessa di Dio non vacillò per incredulità, ma fu fortificato nella fede e diede gloria a Dio” (Romani 4:20).

–Un pizzico di sale, ristampa dal 1965

 

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La VOCE novembre 2018

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Consolatori viventi 


La storia di P.B. e A.M. commuove il web. 93 anni lui, 92 lei, sono morti a quattro ore di distanza l’uno dall’altra, al termine di una love story durata ben 67 anni. 

Vivevano in un paesino del nord. Un anno prima P. aveva contratto una grave malattia lavorando in fabbrica a contatto con gli acidi. Poi 

l’Alzheimer ha portato via lei. I tre figli hanno raccontato: “Hanno vissuto una vita insieme, erano legatissimi, il distacco per loro è stato tremendo, un dolore a cui, vista anche l’età avanzata, non hanno avuto la forza di reagire”. 

È una storia struggente che esprime il sentimento di molte persone. Ma la morte arriva a tutte le età: non ce n’è una in cui si è immuni ad essa.

Anni fa ho dovuto tenere in braccio un bambino di pochi anni e cercare di spiegargli che suo papà era stato ucciso. Un compito pesante, anzi difficilissimo. Per un bambino comprendere la morte è quasi impossibile, ma non si può dire che sia più facile per i grandi.

La morte è una grossa incognita che spaventa molti. Cercando conforto e sostegno molta gente si rifugia nella religione. Solo pochi affermano di non temere la morte. 

Comunque sia, tutti noi la dobbiamo affrontare! E ce lo rammenta puntualmente l’arrivo di 

Novembre con la commemorazione dei defunti. 

La Chiesa Cattolica sostiene infatti che bisogna celebrare delle messe e acquistare delle indulgenze per quei morti che hanno commesso peccati 

veniali o non hanno espiato i loro peccati passati. Li aiuterebbe a raggiungere la beatificazione.

L’apostolo Paolo, invece, affermava che per lui il morire era guadagno. Per tanti credenti sicuramente non lo è.

Come figli di Dio, come dobbiamo pensare alla morte per affrontarla con serenità?

Il vostro cuore non sia turbato

Viaggio spesso in aereo e più volte mi capita di sedermi accanto a qualcuno che ha paura di volare. Conosco anche molte persone che non prendono mai l’aereo per lo stesso motivo. Non serve spiegargli che si tratta di una paura irrazionale: si muore di più in auto che in aereo. 

Lana Del Rey, una cantante ricca e famosa, in un’intervista ha ammesso che soffre spesso di attacchi di panico perché sa che dovrà morire, e per questo per lei andare avanti è molto difficile. 

Il pensiero della morte Lana se lo porta dietro fin da bambina. Lei stessa racconta: “Mi ricordo che avevo quattro anni e avevo visto uno sceneggiato in Tv in cui una persona veniva uccisa. Mi sono girata verso i miei genitori e ho chiesto: «Moriremo tutti?» Mi hanno detto di sì. Fui sconvolta. Scoppiai a piangere e dissi singhiozzando: «Dobbiamo cambiare casa!» Sono stata da un terapista, tre volte. Ma preferisco sedermi nel mio studio e scrivere o cantare.”

Infatti, ha scritto un brano che si intitola Born to die (Nati per morire). Lana afferma anche di non volere avere figli perché non li vuole sottoporre al suo stesso terribile destino di dover morire. 

È normale che la morte spaventi. E non dovrebbe scandalizzarci nemmeno che un credente abbia paura. 

Per un non credente la paura della morte è salutare e dovrebbe spingerlo a cercare la riconciliazione con Dio.

Per il credente, Dio non vuole che siamo dominati da qualunque tipo di paura. 

Qualche volta capita di sentirsi in balia delle circostanze. Le persone e gli eventi sembrano in qualche modo arbitri della nostra vita. E quando perdiamo un caro, possono sorgere anche tanti sensi di colpa. Pensiamo che se avessimo fatto più attenzione ai segnali, scelto un dottore più competente o un ospedale migliore le cose sarebbero andate diversamente. 

Ma ragionare in questo modo non tiene conto del fattore determinante nella vita e nella morte. Anzi, della Persona più importante: Dio stesso. 

C’è chi pensa che Dio sia troppo buono per avere a che fare con la morte di un nostro caro. Ci vuole troppo bene per vederci soffrire così. La Bibbia, invece, insegna che Dio è attivamente presente in ogni morte, tanto del credente quanto del non credente, e accompagna i suoi figli attraverso il periodo di lutto. 

Sappiamo che siamo mortali. Sappiamo che un giorno la vita finirà per ognuno di noi, ma in qualche modo non vorremmo che succedesse mai.

Una cosa è certa: nessuno muore prima del tempo. Frasi del tipo “Era troppo giovane per morire” o “Era una persona brava, non meritava di morire”, anche se dette con le migliori delle intenzioni, fanno di noi arbitri del momento in cui uno debba morire.

Giacomo scrive nella sua lettera: “E ora a voi che dite: «Oggi o domani andremo nella tale città, vi staremo un anno, trafficheremo e guadagneremo»; mentre non sapete quel che succederà domani! Che cos’è infatti la vostra vita? Siete un vapore che appare per un istante e poi svanisce. Dovreste dire invece: «Se Dio vuole, saremo in vita e faremo questo o quest’altro». Invece voi vi vantate con la vostra arroganza. Un tale vanto è cattivo” (Giacomo 4:13-16).

Due aspetti sono impliciti in questi versetti. Il primo è che chi pensa di poter pianificare o anche cercare di controllare la lunghezza della vita è arrogante. Il secondo è che la durata della vita è determinata da Dio.

Il salmo 139 afferma: “I tuoi occhi videro la massa informe del mio corpo, e nel tuo libro erano tutti scritti i giorni che mi erano destinati, quando nessuno d’essi era sorto ancora” (v. 16). Siamo stati creati da Dio, e prima che nascessimo Egli aveva già decretato la lunghezza della nostra vita.

Vuol dire che non possiamo morire un secondo prima di quando Dio non l’abbia stabilito! Lasciarsi consumare dalla preoccupazione per la nostra vita non è saggio, e tanto meno cambia i piani sovrani di Dio. 

Ma c’è anche da ricordare il grande valore che Dio attribuisce alla vita di ogni sua creatura. Non c’è da disperarsi: in un mondo con 7 miliardi di persone, tu non sei affatto insignificante; ogni singola vita è speciale agli occhi di Dio! “Due passeri non si vendono per un soldo? Eppure non ne cade uno solo in terra senza il volere del Padre vostro. Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non temete dunque; voi valete più di molti passeri” (Matteo 10:29-31).

La paura fa bene

La paura della morte può colpire anche chi ha capito che il giorno della morte è nelle mani di Dio. Certe volte è indice di una certa saggezza. Chi non conosce Dio fa bene a temere la morte. È scritto nella Parola di Dio: “È stabilito che gli uomini muoiano una volta sola, dopo di che viene il giudizio” (Ebrei 9:27)

La morte è entrata nel mondo come risultato del peccato di Adamo e Eva. È la prova ultima e incontestabile che Dio è sovrano e che nulla sfugge alla sua perfetta giustizia: tutti moriremo e tutti saremo giudicati, perché tutti pecchiamo. 

La Bibbia afferma che “il salario del peccato è la morte” (Romani 6:23). Sono parole categoriche del giusto giudizio di Dio contro la malvagità dell’uomo: la morte seconda nell’inferno.

Morire al di fuori dalla grazia di Dio è spaventoso. “È terribile cadere nelle mani del Dio vivente” (Ebrei 10:31). Per questo Gesù ha avvertito: “Non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima; temete piuttosto colui che può far perire l’anima e il corpo nella geenna” (Matteo 10:28).

Temere la morte è una cosa saggia!

D’altra parte, però, visto che esiste un modo per evitare la condanna eterna, rimanere nella paura NON è saggio! 

La soluzione sta nella seconda parte del versetto che ho citato prima: “Il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore” (Romani 6:23). 

Di questa salvezza scrive anche l’apostolo Giovanni nella sua prima lettera: “Vi ho scritto queste cose perché sappiate che avete la vita eterna, voi che credete nel nome del Figlio di Dio” (5:13).

Noi tutti possiamo affrontare la morte con la certezza del proprio destino eterno. 

Meritiamo la condanna di Dio a causa del nostro peccato, e non possiamo fare nulla per guadagnarci la vita eterna; possiamo solo mettere la nostra completa fiducia nei meriti del Signore Gesù. Egli ha vissuto una vita moralmente perfetta senza peccato, impossibile per noi, e morendo sulla croce si è addossato la condanna che spettava a noi. Per questo suo gesto Gesù è l’unico Salvatore che mai avremo. Per valerci della salvezza che Egli offre, Gesù deve diventare il nostro Signore, dobbiamo conoscere e mettere in pratica la sua parola. Ecco cosa vuol dire credere in Cristo.

Di conseguenza, smettere di avere paura della morte prima di avere affidato la propria vita a Cristo è un atto di completa incoscienza! 

Vincere la paura

Chi ha creduto in Cristo ha vita eterna e non deve temere la morte. Ma come si arriva ad affermare addirittura che: “Per me morire è guadagno” (Filippesi 1:21)? Perché, comunque sia, credenti o non credenti, la morte è qualcosa che si spera avvenga più tardi possibile. Altro che guadagno!

Certo, nei momenti bui, quando la vita è difficile e si è soli e sofferenti, può sembrare un’alternativa migliore. Ma non appena le cose si assestano, morire non è più tanto allettante.

Paolo era anziano e si trovava in prigione quando ha scritto quella frase. Le sue erano forse solo parole da vecchio sofferente? Giovani credenti, invece, sicuri del loro destino eterno, vogliono prima sposarsi, avere figli e godersi la vita e poi saranno anche pronti per la vita eterna.

Credenti più avanti con gli anni, dal canto loro, si preoccupano di come faranno i loro cari ad affrontare la vita senza il loro aiuto e per questo il morire non sembra al momento un grande guadagno per nessuno.

Asaf, nel salmo 73, esclama: “Chi ho io in cielo fuori di te? E sulla terra non desidero che te. La mia carne e il mio cuore possono venir meno, ma Dio è la rocca del mio cuore e la mia parte di eredità, in eterno” (vv. 25,26).

Cosa deve succedere dentro di noi per farci desiderare il cielo, la presenza di Dio, come Asaf?

Tanto per cominciare, preghiamo che si sviluppi in noi un più grande amore per il Signore. Come è scritto: “Nessuno è santo come il signore, poiché non c’è altro Dio all’infuori di te; e non c’è rocca pari al nostro Dio” (1 Samuele 1:2).

Questo non vuol dire che non abbiamo affetti sulla terra, ma che dovremmo curare il nostro amore per il Signore e il desiderio di essere con Lui in primis, in modo che gli affetti terreni siano un’estensione, un riflesso del nostro attaccamento a Lui.

La seconda cosa che deve svilupparsi in noi è un sempre più grande odio per il nostro peccato e un più grande desiderio di vivere una vita pura al cospetto di un Dio santo.

Il salmista Davide scrive: “Perciò io amo i tuoi comandamenti più dell’oro, più dell’oro finissimo. Per questo ritengo giusti tutti i tuoi precetti e odio ogni sentiero di menzogna” (Salmo 119:127,128).

È un processo che inizia qui in terra, ma che avrà il suo pieno compimento solo quando saremo in cielo con il Signore.

Terzo, dobbiamo desiderare di adorare Dio alla sua presenza. 

Oggi la nostra adorazione è imperfetta. In Apocalisse è descritta come sarà in cielo: “Dopo queste cose guardai e vidi una folla immensa che nessuno poteva contare, proveniente da tutte le nazioni, tribù, popoli e lingue, che stava in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, vestiti di bianche vesti e con delle palme in mano. E gridavano a gran voce, dicendo: «La salvezza appartiene al nostro Dio che siede sul trono, e all’Agnello». E tutti gli angeli erano in piedi intorno al trono, agli anziani e alle quattro creature viventi; essi si prostrarono con la faccia a terra davanti al trono e adorarono Dio, dicendo: «Amen! Al nostro Dio la lode, la gloria, la sapienza, il ringraziamento, l’onore, la potenza e la forza, nei secoli dei secoli! Amen»” (Apocalisse 7:9-12).

Che magnifica visione! Che meraviglia essere lì con i santi di tutte le ere ad adorare Dio nella perfezione del cielo!

Quarto, si deve sviluppare in noi un desiderio di conoscere Dio sempre di più. Gesù ha detto: “Questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo” (Giovanni 17:3).

Conoscere Dio comprende anche i tre punti precedenti e perciò deve essere il nostro desiderio più grande: vederlo faccia a faccia come Egli è.

Paolo viveva intensamente queste realtà. Aveva lo sguardo volto verso quello che è eterno, ma non per questo viveva con insoddisfazione la sua quotidianità. Non cercava il suo appagamento nelle cose terrene. 

Fatichiamo a vedere crescere in noi questo amore per il cielo finché restiamo attaccati a quello che è terreno, quello che si rovina e si distrugge. 

In quella stessa lettera alla chiesa di Filippi, Paolo scrive che era convinto che sarebbe rimasto sulla terra non per soddisfare se stesso, ma per continuare a servire il Signore a beneficio dei credenti. Morire è guadagno solo quando abbiamo una prospettiva eterna di tutte le cose.

Amare il cielo, per il credente, non dovrebbe essere difficile.

Il buon cordoglio

Nascere, crescere e morire fanno parte delle stagioni della vita. Vale anche per il cordoglio.

“Per tutto c’è il suo tempo, c’è il suo momento per ogni cosa sotto il cielo: un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare ciò che è piantato, un tempo per uccidere e un tempo per guarire, un tempo per demolire e un tempo per costruire; un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per far cordoglio e un tempo per ballare” (Ecclesiaste 3:1-4).

C’è un senso di abbandono, di distacco, di amore interrotto anche davanti alla morte di una persona cara che sappiamo essere andata in cielo. Non bisogna soffocare la tristezza solo perché si tratta di un credente. Nel cordoglio Dio vuole che siamo consolati dalla certezza divina della risurrezione.

“Fratelli, non vogliamo che siate nell’ignoranza riguardo a quelli che dormono, affinché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza. Infatti, se crediamo che Gesù morì e risuscitò, crediamo pure che Dio, per mezzo di Gesù, ricondurrà con lui quelli che si sono addormentati. Poiché questo vi diciamo mediante la parola del Signore: che noi viventi, i quali saremo rimasti fino alla venuta del Signore, non precederemo quelli che si sono addormentati; perché il Signore stesso, con un ordine, con voce d’arcangelo e con la tromba di Dio, scenderà dal cielo, e prima risusciteranno i morti in Cristo; poi noi viventi, che saremo rimasti, verremo rapiti insieme con loro, sulle nuvole, a incontrare il Signore nell’aria; e così saremo sempre con il Signore. Consolatevi dunque gli uni gli altri con queste parole” (1 Tessalonicesi 4:13-18).

Il distacco per il credente non è motivo di disperazione, perché è solo temporaneo.

Il Signore è un Dio di compassione e promette una cura particolare per coloro che sono nel lutto. Egli conosce la realtà del dolore e non soltanto sa consolarci ma conosce anche gli scopi per cui lo ha permesso.

Nel salmo 119:71 è scritto: “È stata un bene per me l’afflizione subita, perché imparassi i tuoi statuti.”

Nel cordoglio Dio ci sta avvicinando a Lui e “guarisce chi ha il cuore spezzato e fascia le loro piaghe” (Salmo 147:3). 

Il tuo lutto può sembrarti senza fine e senza speranza, ma il salmista testimonia: “Ho pazientemente aspettato il signore, ed egli si è chinato su di me e ha ascoltato il mio grido. Mi ha tratto fuori da una fossa di perdizione, dal pantano fangoso; ha fatto posare i miei piedi sulla roccia, ha reso sicuri i miei passi. Egli ha messo nella mia bocca un nuovo cantico a lode del nostro Dio. Molti vedranno questo e temeranno, e confideranno nel signore. Beato l’uomo che ripone nel signore la sua fiducia” (Salmo 40:1-4).

Il grido, la fossa, il pantano fangoso. Il dispiacere di Davide era profondo e reale eppure, nel tempo, non solo ha ritrovato conforto nel Signore ma è diventato anche un esempio per gli altri che si trovano nell’angoscia. 

Consolatori viventi

Ognuno fa cordoglio in modo diverso. È bene tenerlo presente, perché ci vuole tatto e sensibilità per assistere chi ha perso un caro. Non dobbiamo criticare con durezza comportamenti che per noi potrebbero sembrare inappropriati.

Può darsi che qualcuno, preso dallo sconforto, dica cose poco opportune. Non lo bolliamo definitivamente per come si è espresso in un momento di turbamento.

È naturale che davanti al lutto di qualcuno ci sentiamo a disagio e temiamo di non trovare parole giuste. Non lasciamoci bloccare da questo sentimento e non abbiamo paura di avvicinarci per esprimere le nostre condoglianze. È un momento difficile per tutti. Tutti abbiamo paura di dire la cosa stupida o inappropriata, ma è sufficiente dire semplicemente che sono triste per te e prego per te.

Attenzione, però! Non è il momento della predica! Poche parole sincere e un abbraccio offrono molto più conforto di quello che crediamo.

E se a morire è stato un parente non credente, facciamo attenzione a non dare false speranze! I parenti credenti sanno già ciò che la Bibbia dice sulla morte dei non credenti. Quello che possiamo offrire loro è la nostra spalla e possiamo assicurarli che Dio è giusto e santo in ogni cosa che fa.

Se abbiamo un ricordo speciale da raccontare della persona defunta, facciamolo con garbo: porta un senso di serenità a chi l’ascolta.

La perdita di un caro è anche un momento intenso in cui ci sono molte persone intorno, parenti, amici e colleghi. Nei giorni successivi, però, la solitudine si fa sentire. Anche a distanza di settimane e mesi il distacco e il dolore sono vivi. Non abbandoniamo chi soffre a gestire da solo la sua perdita.

Particolarmente durante le feste, i compleanni e gli anniversari il dolore si riacutizza. Una parola buona è un balsamo per coloro che continuano a fare cordoglio.

 

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La VOCE ottobre 2018

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Guglielmo risponde 


MA COSA FIRMI

Hai notato che per qualunque operazione in banca ti chiedono cinquanta firme? La maggior parte hanno a che fare con la privacy. 

Vai dal dottore, dal meccanico, apri un sito internet, ognuno richiede la firma per la privacy. Dovrebbe garantire la riservatezza dei tuoi dati e delle informazioni che hai fornito.

Dico dovrebbe, perché in pratica è impossibile sapere se i livelli di sicurezza siano effettivamente adeguati a proteggerci. Ma forse la domanda più importante sarebbe se questa sia davvero l’intenzione delle aziende.

Oggi come oggi è possibile acquistare indirizzi di posta elettronica di persone sconosciute, a loro insaputa. I dati personali sono un asset che vale denaro per le società che operano su internet. Molte imprese se ne servono a scopo di marketing. È tutto legale. Il problema, casomai, è che prima di mettere la firma su qualunque documento, nessuno prende davvero del tempo per leggere tutte quelle informazioni scritte in caratteri microscopici e in linguaggio incomprensibile. Così, con la nostra firma, autorizziamo l’uso che ne faranno.

Internet è un mondo di dati in espansione inarrestabile. Ci sono hacker e organizzazioni che hanno tutte le intenzioni di sfruttarlo a loro vantaggio. Cancellare le informazioni caricate in rete è in teoria possibile, ma richiede uno sforzo e una tenacia che non è da tutti (una cancellazione totale potrebbe richiedere un anno intero, l’appoggio di ditte specializzate e addirittura l’intervento di un avvocato). 

Il recente scandalo che ha coinvolto Facebook ha scosso mezzo mondo; politici, avvocati e cittadini fanno fronte unito nella speranza di proteggere meglio la privacy.

Come credenti, come dovremmo comportarci in questa era di internet? Cosa dobbiamo pensare della privacy? E come insegnare ai nostri figli l’uso sano dei social media?

Niente privacy!

“SIGNORE, tu mi hai esaminato e mi conosci. Tu sai quando mi siedo e quando mi alzo, tu comprendi da lontano il mio pensiero. Tu mi scruti quando cammino e quando riposo, e conosci a fondo tutte le mie vie. Poiché la parola non è ancora sulla mia lingua, che tu, SIGNORE, già la conosci appieno.” 
–Salmo 139:1-4

Prima che io posti qualunque cosa su Facebook, Twitter, Instagram o qualsiasi altro medium, Dio già lo sa. Egli non conosce solo cosa sto per scrivere, ma anche il motivo perché lo faccio. Dio sa cosa c’è nel mio cuore.

Il Salmo 139 dice anche che Dio è onnipotente, onnipresente e onnisciente.
Se ricordassimo più spesso che Dio sa tutto quello che pensiamo, facciamo e desideriamo, e che non possiamo nasconderci da Lui, faremmo più attenzione a quello che scriviamo. E, in rete, non penseremmo nemmeno di mascherarci dietro l’anonimato con il nostro peccato.

La perfetta conoscenza che Dio ha di noi va oltre i social media. Quello che pensiamo degli altri, che lo diciamo ad alta voce o no, Dio l’ha già valutato. 

Come cambierebbe il nostro atteggiamento verso i genitori, il coniuge, il datore di lavoro, i governanti, i responsabili in chiesa o i vicini di casa, se la presenza di Dio fosse sempre visibile? 

Ogni giorno i nostri presunti segreti creano scandalo in cielo!

E un giorno, i segreti degli uomini saranno tutti giudicati: “Io vi dico che di ogni parola oziosa che avranno detta, gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio; poiché in base alle tue parole sarai giustificato, e in base alle tue parole sarai condannato” (Matteo 12:36,37).

Scrivere sui social media è un modo di parlare, e sul parlare la Bibbia ha molto da dire. 

Prima di tutto, dice che dobbiamo essere coerenti nella nostra fede per non cadere nell’ipocrisia. 

“Dalla medesima bocca escono benedizioni e maledizioni. Fratelli miei, non dev’essere così. La sorgente getta forse dalla medesima apertura il dolce e l’amaro? Può forse, fratelli miei, un fico produrre olive, o una vite fichi? Neppure una sorgente salata può dare acqua dolce” (Giacomo 3:10-12).

Come ci esprimiamo deve essere confacente ai figli di Dio. Le parole avventate, ambigue e vaghe, oscurano e, a volte, rovinano la nostra testimonianza.

Secondo, dobbiamo fare attenzione alle conseguenze delle nostre parole. 

“Così anche la lingua è un piccolo membro, eppure si vanta di grandi cose. Osservate: un piccolo fuoco può incendiare una grande foresta! Anche la lingua è un fuoco, è il mondo dell’iniquità. Posta com’è fra le nostre membra, contamina tutto il corpo e, infiammata dalla geenna, dà fuoco al ciclo della vita” (Giacomo 3:5,6).

Una volta pubblicate in rete, le nostre parole eludono ogni nostro controllo. Se si prestano a malintesi, potranno recare danni imprevedibili, anche a distanza di tempo, a noi, a chi ci legge o alle nostre famiglie.

Terzo, dobbiamo esercitarci a far buon uso delle parole. “Nessuna cattiva parola esca dalla vostra bocca; ma se ne avete qualcuna buona, che edifichi secondo il bisogno, ditela, affinché conferisca grazia a chi l’ascolta” (Efesini 4:29).

Nel testo greco originale, la parola “cattiva” significa “putrida”. Eliminiamo dal nostro vocabolario qualsiasi parola disgustosa e, passando attraverso il setaccio di quello che Dio considera buono, impariamo a scegliere parole che fanno del bene. Ce ne sono per ogni situazione, ma bisogna fare uno sforzo per individuarle. 

Le parole che fanno del bene sono edificanti, sono dette al momento giusto e conferiscono grazia.

Non tutto quello che è vero è necessariamente utile. Certe osservazioni sulla forma fisica di qualcuno, per esempio, possono essere vere, ma siamo sicuri che facciano del bene? Edificare qualcuno vuol dire aiutarlo a migliorare per il bene suo e non per il nostro. 

Parole utili dette al momento giusto sono rarissime come l’oro. Tutti ne hanno bisogno, ma pochi hanno imparato a offrirle. È un’area in cui dobbiamo tutti crescere in saggezza.

Quello che scriviamo deve conferire grazia. Grazia è quello che Dio fa ogni giorno nella nostra vita. I suoi desideri per noi non sono egocentrici. Il suo unico intento è quello di produrre un bene spirituale in noi. Se le cose che diciamo o scriviamo sono infette da sentimenti di rivincita o di rabbia, abbiamo dimenticato che siamo in vita solo per la grazia di Dio.

Quarto, dobbiamo riconoscere che abbiamo bisogno di aiuto in questo. “SIGNORE, poni una guardia davanti alla mia bocca, sorveglia l’uscio delle mie labbra” (Salmo 141:3).

Siamo deboli. Diciamo cose fuori posto con molta leggerezza. Non sappiamo frenare la nostra lingua. 

L’uso dei social media non ci aiuta in questo, perché davanti a una tastiera e uno schermo tutto diventa stranamente impersonale. Non stiamo faccia a faccia con nessuno, perciò è facile che le nostre inibizioni si abbassino senza che ce ne accorgiamo più di tanto. E in un attimo le nostre dita hanno trasmesso nella galassia di internet parole e pensieri impulsivi.

Fare ogni cosa alla gloria di Dio riguarda anche le nostre dita!

Cosa farebbe l’apostolo Paolo?

Se gli apostoli vivessero oggi, cosa farebbero con la tecnologia che abbiamo a disposizione? Gesù userebbe i social media? 

Ragioniamo prima sugli usi sbagliati. Qualcuno poco saggio, altri chiaramente peccaminosi!

Facebook, Twitter e Instagram sono alcuni dei social network più comuni, popolarissimi specialmente fra la generazione più giovane. 
Facebook fu lanciato nel 2004. Oggi conta più di due miliardi di utenti. Circa il 30% di loro ha tra i 25 e 30 anni. Il 50% dei giovani tra i 18 e 24 anni accede a Facebook come prima cosa appena svegli. 
In media, una sessione dura circa 20 minuti a persona. Questo, più volte al giorno. Ogni secondo si creano 5 nuovi profili utente! E ogni giorno 300 milioni di foto vengono postate sui vari profili!(https://zephoria.com/top-15-valuable-facebook-statistics/)

Con una tale audience, Facebook potrebbe essere utile anche per il progresso del vangelo. Ma non lo è per tanti credenti. Sui loro profili non c’è traccia della loro fede. E forse è meglio così, visto quello che postano.

È sorprendente quanto narcisismo dilaghi su Facebook. I post più comuni riguardano ciò che la gente mangia, dove va e cosa fa per divertirsi. Con tanto di selfie, ovviamente.   

Ma è sconcertante che anche i credenti non si fanno scrupoli nel pubblicare foto in costumi succinti e in pose ammiccanti.

Poi ci sono quelli che usano i social media per una specie di denuncia. Oppure per parlare male di qualcuno senza fare il suo nome. Cosa sperano di ottenere? Che quella persona “anonima” si riconosca in quello che hanno scritto e cambi atteggiamento? 

Oppure che altre persone si uniscano al loro sdegno generale?

Parlare male di qualcuno, della società o dei politici è normale per chi non consce Dio. Ma è triste quando i credenti trovano più appagante lo sparlare carnale piuttosto che ringraziare Dio per ogni cosa, come ci comanda di fare.

C’è anche chi dice apertamente di essere un credente, ma poi si fa coinvolgere in interminabili controversie dottrinali. A che pro? Forse in partenza poteva essere motivato dal voler “difendere la verità”, ma troppo spesso questi scambi di opinione deteriorano in offese e insulti che nulla hanno a che vedere con l’amore cristiano.

Mi fermo qui. Bastano questi come esempi negativi del cattivo uso dei social. I social media, però, non sono dannosi in sé, e hanno molto potenziale se usati bene. 

Ecco, allora, alcuni consigli per farne il buon uso:

Prega prima di postare qualunque cosa. Spesso si ha l’impulso di scrivere di getto. Su internet questo è un grande rischio. Non aiuta il fatto che di solito usiamo i social quando siamo soli e quindi avvertiamo meno il bisogno di una normale cautela e di autocensura.

Pensa a chi leggerà quello che scrivi. Ricordati che se non puoi definire il tuo uditorio (molti social hanno questa opzione), quello che pubblichi potrà essere letto da chiunque, credenti e non. Certe conversazioni sarebbe meglio riservarle a un numero ristretto di persone piuttosto che lanciarle in pasto a tutti.

Pensa bene allo scopo per cui scrivi. Sui social valgono gli stessi principi biblici che dobbiamo seguire nel parlare. Edifica? È questo il momento giusto per scriverlo? Porta grazia a chi lo legge?

Pensa a quale impressione dai di te con il tuo post. Attira l’attenzione su di te? Potrebbe sembrare che ti stia mettendo in mostra? Che ti stia arrogando dei meriti che non hai?

In che modo quello che scrivi riguarda Dio? Porta gloria a Lui? O è qualcosa che anche un non credente potrebbe scrivere?

Pensa a cosa stai producendo. Il risultato di quello che scrivi produrrà controversia? Stai scrivendo per creare divisione?

Diresti la stessa cosa a una persona in carne e ossa? Se non hai il coraggio di dirlo in pubblico, non lo dovresti nemmeno scrivere!

Usare i media per testimoniare è utile! Il Signore può aprire il cuore delle persone attraverso quello che scrivi. Postare foto o video può essere un mezzo benedetto per raggiungere tantissime persone. 

Ma dovremmo anche chiederci se essere continuamente connessi ai media sia il modo migliore di usare il nostro tempo. Stiamo curiosando nelle vite degli altri? Stiamo sprecando il tempo che potremmo usare meglio facendo qualcos’altro? Ci sta portando a concentrarci su noi stessi? È una tentazione che devo combattere?

Niente privacy con Dio: “E non v’è nessuna creatura che possa nascondersi davanti a lui; ma tutte le cose sono nude e scoperte davanti agli occhi di colui al quale dobbiamo rendere conto” (Ebrei 4:13). 

Il pericolo è entrato in casa tua

Una parola per mariti e mogli 

Non avere profili privati sui social ai quali il vostro coniuge non può accedere. Tante relazioni extraconiugali nascono come amicizie casuali sui social. L’anonimato e la segretezza sono una trappola. Trovare orecchie per le nostre lamentele, poter riconnettere con persone del sesso opposto, provare solidarietà con gli sconosciuti che stanno passando problemi coniugali simili ai nostri sono tutti pericoli che minano l’esclusività del rapporto di coppia. 

Non intrattenere relazioni “innocue” con persone dell’altro sesso all’insaputa del tuo coniuge. Nessuna relazione al di fuori dell’intimità del matrimonio è innocua, ma spalanca una porta al peccato.

Una parola ai genitori 

Attraverso i social è facile allacciare amicizie con gli sconosciuti. Questo è un serio pericolo per i nostri figli. Ci sono più di 83.000.000 di profili falsi su Facebook. Esistono solo per ingannare e per fare del male! 

Se per gli adulti i pericoli in rete sono tanti, per gli adolescenti lo sono in modo esponenziale. A volte, quando mi capita di vedere il profilo di qualche figlio di credenti, mi domando se i suoi genitori abbiano idea di quello che lui posta: foto e video scabrose, messaggi con linguaggio e contenuti inaccettabili per un credente. 

Nessun adolescente dovrebbe avere accesso a internet senza la supervisione dei genitori. Non ci devono essere segreti: i figli non devono vivere una vita clandestina al di fuori del controllo dei genitori.

Con figli in casa l’internet dovrebbe essere spento a una certa ora e i cellulari lasciati sotto il controllo dei genitori.

La durata del tempo passato sul pc o sui telefonini dev’essere concordata con i figli e poi monitorata con attenzione da parte dei genitori. Siate intransigenti in questo per il loro bene! I bambini a cui è permesso passare ore su video games senza restrizioni sviluppano molto presto una dipendenza dai giochi e dai social in generale. Un mondo virtuale, dove si ha la possibilità di fare quello che nella vita normale non è permesso, è un’attrazione irresistibile e un pericolo costante. 

Siete ancora in tempo per correggere, se necessario, quello che state facendo! La pornografia, le relazioni sbagliate, l’uso sbagliato della lingua e del tempo sono pericoli veri, facciamo attenzione!

 


—Guglielmo Risponde—

Perché la Bibbia ce l’ha con le mogli?

Caro Guglielmo, 
A volte si dice che la Bibbia è maschilista, perché insegna che la donna dev’essere sottomessa al marito. Ma è vero o non è vero?    —Un marito

Andiamoci piano col saltare a conclusioni affrettate su ciò che la Bibbia insegna! Particolarmente quando la risposta porta acqua a qualche mulino.

La Bibbia non è complicata, ma è complessa. Alcuni insegnamenti sono chiarissimi. Basta citare un versetto e hai già la risposta che cerchi.  

Altre volte bisogna avere la voglia di ricercare con pazienza e con un sincero desiderio di imparare ciò che i diversi passi o versetti nel loro insieme, e nel loro contesto, hanno da dire sull’argomento. Poi con molta umiltà si deve cercare di arrivare alla verità per mezzo di un confronto meditato e pacato, per conciliare – non già i passi che, come verità assoluta e priva di contraddizioni per la saggezza divina, vanno sempre d’accordo – ma le nostre interpretazioni e conclusioni meramente umane, che vanno esaminate con cautela.

Prendiamo due versetti che sono spesso intesi in senso maschilista. “Mogli, siate sottomesse ai vostri mariti come al Signore” (Efesini 5:22), e “Le mogli devono essere sottomesse in ogni cosa” (Efesini 5:24). Si sono prestati a interpretazioni piuttosto dure! Da parte di mariti, naturalmente. Si pensa: “Qui i mariti comandano sempre e in tutto!” E qualcuno aggiunge: “Sono sempre parole di Paolo, il solito maschilista!”

Un momento! Guardiamo qualche altra parola di Paolo, nello stesso passo biblico. “Mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la chiesa e ha dato se stesso per lei” (Efesini 5:25). “Allo stesso modo, anche i mariti devono amare le loro mogli, come la loro propria persona. Chi ama sua moglie ama se stesso” (Efesini 5:28).

Allora, la Bibbia è maschilista o femminista? Se si seguisse alla lettera la volontà di Dio espressa in questo passo, a chi toccherebbe pagare il prezzo più alto, al marito o alla moglie?

È chiaro che nessuno dei coniugi è autorizzato a maltrattare o dominare l’altro. Anzi, l’amore perfetto e la prontezza al sacrificio dimostrati da Cristo sono il modello da seguire e la meta da raggiungere di ogni credente, particolarmente del marito. Ai sposi credenti, una vita in continua disciplina e ubbidienza a Lui è la via maestra per raggiungere questi risultati giorno per giorno.

A me sembra che sia, forse, il marito ad avere il compito più grande e difficile. Voi, che pensate?

 

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La VOCE settembre 2018

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Ivana ride, parla e sta bene


NON MI VOLEVA NESSUNO

Oggi il mondo è migliore. Almeno così sembrerebbe. La medicina ha fatto grandi progressi e tante malattie sono state praticamente debellate. 

L’ultimo caso di poliomielite risale ormai al 1982. Il vaiolo, che nel 30% dei casi era letale, dal 1979 non esiste più. E pensare che negli anni ’60 causava la morte di circa 2 milioni di persone all’anno! Anche la meningite e alcuni tipi di cancro sono ora curabilissimi.

Per queste grandi scoperte della medicina, qualcuno potrebbe pensare che l’umanità stia per conquistare il controllo assoluto non solo sulla salute delle persone, ma anche sulla vita e la morte. Nel prossimo futuro, oltre a essere in grado di allungare e migliorare significativamente l’aspettativa di vita, potremo anche determinare l’idoneità di un individuo alla vita prima che nasca, decidere cioè chi può vivere e chi deve morire. 

In un certo senso, questo “diritto” già si esercita in alcuni paesi europei. È il caso della sindrome di Down. 

Oggi con un semplice test del sangue è possibile scoprire se il feto abbia la malformazione del cromosoma 21, che ne è la causa. Se il test è positivo, per molti, la cosa più facile è abortire. 

È così che l’Islanda è riuscita praticamente a ridurre allo 0 la nascita di bambini Down. 

Ma cosa dice la Bibbia sull’aborto? Sulla fecondazione assistita? Sulla fine della vita?

L'inizio dell'eternità

Non c’è vita che esista per volontà umana. L’uomo può desiderarla, e anche procrearla, ma non ne è mai l’autore. Solo Dio lo è. 

Mentre l’interruzione di gravidanza è una triste e dolorosa realtà per molte, le statistiche dicono che sempre più donne ricorrono all’aborto con leggerezza.

“Il corpo è mio e ci faccio quello che voglio” è lo slogan di un movimento molto sonoro che promuove il diritto delle donne di abortire per qualunque motivo. È un modo di ragionare che è entrato a far parte della mentalità comune della gente. Lo sapevi che molti ormai considerano l’aborto come un metodo anticoncezionale? Guai a parlarne contro! Per alcuni è come intromettersi negli affari altrui, come violare la libertà della donna. Questi sono casi estremi.

Ma come credenti, cosa dobbiamo pensare su questo argomento? Le nostre convinzioni si stanno allineando con il senso comune del giusto e dello sbagliato? In una questione così delicata ci facciamo guidare dall’opinione pubblica? Vince chi grida di più? Oppure ci fidiamo della Legge italiana? 

Perché, allora, non della Parola di Dio la quale, più spesso che no, denuncia e condanna i ragionamenti umani?! In ultima analisi, conta solo quello che Dio pensa.

Nel Salmo 127:3 è scritto: “Ecco, i figli sono un dono che viene dal SIGNORE; il frutto del grembo materno è un premio.” Nessuno è mai nato senza che Dio l’abbia voluto. Egli è coinvolto personalmente nella vita di ogni essere umano, dal concepimento fino al suo ultimo respiro. 

Nel libro di Giobbe sono scritte queste bellissime e struggenti parole di un uomo molto provato nella sua salute: “Le tue mani mi hanno formato, m’hanno fatto tutto quanto, eppure mi distruggi! Ricordati che mi hai plasmato come argilla, e tu mi fai ritornare in polvere! Non mi hai colato forse come il latte e fatto rapprendere come il formaggio? Tu mi hai rivestito di pelle e di carne, e mi hai intessuto d’ossa e di nervi. Mi hai concesso vita e grazia, la tua provvidenza ha vegliato sul mio spirito” (Giobbe 10:8-12).

Anche nella sofferenza, ogni vita è un dono di Dio, della sua infinita grazia e provvidenza. La vita di un bambino perfettamente sano vale esattamente quanto quella di un bambino nato con gravi problemi. 

Pensare che siamo solo il frutto dell’unione fisica dei nostri genitori non solo è superficiale, ma è un affronto a Dio. 

La sua Parola smentisce con indiscutibile chiarezza l’idea che il feto nel grembo della mamma sia solo una massa di tessuto e non una persona. Il re Davide afferma: “Sì, tu m’hai tratto dal grembo materno […] tu sei il mio Dio fin dal grembo di mia madre” (Salmo 22:9,10). Il Signore era il Dio di Davide sin dal grembo della mamma.

Due mesi dopo il concepimento il feto ha già mani e piedi, ha un cuore che batte, e il suo DNA, già definito e distinto, rimarrà lo stesso per tutta la vita. Davanti a questa verità, abortire di proposito un bambino è come uccidere un figlio perché rappresenta “una seccatura” per la vita dei genitori. 

Milioni di bambini sanissimi vengono abortiti nel mondo con scuse di ogni tipo. In alcuni casi si cerca di giustificare l’omicidio di questi bambini dicendo che è per il loro bene – meglio abortire che farli nascere in una famiglia che non è pronta ad accoglierli. 

La storia umana è macchiata di violenza e di atrocità, ma in una persona normale il pensiero di uccidere bambini piccoli desta sempre orrore. Ucciderli, però, senza averli prima visti, sembra più accettabile, meno grave…

Il feto è un essere umano! Creato a immagine di Dio: “Il sangue di chiunque spargerà il sangue dell’uomo sarà sparso dall’uomo, perché Dio ha fatto l’uomo a sua immagine” (Genesi 9:6).

Nel Salmo 82, al versetto 3 Dio dice per bocca di Asaf: “Difendete la causa del debole e dell’orfano, fate giustizia all’afflitto e al povero!”

Chi è più debole e incapace di difendersi di un bambino non ancora nato? Noi siamo chiamati a difenderlo. Siamo chiamati a reagire a questa strage di milioni di bambini. A te può sembrare che non si tratti di un massacro perché solo di rado vieni a sapere di un caso di aborto, ma le statistiche dicono che gli aborti volontari in Italia sono circa 90.000 all’anno.

Ma, appunto per il grande consenso generale proaborto, c’è il pericolo che i credenti, pur essendo contrari, restino in silenzio davanti a questi omicidi. Quando, però, ci tocca da vicino, non possiamo fare finta di niente, non dobbiamo tacere. 

Cosa succede ai bambini morti?

Fino a questo punto abbiamo parlato solo dell’aborto volontario. Ma ci sono altrettanto milioni bambini nel mondo che muoiono prima del parto o poco tempo dopo, a causa di diverse complicazioni. La morte di un bambino desiderato e aspettato suscita inevitabilmente grandi emozioni e domande nelle menti e nei cuori dei genitori. Domande che richiedono una risposta esauriente e soddisfacente e, soprattutto, vera. 

Quello che possiamo affermare dalle Scritture è che Dio accoglie in cielo tutti i bambini che muoiono prima di raggiungere quella maturità che li rende moralmente responsabili davanti a Lui. Sapere che sono al sicuro in cielo col Signore è un motivo di grande gioia e conforto per i genitori nel loro dolore. 

E se sono io il colpevole?

Forse conosci qualcuno che ha avuto un aborto. Qualcuno che l’ha fatto di proposito, forse prima di convertirsi, e ora ne porta il peso sulla coscienza. Forse l’hai fatto tu. Oppure non hai dovuto ricorrere a un intervento, perché hai usato la spirale o la pillola del giorno dopo (le quali sono di fatto strumenti di aborto; un credente fedele alla Parola di Dio non dovrebbe mai usarli). Che speranza c’è per chi sente il peso del suo peccato?

La speranza c’è! Ed è l’unica realtà che guarisce e risana chi ha peccato.

Nella grazia di Dio possiamo trovare il conforto per aver perso un bambino molto desiderato, ma anche il perdono per avere abortito. Non a caso Giovanni scrive: “Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità” (1 Giovanni 1:9).

Se hai abortito o incoraggiato qualcuno a farlo, sappi che il perdono c’è! Il Signore Gesù è morto per tutti i peccati, il suo sangue vale anche per quelli che a noi sembrano troppo grandi. Il suo perdono è completo, gratis e irrevocabile. 

È possibile che porteremo le cicatrici del nostro peccato, ma non ne dobbiamo portare più la colpa! E possiamo essere sicuri che quel bambino a cui forse non abbiamo mai dato neanche un nome è col Signore. E un giorno lo incontreremo nella gloria del cielo.

E questo mi porta a un altro discorso…

La sterilità

Cosa dire a una coppia che ama il Signore e che vorrebbe tanto avere dei figli, ma non ne ha? Se Dio ha detto all’uomo “crescete e moltiplicatevi”, perché non glieli dà? Ci sono milioni di bambini abortiti indesiderati, e invece a loro che li desidererebbero, i figli non arrivano. Cosa fare, cosa sperare?

Ricordo una coppia di credenti che tanto tempo fa mi chiese consiglio a questo riguardo. Per anni avevano aspettato e sperato invano, poi erano arrivati al punto di voler tentare la fecondazione assistita. Stavano valutando se spendere migliaia di euro per la speranza, ma non la certezza, di avere dei figli. Sospettando che avessero difficoltà finanziarie e non fossero realmente in grado di affrontare una spesa del genere, consigliai loro di aspettare ancora, di mettersi nelle mani di Dio e di trovare pace in Lui. Lo fecero. Dopo un po’ di tempo ebbero un figlio e poi altri due. La loro è una storia a lieto fine, ma non tutte le storie finiscono così.

Chiaramente non esiste una risposta unica che valga per tutti, ma ci sono dei consigli biblici che si applicano a ogni situazione. La Bibbia racconta di diverse donne sterili che desideravano avere figli. Come Sara, che aveva aspettato contro speranza e poi aveva avuto Isacco, ma non senza qualche momento di perplessità e sfiducia in Dio.

Quando si ha a che fare con coppie che non hanno figli, bisogna avere molto tatto. Battute facili possono ferire la loro sensibilità senza che te lo facciano sapere. Mai dire “Beati voi che non avete figli!” E usare estrema delicatezza nel chiedere, se proprio lo devi sapere, perché non hanno figli. Per alcuni è un motivo di grande sofferenza, un dolore intimo e privato che dobbiamo rispettare. Se chiedono preghiere, facciamolo senza intrusioni e invadenze.

A un gruppo di studio biblico che conducevo, partecipavano quattro giovani coppie appena sposate. Nel tempo, tre delle quattro mogli rimasero incinte, mentre la quarta sembrava non poter concepire. Fu un motivo di grande dolore per lei. Oggi, grazie al Signore, è la mamma di due figli bellissimi. Ma in quegli anni bisognava avere tanta sensibilità nel gioire con quelle che erano in dolce attesa e fare cordoglio con quella che ancora aspettava una risposta alle sue preghiere.

Le coppie che non possono avere figli 

potrebbero prendere in considerazione l’adozione. Adottare un figlio è costoso e difficile, ma in questo, forse, la chiesa potrebbe dare loro una mano concreta. Un bambino adottato in una famiglia di credenti ha la possibilità di crescere ascoltando il vangelo, come forse non gli sarebbe altrimenti possibile.

Come credenti, anche noi siamo stati adottati da Dio; fare per un bambino qualcosa che Dio ha fatto per noi è un grande privilegio e una responsabilità. 

Conosco diverse coppie che hanno adottato bambini perché sembrava che non ne potessero avere, e poi il Signore gli ha dato anche dei figli propri. Non è una regola né una promessa, è solo un’ulteriore benedizione che Dio dà ad alcuni. A volte la pace che la coppia trova nell’adozione permette loro la serenità di avere anche figli naturali.

In alternativa, c’è la fecondazione in vitro che non è vietata espressamente dalle Scritture. Se fosse sbagliato avere l’assistenza professionale per risolvere un problema fisico dell’infertilità, allora anche farsi curare dai medici in generale sarebbe fuori luogo. Fidarsi di Dio non vuol dire non avvalersi della scienza per risolvere dei problemi. 

C’è, però, un aspetto da tenere in mente. Molte volte, in vista di dover ripetere il tentativo, si fecondano più ovuli del necessario. Quando la fecondazione ha avuto successo e si passa alla gravidanza, questi ovuli fecondati non vengono usati più. Se vengono distrutti, sono anche loro degli aborti a tutti gli effetti. 

Verso il tramonto della vita

Ogni giorno il nostro fisico invecchia. Oggi un po’ più di ieri. Il corpo, come una tenda, si disfa ed è una delle inevitabili conseguenze del peccato. 

Le malattie colpiscono tutte le età, anche i giovani, e possono causare grandi sofferenze che sembrano impossibili da sostenere.

Il soffrire non era una novità per l’apostolo Paolo. Tutte quelle volte che era stato battuto, lapidato e dato per morto devono aver lasciato segni sul suo corpo. Come anche tutto quel tempo passato in catene e in prigione. E quella spina nella sua carne per cui aveva pregato di essere liberato, doveva essere una prova pesante.

Dio ha risposto alle sue preghiere! 

La sua risposta è stata: “La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza” (2 Corinzi 12:9).

È Dio che decide la nascita e la morte. È un diritto esclusivo che gli appartiene sin dal primo alito vitale che Egli ha soffiato nelle narici del primo uomo (Genesi 2:7). 

“I tuoi occhi videro la massa informe del mio corpo, e nel tuo libro erano tutti scritti i giorni che mi erano destinati, quando nessuno d’essi era sorto ancora” (Salmo 139:16). Dio conosce appieno ogni singolo giorno della nostra vita e ne determina il numero. Il Salmo 139 è di grande incoraggiamento per coloro che davanti alla morte di un proprio caro continuano a chiedersi se non avrebbero potuto fare di più. Se solo fossero andati all’ospedale prima… Se avessero cambiato dottore… 

I nostri “se” e “ma” forse non avranno mai una risposta, ma possiamo calmare i nostri cuori sapendo che un Dio sovrano ha stabilito il numero dei nostri giorni.

Questi temi sono senza dubbio difficili da affrontare ed è facile che non tutti i credenti siano d’accordo su come farlo. Le guide delle chiese hanno una grande responsabilità di studiare seriamente questi argomenti nelle Scritture e di insegnarli. 

Bisogna essere sicuri che quello che si dice sia totalmente biblico, radicato nella Parola di Dio. 

Ma bisogna poi anche camminare accanto a coloro che stanno affrontando queste situazioni dolorose. Non dimentichiamo le parole di Gesù: “Il vostro cuore non sia turbato; abbiate fede in Dio, e abbiate fede anche in me! Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore; se no, vi avrei detto forse che io vado a prepararvi un luogo? Quando sarò andato e vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi; e del luogo dove io vado, sapete anche la via” (Giovanni 14:1-4).

“Dio stesso ha detto: «Io non ti lascerò e non ti abbandonerò». Così noi possiamo dire con piena fiducia: «Il Signore è il mio aiuto; non temerò. Che cosa potrà farmi l’uomo?»” (Ebrei 13:5-7). 

È vero, oggi il mondo è migliore! 

Ma lo è perché Egli cammina accanto a noi, nel dolore, nella morte, nelle nostre paure. Fidiamoci di Lui. n

 


Ivana ride, parla e sta bene

Eravamo in grande attesa. Il 28 ottobre del 2003 sarebbe dovuto nascere il nostro terzo bambino.

Il 31 ottobre, sono andata per un monitoraggio del battito del cuore del nostro piccolino, ma i medici, proprio allora, non hanno sentito il battito.

Non ci potevamo credere. La gravidanza era stata ottima e tutti gli esami sempre perfetti.

È stata fatta un’ecografia, che è servita solo a confermare che il bambino era morto nella mia pancia 24 ore prima.

Mio marito Lucio era con me in ospedale. I medici ci hanno spiegato che avrebbero fatto nascere il piccolo con un parto spontaneo, per non danneggiarmi. Dopo molto camminare nei corridoi, salire scale, parlare e pregare con Lucio, sono venute le doglie. 

La mattina del 2 novembre è nata morta Ivana, il cui nome significa “Dio è misericordioso”. Pesava 4 chili ed era lunga 52 centimetri.

Abbiamo chiesto di vederla e, dopo averla lavata, ce l’hanno portata. Era bellissima, l’abbiamo tenuta in braccio e sembrava che dormisse. 

Abbiamo letto il Salmo 139, che dice che siamo stati fatti in modo meraviglioso e stupendo e che Dio sa tutto di noi e non ci lascia mai soli.

La cosa più difficile è stata doverla ridare all’infermiere, che l’ha portata via.

Nei mesi precedenti alla nascita di Ivana, Lucio e io avevamo parlato molto della sovranità di Dio. Questo ci aveva preparati, in qualche modo, a quello che è poi successo. Sapevamo che Dio guida ogni cosa, che è sovrano sulla vita e sulla morte. È buono e quello che permette è bene, anche se non lo capiamo e i nostri sentimenti vogliono farci credere il contrario. 

Perché è morta Ivana? I medici non hanno trovato una spiegazione e noi abbiamo rinunciato a fare l’autopsia. Anche nell’utero si può verificare una “morte bianca”. Quando succedono delle cose così, per forza salgono alla mente dei dubbi e vengono molte recriminazioni. Se… se… se…

Prima che Ivana nascesse, quando sapevamo già che la piccola era morta, due anziani della nostra chiesa sono venuti a trovarci in ospedale con le loro mogli. “Non avete fatto niente di male e non avete nessuna colpa. Il vostro tesoro è in cielo,” ci hanno assicurato. Le loro parole sono state importanti e ci hanno fatto del bene. 

Il dolore, la confusione e il senso di vuoto per la mancanza della nostra bambina erano, e sono, molto grandi, ma Dio ci è vicino e la sua pace “che supera ogni intelligenza” (Filippesi 4:7) custodisce i nostri cuori e i nostri pensieri.

Quando abbiamo fatto il funerale, avevamo pregato che fosse un tempo di ringraziamento e così è stato. È stato detto chiaramente che ora Ivana è in cielo, al sicuro nelle braccia del Salvatore, e che noi che abbiamo creduto in Cristo e abbiamo accettato in dono la sua salvezza la rivedremo un giorno lassù.

Anche la nostra piccola Rebecca sa che, dopo il funerale, la sua sorellina Ivana è stata messa sottoterra, ma che “la vera Ivana”, quella che ride e parla, sta ormai in cielo con Gesù e sta molto bene.

Questa è anche la nostra consolazione.

—Cristina Stanisci (Tratto dal libro "Al sicuro fra le braccia di Dio")

 

 

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La VOCE luglio 2018

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La schermaglia vincente – 2 | Un pizzico di sale


Pensavo fosse una cosa privata

C’è un comportamento peccaminoso che è diventato molto comune anche tra i credenti. Anzi, lo consideriamo piuttosto normale, un’abitudine forse non tra le migliori ma un modo di fare che accettiamo e tolleriamo, pensando che, in fondo, non sia nient’altro che un naturale bisogno di parlare e di sfogarsi. O anche solo un fatto di cultura popolare...

È talmente accettato nelle nostre chiese che ormai nessuno si pone la domanda su cosa ne pensi Dio. Perciò è facile continuare a comportarsi così; chi lo fa non trova troppa opposizione ma piuttosto complicità carnale.

Ma non lo dobbiamo sottovalutare come un argomento marginale nella Bibbia, o che sarebbe troppo complicato trattarlo nel modo biblico. No, non sono questi i motivi per cui non facciamo niente per contrastarlo. 

La realtà dei fatti è che la nostra carne prova piacere nel partecipare a questo peccato. 

Ti stai chiedendo quale sia?

Il Nuovo Testamento lo menziona diverse volte, ma oggi te ne voglio parlare basandomi sul Salmo 50. Guardiamolo insieme.

Dio dice all’empio:

«Perché vai elencando le mie leggi e hai sempre sulle labbra il mio patto, tu che detesti la disciplina e ti getti dietro alle spalle le mie parole? Se vedi un ladro, ti diletti della sua compagnia e ti fai compagno degli adulteri. Abbandoni la tua bocca al male e la tua lingua trama inganni. Ti siedi e parli contro tuo fratello, diffami il figlio di tua madre. Hai fatto queste cose, io ho taciuto, e tu hai pensato che io fossi come te; ma io ti riprenderò e ti metterò tutto davanti agli occhi.»  —Salmo 50:16-21 

In questi versetti Dio denuncia l’ipocrisia di tutti quelli che dicono di amarlo, di conoscere le sue leggi e di osservare i suoi patti, ma che detestano affrontare il proprio peccato. Persone arroganti che a parole affermano di seguire Dio mentre le loro azioni dimostrano il contrario: hanno voltato le spalle ai chiari comandamenti della Bibbia. 

La gravità dell’ipocrisia diventa ancora più lampante quando si considerano gli altri comportamenti peccaminosi associati ad essa. 

Provare piacere a passare tempo con i ladri
Non si è più disturbati dalla disonestà di chi ci sta intorno: “Non sarà quel piccolo furto a rovinare il nostro rapporto!” 

Farsi compagno degli adulteri 
Si prova sempre meno sconcerto per tradimenti e relazioni extraconiugali. L’infedeltà è talmente ostentata e celebrata dai mass media che non suscita più scandalo.

Abbandonare la bocca al male e tramare inganni 
Mentire per coprire le proprie colpe, per trarre vantaggio disonesto, per sembrare diversi da chi si è in realtà. E ci si vanta dei successi illegittimi e si cerca di trascinare altri a diventarne complici… 

Per i credenti, tutti questi comportamenti sono rifiutati con un NO assoluto. Ma nella lista di Dio c’è ancora un altro peccato, quello particolare che troppo facilmente si insinua nelle nostre vite. 

Parlare contro tuo fratello 

Nel senso letterale la frase si riferisce al parlare contro il fratello carnale. Capita in tutte le famiglie, è vero, ma non ho mai sentito che qualcuno l’abbia fatto per uno scopo nobile, o che ci sia stato un esito utile o positivo. E non posso fare a meno di pensare che la frase si applichi con maggior valore alle relazioni tra i credenti, tra i membri della famiglia di Dio. Perché criticare i fratelli è una cattiva abitudine che si affaccia anche nelle chiese più sane.

Quanto è breve il passo dall’essere semplici ascoltatori al diventare parte del problema! Chi ascolta le malelingue e tace senza rimproverarle come fa la Bibbia, dimostra di approvarle e si fa automaticamente complice di questo peccato. E sarà molto tentato a spargere agli altri quello che ha sentito.

Calunniare e accusare è quello che fa il diavolo! Quando sparliamo di un fratello o di una sorella in fede disprezziamo qualcuno che è stato comprato da Gesù, con il proprio sangue. È come criticare il Signore stesso (Romani 14:4).

Alcuni poi fraintendono il silenzio di Dio e credono che Egli approvi le loro azioni. Nella loro sconsideratezza sottovalutano la gravità del loro peccato e trovano mille giustificazioni per la loro abitudine all’ipocrisia. Imprudenti! 

Ma Dio non si fa alleato del peccato. Anzi, il suo momentaneo silenzio è ripieno di parole e di insegnamenti che risuonano chiari e forti sulle pagine delle Scritture, ma che questi scelgono di ignorare.

Parlare male. È questo il peccato che divide le nostre chiese, che rende impossibili le relazioni genuine e sincere. Non lo si risolve facendo finta di niente o passandoci sopra con leggerezza, ma solo confessandolo, prima a Dio e poi alle persone che ne hanno subito il danno.

Cinque principi biblici 

1. È un peccato che dev’essere affrontato con urgenza
“Se dunque tu stai per offrire la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì la tua offerta davanti all’altare, e va’ prima a riconciliarti con tuo fratello; poi vieni a offrire la tua offerta” (Matteo 5:23,24).

Secondo le parole di Gesù, i problemi fra i credenti vanno affrontati e risolti prima di qualsiasi altra cosa! Non c’è servizio in chiesa – spirituale o pratico che sia – né culto né evento particolare più importante di questo. Ha priorità assoluta.

2. Non tutto è sempre privato 
“Esorto Evodia ed esorto Sintiche a essere concordi nel Signore. Sì, prego pure te, mio fedele collaboratore, vieni in aiuto a queste donne, che hanno lottato per il vangelo insieme a me, a Clemente e agli altri miei collaboratori i cui nomi sono nel libro della vita” (Filippesi 4:2,3).

Problemi e dissensi possono nascere anche tra i più bravi credenti. Nessuno è totalmente immune da questo peccato. Come Evodia e Sintiche, anche noi possiamo diventare miopi e restare attaccati alle nostre ragioni pensando che sia solo una questione privata che non riguardi gli altri. Ma il fatto stesso che Paolo chiede in una lettera aperta che si intervenga per risolvere questa situazione, significa che non lo è sempre, e se rimane irrisolta ha ripercussioni serie su tutta la chiesa.

3. Il peccato irrisolto porta gravi e persistenti conseguenze per la chiesa 
“Un fratello offeso è più inespugnabile di una fortezza, e le liti tra fratelli sono come le sbarre di un castello” (Proverbi 18:19). 
“Impegnatevi a cercare la pace con tutti e la santificazione, senza la quale nessuno vedrà il Signore; vigilando bene che nessuno resti privo della grazia di Dio, che nessuna radice velenosa venga fuori a darvi molestia e molti di voi ne siano contagiati” (Ebrei 12:14,15) 
“…rendete perfetta la mia gioia, avendo un medesimo pensare, un medesimo amore, essendo di un animo solo e di un unico sentimento. Non fate nulla per spirito di parte o per vanagloria, ma ciascuno, con umiltà, stimi gli altri superiori a sé stesso, cercando ciascuno non il proprio interesse, ma anche quello degli altri” (Filippesi 2:2-4).

Per preservare l’unità nella chiesa e per non lasciare alcun suolo fertile per radici velenose, le differenze di opinioni, le preferenze e gli interessi personali devono essere subordinati alla sana dottrina e all’amore. Chi stima gli altri superiori a sé, non va in giro sparlando di loro dietro le spalle.

4. La fallibilità del pensiero umano 
Lasciare correre e sperare che pian piano tutto si risolva da sé, può sembrare meno dannoso e meno doloroso, ma se Dio ci ha dato chiare istruzioni su come affrontare queste situazioni e risolverle con amore (vedi il punto che segue), chi siamo noi a credere di avere un sistema migliore?

 5. Lo schema biblico da seguire 
Prima di tutto dobbiamo appurare se il problema sia reale o solo un dissenso nato da preferenze personali. Nel corpo di Cristo c’è posto per una grande varietà di preferenze, ma non devono mai diventare un intoppo o motivo di caduta per qualcuno. 

Poi, davanti al Signore dobbiamo chiederci se non sia il caso di passare oltre l’offesa. È questo ciò che insegna il versetto che dice: “Soprattutto, abbiate amore intenso gli uni per gli altri, perché l’amore copre una gran quantità di peccati” (1 Pietro 4:8). Pensaci, è un passo obbligatorio, perché una volta che abbiamo deciso di affrontare il problema con la persona interessata, potremmo dover arrivare a coinvolgere altri in questo processo di chiarimento. 

I princìpi da seguire sono spiegati in Matteo 18. Qualsiasi cosa si faccia, lo scopo è sempre il bene della persona interessata. L’obiettivo non è la punizione in sé, ma quello di ristabilire la relazione tra la persona e Dio in primis, e poi con i fratelli.

UNO Il primo approccio dev’essere in privato tra le due persone interessate, nella speranza di un ravvedimento sincero e senza coinvolgere altri. Non appena ne facciamo parola con qualcuno, abbiamo di fatto scavalcato questo primo importantissimo passo.

DUE Se il primo passo non ha avuto esito positivo, il secondo è quello di coinvolgere altre due o massimo tre persone, ma sempre nella speranza di una soluzione positiva.

Lo sottolineo: coinvolgere altri è solo il secondo passo. 

La persona che chiameremo ad assisterci in questo secondo passo ha il dovere di non diventare un orecchio per le lamentele, ma di essere un agente per spingere l’individuo a voler fare il passo numero uno, il ravvedimento. E non deve soltanto incoraggiarlo a fare questo, ma deve accertare che si segua in tutto e per tutto il principio biblico.

TRE Il terzo passo, nel caso in cui neanche il secondo abbia prodotto un esito positivo, è quello di coinvolgere la chiesa locale. Bisogna che tutta la chiesa comprenda che ogni forma di peccato è sempre un’offesa alla santità di Dio, che ha conseguenze gravi e non deve mai essere sottovalutata. 

Troppi credenti affermano con leggerezza di godere la comunione con Dio mentre di fatto il loro peccato li contraddice.

Ricordi da dove siamo partiti? “Lascia la tua offerta davanti all’altare e prima di ogni altra cosa metti le cose a posto con tuo fratello.” In altre parole, non t’illudere che il tuo “servizio” per il Signore in qualche modo compensi la tua mancanza nel fare le cose giuste. 

In ogni chiesa ci sono situazioni non risolte. La nostra carnalità ci porta a minimizzarle. Non ci va di sporcarci le mani, è più comodo girarci dall’altra parte. Ma abbiamo tutti, in qualche misura, parlato male quando dovevamo tacere, o ascoltato maldicenze quando dovevamo rimproverarle. 

Dio ci comanda di seguire la Bibbia. Il tempo non risolve un bel niente. Potremmo provare a ignorare il problema, ma finché non lo risolviamo, Dio non è contento e noi coviamo amarezza che avvelena i nostri rapporti e condiziona il nostro comportamento. Che cosa siamo pronti a fare?


La schermaglia vincente — 2

Spesso i battibecchi, le schermaglie, le risposte affrettate e infuocate fra marito e moglie, genitori e figli, fratelli o sorelle di chiesa, vicini o colleghi, in qualche modo… piacciono! Hai detto la tua e ti senti liberato, addirittura soddisfatto.

Ma il libro dei Proverbi nella Bibbia dice che quel tipo di risposte sono da “stolti”, e “stolto” è una brutta descrizione per chiunque. Lo stolto è una persona che fa male a se stessa e offende Dio! Nulla di cui vantarsi.

Eppure per molte persone, anche credenti, scagliare parole infuocate è diventata un’abitudine, quasi uno scherzo, un motivo di sottile orgoglio.

Non è da credenti. Non è opera dello Spirito Santo. Non è né buffo né segno di una persona arguta e spiritosa.

L’Apostolo Paolo chiama queste parole “puzzolenti”, “uova marce” e ordina che nessuna parola del genere “esca dalla vostra bocca!” (Efesini 4:29). E aggiunge: “Via da voi ogni amarezza, ogni cruccio e ira e clamore e parola offensiva con ogni sorta di cattiveria!” (Efesini 4:31). 

Perché lo dice? Perché il problema sta proprio qui: quando parli, la tua bocca rappresenta il tuo Salvatore e Signore, oppure te stesso? 

Di solito le prime parole che ci escono di bocca sono quelle più vere. Esprimono i malumori, i risentimenti e l’infelicità che portiamo in cuore da tempo. Cose che non si osano dire in modo diretto, chiaro e pacifico, con l’intento di affrontarle e risolverle. 

Quante persone si sentono consolate dalla loro convinzione di averla detta tutta, di aver risposto per le rime, di essersi dimostrate capaci di difendersi? Ma, in realtà, hanno offeso Dio lasciando dietro di sé una scia di gente ferita e amareggiata.

Qual è il modo migliore per uscire vincitore da una discussione? Di certo servirebbe qualcosa che porti un risultato positivo e costruisca unità e amicizia. Fraternità e amore. È mai possibile? 

È essenziale!

A cosa serve, nel piano di Dio, quella tua risposta, il commento o l’intervento che stai per fare in una conversazione nell’intimità della tua casa, nella chiesa o nella società in cui vivi? 

Paolo te lo dice così chiaramente che non puoi sbagliare: “ma, se avete qualche parola buona (utile, eccellente), che edifichi secondo il bisogno, ditela affinché conferisca grazia a chi l’ascolta” (Efesini 4:29).

Ecco lo scopo che Dio vuole che le tue parole abbiano in qualunque discussione: portare una benedizione, edificare secondo il bisogno, conferire grazia. Non la “tua” parola arguta o battuta di spirito, ma solo quella che Dio può usare per portare pace, unità, sottomissione e gloria a Dio.

“La risposta dolce calma il furore, ma la parola dura eccita l’ira” (Proverbi 15:1). 

Ecco l’unico modo per vincere una schermaglia! Pensaci.

—Guglielmo


 
Ristampa dal febbraio 1965

Un pizzico di sale

“Avete detto che non volete che giochi più con voi?” chiese Daniele con tono di sfida. 
“Sì” risposero Deborah e Davide, con una voce da congiurati di melodramma. 
“E allora... ecco!” Le palline di vetro, che Deborah aveva diviso per colore in tanti vasetti diversi, furono versate con ira in un vasetto comune (quelle che non entrarono ubbidientemente nel vasetto se ne andarono a rotolare sul pavimento). 
Mamma era sulla soglia della porta e stava a guardare la scena. Era venuta a chiamare i figli a colazione e francamente non c’era da perdere neppure un minuto... 
“Adesso che faccio?” si domandò. “Lascio andare e faccio finta di non avere visto?... No, è meglio di no... Questi figli intempestivi!...” 
“Davide, Deborah e Stefanino, andate a lavarvi le mani, mettetevi a tavola e aspettate un momento. Non voglio sentire nessun chiasso! Daniele, tu vieni con me…” 
“Mi devi parlare?” chiese lui con aria contrita. 
“Sì.”  
Mamma si sedette. “Daniele, ti pare di avere fatto un bel gesto a buttare così le perline di Deborah?” 
“No, ma ero triste perchè non erano stati gentili e quando sono triste mi viene da arrabbiarmi.” 
“Non è mai giusto arrabbiarsi e fare le vendette.” 
“Che cosa sono le vendette?” 
“I dispetti a quelli che ci hanno fatto arrabbiare. Ti ricordi la storia di Agar che abbiamo letta ieri? La sua padrona era stata molto cattiva e ingiusta, ma anche Agar aveva fatto male. E l’angelo le ha detto: «Torna indietro e chiedi perdono alla tua padrona»...” 
“Dovrei chiedere perdono ai miei fratelli?” 
“Sarebbe una buona idea...” 
“Ma come è difficile essere pazienti!” (Mamma, in cuor suo, gli diede pienamente ragione.) 
Qualche ora dopo, Mamma stava accanto a Daniele e lo ascoltava mentre leggeva una paginetta del libro di scuola. Ad un tratto, lui si interruppe e le buttò le braccia al collo: “Mamma, ti voglio bene!” 
“Anch’io, caro. Ma perché ti viene in mente ora?” 
“Perché mi aiuti ad essere buono...” 
Molti secoli fa, S. Paolo scrisse al suo giovane discepolo e amico Timoteo: “Predica la parola, insisti in ogni occasione favorevole e sfavorevole, convinci, rimprovera, esorta con ogni tipo di insegnamento e pazienza” (2 Timoteo 4:2). 
Tante volte sarebbe molto più facile chiudere un occhio su una marachella e tollerare un capriccio, o coprire un peccato nella chiesa per un falso concetto di amore e tolleranza. Ma sarebbe un errore grave. Ogni male non curato subito diventa sempre un focolaio di malattia grave e forse di morte. 

 

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La VOCE giugno 2018

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La schermaglia vincente | Un pizzico di sale


Il tuo bene più prezioso!

È inutile girarci intorno: abbiamo un problema che ci accomuna tutti. Lo conosciamo bene, ma la verità è che non facciamo granché per risolverlo. Le sue ripercussioni sulle nostre vite sono grandi – nel bene e nel male – eppure solo poche persone sono disposte a rivedere e correggere le loro priorità per affrontarlo. 

Possono esserci molti motivi per non reagire ma forse, molto semplicemente, si tratta del non essere davvero convinti dei benefici che si hanno quando lo si affronta con la dovuta serietà. Ignorarlo c’indebolisce e ci lascia impreparati davanti alle incognite della vita. E se continuiamo a trascurarlo rischiamo di diventare anche arroganti, e forse non lo ammetteremmo mai!

È un problema grande anche perché c’è chi ha interesse a impedirci di affrontarlo, sviandoci in modi subdoli che nemmeno immaginiamo.

Di cosa stiamo parlando? Del fatto che non preghiamo abbastanza (e mi auguro che per te non sia un argomento inflazionato!). 

Senza farci venire inutili sensi di colpa, consideriamo insieme perché è saggio, anzi vitale pregare, quali sono le cose per le quali è giusto pregare e quali invece le conseguenze se non lo facciamo. 

Sempre, comunque e con ogni tenacia

Se conosci qualcuno affetto da anoressia nervosa, saprai che è un disturbo che può avere effetti devastanti su chi ne soffre. Non sono esperto in medicina e non voglio assolutamente banalizzare questa patologia; ne parlo solo perché in certi versi è molto simile a una vita di preghiera irregolare.

Tutti sanno che per stare in salute è necessario nutrirsi correttamente. Una persona colpita da anoressia nervosa invece, per qualche motivo pensa di doverne fare a meno. Si guarda allo specchio e si vede in modo distorto: sempre troppo grassa, sempre inaccettabile. Cercando di assumere un aspetto ideale per il suo fisico, in realtà comincia a deturparlo credendo di stare meglio. 

È un comportamento che senza un tempestivo intervento esterno accompagnato da una cura attenta può portare alla morte. 

Come credenti, siamo tutti d’accordo che la preghiera è vitale per noi. Non si può vivere una vita spirituale sana senza pregare. Un periodo prolungato di non preghiera danneggia il nostro senso di orientamento spirituale, distorce il modo in cui affrontiamo i problemi, mina la nostra relazione intima con il Signore e, in alcuni casi, porta alla rovina. 

Che si preghi poco è una triste realtà. Ed è triste che non si voglia veramente risolvere questo problema.

Per alcune persone la preghiera si riduce a un ringraziamento sbrigativo davanti ai pasti o la sera prima di addormentarsi.

Quelli, poi, che hanno un tempo abituale di lettura biblica durante la giornata (altro tasto dolente!) forse riescono a dedicare qualche minuto in più alla preghiera. 

Come dovrebbe invece essere il nostro atteggiamento verso la preghiera?
  • “…siate allegri nella speranza, pazienti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera.” (Romani 12:12)
  •  “Perseverate nella preghiera, vegliando in essa con rendimento di grazie.” (Colossesi 4:2)
  • “Non cessate mai di pregare.” (1 Tessalonicesi 5:17)
  • “Io voglio dunque che gli uomini preghino in ogni luogo, alzando mani pure, senza ira e senza dispute.” (1 Timoteo 2:8)
  •  “Pregate in ogni tempo, per mezzo dello Spirito, con ogni preghiera e supplica; vegliate a questo scopo con ogni perseveranza. Pregate per tutti i santi.” (Efesini 6:18) 

Conosciamo bene questi versetti, ma letti così in fila non possono lasciarci indifferenti. L’esortazione è chiara: pregare sempre e ovunque. 

Non sono scritti per farci sentire in colpa. Pregare è quello che il nostro amorevole Padre celeste vuole che facciamo per il nostro bene, sia fisico che spirituale. I suoi benefici li possiamo sperimentare solo... pregando!

Benefici reali per chi prega
  • Dio è attento a chi prega: “Egli ascolterà la preghiera dei desolati e non disprezzerà la loro supplica.” (Salmo 102:17)
  • Dio è vicino a chi prega: “Il SIGNORE è vicino a tutti quelli che lo invocano, a tutti quelli che lo invocano in verità.” (Salmo 145:18)
  • Dio ha promesso di esaudire chi prega: “Questa è la fiducia che abbiamo in lui: che se domandiamo qualche cosa secondo la sua volontà, egli ci esaudisce. Se sappiamo che egli ci esaudisce in ciò che gli chiediamo, noi sappiamo di aver le cose che gli abbiamo chieste.” (1 Giovanni 5:14,15)
  • Dio dimostra il suo amore a chi prega: “Se dunque voi, che siete malvagi, sapete dare buoni doni ai vostri figli, quanto più il Padre vostro, che è nei cieli, darà cose buone a quelli che gliele domandano!” (Matteo 7:11)
  • La preghiera è la giusta reazione alla sofferenza: “C’è tra di voi qualcuno che soffre? Preghi.” (Giacomo 5:13a)

La vita non ci risparmia le difficoltà: a ognuno la sua porzione di problemi di salute, incertezze economiche, conflitti relazionali, attriti coniugali, pensieri per i figli che crescono in un mondo corrotto… Per non parlare del governo, della società, delle amicizie o dei parenti che sempre più prepotenti insinuano la loro influenza sulla nostra realtà di tutti i giorni. 

E noi che facciamo? Abbozziamo.
Ci lamentiamo e forse litighiamo pure. Ma pregare, no eh?

L’apostolo Paolo sapeva che non sarebbe stato facile per noi gestire tutto questo da soli, perciò ha dato degli ottimi strumenti, o meglio comandi, per affrontare le cose in modo equilibrato.

“Rallegratevi sempre nel Signore. Ripeto: rallegratevi. La vostra mansuetudine sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino. Non angustiatevi di nulla, ma in ogni cosa fate conoscere le vostre richieste a Dio in preghiere e suppliche, accompagnate da ringraziamenti. E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù” (Filippesi 4:4-7).

Essere sempre gioiosi, mantenere un atteggiamento pacato e non impensierirsi mai ma essere sereni è decisamente difficile, se non impossibile, a meno che la preghiera non sia parte integrante e preminente nella nostra vita.

Paolo sta dicendo che la preghiera produce la consapevolezza che il Signore ci è vicino. Le preoccupazioni invece, nascono dalla nostra incapacità di affrontare i problemi e dal dimenticare che possiamo lasciare che se ne occupi il Signore. 

Dio desidera che dialoghiamo con Lui esponendogli consapevolmente e con fede le nostre circostanze. Non perché non le conosca o non sappia già tutto. Egli è onnisciente. Nondimeno desidera che prendiamo del tempo per raccontargli in preghiera tutto quello che ci turba, che ci fermiamo a chiedergli aiuto e saggezza e che poi ci fidiamo di Lui per i risultati.

A proposito dei risultati: la preghiera non è un mezzo per convincere Dio ad agire come vogliamo noi! Troppo spesso preghiamo avendo già stabilito nella mente in che modo Dio debba risponderci. Come se fossimo noi i padroni del nostro destino. La preghiera invece serve per allineare la nostra volontà con quella di Dio. Sottomettendoci di buon grado alla saggezza di Dio i nostri cuori, naturalmente ansiosi e facilmente agitati, saranno custoditi in Cristo.

La gratitudine è una disposizione d’animo che, nella preghiera, cambia il nostro atteggiamento verso le situazioni: produce gioia, fa svanire la lamentela e l’amarezza.

Come vedi, la preghiera è il mezzo che Dio ha stabilito per curarci, perché oltre a rispondere alle nostre richieste secondo la sua volontà, produce un cambiamento sovrannaturale dentro di noi. 

Sarebbe assurdo se un credente volesse farne a meno e lasciarsi deperire come un anoressico spirituale. 

MAI A CASO

Non lo ammetteremmo mai, ma certe volte siamo proprio arroganti. Infatti, trascurando la preghiera personale è come se pensassimo di essere migliori di Gesù che, benché fosse Dio, ne sentiva l’assoluta necessità. È assurdo!

Ma pregare non ci viene naturale. È una disciplina che deve essere imparata ed implementata. E prima che diventi quella buona abitudine che caratterizza un vero credente, deve essere ripetuta parecchie volte.

Marco scrive: “Poi, la mattina, mentre era ancora notte, Gesù si alzò, uscì e se ne andò in un luogo deserto; e là pregava” (Marco 1:35).

Durante il suo ministero, Gesù era quasi sempre circondato dalla calca. Per trovare tempo per pregare indisturbato dovette alzarsi presto la mattina e andare in un posto isolato, lontano da interruzioni e persone.

Questo significa che la preghiera non deve essere solo una reazione spontanea che facciamo sul momento davanti a un problema o un imprevisto (il che è giusto), ma anche un tempo particolare, programmato e ragionato in cui ci mettiamo faccia a faccia con il nostro Padre celeste. Nel segreto della nostra cameretta, con la porta chiusa, come ha detto Gesù (Matteo 6:6).

Quattro consigli pratici

1. Stabilisci un tempo in cui non sarai interrotto. Con molta probabilità sarà un momento la mattina presto, prima che si mettano in moto tutte le tue responsabilità. Forse dopo una buona tazza di caffè!

2. Scegli un posto solitario. È importante non solo il quando, ma anche il dove, per non essere distratti o interrotti. 

3. Stabilisci la durata. Sii ragionevole e non cercare di fare il “super spirituale”. Mezzora può essere sufficiente per cominciare. Con l’andare del tempo vedrai i benefici di questi momenti trascorsi con il Signore e potrai prolungarli a tuo piacimento.

4. Usa un quaderno di preghiera. Ti sarà utile sia per ricordare i soggetti per i quali chiedi un intervento di Dio, sia per vedere come Egli risponderà alle tue richieste. Questo farà crescere la tua gratitudine e il tuo desiderio di perseverare nella preghiera.

Una vita proficua di preghiera non sarà frutto del caso. Non lo è mai. Sarà invece il risultato di una decisione consapevole e ponderata. E uno dei suoi benefici sorprendenti è quello di trasformare la nostra presunzione in umile gratitudine. 


 

Un pizzico di sale

Mamma si alzò e sbirciò fra le persiane. La pioggia cadeva pesante, fitta e implacabile sulle foglie gialle dei platani appiccicate al marciapiede. 
“Speriamo che si fermi per quando i bambini dovranno uscire per andare all’asilo...” pensò. Ma il cielo era di piombo, senza una sfumatura. Come quando ha intenzione di piovere per ore. 
Venne l’ora di svegliare i bambini. Diluviava ancora. 

“Sveglia, bambini! La maestra vi aspetta!” 
In questo periodo, la parola “la maestra” ha l’effetto di una fucilata. Quando si nominano i suoi voleri, non si obbietta o discute: si agisce. 
Davide, Daniele e Deborah si misero a sedere sul letto. 

“Hanno già chiuso la porta della scuola?” chiese Davide. 
“Non ancora, ma dobbiamo sbrigarci. Ecco, Daniele, i tuoi pantaloni... Deborah, infilati la gonna... Davide, quella calza è rovescia... Finite di vestirvi, poi venite in cucina. Io vado a vedere Stefanino”. 

Quando Mamma tornò in camera, Daniele era ancora in mutande, Deborah era senza gonna e Davide aveva messo la calza alla rovescia... 
Quando furono tutti vestiti, Mamma li portò alla finestra. “Quante gocce! Il cielo piange. Perché piange tanto, Mamma?” chiese Deborah. 
“Forse ha il male di pancia” osservò Daniele con un sorriso birbone.
“Ma noi ci bagneremo tutti!” si preoccupò Davide. 

“Sì, piove forte, ma Dio può fermare la pioggia per quando usciremo. Ora glielo chiediamo.” 
Mamma si mise a sedere sul letto e i tre bambini le si strinsero attorno. 

Tutti chiusero gli occhi e Mamma pregò: “Padre Celeste, per favore, ferma la pioggia per quando dovremo uscire così non ci bagneremo tutti e anche gli altri bambini avranno i piedi asciutti. Grazie, nel nome di Gesù. Amen.” 

Daniele si precipitò alla finestra. “Non si è fermata” sospirò deluso. 
“Ma ora noi dobbiamo ancora fare colazione, poi quando metteremo i grembiulini, Dio vedrà che siamo pronti per uscire e chiuderà l’acqua” spiegò Davide. 
“Come in un grande vasca da bagno!” commentò Deborah. 

E quando i grembiulini furono indossati, Dio “chiuse” l’acqua. 

La fede per i bambini è molto semplice. Si chiede a Dio una cosa e ci si aspetta di riceverla. Nessuna complicazione. 
Non per nulla Gesù dice a tutti noi: “Se non cambiate e non diventate come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli” (Matteo 18:3). 
E anche: “Se dimorate in me e le mie parole dimorano in voi, domandate quello che volete e vi sarà fatto” (Giovanni 15:7). – Ristampa dal gennaio 1963


 

La schermaglia vincente

Dimmi la verità: hai mai avuto conflitti con qualcuno? Battibecchi, offese, battute avvelenate e risentimenti? E hai mai giurato dentro di te: “Gliela farò pagare io!”?

Purtroppo, per la maggioranza di noi, gente “normale”, la risposta è “Sì!”

Per calmare la coscienza ci siamo detti che non era nulla, solo una banale differenza di opinioni fra amici, sposi, colleghi o fratelli di chiesa. Non abbiamo fatto o detto nulla di male. Certamente nulla di cui dovremmo pentirci o chiedere perdono. E forse siamo riusciti anche a convincerci che la colpa non era nostra, ma dell’altro… 

Devo dirti due cose però.

Primo. Che tu lo voglia ammettere o no, non si tratta di una piccolezza! Sono state offese delle persone (fra cui anche tu!), si sono creati dei risentimenti e dei cuori sono stati feriti. Lo spirito che provoca e aumenta problemi non è affatto cristiano. 

I tuoi tentativi di sminuire la gravità della situazione, di giustificarti, di sentirti dalla parte della ragione, non risolvono nulla. Anche se credi di poter dimenticare e tirare avanti, non fai che illudere te stesso.

Secondo. Per quanto ti ritenessi furbo e contento per l’effetto della tua battuta, e credessi di aver vinto grazie alla tua personalità, la verità è che non ne sei uscito né contento né soddisfatto. Che sia stato un battibecco o un’offesa, o che si tratti di una situazione che va avanti nel tempo, il risultato non è la gioia nel cuore né la soddisfazione, ma la tristezza e un senso di vuoto.

Forse, in questo momento, non mi vuoi dare ragione. 

Va bene, continua a pensarci su e valuta la tua situazione con sincerità. Vuoi davvero che continui così? Se non fai niente, è molto probabile che la situazione peggiori. O, come spesso avviene, vedrai ancora sorgere simili conflitti fra te e altre persone. È questo ciò che vuoi? L’unica risposta logica e ragionevole è “No!”

“Lo stolto prende piacere non nella prudenza, ma soltanto nel manifestare ciò che ha nel cuore” (Proverbi 18:2).  

“Le labbra dello stolto causano liti, e la sua bocca attira percosse” (Proverbi 18:6). 

Il mese prossimo, a Dio piacendo, tiriamo le somme di questo discorso. 

—Guglielmo

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La VOCE maggio 2018

Il Signore ha fatto cose grandi per noi e noi siamo nella gioia!

Molti si sono chiesti come mai i due giovani sposi, Guglielmo e Maria Teresa, si siano imbarcati nella costosa e impegnativa impresa di pubblicare ogni mese, a livello internazionale, un periodico evangelico senza avere alle spalle qualche chiesa o organizzazione sostenitrice, e per lo più senza fondi propri.

È una domanda alla quale Guglielmo e Maria Teresa hanno dovuto rispondere spesso.  Anche perché alcuni loro amici avevano cercato di convincerli a non farlo. E qualche evangelico, un po’ partigiano, si era offeso, dicendo che esistevano già dei buoni periodici e non c’era bisogno di averne un altro.

Ma, diciamolo pure, i due erano un po’ cocciuti, e perciò sono andati avanti con il loro progetto.

La verità è che erano abituati a lanciarsi in compiti difficili che richiedevano coraggio e molta fede.

Erano anche certi che la stampa fosse uno dei mezzi principali che Dio aveva dato alla chiesa per far conoscere il vangelo. Tramite la letteratura cristiana si poteva diffondere tutta la verità che Dio aveva rivelata per la salvezza degli uomini, per la fondazione e crescita della sua chiesa e per la sua gloria eterna in cielo.

Maria Teresa aveva, per esempio, fondato e avviato un bel periodico mensile chiamato Certezze, per conto dei Gruppi Biblici Universitari quando questi ancora non esistevano in Italia. E aveva fatto esperienza collaborando senza retribuzione alla redazione della pubblicazione evangelica Per l’Ora che Passa.

A quei tempi, prima di lanciare il loro nuovo periodico, lei e Guglielmo scrivevano e registravano, nella loro camera da letto a Roma, un programma radio settimanale, trasmesso poi in onde corte da un’emittente evangelica a Tangeri, in nord Africa. In Italia era vietato a chiunque fare trasmissioni radio, eccetto alla Rai e al Vaticano!

Ben presto, nel loro appartamentino semi-interrato e buio, cominciavano ad arrivare dagli ascoltatori lettere e richieste di Nuovi Testamenti, Bibbie e letteratura evangelica. A questo punto sembrò evidente ai due che per rispondere alle moltissime richieste ci voleva un foglio stampato in cui potevano segnalare le date, gli orari e gli argomenti che sarebbero stati trattati nelle trasmissioni future.

Hanno cominciato per un paio di mesi con un semplice foglio battuto a macchina, ma ne servivano molte copie. Perciò, a ottobre 1958, nasceva la nuova testata che prese il nome delle trasmissioni: La Voce del Vangelo.

Quest’anno stiamo celebrando il 60° anniversario della prima uscita del primo giornale, al quale sono seguiti altri 660 numeri, con circa 5000 pagine di articoli, studi biblici, recensioni, storie, domande e risposte, commenti sulla vita pratica e articoli di evangelizzazione.

Qualche anno fa, abbiamo ricevuto una telefonata dalla Sicilia di un uomo che desiderava parlare col ‘fratello Guglielmo’. “Voi non mi conoscete” ha detto a Guglielmo, “ma mia moglie, le mie figlie e io abbiamo voluto chiamarvi per farci conoscere e per ringraziarvi per La Voce del Vangelo che scrivete da tanti anni. Tramite voi abbiamo conosciuto il vangelo e abbiamo creduto in Gesù. E siamo cresciuti come credenti anche grazie a voi. Qui, nel nostro paesino, non c’è nessuna chiesa evangelica. Noi siamo soli. Ma, grazie a Dio, siamo nati spiritualmente, cresciuti e andati avanti… con la dieta della Bibbia e La Voce del Vangelo!”

La loro storia si aggiungeva a centinaia di altre testimonianze di conversione e di consacrazione della propria vita al Signore.

Col tempo, abbiamo sentito testimonianze addirittura di nuove chiese fondate dove prima non ce n’erano, con la collaborazione di persone di cui il primo contatto col vangelo era avvenuto per mezzo della Voce del Vangelo.

Come è per ogni opera che il Signore guida e benedice, i frutti e i risultati reali di questa pubblicazione saranno conosciuti soltanto in cielo, nell’eternità con il Signore.

Sono sicuro che molti di voi avete dei racconti che avreste piacere di condividere con noi e con gli altri nostri lettori, di come il Signore ha usato La Voce ad un certo punto nella vostra vita. Scriveteci!

SOLA SCRITTURA

Quando si legge ciò che un autore sconosciuto scrive sulla fede cristiana, è giusto domandarsi di cosa si tratti: saranno opinioni umane? O dottrine di qualche setta? Oppure si tratta di un nuovo movimento religioso?

Per La Voce del Vangelo, sin dai suoi inizi, Maria Teresa e io avevamo adottato quattro semplici principi da seguire in tutto quello che avremmo scritto e pubblicato.

Il primo principio è che, per quanto sarebbe stato umanamente possibile, volevamo essere riconosciuti come quelli che fondano i loro scritti e insegnamenti sulla sola Parola di Dio, perché la Sacra Bibbia è l’unica rivelazione dei pensieri di Dio che Egli ha fatto scrivere, con parole umane e senza errori, da uomini che Egli stesso aveva scelto e guidato.

Il nostro proponimento era troppo ambizioso? Troppo difficile da realizzare per un essere umano?

In senso assoluto, sì! Nessuno può pretendere di avere una perfetta conoscenza delle Scritture, tanto meno di essere in grado di trasmetterle con assoluta precisione. Ma, d’altra parte, non è possibile pretendere di lavorare per Dio con fedeltà senza avere questo proponimento e senza cercare di metterlo in pratica il più meticolosamente possibile.

È un principio che, nel tempo, si è rivelato fondamentale per quei credenti che conoscono e onorano la Parola di Dio e apprezzano lo scopo, l’impegno e il grado di fedeltà di chi lavora seguendolo. È stata una gioia per noi essere affiancati da fratelli e sorelle che ci hanno concesso la loro fiducia e collaborazione in questi 60 anni di lavoro e comunione benedetti. E ringrazio ognuno che, per grazia di Dio, ci ha sostenuti e accompagnati in un lungo tempo di impegno e di vittorie.

Abbiamo tenuto fede al nostro proponimento. Dio ha benedetto e usato la sua Parola per convertire persone a Lui e per costruire la sua chiesa. Noi e tanti altri, uniti in Cristo!

SENZA ETICHETTE

“Perché un altro giornaletto?”, ci hanno chiesto, “Perché non collaborate con uno che già esiste?”

È stata una domanda difficile, un po’ a trabocchetto. Come se, sotto sotto, avessimo voluto propagare nuove idee, o che fossimo stati “contro” le pubblicazioni che già esistevano.


Noi, invece, avevamo notato che, senza volerlo, alcuni di quelli che già diffondevano il vangelo, per la reputazione che avevano di rappresentare un certo gruppo di persone o chiese, rischiavano di essere meno ben accetti da altri credenti.

Maria Teresa e io speravamo che La Voce del Vangelo potesse essere apprezzato da molti, senza diventare portavoce di nessun particolare movimento evangelico, e che avremmo potuto collaborare con tutti quelli che amano la sana dottrina. È stata una decisione difficile, una presa di posizione che si prestava all’incomprensione da parte di alcuni, ma eravamo giovani e idealisti.

Ringraziamo Dio e le migliaia di fratelli e sorelle che ci hanno accolti, permettendo alla Voce del Vangelo di essere apprezzata e diffusa da moltissimi amici e fratelli.

I diversi gruppi e movimenti che esistono tra gli evangelici non sono, grazie a Dio, tutti l’uno contro l’altro. Quelle particolarità che alcuni considerano importanti o essenziali, non sono un motivo sufficiente per “scomunicare” chi non la pensa come loro. L’unità in Cristo è molto più estesa di quanto alcuni vorrebbero far credere. Siamo convinti che le etichette umane non servono!

SEMPLICI COME COLOMBE

“Se scrivi in modo che ti capisca un ragazzo di dieci anni, ti potrà capire, forse, anche un professore d’università” ripeteva spesso un professore d’italiano del liceo che Maria Teresa frequentava a Genova. Lo diceva con tono ironico per prendere in giro quelli che scrivevano e si esprimevano sempre con frasi complicate, da “intellettuali”.

Era una lezione che Maria Teresa non aveva mai dimenticato. Così, il terzo principio che abbiamo seguito sin dall’inizio, e che seguiamo tuttora, è che scriviamo per gente normale, perché anche i bambini, come i grandi, provino lo stesso piacere nel comprendere ciò che leggono. Le parole difficili vanno spiegate. Semplicemente!

Negli anni, centinaia di lettori, se non migliaia, hanno notato e apprezzato questo nostro intento e ci hanno ringraziato per il contribuito che il nostro periodico, senza pretese, ha portato ai credenti e alle chiese in questi 60 anni.

È una buona regola da seguire per chiunque sia chiamato a predicare o insegnare la Parola di Dio, e, ancor di più, per ogni credente che vuole testimoniare della sua fede. Più sono semplici e comprensibili le parole che usiamo, più chiaramente spiegati i concetti difficili, meglio la Parola di Dio può penetrare nelle menti e nei cuori.

I paroloni ricercati, da intellettualoidi, non hanno posto nella chiesa, perché l’orgoglio umano è sempre un ostacolo spirituale alla crescita del credente, e all’unità e comunione della chiesa.

Una grande novità!

La Voce del Vangelo esiste per un unico scopo preciso. Tutto quello che scriviamo ruota intorno alla stessa cosa: una grande novità.

Ma NON un nuovo dio o un nuovo profeta. Non una nuova religione, chiesa, dottrina, verità o pratica religiosa. Ognuna di queste cose è un inganno, una trappola, una bugia mostruosa che tutte le persone viventi già seguono, per la loro condanna eterna.

Invece, quello di cui ogni uomo ha bisogno è nascere di nuovo, di passare dalla morte alla vita! A quella vita nuova che non si merita né si guadagna in alcun modo, e che non dipende da ciò che uno conosce o fa. Come ha detto Gesù: “In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha vita eterna; e non viene in giudizio, ma è passato dalla morte alla vita” (Giovanni 5:25).

La nostra gioia in questo 60° anniversario della Voce del Vangelo è che in questi anni, migliaia di italiani hanno sentito l’annuncio di questa nuova vita, e un numero elevato di loro (quanti siano lo sa soltanto Dio) ha ricevuto in dono da Lui la nuova vita, che non perderanno mai.

È questo il motivo per cui esiste La Voce: per far conoscere e sperimentare la vita che si ha quando si conosce Gesù, quando cioè, per sola grazia di Dio e per fede, Egli diventa Salvatore e il Signore del credente.

Tu hai ricevuto da Gesù questa vita, la vita eterna? Gli hai confessato il tuo bisogno di essere perdonato e hai accettato il suo dono?

Se vuoi saperne di più sulla nuova vita cristiana, scrivimi subito all’indirizzo qui sotto. Riceverai gratuitamente il libretto, Introduzione allo studio della vita nuova, che ti spiegherà quello di cui sto parlando.

Scrivi a: Associazione Verità Evangelica, via Pozzuoli 9, 00182 Roma  |  Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Signore, quale sacrificio!

Signore, quale sacrificio per noi!
Quanto Ti è costato ognuno di noi!

Sono parole di un canto conosciuto e apprezzato nelle chiese di tutta Italia. Ma, cosa c’entra con La Voce del Vangelo?

Erano gli anni ’70. All’epoca pubblicavamo dei brevi testi evangelistici su varie riviste. Un uomo ne aveva visto uno e decise di richiedere il libretto offerto nell’inserto. Accettò anche di fare uno studio biblico che gli proponemmo, ma non se la sentì di venire da solo. Così chiese a un suo amico di accompagnarlo.

Poco dopo, perse l’interesse e smise di venire. Ma il suo amico, Tonino Saccucci che lo aveva accompagnato, continuò a studiare la Parola di Dio con noi. Di lì a poco si convertì.

Dio cambiò radicalmente la vita di quel giovane. Si sposò con Luisa, una giovane credente, e il Signore diede a loro una bellissima famiglia.

Tonino diventò un padre attento e amorevole e anche uno studioso serio della Parola di Dio. È stato Tonino a scrivere quei versi cantati da mezza Italia. Il canto continua con queste parole:

Signore, quale grande amore porti Tu per noi!
La Tua via giusta e vera è la luce per noi!
Questa luce l’uomo non la vuol vedere,
vuol restare nell’oscurità,
perché crede che da solo lui potrà vedere,
ma si sbaglia e al buio resterà!

Tonino non poteva fare a meno di parlare ad altri del suo Signore. Alcuni dei suoi famigliari hanno creduto alla sua testimonianza e si sono convertiti. La fede nel Signore si è sparsa a macchia d’olio intorno a lui e tanti altri hanno ascoltato la predicazione di Tonino e hanno creduto in Cristo.

Tonino è stato per anni uno degli anziani della chiesa Berea di Roma e ha avuto un impatto spirituale su centinaia di persone. Lui e Luisa sono stati un esempio per i credenti della chiesa. Il canto termina con queste parole:

Signore, quale sacrificio per noi!
Quanto Ti è costato ognuno di noi!
Aspettiamo il Tuo ritorno con fede noi,
per lodarTi nell’eternità.

Una domenica mattina a gennaio scorso, Tonino aveva predicato sull’unità della chiesa, un tema che gli stava a cuore. Due settimane dopo, inaspettatamente, il Signore lo ha chiamato a sé.

All’improvviso veniva mancare a tutti il suo sorriso, il suo modo amichevole di scherzare, le sue espressioni romanesche, ma più di tutto il suo amore per il Signore e il suo insegnamento chiaro e diretto.

L’influenza che Tonino ha avuto sulla vita delle persone è stata grande e siamo sicuri che, grazie alla sua fedeltà, saranno in molti a lodare Dio con lui nell’eternità.

Dio si è servito della Voce del Vangelo, dell’Istituto Biblico Bereano e dell’Associazione Verità Evangelica per raggiungere persone come Tonino. Le vostre preghiere e i vostri doni ci hanno reso possibile continuare questa opera per 60 anni. Ve ne siamo molto grati, ma non abbiamo finito il nostro compito!

Fino a che il Signore non tornerà o non ci chiamerà a sé, abbiamo la speranza di raggiungere con i nostri scritti altri giovani che potranno influenzare l’Italia con il vangelo.

“L’amore di Cristo ci costringe, perché siamo giunti a questa conclusione: che uno solo morì per tutti, quindi tutti morirono; e che egli morì per tutti, affinché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro” (2 Corinzi 5:14,15).

Tonino lo ha vissuto e lo ha insegnato tutta la sua vita. Noi pure continueremo a farlo.

Ma non finisce mica qui!

Non finisce qui, con i 60 anni di pubblicazione del giornale, la lunga storia dell’opera dell’Associazione Verità Evangelica. Molti dei nostri lettori lo sanno bene.

Però scommetterei che sono pochi quelli che conoscono tutta la nostra storia!

Forse dovremmo rimandare a un numero venturo il racconto di tutte le altre opere evangeliche che si sono fondate e sono state sviluppate, per grazia di Dio, negli uffici della Voce del Vangelo. Alcune sono nate e morte; altre continuano tuttora.

Prima ancora che si sposassero, prima che fossero iniziate le prime trasmissioni radio o usciti i primi numeri della Voce, il Signore aveva già messo altri progetti nei cuori di Bill e di Maria Teresa.

Poco dopo il suo arrivo in Italia, visitando le varie chiese evangeliche, Bill aveva scoperto in quei locali molti scatoloni pieni di migliaia di foglietti di evangelizzazione. Erano stati scritti e stampati da alcuni fratelli americani – spesso di origine italiana – i quali, molto generosamente, avevano pensato di provvedere alla distribuzione della Parola di Dio e all’evangelizzazione in un’Italia ancora stremata dalla guerra.

Purtroppo, i piccoli gruppi di credenti a cui erano stati spediti questi foglietti non avevano le forze o l’esperienza necessarie per distribuire cotanto materiale. E, a guardar bene, l’italiano in cui erano scritti lasciava molto a desiderare, sia come grammatica sia come errori di stampa.

Così, a Bill è venuta l’idea di come aiutare le persone a usare dei foglietti per evangelizzare. Avrebbe scritto ogni mese un nuovo foglietto, offrendolo in abbonamento per pochi spiccioli, a credenti che si sarebbero impegnati a distribuirne almeno una copia al giorno. Così nacque il Club del foglietto mensile, che presto attirò l’interesse di molte persone pronte a collaborare in diverse parti dell’Italia. E cosa si poteva trovare di meglio che chiedere a una certa signorina, Maria Teresa de Giustina, conosciuta a Firenze, di correggere i testi?!

Il club, dopo qualche anno, aveva terminato il suo compito, ma in questi sessant’anni e più che sono seguiti, sono stati scritti e distribuiti centinaia di migliaia di altri foglietti. Ed è un’opera che portiamo avanti ancora.

Abbiamo 60 anni pieni di racconti interessanti della grazia e la provvidenza di Dio, e potremmo parlare a lungo delle decine di migliaia di copie dei corsi biblici per corrispondenza dell’Istituto Biblico Bereano, delle migliaia di libri e libretti distribuiti, scritti da Maria Teresa e da Bill, ma anche di altri autori, pubblicati dall’Associazione Verità Evangelica.

E come non menzionare i numerosi campeggi, convegni, seminari e corsi biblici dell’Istituto Biblico Bereano, la pubblicazione mensile teologica di Verità Evangelica, e la nostra collaborazione con Operazione Mobilitazione, con Emmaus Correspondence School di corsi biblici per corrispondenza, con il Centro Biblico di Isola del Gran Sasso? È una parte considerevole della storia evangelica in Italia, dalla Seconda Guerra a oggi.

Con l’aiuto di Dio, e anche l’aiuto vostro nel sostegno della Voce, forse potremo, nei prossimi mesi, raccontare alcune di queste storie. 

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La VOCE aprile 2018

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Guglielmo risponde | Un pizzico di sale


Sii fedele fino alla morte

I telegiornali ne parlano pochissimo, ma la persecuzione è un’aspra realtà per molti cristiani nel mondo. Porte Aperte, la missione dedicata alla chiesa perseguitata, rivela che ogni mese 214 chiese o proprietà di credenti vengono distrutte, mentre 722 cristiani subiscono rapimenti, stupri, arresti o pestaggi e 322 vengono uccisi per la loro fede. Ogni mese!

La Corea del Nord ritiene il triste primato di 50.000 cristiani rinchiusi in prigione o in campi di lavoro. L’Afghanistan e il Pakistan la seguono nella durezza della persecuzione. Ma i paesi che praticano un qualche tipo di ostilità verso i cristiani sono almeno 609 (stima del Dipartimento dello Stato degli Stati Uniti).

The PewResearch Center afferma che oltre il 75% della popolazione mondiale vive in zone con severe restrizioni religiose.  

In 35 delle 50 nazioni più ostili al cristianesimo, la persecuzione è di stampo estremismo islamico.

Ovviamente, queste statistiche non fanno distinzione tra cristiani nominali e credenti biblici.

E benché non possiamo essere che raccapricciati e disturbati da qualsiasi violenza per qualunque motivo, dobbiamo constatare che morire non è sinonimo di fede genuina in Gesù Cristo. Nondimeno, non ci sono dubbi che molti nostri fratelli oggi soffrono a causa della loro fede, subendo ostilità e discriminazione a vari livelli, nella famiglia, nello studio, al lavoro.

Nel nostro paese la persecuzione è meno visibile, casomai prende forme più subdole: vessazioni psicologiche ed emotive e abusi verbali, ma ugualmente reali e dolorosi per chi li subisce. Pensare che la persecuzione non possa arrivare anche in Italia è rischioso.

Vivi con una prospettiva eterna

C’è un sentiero di sangue, tracciato dai martiri, che attraversa la storia. Ha visto il suo apice durante la Riforma, quando migliaia di migliaia di seguaci di Cristo sono strati trucidati per la loro fede. Oggi, se noi non stiamo soffrendo come loro, non vuol dire che Dio ci ami di più o che ci siamo meritati una protezione particolare. Questo nostro periodo di pace potrebbe finire anche presto.

Per quanto tempo ancora, la vera chiesa potrà denunciare il peccato e parlare apertamente contro l’aborto e contro l’omosessualità, senza essere perseguitata?

Il fatto che non viviamo in una di quelle aree mondiali dove essere cristiani vuol dire rischiare la vita, ci ha reso forse poco consapevoli di questa realtà e non ne parliamo abbastanza.

Anzi, in certi ambienti, il benessere generale che permea la nostra società ha prodotto un concetto distorto della fede evangelica.

Ci sono chiese che evitano qualsiasi argomento negativo, calcano sempre gli aspetti positivi della fede. La loro è una ricerca costante di buoni sentimenti. Pensano che il successo e la prosperità ci spettino di diritto in quanto figli di Dio. Ma predicare che la norma per il credente sia quella di vivere da un trionfo a un altro, è una falsa dottrina che nuoce alla chiesa perché trascura il ruolo biblico della difficoltà e della persecuzione nella vita del credente.

Soffrire per Cristo ha sempre fatto parte della vita cristiana. Sin dall’inizio.

Le parole di Gesù non lasciano dubbi: seguirlo non sarebbe stata una passeggiata, “Se uno vuole venire dietro a me, rinunci a se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Troppo spesso, però, pensiamo che la croce di cui parlava Gesù siano quei piccoli disagi quotidiani o le seccature che dobbiamo sopportare. Minimizziamo e spiritualizziamo i concetti scomodi.

Ma per non essere frainteso, Gesù ha detto: “Non pensate che io sia venuto a mettere pace sulla terra; non sono venuto a metter pace, ma spada. Perché sono venuto a mettere l’uomo contro suo padre, la figlia contro sua madre e la nuora contro sua suocera; e i nemici dell’uomo saranno quelli stessi di casa sua. Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; e chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me. Chi non prende la sua croce e non viene dietro a me, non è degno di me. Chi avrà trovato la sua vita la perderà; e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà” (Matteo 10:34-39). “Sarete odiati da tutti a causa del mio nome; ma chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato” (10:22). Più chiaro di così!

Un messaggio di salvezza che non prende in considerazione il costo del discepolato, non è affatto il vangelo predicato da Gesù.  Egli ha detto: “Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra. Ma tutto questo ve lo faranno a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato” (Giovanni 15:20b-21).

E l’apostolo Paolo avverte: “Tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati” (2 Timoteo 3:12).

Beato te, se soffri

Le persecuzioni non avverranno mai per volontà d’uomini, movimenti religiosi o governi, ma sempre e solo per volontà di Dio. Infatti non ci sono governi o religioni che sorgano senza che Dio lo permetta. Sapere questo deve farci riflettere sui motivi per cui avvengono. Se Dio le permette, serviranno ai suoi scopi eterni e coopereranno al nostro bene (Romani 8:28;31-39).

Nella sua grazia, Dio permette alla chiesa di godere lunghi periodi di pace, ma quando siamo attaccati per la fede, è importante che esaminiamo noi stessi per escludere che siamo noi la causa delle nostre sofferenze, che non siamo di scandalo, che non provochiamo nessuno, che non ci comportiamo male, che non siamo arroganti né presuntuosi nei nostri modi di fare. I guai che ci attiriamo addosso da soli, portano sofferenze inutili.

Strano a dirsi, ma la persecuzione porta alcuni benefici speciali per il credente. Fanno parte degli scopi benefici ed eterni di Dio.

Pietro dice che se soffriamo per Cristo, siamo beati, perché lo Spirito riposa su di noi: “Carissimi, non vi stupite per l'incendio che divampa in mezzo a voi per provarvi, come se vi accadesse qualcosa di strano. Anzi, rallegratevi in quanto partecipate alle sofferenze di Cristo, perché anche al momento della rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare. Se siete insultati per il nome di Cristo, beati voi! Perché lo Spirito di gloria, lo Spirito di Dio, riposa su di voi. Nessuno di voi abbia a soffrire come omicida, o ladro, o malfattore, o perché si immischia nei fatti altrui; ma se uno soffre come cristiano, non se ne vergogni, anzi glorifichi Dio, portando questo nome” (1 Pietro 4:12-16).

  • Per cominciare, uno dei benefici della persecuzione è che il credente è identificato con Cristo: “Se il mondo vi odia, sapete bene che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe quello che è suo; poiché non siete del mondo, ma io ho scelto voi in mezzo al mondo, perciò il mondo vi odia” (Giovanni 15:18,19). Siamo curati da Cristo anche quando nessuno ci perseguita, ma lo siamo in modo particolare quando siamo odiati a causa sua.
  • In secondo luogo, la costanza e la fede dei credenti nelle persecuzioni sono la prova del giusto giudizio di Dio (2 Tessalonicesi 1:4b-10). Ci sarà una netta distinzione tra i figli di Dio e il mondo, in modo che nessuno potrà contestare il verdetto finale. D’altro canto, la costanza nelle prove perfeziona il credente (Giacomo 1:2-4). È l’opera santificatrice di Dio che ha come scopo ultimo quello di farci diventare simili a Cristo.
  • Poi, la persecuzione purifica la chiesa da falsi credenti (Matteo 13:20). Chi non ha messo le radici in Cristo è presto spazzato via. Alcuni alla più piccola opposizione ammutoliscono, altri smettono presto di frequentare la chiesa. Chi è più disposto a farsi in quattro per le cose del mondo che andare in chiesa, rinuncia all’occasione preziosa di maturare spiritualmente tra i fratelli in vista delle difficoltà future.
    Similmente, nella persecuzione, i falsi dottori si riveleranno dei mercenari che si danno alla fuga quando vedono avvicinarsi il lupo (Giovanni 10:12,13).
  • La persecuzione purifica anche il credente, in modo che porti più frutto per Cristo (Giovanni 15:2), a conferma che la sua fede è genuina. Si è meno attratti dalle distrazioni del peccato e più aggrappati a Cristo quando si è consapevoli di poter perdere la vita. Le cose più importanti acquistano priorità evidente.
  • Infine, ci sarà una gloriosa ricompensa per tutti coloro che avranno sofferto per Cristo (2 Timoteo 2:11,12). È difficile immaginare cosa voglia dire regnare con Cristo, ma è una sua promessa certa!

essere preparati

In tutto questo, è importante capire che il nostro nemico non è mai l’uomo, chiunque esso sia, ma sempre il diavolo. Gli uomini sono solo ignari agenti del diavolo. Per questo non dobbiamo contrastare il male, ma essere miti e amorevoli anche davanti ai soprusi, pregando che Dio conceda ai nostri persecutori di ravvedersi (Matteo 5:39-48).  

A questo punto, la domanda che ci dobbiamo fare è: cosa farei io, se la persecuzione arrivasse anche qui, se essere un cristiano mi costasse la vita? Come cambierebbe il mio comportamento, la mia testimonianza?

È una domanda seria dato che la Bibbia parla di tribolazioni e il Signore non vuole che ci colgano di sorpresa.

Dio ci ha promesso la grazia necessaria per affrontarle nel momento opportuno, non prima (Ebrei 4:16). Come quando Gesù aveva avvisato gli apostoli di non preoccuparsi di ciò che avrebbero detto ai loro persecutori, perché nel momento stesso gli sarebbero state date le parole da dire (Matteo 10:19).

Questo però non significa che, nel frattempo, non dobbiamo fare niente. Gesù aveva detto loro anche: “Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe” (Matteo 10:16). Non siamo chiamati ad essere spericolati, ma saggi e preparati.

In realtà, tutta la crescita spirituale, il progresso nella fede, ha un unico scopo: formare Cristo in ogni credente. Ogni cosa che la Bibbia dice su come comportarci e come piacere a Dio, serve a perfezionarci e prepararci anche in vista di un eventuale martirio.

E la preparazione comincia proprio oggi. È troppo tardi prendere lezioni di nuoto quando si sta per annegare!

Ma come ci si prepara?

Ammettiamolo: umanamente, la prospettiva del martirio spaventa. Ma Dio non vuole che ne siamo dominati. Volta dopo volta, attraverso tutta la Bibbia Egli ci assicura che la sua cura perfetta e il suo amore paterno non ci lasceranno mai.   

“Non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima; temete piuttosto colui che può far perire l’anima e il corpo nella geenna. Due passeri non si vendono per un soldo? Eppure non ne cade uno solo in terra senza il volere del Padre vostro. Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non temete dunque; voi valete più di molti passeri. Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io riconoscerò lui davanti al Padre mio che è nei cieli. Ma chiunque mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io rinnegherò lui davanti al Padre mio che è nei cieli” (Matteo 10:28-33).

Ecco 9 consigli pratici

  1. Non perdere di vista Dio e il suo carattere. Imparare a conoscere gli attributi di Dio (onnipotenza, onniscienza, onnipotenza…) e le sue perfezioni (perfetto amore, perfetta giustizia, perfetta santità…) aiuta ad affrontare con serenità e fiducia qualsiasi problema. Egli non ha promesso di tenerci lontani dalle difficoltà ma di prendersi cura di noi in ogni circostanza.
  2. Tieni presente la prospettiva eterna. Non viviamo per essere comodi oggi sulla terra ma in vista dell’eternità. Paolo, mentre aspettava la sua sentenza di morte, rassicurava i credenti di Filippi preoccupati per lui, che morire era un guadagno. Il peggio che ci può succedere è di andare col Signore. Ed è la miglior cosa!
  3. Studia la Parola. Verrà un giorno in cui studiare la Bibbia sarà difficile o impossibile (e non ci vuole una persecuzione per questo: basterebbe un letto di ospedale). Contatti con altri credenti saranno troppo pericolosi. Tutto ciò che avrai a disposizione sarà quello che hai imparato prima! Ti sembrerà assurdo di aver sprecato tante ore a fare cose inutili.
  4. Sviluppa una vita di preghiera. La preghiera è uno dei mezzi più belli che Dio ci dà per consolidare la nostra dipendenza da Lui e per spingerci ad essere sottomessi. Aver imparato ad essere aggrappati e ubbidienti a Dio è una gran cosa nelle avversità
  5. Impara a memoria dei versetti. Dio non può riportare alla tua mente cose che non vi sono mai entrate! Durante la persecuzione comunista in Cina, alcuni detenuti hanno potuto ricostruire larghe porzioni della Bibbia proprio perché l’avevano imparate a memoria. Si dice che con l’età diventa sempre più difficile memorizzare nuove cose: meglio farlo subito. Esistono diversi metodi efficaci di imparare versetti, addirittura capitoli interi, a memoria. Ci vuole impegno, ma ne vale la pena: la mente permeata dalla Parola di Dio è una gran protezione contro il peccato (Deuteronomio 6:6; Giosuè 1:8; Proverbi 2).
  6. Impara ad amare. Amare Dio con tutto il nostro essere è il più grande comandamento. Ma Dio ci comanda di amare anche il prossimo come noi stessi. Come farai ad amare un tuo nemico se non hai imparato ad amare i tuoi fratelli in Cristo (Matteo 5:43-48)? Quando mai potrai perdonare, benedire e fare del bene a chi ti perseguita se non l’hai fatto con la tua famiglia spirituale? Anche in questo, il nostro esempio è il Signore Gesù. Vedere i nemici come persone bisognose d’amore ci aiuterà a reagire nel modo giusto a ogni provocazione.
  7. Canta le verità bibliche la domenica. Il canto, proprio grazie alle rime e alla melodia, è un ottimo modo per imparare delle verità bibliche che saranno di grande sollievo durante i momenti bui. Perciò bisogna fare attenzione a cosa si canta in chiesa e prediligere inni con un contenuto chiaro, biblicamente sano e solido.
  8. Non pensare solo a te stesso. Sei membro di un corpo ed è compito tuo curare la crescita e la preparazione anche di coloro che Dio ha messo nella tua sfera di influenza. Se sei genitore, parlane con i figli; se sei credente da più tempo, aiuta i nuovi credenti.
  9. Scorte di Scritture ovunque. Alcuni credenti, in diverse parti del mondo, quando il governo pensava di aver confiscato tutte le Bibbia, hanno potuto continuare a studiarla proprio perché qualcuno preventivamente ne aveva nascosto delle copie in posti strategici. Può sembrare una misura esagerata nel nostro contesto, ma chi lo sa che non si dimostri provvidenziale per tempi futuri?

Oggi le nostre chiese si sono adagiate a una vita cristiana facile, senza pesi. Per molti, essere credenti si riduce a un evento domenicale (e forse neanche ogni settimana!). Ma i veri credenti e le chiese sane devono essere pronti a soffrire a causa del Vangelo.
La chiesa di Cristo nei secoli è sempre stata purificata dalla persecuzione, forse è il tempo che anche noi lo siamo.


—Guglielmo Risponde—

Posso dirglielo a parole mie?

Caro Guglielmo,
Come sono contento di vedere che hai ripreso a rispondere, come molti anni fa, alle domande di noi lettori della Voce del Vangelo! Infatti, vorrei chiederti un tuo parere su quanto segue.
Oramai ci sono in commercio sempre più edizioni e traduzioni della Bibbia. Quando ci troviamo a parlare della nostra fede agli amici, o ai non-credenti, o anche tra di noi credenti, alcuni sostengono che bisogna citare i passi biblici, così come sono scritti, parola per parola, per evitare una certa confusione. Considerano un pericolo di infedeltà citarli solo con parole nostre. Altri invece pensano che il gergo troppo pio rappresenti un ostacolo alla comunicazione.
Tu cosa ne pensi? È lecito parafrasare le Scritture per renderle più comprensibili?
Come è bene comportarci?   —R.S.


È vero, come dici tu: di traduzioni della Bibbia ne spuntano sempre nuove. Per di più, alcune sette ne fanno addirittura una versione ad hoc, che pretendono sia l’unica “fedele”.

D’altra parte, i credenti e lettori della Bibbia in tutto il mondo sono milioni; parlano e leggono in migliaia di lingue diverse. Sarebbe assurdo pretendere che tutti leggessero la Bibbia in una sola lingua “originale”.

Perciò, le “traduzioni” ci sono e sono necessarie. 

Ma è anche importante che siano fedeli a ciò che, all’origine, Dio aveva guidato gli autori dei libri della Bibbia a scrivere, cosicché il lettore odierno possa avere la certezza che ciò che legge è davvero “Parola di Dio”.

Non è possibile nominare qui tutti i problemi e le soluzioni che riguardano l’accertamento, per quanto possibile, dei testi originali delle Sacre Scritture. Basti dire che, nei secoli, migliaia di fratelli studiosi, autorevoli e ben preparati, hanno consacrato la loro vita a questo scopo, raggiungendo conclusioni che sono state riconosciute e approvate dalla maggioranza di quelli che ritengono la Sacra Bibbia essere autentica Parola di Dio, di cui il testo è effettivamente ispirato e garantito da Dio stesso.

Benché non esista nessuna traduzione che sia formalmente o ufficialmente riconosciuta come l’unica e perfetta, abbiamo in italiano, e in moltissime lingue, delle traduzioni che sono largamente riconosciute come Parola di Dio da credenti di chiese fedeli alla Bibbia, e quindi degne di fiducia e di diffusione. Siamo pienamente convinti che Dio abbia protetto i testi antichi da contaminazioni e che abbia guidato i traduttori fedeli nel realizzare queste versioni che usiamo.

Perciò, è giusto che, come tu hai accennato, chi predica o insegna oggi consideri e tratti la sua Bibbia come Parola di Dio e proponga quelle precise parole come rivelazione di Dio per l’uomo. E che respinga ed escluda l’uso di traduzioni personali, o di gruppi e movimenti non ritenuti dottrinalmente sani e fedeli alle Scritture.

Per concludere, però, ti devo avvertire che la sola lettura o recitazione pubblica della Bibbia non può essere considerata un ministero completo. “Predicare” o “insegnare” la Bibbia, nelle riunioni della chiesa o in gruppi di studio biblico, significa spiegare il senso del testo biblico, chiarendo il significato delle parole, delle frasi, delle usanze, della storia e delle dottrine contenute nel testo biblico.

Più leggi, mediti e impari, anche a memoria, le parole stesse della Bibbia, più le amerai e praticherai, meglio le spiegherai e più felice sarai a farlo.

Perciò, che sia negli studi biblici, nell’evangelizzazione o nelle conversazioni personali, le tue parole, pesate e conformi alla verità biblica, espresse con semplicità e umiltà, saranno importanti e convincenti. Che Dio ti benedica. n
—Guglielmo


 
Ristampa dal marzo 1964

Un pizzico di sale

“Questa storia mi fa piangere” disse Davide con gli occhi lucidi. Anche Deborah e Daniele erano terribilmente seri dopo che Mamma aveva finito di raccontare la storia, successa almeno cento anni fa, di una ragazza di sedici anni, morta nella bufera di neve, per salvare i suoi due fratellini, sperduti con lei nella tormenta.
“Ma è proprio una storia successa davvero?” chiese Deborah. “Janet è proprio morta?” “Sì.”
“Ma lei amava Gesù?” chiese Daniele. “Sì” rispose Mamma. “Non ti ricordi che lei e i fratelli avevano pregato che qualcuno li venisse a trovare?”
“Ma, allora, perché Dio fa succedere le cose tristi anche a quelli che vogliono bene a Gesù?”
“Dio sa quello che fa” spiegò Mamma. “Probabilmente Lui sapeva che la cosa migliore per Janet era andare in cielo in quel momento, e così l’ha presa con sé.”
“Ma la sua mamma e il suo papà avranno pianto...” disse Davide. “E i suoi fratellini saranno dovuti andare a scuola da soli” continuò Deborah.
“Io sarei molto triste se Stefanino morisse... Ma i bambini piccoli non muoiono, vero Mamma?” disse Daniele.
Mamma attirò a sé i suoi piccolini, ingolfati in pensieri più grandi di loro e si mise a parlare piano piano: “Adesso ascoltatemi bene perché sono cose un po’ difficili. Quando papà vi dice di fare certe cose, come fare il pisolino o mangiare le lenticchie, vi piace?” “No” fu la risposta unanime.
“E voi piangete?” “Deborah e Davide sì!” esclamò Daniele. “Anche tu!” accusarono gli altri due.
“Beh” continuò Mamma, “papà sa che il pisolino vi fa diventare più felici e che le lenticchie vi fanno diventare più forti. Però voi non lo capite e piangete. È un po’ lo stesso fra Dio e noi. Certe volte Egli fa succedere delle cose che ci fanno diventare tristi, ma Egli sa che ci fanno del bene. Anche quando fa morire qualcuno che amiamo... La morte è una cosa un po’ triste, ma Dio dice nella Bibbia che è bella per quelli che amano Gesù. Perché Egli li viene a prendere in braccio e li porta nella città di luce, con le porte di perle e le strade d’oro.”
“E poi quando saremo tutti morti, saremo di nuovo tutti insieme e avremo finito di morire!” concluse trionfante Daniele.
E non c’era più niente da spiegare. Nessuno poteva dire qualche cosa di più vero e di più completo.

 

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