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La Voce del Vangelo

La VOCE gennaio 2022

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Un pizzico di sale "Cani ai guinzagli divini" 


Come si prospetta il 2022 appena cominciato? Sarà un altro anno sotto scacco del Covid e di altre sue varianti? Un altro anno di incertezze sul lavoro, la scuola e la salute?

Dai discorsi che sento, è evidente che la gente ha ancora molta paura.

Alcuni hanno talmente paura di contagiarsi che vanno oltre ogni minima prescrizione e raccomandazione delle autorità sanitarie. Altri fanno tutto l’opposto, perché temono di più le possibili conseguenze del vaccino o anche l’intrusione del governo nella vita privata.

A parte la pandemia che ha colpito il mondo intero, in Italia, secondo un’indagine Istat, 444.000 persone hanno perso il lavoro nel 2020.
Dall’inizio di quest’anno a fine agosto si contano 413 suicidi e 348 tentativi.
Dal 1° gennaio al 30 settembre, sulle strade della Capitale, la Polizia Locale è intervenuta per i rilievi di 19.139 incidenti.

Bastano questi tre dati rilevati a presentare un quadro tetro e triste, ma reale. La vita è piena di incognite ed eventi sui quali non abbiamo nessun controllo, che possono contribuire a creare un’atmosfera di paura nella vita delle persone. 

Vivere nella paura non è di certo salutare, ma è anche vero che non avere paura di niente è da incoscienti!

Dove si trova l’equilibrio tra questi due poli opposti? 
La paura è giustificata oppure quando ho paura sto peccando?

Per alcuni versi la paura è un dono di Dio. Infatti, siamo stati creati capaci di provarla perché fossimo allarmati sui pericoli, ma anche saggi nelle nostre scelte.

Qualche esempio. Vedere per strada qualcuno che inizia a sparare, ci porta immediatamente a nasconderci e metterci in salvo. È ovvio, giusto e sarebbe folle non farlo.

È prudente guardare in tutte e due le direzioni prima di attraversare la strada per non essere investiti.

Ed è un segno di saggezza pagare l’assicurazione dell’auto per non dover sborsare di tasca nostra somme esorbitanti in caso d’incidente.

Ma è un danno grave se la nostra vita è condizionata dall’ansia, perché la paura quando è esagerata, costante e non ha la funzione prevista da Dio, ci fa perdere di vista Lui e la sua sovranità.

La paura è entrata nel mondo con la caduta di Adamo ed Eva, diventando la compagna di vita dell’uomo. All’improvviso l’uomo aveva cominciato ad avere paura di Dio, del giudizio degli altri, delle circostanze, del futuro, della morte… Una cappa di paura è scesa sull’umanità. 

Temere la morte e le conseguenze del peccato, però, non è esagerazione, anzi. Infatti non solo è giusto, ma è qualcosa che dovremmo augurare a tutti, perché “il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore” (Romani 6:23).

La Bibbia attesta chiaramente che “è stabilito che gli uomini muoiano una volta sola, dopo di che viene il giudizio” (Ebrei 9:27).

La maggior parte delle persone fa di tutto per sopprimere queste verità. Perciò l’Apostolo Paolo ha scritto in Romani 1:18 che “l’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ingiustizia degli uomini che soffocano la verità con l’ingiustizia.”

Gli uomini cercano di intorbidire la loro consapevolezza dell’esistenza di Dio e della sua giustizia con pensieri, parole e atti ingiusti. Esorcizzano le loro paure esistenziali creando falsi dèi simili a loro, che non gli fanno paura. 

Invece è giusto, e addirittura salutare per il corpo (Proverbi 3:7,8), temere il vero Dio, ma non fare come Adamo ed Eva che pensavano di potersi nascondere tra i cespugli dopo aver peccato.

Esiste però anche una paura malsana, opposta a quel “dispositivo di sicurezza” progettato da Dio, perché è una delle terribili conseguenze del peccato di Adamo. 

È una paura che non aiuta a vivere meglio, non avvicina l’uomo a Dio, non lo rende più avveduto. Al contrario, lo rende ansioso e lo paralizza al punto di non riuscire a reagire correttamente a ciò lo terrorizza, rendendo la sua vita terribile. 

Nessun figlio di Dio dovrebbe cadere vittima di questo tipo di paura. Dalla Genesi fino all’Apocalisse, infatti, volta dopo volta Dio ripete: “Non temere!”

Nel solo libro di Isaia, dal capitolo 40 al 54, lo ribadisce per ben dieci volte al popolo d’Israele terrorizzato da quello che avrebbe dovuto affrontare di lì a poco. Il Signore gli vuole ricordare verità importanti per rassicurarlo, dicendogli: “Tu, non temere, perché io sono con te; non ti smarrire, perché io sono il tuo Dio; io ti fortifico, io ti soccorro, io ti sostengo con la destra della mia giustizia” (Isaia 41:10).

Mentre è vero che bisogna fare molta attenzione a non applicare a noi indistintamente qualunque promessa fatta a Israele (perché la chiesa non ha sostituito Israele nel piano di Dio), ci sono verità eterne per le quali è giusto pensare che queste parole bellissime di Isaia si possano applicare anche ai credenti di oggi. 

Per esempio, all’inizio del capitolo 41 di Isaia, Dio afferma la sua sovrana onnipotenza sulle nazioni e su ogni cosa che accade nell’universo. 

Poi, nei versetti 8 e 9, rivolgendosi direttamente a Israele, dice che lo ha scelto e che questi è il suo servo. 

Sappiamo che il Signore, ancora oggi, ha il totale controllo su tutto. Non accade nulla che sia al di là del suo potere e della sua conoscenza. Gesù ha precisato che nemmeno un passero cade in terra senza che Dio lo sappia e che l’abbia permesso. Nulla è quindi cambiato dai giorni di Isaia fino ai giorni nostri: Dio rimane onnipotente e sovrano eternamente. 

Come per Israele, scelto da Dio come suo tesoro particolare tra le nazioni, ci sono tanti versetti nel Nuovo Testamento che affermano similmente che Dio sceglie i credenti di oggi, e che anche loro sono suoi.

Nel versetto di Isaia, Dio chiama Israele suo servo. È stato un servo tutt’altro che perfetto, perché spesso si è allontanato da Lui, ma un giorno, nel regno di mille anni di Cristo, Israele redento svolgerà di nuovo il suo ruolo glorioso di servo dell’Altissimo. 

Nel Nuovo Testamento i credenti sono chiamati servi di Cristo. Più precisamente, schiavi di Cristo.  A volte dimentichiamo che siamo stati comprati a caro prezzo, che siamo sua proprietà. 

Ma prima di pensare che l’essere proprietà di Cristo sia una cosa negativa, soffermiamoci a considerare il fatto che siamo stati comprati a caro prezzo. 

Paolo scrive: “Infatti, mentre noi eravamo ancora senza forza, Cristo, a suo tempo, è morto per gli empi. Difficilmente uno morirebbe per un giusto; ma forse per una persona buona qualcuno avrebbe il coraggio di morire; Dio invece mostra la grandezza del proprio amore per noi in questo: che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. Tanto più, dunque, essendo ora giustificati per il suo sangue, saremo per mezzo di lui salvati dall’ira. Se infatti, mentre eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio mediante la morte del Figlio suo, tanto più ora, che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita” (Romani 5:6-10).

Il prezzo altissimo che Dio ha pagato per la nostra salvezza dimostra il valore che abbiamo ai suoi occhi. Era ciò che Gesù ha voluto insegnare quando paragonò i discepoli all’uccellino che cade: “Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre. Non valete voi molto più di loro?” (Matteo 6:26).

Chiarito questo, non è affatto sbagliato che i figli di Dio siano incoraggiati dalle parole di Isaia a Israele; Dio rivolge la stessa esortazione anche a noi: “Tu, non temere, perché io sono con te; non ti smarrire, perché io sono il tuo Dio; io ti fortifico, io ti soccorro, io ti sostengo con la destra della mia giustizia” (Isaia 41:10).

Le affermazioni di questo versetto sono dei punti cardine che dovrebbero accompagnarci nell’affrontare i problemi e le vicissitudini di tutti i giorni.

Tu, non temere, perché io sono con te

La prima cosa che Dio vuole che tu capisca è che sei tu il destinatario del suo messaggio. “Tu” è un pronome personale, come se stesse dicendo queste cose direttamente a te.

La seconda cosa che Dio desidera che tu sappia è che Egli conosce e comprende le tue debolezze. “Non temere” implica che Lui sa che tendi a temere. È una tendenza umana, e abbiamo visto che a volte ci sono motivi validi per provare timore. 

La domanda che ci dobbiamo porre, però, è quanto tempo permettiamo che duri la nostra paura. Forse troppo a lungo?

Ogni preoccupazione nasce da circostanze avverse, e se non sappiamo affrontare i problemi, non ci vorrà molto prima che il sentirci sempre in ansia diventi un’abitudine, vivendolo alla fine come uno stato emotivo normale. La consapevolezza della presenza di Dio nella nostra vita – “io sono con te” – deve prendere il posto della nostra abitudine all’ansia, e dissolvere questo debilitante stato emotivo. O quantomeno ridimensionarlo.

Il Signore, infatti, non dice “non avere paura quando sono con te”, ma “non avere paura perché io sono con te.” 

È un’affermazione che ha dell’incredibile. Dio non è come un’ambulanza che viene solo se chiamata in soccorso. Lui è sempre con noi!

È la stessa verità che troviamo nel Salmo 23 al versetto 4: “Quand’anche camminassi nella valle dell’ombra della morte, io non temerei alcun male, perché tu sei con me; il tuo bastone e la tua verga mi danno sicurezza.”

Perfino davanti alla morte la presenza di Dio mi dà tutto ciò di cui ho bisogno per dissolvere ogni mia paura.

Egli ha tutti gli strumenti necessari per proteggermi e accompagnarmi nelle difficoltà reali della vita. Infatti, il primo punto cardine che dobbiamo ricordare è che la presenza e la cura attenta di Dio sono l’antidoto alle mie paure.

Non ti smarrire, perché io sono il tuo Dio

Nel versetto 10, il Signore mostra altre ragioni per non permettere che le nostre paure ci condizionino la vita. 

Non a caso ci comanda di non smarrirci, perché la paura produce disorientamento. Perdiamo di vista i nostri punti di riferimento, e non siamo più capaci di discernere dove andare o cosa fare.

Ci riflettiamo, ci documentiamo, ma spesso le scelte sembrano troppo difficili, lasciandoci frustrati e confusi. 

Ecco, allora, la chiave per uscire dalla confusione: Dio deve essere continuamente il nostro punto fermo. Infatti, proprio perché è immutabile Lui è l’unico punto di riferimento sicuro. 

Ma in pratica, che devo fare per avere Dio come mio punto di riferimento?

Ce lo spiega Giacomo nel suo discorso su come reagire alle prove: “Se poi qualcuno di voi manca di saggezza, la chieda a Dio che dona a tutti generosamente senza rinfacciare, e gli sarà data. Ma la chieda con fede, senza dubitare; perché chi dubita rassomiglia a un’onda del mare, agitata dal vento e spinta qua e là. Un tale uomo non pensi di ricevere qualcosa dal Signore, perché è di animo doppio, instabile in tutte le sue vie” (Giacomo 1:5-7).

Quando cominciamo sentirci smarriti abbiamo un secondo punto di riferimento infallibile che è la Parola scritta di Dio. 

Chiedere con fede vuol dire avere completa fiducia nelle Sacre Scritture, come Giacomo specifica poi: “Ma mettete in pratica la parola e non ascoltatela soltanto, illudendo voi stessi. Perché, se uno è ascoltatore della parola e non esecutore, è simile a un uomo che guarda la sua faccia naturale in uno specchio; e quando si è guardato se ne va, e subito dimentica com’era” (Giacomo 1:22-24).

Sembra assurdo, ma ci sono credenti che reagiscono male a qualunque cosa affermi la Bibbia. “Si è vero, ma la mia situazione è difficile… ma le mie circostanze sono diverse… Sì, Dio, lo so che devo avere fede, ma…!” Rifiutano in partenza la soluzione ai loro problemi.

Ma allora il Creatore di ogni cosa, l’IO SONO, è veramente il nostro Dio? Purtroppo per molte persone (troppe!) non è così, e hanno tanti altri dèi, fallibili, instabili, falsi. E può succedere anche ai credenti di essere tentati di seguire i propri desideri, restare ancorati alle proprie opinioni e preferire autorità diverse da Dio. 

La Bibbia insegna che è giusto che la nostra fede sia messa alla prova, il che serve per dimostrarne la genuinità. 

Se Dio non è davvero il mio pastore, le parole “Il Signore è il mio pastore: nulla mi manca” si riducono solo una bellissima frase, senza nessun riscontro reale. Al contrario, se mi fido di Lui, se continuo a seguirlo pur non capendo tutto, sarò disposto a ubbidirgli anche quando voci contrarie mi spingeranno a non farlo.

Io ti fortifico, io ti soccorro, io ti sostengo con la destra della mia giustizia

Ecco di cosa ho bisogno quando ho paura, quando ho esaurito le mie forze e non ce la faccio più!

Ho bisogno di essere soccorso, tirato fuori dai guai in cui mi sono messo o dalle situazioni che, per colpa di altri, mi stanno sopraffacendo. Ho bisogno di essere fortificato e guidato.

Riconosco che in parte le mie paure nascono dal fatto che vivo in un mondo ingiusto, che si comporta male nei miei confronti, che mi chiede cose sbagliate che Dio non approva. La società è pervasa dall’ingiustizia a tal punto che è molto facile restarne coinvolti, ed è proprio questo che mi atterra e mi spaventa.

Non è un caso che il Signore dica per bocca di Isaia che non devo temere, perché Lui mi sosterrà con la sua giustizia.

La giustizia di Dio trionferà sempre! Quindi, a pensarci bene noi non siamo vittime, perché la potenza di Dio non ha rivali, la sua saggezza non ha limiti e il suo amore per noi non conosce confini, e tutto ciò fa sì che non gli sfugga nulla.

Il problema è piuttosto il fatto che spesso perdiamo di vista il ruolo attivo di Dio nella nostra vita. Attivo, non passivo, né sorpreso dagli eventi o dalle nostre reazioni.

Paolo, che conosceva bene questo problema, pregava che i credenti fossero potentemente fortificati nell’uomo interiore, attraverso una comprensione sempre più grande dell’amore di Dio: “Per questo motivo piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni famiglia nei cieli e sulla terra prende nome, affinché egli vi dia, secondo le ricchezze della sua gloria, di essere potentemente fortificati, mediante lo Spirito suo, nell’uomo interiore, e faccia sì che Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, perché, radicati e fondati nell’amore, siate resi capaci di abbracciare con tutti i santi quale sia la larghezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità dell’amore di Cristo e di conoscere questo amore che sorpassa ogni conoscenza, affinché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio” (Efesini 3:14-19).

La cura di Dio per noi ha come motore e spinta il suo amore, che va oltre quello che possiamo immaginare. Ecco perché, davanti a ciò che sappiamo dalle Scritture, dovremmo imparare a frenare l’impulso di reagire con un MA, e dire piuttosto: Dio mi aMA!

Affronterò, per grazia di Dio, le incognite del nuovo anno con la certezza che Dio è con me. Supererò situazioni che non ho mai affrontato prima, convinto dell’aiuto concreto di Dio, che è sufficiente per ogni giorno. Prenderò decisioni più grandi di me, affidandomi alla saggezza che il Signore ha messo a mia disposizione nelle Scritture. 

Non dovrò farmi la strada da solo né appoggiarmi sulla mia intelligenza o forza, perché ho preso sul serio il mio rapporto con Dio: Egli è davvero il mio SIGNORE. Io lo servo senza “se” e senza “ma”, lasciandomi correggere, guidare e incoraggiare dalla sua Parola, in modo che la mia comprensione del suo amore sia più grande e consapevole ogni giorno di più.

Sarà un 2022 “da paura”!                 

Davide Standridge

 


Cani ai guinzagli divini

Era una sirena di pompieri, una macchina che portava qualcuno all’ospedale a che cosa? 

Mamma si svegliò. 

No, era Daniele che urlava. 

Mamma corse a vedere che cosa stesse succedendo. Ci mancava solo che con quelle grida facesse svegliare anche gli altri tre! 

Danielino stava seduto sul letto singhiozzando. La sua era paura. Paura selvaggia. 

Mamma cercò di calmarlo. “Hai male di pancia?” No. “Era un brutto sogno?” Le urla ricominciarono. Chiaro: era un brutto sogno. 

“Ma che c’era nel sogno?” 

“Lì sotto... i cani!”

“Ma va là, sotto il letto non ci sono cani. Non c’è niente!”

Mamma prese Daniele in braccio e gli fece vedere che sotto il letto non c’era nulla. 

“Sono andati via, adesso, mamma?” 

“Non ci sono mai stati. Ora mettiti tranquillo.” 

La sera dopo, prima di coricarsi, Daniele mise sotto il suo letto un bastone con una testa di cavallo in cima. 

“Questo si mette nell’angolo, nella scuderia” disse Mamma. 

“No” protestò Daniele, “lui tiene via i cani.” 

L’idea era decisamente pagana, ma la quiete piace a tutti e Mamma pensò che certe sottigliezze teologiche, in ogni modo, non possono essere afferrate da un bambino di quattro anni. La cosa importante era che tutti dormissero in pace. 

“Va bene, per stasera, ma soprattutto non ci pensare. Vedrai che dormirai bene.” 

Invece i cani, puntualmente, ritornarono per varie notti. 

Di giorno Daniele entrava in camera con fare sospettoso, guardava sotto il letto, parlava di cani. Davide e Deborah un po’ lo ammiravano, un po’ si spaventavano anche loro. 

Una sera, Mamma andò accanto al letto di Daniele (il cavallo era in scuderia, sconfitto) e disse: “Ora chiediamo a Gesù di tenere lontano tutti i cani.” 

“Tutti, mamma?” 

“Tutti.” 

Mamma e Daniele pregarono: “Gesù, per piacere tieni lontano tutti i cani da Daniele e aiutalo a dormire bene. Grazie. Amen.” 

Daniele si mise giù con un sorriso di beatitudine completa e di perfetta tranquillità. 

Mamma, mentre spegneva la luce, chiese a Dio di aiutarla a non dimenticare quel sorriso e quella lezione di fiducia. “La fede è certezza di cose che si sperano...” dice la Bibbia. 

E i cani sono tornati? No. “Gesù li tiene legati”, dice Daniele.

M.T. Standridge, "Un pizzico di sale" ristampa del luglio 1962

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La VOCE novembre 2021

La nuova governatrice dello stato di New York, Kathy Hochul, in un suo discorso su coronavirus e vaccino, ha detto ai suoi sostenitori: 

“Indosso tutto il tempo la mia collana di persona vaccinata per affermare che ho fatto il vaccino. E voi tutti – lo so che siete vaccinati, voi siete quelli intelligenti – sapete che ci sono altri là fuori che non danno ascolto a Dio. Non fanno ciò che Dio vuole, e voi lo sapete e li conoscete. 
“Ho bisogno di voi, ho bisogno che voi siate i miei discepoli, che andiate a parlare [del vaccino], e che diciate che lo dobbiamo l’uno all’altro. Noi ci amiamo a vicenda. Gesù ci ha insegnato ad amarci gli uni gli altri. E in che altro modo possiamo mostrare questo amore se non prendendoci cura gli uni degli altri, al punto di dire: «Per favore, fatti vaccinare perché ti amo e voglio che tu viva!»?”

Tutt’altra cosa il governatore della Florida, Ron de Santis, che si è scagliato contro ogni imposizione sul vaccino, dicendo che sancirà multe fino a 5.000 dollari contro qualsiasi impresa e altra entità lavorativa, governativa e non, che impone il vaccino ai suoi impiegati.

La governatrice Hochul è cresciuta in una famiglia cattolica ed è a favore dell’aborto, mentre Ron de Santis, cattolico anche lui, si schiera invece contro l’aborto. Due persone di “fede”, ma con opinioni diametralmente opposte.

Questi due esempi dimostrano che anche dall’altra parte dell’oceano si acuiscono posizioni divergenti sul Covid e sui vaccini che, portate all’estremo, possono sfociare in violenza. 

L’opinione pubblica è fortemente divisa su questo argomento, ma lo sono anche le chiese e i credenti. 

Cosa sta succedendo? Come abbiamo fatto a farci trascinare in litigi e divisioni? E cosa dobbiamo fare per uscirne fuori?

LA MASCHERINA COPRE LA BOCCA MA NON FERMA LA LINGUA

“SIGNORE, poni una guardia davanti alla mia bocca, sorveglia l’uscio delle mie labbra.” Salmo 141:3

Davide, che ha scritto questo salmo, era consapevole che senza l’aiuto di Dio, dalla sua bocca potevano facilmente uscire parole e frasi che avrebbero fatto del male e offeso Dio. 

Anche Giacomo avverte del pericolo di parlare in modo avventato che porta conseguenze disastrose. Nella sua lettera dice che “la lingua è un piccolo membro, eppure si vanta di grandi cose. Osservate: un piccolo fuoco può incendiare una grande foresta! Anche la lingua è un fuoco, è il mondo dell’iniquità. Posta com’è fra le nostre membra, contamina tutto il corpo e, infiammata dalla geenna, dà fuoco al ciclo della vita” (3:5,6).

Adesso che le opinioni sul coronavirus stanno infiammando gli animi di tutti, perfino i credenti stanno permettendo alle loro lingue di incendiare e rovinare rapporti coi fratelli in fede, con giudizi reciproci, provocando addirittura spaccature nelle chiese.

In effetti, la pandemia ha palesato quanto siano fragili l’unità e l’amore fra i credenti nelle chiese evangeliche.

Non è stato il coronavirus ad aver introdotto i dissensi nelle chiese, che purtroppo ci sono da sempre, ha solo contribuito a riportare alla luce problemi non affrontati e irrisolti. È triste dover ammettere che i litigi nelle chiese non sono una novità, e temo che non cesseranno finché saremo su questa terra.

DISTINTAMENTE DISCEPOLI 

Molti sono pronti a difendere le loro posizioni nelle controversie, citando versetti biblici come se fossero armi. 

Anche se alcune divisioni sono legittime, perché basate su chiare indicazioni delle Scritture, molte altre non lo sono affatto, anche perché è raro che una spaccatura sia dettata dall’amore. Le scissioni sono piuttosto eventi senza espressioni di affetto.

Ma l’amore nella chiesa non è un’opzione, come un’ideale da ricercare “quando possibile”. Al contrario, è un elemento fondamentale per la vita in comune dei veri cristiani.

Proprio perché Gesù lo sapeva ha dichiarato: “Io vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri. Come io vi ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri. Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri (Giovanni 13:34,35). 

Quando l’amore è manifestato e vissuto in modo pratico nella chiesa locale, si ha la dimostrazione che i veri cristiani sono anche veri discepoli. Non professano la fede soltanto a parole, ma la vivono in pratica nei rapporti. 

“Ogni potere mi è stato dato in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutte quante le cose che vi ho comandate. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente” (Matteo 28:18-20).

Il piano di Dio è che chi crede in Cristo sia anche suo discepolo, e che, mettendo in pratica la sua Parola, evangelizzi altre persone invitando anche loro a diventare discepoli di Gesù. 

Ma non tutti quelli che fanno una professione di fede diventano automaticamente discepoli. Forse bisognerebbe spiegare bene che chiamarsi cristiano implica l’essere un discepolo di Cristo. Magari parliamo della salvezza senza menzionare che è strettamente legata al concetto di discepolato.

Fare di qualcuno un discepolo di Cristo vuol dire “insegnargli a osservare tutte quante le cose che Cristo ha comandate”. Il Signore ne ha comandate tante che fanno sì che la vita cristiana sia un cammino vero e proprio, ossia un progredire durante tutta la vita. Ma cosa dimostra che un cristiano è anche vero discepolo? L’amore fra i credenti ne è la prova. 

Non si tratta di un amore fatto di parole vuote, ma di fatti e gesti concreti che lo esprimono e lo fanno vivere. Ma troppo spesso le nostre parole tradiscono quello che cova effettivamente il nostro cuore, e così demoliamo con la nostra bocca rapporti che abbiamo costruito in anni.

Parliamo di evangelizzazione, altra prova di amore. Se nemmeno i bollettini dei morti per Covid, quotidianamente aggiornati, ci spingono a riflettere sulla realtà della morte, mi domando che cosa mai potrà farlo allora. 

Non si tratta solo di numeri. I morti sono morti davvero, e quelli che non erano diventati figli di Dio credendo in Cristo Gesù sono realmente andati all’inferno, indipendentemente dalla causa della loro morte. Davanti a tutto questo, il vero credente è impossibile che rimanga insensibile. 

La comunione tra i credenti è una testimonianza importante quanto la nostra vita privata. Per questo Gesù ha detto: “Non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola: che siano tutti uno; e come tu, o Padre, sei in me e io sono in te, anch’essi siano in noi: affinché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Giovanni 17:20,21).

L’unità tra i veri cristiani è un mezzo che Dio ha stabilito per invitare le persone nel mondo a credere che Gesù è il Figlio di Dio, e che è venuto per salvare coloro che credono in lui.

L’unità nella chiesa e l’amore tra veri credenti riguardano te personalmente, e cominciano da te. 

Sono l’espressione visibile che Dio ci ha salvati. Ecco le parole dell’Apostolo Pietro chiare e solenni: 

“E se invocate come Padre colui che giudica senza favoritismi, secondo l’opera di ciascuno, comportatevi con timore durante il tempo del vostro soggiorno terreno; sapendo che non con cose corruttibili, con argento o con oro, siete stati riscattati dal vano modo di vivere tramandatovi dai vostri padri, ma con il prezioso sangue di Cristo, come quello di un agnello senza difetto né macchia. Già designato prima della fondazione del mondo, egli è stato manifestato negli ultimi tempi per voi; per mezzo di lui credete in Dio che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria affinché la vostra fede e la vostra speranza siano in Dio.
“Avendo purificato le anime vostre con l’ubbidienza alla verità per giungere a un sincero amor fraterno, amatevi intensamente a vicenda di vero cuore, perché siete stati rigenerati non da seme corruttibile, ma incorruttibile, cioè mediante la parola vivente e permanente di Dio” (1 Pietro 1:17-23).

Avere conosciuto Cristo, essere quindi stati acquistati da lui e rigenerati, produce in ogni vero credente un intenso amore sincero, non forzato. L’ascolto della Parola di Dio e la sua applicazione pratica alla nostra vita dovrebbe spingerci ad amare gli altri proprio in questo modo. 

Ma il nostro amore deve anche essere messo alla prova, perché l’unità tra i credenti è minata dal fatto che siamo fallibili e difficili da amare. Proprio per questo motivo Pietro scrive: “Soprattutto, abbiate amore intenso gli uni per gli altri, perché l’amore copre una gran quantità di peccati” (1 Pietro 4:8). 

Sapevi che la parola “intenso” nella lingua originale significa amare “con la mano tesa”? Una mano tesa invita fratelli e sorelle ad avvicinarsi a te. 

Ami con le braccia tese o conserte? 
Il tuo braccio è teso per accogliere o per tenere lontano? 
Ami in modo discriminatorio, dimenticando che se non fosse per Cristo saremmo tutti odiosi e difficili da amare (Tito 3:1-7)?

I dissidi fra credenti e fra chiese per opinioni diverse sul Covid stanno influenzando anche i veri credenti a vivere con il braccio teso pieno di giudizio, in aperto conflitto gli uni contro gli altri. 
È possibile che abbiamo dimenticato cosa ci unisca e cosa Dio abbia fatto in noi?

L’ORIGINE DELL’UNITÀ

Da dove proviene l’unità di cui abbiamo parlato, e cosa si aspetta Dio da noi? 

L’Apostolo Paolo lo spiega alla chiesa di Efeso così: 

“Io dunque, il prigioniero del Signore, vi esorto a comportarvi in modo degno della vocazione che vi è stata rivolta, con ogni umiltà e mansuetudine, con pazienza, sopportandovi gli uni gli altri con amore, sforzandovi di conservare l’unità dello Spirito con il vincolo della pace. Vi è un corpo solo e un solo Spirito, come pure siete stati chiamati a una sola speranza, quella della vostra vocazione. V’è un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, fra tutti e in tutti” (Efesini 4:1-6).

Leggendo questo passo alcune verità basilari devono rimanere impresse nella nostra mente.

Prima di tutto, con il nostro comportamento possiamo onorare Cristo e ciò che ha fatto per noi, oppure possiamo comportarci in modo indegno e irrispettoso verso di lui. Un discepolo, ovviamente, desidera solo seguire il Maestro, ed evitare qualunque cosa possa diffamarlo. 

Non siamo degni della salvezza (“vocazione”) e non lo saremo mai, perché più volte la Parola di Dio ribadisce che non possiamo meritare il favore di Dio. La salvezza è un dono (Efesini 2:1-10). È poco ma sicuro, però, che possiamo essere incoerenti col nostro comportamento rispetto al nostro rapporto con Dio.

Una seconda verità, sottintesa nelle parole di Paolo, è che il credente non è risparmiato dalle difficoltà. Lui scriveva dalla prigione, infatti da quando si era convertito a Cristo la sua vita era stata segnata da momenti di grande sofferenza, spesso a causa della sua testimonianza e dell’ostilità dei capi religiosi e delle autorità politiche del suo tempo. 

Alcuni pensano che l’assenza di problemi sia una conferma che Dio approvi il nostro comportamento, ma non è così! L’unico modo per valutare e capire senza errori se Dio sia soddisfatto del nostro comportamento oppure no, è confrontarci con la sua Parola.

La terza verità è che siamo chiamati a conservare l’unità, e non a produrla. Non possiamo creare l’unità, ma possiamo rovinarla e siamo anche bravi nel farlo!

Umiltà, mansuetudine, pazienza e sopportazione amorevole sono gli atteggiamenti necessari nella vita di coloro che non vogliono essere un ostacolo all’unità nella chiesa.

La mancanza di umiltà non è solo un problema tra un credente e l’altro, ma anche tra il credente e Dio. 
Dio resiste ai superbi, quelli che si confrontano in prima persona con sé stessi. L’orgoglio dell’uomo, il voler diventare come Dio, è stato il motivo principale della sua caduta e continua a essere il suo tallone d’Achille. 

L’orgoglio ci spinge a credere che le nostre opinioni siano le migliori, e che debbano prevalere nei confronti degli altri. 

L’orgoglio distrugge qualsiasi possibilità di unità nella chiesa. 

Per orgoglio lasciamo le nostre convinzioni soggettive fermentare incontrollate dentro di noi fino a che, in un attimo, traboccano producendo astio e disprezzo quando ci confrontiamo con gli altri. 

Avere idee diverse e fare valutazioni differenti è normale, ma con la mansuetudine è possibile prevenire le reazioni sbagliate. Quando manca la mansuetudine, che è la forza sotto controllo, le reazioni rischiano di essere peccaminose, portando anche divisione. 

La pazienza è la capacità di non reagire quando si è sotto stress. 
Ci vuole pazienza nelle situazioni che non ci piacciono, davanti a opinioni o comportamenti che ci urtano e che ci sembrano sbagliati. 

Il fatto che Paolo menzioni la pazienza, dimostra che ci saranno sempre motivi per potenziali conflitti. Cosa sceglieremo di fare in quei momenti? Sceglieremo la sopportazione pacifica? Fino a che punto siamo pronti a spingerci per proteggere la pace? 

Giacomo scrive: 

“Chi fra voi è saggio e intelligente? Mostri con la buona condotta le sue opere compiute con mansuetudine e saggezza.
Ma se avete nel vostro cuore amara gelosia e spirito di contesa, non vi vantate e non mentite contro la verità. Questa non è la saggezza che scende dall’alto; ma è terrena, animale e diabolica. Infatti dove c’è invidia e contesa, c’è disordine e ogni cattiva azione. 
La saggezza che viene dall’alto, anzitutto è pura; poi pacifica, mite, conciliante, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale, senza ipocrisia. Il frutto della giustizia si semina nella pace per coloro che si adoperano per la pace” (Giacomo 3:13-18).

Pensi di poter difendere il tono aspro delle tue parole e legittimare l’atteggiamento con cui le dici, solamente citando le Scritture? 
Tendi a giustificare la durezza dei termini che usi ostentando la tua spiritualità? 

È difficile conciliare le parole di Giacomo con l’atteggiamento intollerante sempre più comune tra le persone.

PRESERVARE L’UNITÀ 

L’unità dei credenti non nasce per sforzi, patti e alleanze umane. È Dio che la produce tra i suoi figli. Nessun credente è capace di crearla. Il Signore stesso la stabilisce in modo sovrannaturale, in un modo inimmaginabile per l’uomo. 

Dio ha già compiuto delle azioni per il vero cristiano che lo hanno unito realmente a tutti coloro che Egli ha salvato nei secoli, in tutto il mondo (Efesini 2:11-18).

I veri cristiani del 2021 sono uniti da un vincolo sovrannaturale a tutti i cristiani del primo secolo. E sono uniti anche ai credenti dell’anno 500 e del 1500. Sono uniti perché Dio li ha uniti.

Questa unità continua a esistere attraverso tutte le epoche, e si estende anche geograficamente, arrivando a ogni credente ovunque nel mondo. Noi che siamo in Italia siamo uniti ai nostri fratelli islandesi, i credenti francesi sono uniti con i credenti brasiliani, come i fratelli giapponesi sono uniti ai fratelli canadesi e quelli americani con quelli afgani. Uniti di fatto!

Ma attenzione! Dato che non richiede nessuno sforzo particolare mantenere l’unità con chi non ho mai visto e non conosco (non può mica pestarmi i piedi né i miei modi possono offenderlo!) serve una prova del nove.

Per questo l’unità deve manifestarsi nella chiesa locale, dove chiunque potrebbe dire e fare cose che mi irritano, avere convinzioni diverse dalle mie, educare i figli in modo diverso da me… 

Per non parlare del fatto che a volte veniamo da culture diverse, forse qualcuno parla troppo o troppo poco, c’è chi è puntuale mentre io fatico ad arrivare in orario alle riunioni... C’è chi serve con gioia e chi schiva qualsiasi responsabilità. Forse si cantano i canti che ci piacciono o si preferiscono gli inni che ci addormentano, c’è chi prega a lungo e chi non prega in pubblico… 

L’unità è messa sotto pressione e provata proprio nella comunità!

I PARAMETRI DELL’UNITÀ

Un corpo, uno Spirito, una speranza, un Signore, una fede, un battesimo, un Dio e Padre. 
Sette realtà singolari che solo un vero cristiano può avere. 

Dio non ci ha chiamato a unirci con tutte le persone religiose, morali o sincere. Vuole piuttosto che ci impegniamo a preservare l’unità con tutti coloro che Lui sovranamente ha deciso di unire a noi in un solo corpo.

Solo i veri cristiani fanno parte del corpo di Cristo, e noi abbiamo la responsabilità di curarli e accettare tutti senza reputarci superiori o considerarli inutili. Questo Dio vuole da noi.

Lo Spirito Santo ha convinto loro come ha fatto con noi di peccato, di giustizia e di giudizio, e continua a camminare accanto a loro nel processo di santificazione. 

Tutti i veri cristiani trascorreranno certamente l’eternità con noi, quindi sarà meglio che impariamo ad andare d’accordo già da ora. 

Ogni vero credente ha un solo Signore: appartiene a Gesù Cristo, è suo schiavo e suo servitore. Come noi, anche lui deve rispondere delle sue azioni direttamente a Cristo. 

La chiesa è un gruppo esclusivo perché c’è solo una fede che permettere di entrarvi, ed è la fede in Gesù Cristo. 

C’è un solo vangelo che salva, un solo mediatore fra Dio e gli uomini. Gesù è il Signore e Salvatore di ogni vero cristiano. 

C’è un solo battesimo biblico che esprime visibilmente quello che Dio ha fatto interiormente nei suoi figli, ed è il battesimo per immersione che ci accomuna a Cristo: siamo morti al peccato, rinati come nuove creature, desideriamo camminare in santità, e Dio è il nostro Padre perché ci ha fatti rinascere quando abbiamo creduto in Cristo Gesù. Egli è sovrano e attento alle nostre vite.

Sono realtà che non possiamo contraffare né produrre per noi stessi o per un’altra persona. Possiamo solo pregare che Dio lo faccia.

PROTETTORI DELL’UNITÀ

Tu e io abbiamo il compito importante di proteggere l’unità nella chiesa prevenendo le spaccature, vaccino o non vaccino, mascherine o non mascherine. 

Per quanto le nostre opinioni possano essere ragionate e radicate, la responsabilità che abbiamo gli uni verso gli altri è più importante. 

Nessuno si aspettava una pandemia come il coronavirus. Nessuno di noi la poteva immaginare né aveva mai vissuto prima un evento di tale portata. 

Ma è anche proprio in vista di tempi come questi, quando la chiesa è messa sotto pressione da eventi politici o catastrofici, che Dio ha stabilito delle guide in ogni chiesa con il compito di pascere il gregge, che è difficile da guidare. Lo devono fare con l’atteggiamento giusto, con attenzione e sottomissione al Signore.

Le istruzioni molto pratiche di Paolo a  Timoteo valgono ancora: “Evita inoltre le dispute stolte e insensate, sapendo che generano contese. Il servo del Signore non deve litigare, ma deve essere mite con tutti, capace di insegnare, paziente” (2 Timoteo 2:23,24).

Piangiamo per il nostro peccato di permettere o provocare divisioni! Piangiamo perché le moltitudini muoiono senza Cristo. Piangiamo se nelle nostre chiese non c’è amore e unità. 

Ma se invece nella tua chiesa l’amore e l’unità regnano, allora ringrazia Dio, e sii pronto e sveglio per proteggerla contro qualsiasi nemico voglia minarla.

Comportiamoci da figli di Dio!

– D.S.

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La VOCE agosto2020

In questi ultimi mesi abbiamo tutti seguito con una certa ansia i bollettini dei contagi e dei decessi quotidiani sui telegiornali.

Le difficoltà fanno emergere la vera consistenza della nostra fede: è un principio spirituale.

Nel Vangelo di Luca un episodio fa riflettere su come possiamo affrontare la pandemia del COVID-19 con il dovuto equilibrio, senza cadere nel sentirci troppo o troppo poco spirituali. Luca racconta di una tempesta che si abbatté su Gesù e i discepoli in mezzo a un lago. 

“Un giorno egli salì su una barca con i suoi discepoli, e disse loro: «Passiamo all’altra riva del lago». E presero il largo. Mentre navigavano, egli si addormentò; e si abbatté sul lago un turbine di vento, tanto che la barca si riempiva d’acqua, ed essi erano in pericolo. I discepoli, avvicinatisi, lo svegliarono, dicendo: «Maestro, Maestro, noi periamo!» Ma egli, destatosi, sgridò il vento e i flutti, che si calmarono, e si fece bonaccia. Poi disse loro: «Dov’è la vostra fede?»” (Luca 8:22-25).

In questa storia, ti sarebbe mai venuto in mente che Gesù potesse essere colto di sorpresa dalla tempesta? O che si trovasse per caso sulla barca con i discepoli proprio in quelle circostanze? 

Oppure che non gli importasse nulla di loro perché si era messo a dormire, mentre la situazione precipitava?

Certamente no! 

Niente di ciò che accadde era stato lasciato al caso, ma ogni dettaglio era stato pianificato con uno scopo ben preciso. 

Quel giorno, infatti, doveva servire da lezione pratica e indimenticabile per i discepoli. 

Avrebbero appreso come reagire nelle difficoltà. 

Avrebbero realizzato cosa pensavano realmente di Gesù. E semmai fossero entrati un’altra volta nel panico, sarebbero stati capaci di identificare subito il vero problema.

 

A questo punto del ministero pubblico di Gesù, i discepoli avevano già trascorso molto tempo con lui, lo avevano visto fare miracoli e guarire tantissima gente da ogni tipo di malattia. Ma, per quello che ne possiamo sapere, non si erano ancora mai trovati in una situazione del genere, in pericolo di vita. 

Erano pescatori esperti. Sapevano valutare bene le condizioni del tempo. Nulla faceva loro presagire una bufera. Quel turbine li ha colti di sorpresa.

Il loro grido diceva tutto: “Maestro, Maestro noi periamo!” Matteo dice che esclamarono: “Signore, salvaci, siamo perduti!” e Marco precisa che gli dissero anche: “Maestro, non ti importa che moriamo?”

Era una reazione legittima dal punto di vista umano. Erano in balia degli elementi e non sapevano se sarebbero sopravvissuti.

È normale sentirsi spaventati e preoccuparsi per la propria incolumità davanti al pericolo della morte. Ma bisogna anche sapere come affrontare e gestire questa paura, senza diventarne succubi. 

Era questa la lezione che i discepoli dovevano ancora imparare.

Il loro problema era legato a una piccola parola di quattro lettere: “fede”. Infatti, Gesù gli domandò: “Dov’è la vostra fede?” e Matteo ci racconta che 

Gesù aggiunse: “Perché avete paura, o gente di poca fede?”

I discepoli, fino a quel momento, non avevano ancora capito che Gesù era Dio incarnato, e che per lui nulla è impossibile. E sembra che non avessero capito nemmeno le sue intenzioni e i suoi sentimenti verso di loro, perché preoccupati esclamarono: “Non ti importa?!”

 

Il COVID-19 si è abbattuto sul mondo come un turbine inaspettato. Eravamo tutti impreparati. Possiamo facilmente identificarci con i discepoli nella loro angoscia. Ma Dio non è mai sorpreso né dagli eventi né dalle nostre reazioni, e tantomeno dalle nostre paure.

E la domanda che Gesù rivolge a noi, nelle nostre circostanze, è la stessa: dov’è la tua fede? Perché hai così poca fede?

Il coronavirus ha messo a nudo quello che pensiamo realmente su Dio.

Alcuni hanno espresso apertamente i loro dubbi sulla responsabilità di Dio in questa pandemia e sulla sua disposizione nei loro confronti: “Se Dio fosse davvero buono… se fosse davvero sovrano… se mi amasse davvero, sarebbe intervenuto.”

Ma se abbiamo tentennato, se la nostra fiducia in Dio si è dimostrata debole, una cura c’è. E funziona! La cura è lo studio della Parola di Dio. 

Dio si rivela nella Bibbia, perciò noi impariamo a conoscerlo leggendola, studiandola e mettendola in pratica. Più noi ubbidiamo a quello che Egli dice nelle Scritture, più lo conosceremo, e più convinti saremo della sua onnipotenza, dei suoi pensieri di pace e della sua cura verso noi (Geremia 29:11; Luca 12:22-32). 

Conoscere Dio fa maturare la mia fede e affrontare più serenamente anche le avversità, ed era questo ciò che ancora mancava ai discepoli. 

Ma attenzione! Non dovevano “avere fede che la tempesta si sarebbe calmata”, perché poteva anche non essere nei piani di Dio. Nemmeno dovevano pensare di riuscire a salvarsi per la “loro fede”. Non dovevano “dichiarare per fede” che un qualche miracolo, che Dio non aveva promesso, li avrebbe tirati fuori dal pericolo. Non è questa la fede che onora Dio.

Dovevano piuttosto avere fede in Dio che, qualunque cosa fosse accaduta, Egli avrebbe guidato e coordinato ogni cosa secondo i suoi scopi eterni.

 

Durante il lockdown, tante chiese, per non interrompere del tutto la comunione tra i credenti, hanno spostato gli incontri settimanali su piattaforme come Facebook, ZOOM, Skype e altre. Questo ha fatto sì che si potessero raggiungere anche persone che non erano mai venute in chiesa, o poco attratte dalle cose spirituali. 

La Parola di Dio è entrata in diverse case dove non era stata mai predicata prima, e non è poco! 

Ma anche se gli incontri virtuali sono serviti, e servono, per la propagazione del vangelo in questo nuovo contesto, non sono come incontrarsi di persona. Anzi, a lungo andare, possono addirittura rappresentare un impedimento per una crescita spirituale sana. 

Mi spiego. Non dover uscire di casa, ma poter assistere al culto con una tazza di caffè, seduti comodamente a casa in pantofole (spero non in pigiama!) può avere reso pigri e svogliati i credenti.

Ricordo quando mi ero rotto il legamento crociato e dovevo usare le stampelle per mesi. Menomale che ce le avevo, almeno mi potevo muovere. Ma non era la stessa cosa che camminare!

La vera chiesa non è virtuale. La chiesa sana è formata da un gruppo di credenti che si incontrano di persona, si conoscono, si amano, si curano. 

Ha bisogno di tempo, dedizione, sforzo e tanto lavoro, ed è il piano di Dio per la nostra crescita.

Può darsi che continueremo a incontrarci in gruppi ridotti, e che porteremo ancora le mascherine, e che dovremo astenerci dall’abbracciare e salutare gli altri come prima, ma spero pure che non sentiremo la nostalgia di vivere la chiesa virtualmente e isolati. 

 

I credenti continuano ad avere bisogno di cura. Il discepolato è, purtroppo, ancora un concetto poco praticato nelle chiese. Molti non capiscono di cosa si tratta, altri non sanno come fare, e altri ancora lo rifiutano in partenza. 

Ma discepolare qualcuno non è altro che seguire da vicino e curare personalmente la sua crescita spirituale. Questa cura personale e individuale è parte integrante della vita di una chiesa.

Il Nuovo Testamento è pieno di espressioni del tipo “gli uni gli altri”. 

Forse questa pandemia ha portato qualcuno ad apprezzare l’isolamento, e a sviluppare un nuovo piacere nello stare per conto proprio. Ma se siamo diventati lavativi e pigri trascurando pure chi ha bisogno di essere discepolato, non è certo quello che Dio desidera da noi.

Se dovessimo trovarci di nuovo nella condizione di dover restare chiusi in casa, faremmo bene a impegnarci al massimo, anche essendo creativi, nel curarci gli uni gli altri. 

Il distanziamento sociale può esserci imposto, ma non dobbiamo permettere a nessuno di obbligarci al distanziamento spirituale!

 

Quante cose “necessarie” non sono state possibili! Ho scoperto negli ultimi mesi che tante cose che ritenevo necessarie si sono dimostrate piuttosto inutili. 

Forse una tra queste è il calcio, che non è qualcosa di vitale. Siamo onesti: ne abbiamo sentito la mancanza così tanto? A pensarci bene, siamo riusciti a sopravvivere anche senza.

Le restrizioni imposte alla nostra “normalità” avrebbero dovuto farci riflettere sulle nostre priorità abituali. 

Normalmente ci sembra che non abbiamo mai il tempo di frequentare lo studio infrasettimanale, di fare la nostra meditazione biblica quotidiana, di leggere un buon libro… Ci manca il tempo per stare in famiglia e avere un impatto spirituale nella 

vita dei nostri figli. Adesso che le restrizioni si stanno allentando torneremo a permettere che siano la società e le abitudini a prendere il controllo del nostro tempo?

L’apostolo Paolo ha scritto: “Guardate dunque con diligenza a come vi comportate; non da stolti, ma da saggi; ricuperando il tempo perché i giorni sono malvagi. Perciò non agite con leggerezza, ma cercate di ben capire quale sia la volontà del Signore” (Efesini 5:15-17).

Impiegare il mio tempo secondo la volontà di Dio non accadrà mai per caso, ma sarà il frutto di un ragionamento attento e coscienzioso.

La morte ha colpito molti di sorpresa! L’apostolo Paolo ha scritto: “Pregate nello stesso tempo anche per noi, affinché Dio ci apra una porta per la parola, perché possiamo annunciare il mistero di Cristo, a motivo del quale mi trovo prigioniero, e che io lo faccia conoscere, parlandone come devo. Comportatevi con saggezza verso quelli di fuori, ricuperando il tempo. Il vostro parlare sia sempre con grazia, condito con sale, per sapere come dovete rispondere a ciascuno” (Colossesi 4:4-6).

Quante persone sono entrate in ospedale e non ne sono più uscite vive! Isolate da parenti e amici, prigioniere della loro solitudine e della paura. 

Quanti di loro avranno avuto l’opportunità di ricordare in quei momenti il messaggio della salvezza che forse un vicino di casa, un collega, un parente o un amico aveva presentato loro?

Sono sicuro che, mentre la loro capacità di respirare diminuiva, hanno pensato alla morte e alle sue conseguenze.

 

Spero tanto che questa pandemia ci abbia fatto riflettere sulla nostra responsabilità di parlare del vangelo alle persone intorno a noi. Come ascolteranno, se non c’è chi predichi?

Non possiamo tornare indietro nel tempo e rifare tutto, ma possiamo andare avanti con nuovi propositi e nuova determinazione a parlare di Cristo a coloro che Dio mette intorno a noi. 

Questo è il motivo per cui abbiamo ideato le quattro pagine interne di questo numero della VOCE come un opuscolo da passare a un amico non credente. Se vuoi altre copie per la distribuzione, scrivici o chiamaci e saremo felici di inviartele gratuitamente!

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N.B.: Puoi leggere l'opuscolo "Il coronavirus ha cambiato la mia vita" cliccando sull'immagine qui sotto oppure cliccando QUI!

 

 

La VOCE aprile 2020

Più di 3000 anni fa, l’intera nazione d’Egitto fu messa in ginocchio da un’escalation di calamità, che ha raggiunto il suo culmine quando in una sola notte morirono tutti i primogeniti, uomini e animali, dell’intero paese. 

La morte colpì ogni famiglia. Molti dovettero affrontare più di un lutto quando perirono padri, figli, fratelli e parenti tutti in una volta. 

Non faceva differenza se uno era ricco o povero, nobile o mendicante.

“A mezzanotte, il SIGNORE colpì tutti i primogeniti nel paese d’Egitto, dal primogenito del faraone che sedeva sul suo trono al primogenito del carcerato che era in prigione, e tutti i primogeniti del bestiame. Il faraone si alzò di notte, egli e tutti i suoi servitori e tutti gli Egiziani; e vi fu un grande lamento in Egitto, perché non c’era casa dove non vi fosse un morto” (Esodo 12:29,30).

Il paese fu invaso dal panico.

Il faraone, sapendo che queste morti facevano parte dell’ultimo dei flagelli di Dio, chiamò Mosè e Aaronne, di notte, e disse: “Alzatevi, partite di mezzo al mio popolo, voi e i figli d’Israele. Andate a servire il SIGNORE, come avete detto. Prendete le vostre greggi e i vostri armenti, come avete detto; andatevene, e benedite anche me!” 

“Gli Egiziani fecero pressione sul popolo per affrettare la sua partenza dal paese, perché dicevano: «Qui moriamo tutti!» 

“Il popolo portò via la sua pasta prima che fosse lievitata; avvolse le sue madie nei suoi vestiti e se le mise sulle spalle.

“I figli d’Israele fecero come aveva detto Mosè: domandarono agli Egiziani oggetti d’argento, oggetti d’oro e vestiti; il SIGNORE fece in modo che il popolo ottenesse il favore degli Egiziani, i quali gli diedero quanto domandava. Così spogliarono gli Egiziani” (Esodo 12:31-36).

LA PAURA non fu abbastanza

Fa riflettere la reazione degli Egiziani davanti a questa gravissima sciagura. 
Non si piegarono. Non si pentirono. 
Non vollero avere a che fare né con gli Israeliti né con il Signore. 

Esodo 12:38 dice che “una folla di ogni specie” partì con gli Ebrei, senza specificare chi fossero. Può essere che ci fosse qualche egiziano tra loro, ma più avanti nella storia, in Numeri 11:4, questa “accozzaglia di gente” provocò su se stessa un terribile flagello che la sterminò presso il luogo chiamato eloquentemente “i sepolcri della concupiscenza”. 

Sembra che nessuno di loro si sia convertito al Dio di Israele. 

Al contrario loro, quando Dio in altre simili occasioni aveva fatto conoscere la sua ira contro il peccato, un gran numero di pagani si era rivolto a Lui, invocando perdono. 

I Niniviti, un popolo spietato, temuto per la loro ferocia disumana, sotto la minaccia di un’ecatombe per l’intera città proclamato da Giona, credettero a Dio. Si erano pentiti ed erano divenuti veri seguaci del Dio d’Israele. Nel giorno del giudizio essi giudicheranno e condanneranno gli Ebrei che hanno rigettato il Messia, la sua morte e la sua resurrezione (Matteo 12:41).

LA FINE è DIETRO L’ANGOLO

Oggi molta gente si fa prendere dall’ansia a causa delle notizie sul numero di morti per il Coronavirus, ma si dimentica che in un passato, neanche troppo lontano, ci sono state altre piaghe molto più devastanti. 

Circa 500 milioni di persone sono morte a causa del vaiolo.
Ogni anno muoiono 30.000 persone a causa della febbre gialla.
La tubercolosi infetta una persona ogni secondo, e nel 2012 sono morte 1.300.000 persone per questo.
Il morbillo in Africa e in Asia procura 22 morti ogni ora.
Il cancro più letale, quello ai polmoni, miete 1.380.000 morti all’anno.
Una delle più devastanti epidemie della storia contemporanea è quella della febbre spagnola tra il 1918 e il 1919; il numero dei morti sarebbe stato tra i 30 e i 50 milioni. 
Si calcola che l’HIV abbia sterminato 39 milioni di persone. 

La morte è la conseguenza del peccato, decretata da Dio. 

Noi tutti moriremo. Ma viviamo la nostra vita come se non fosse così. 

Ci alziamo la mattina e andiamo a letto la sera aspettandoci che domani sarà uguale. Fino a che non capiti una situazione come il Coronavirus, che ci costringe ad aprire gli occhi sulla nostra mortalità. 

Ci sarà un tempo in cui miliardi di persone sulla terra moriranno! 

In un primo momento un quarto della popolazione terrestre morirà, poi addirittura un terzo (Apocalisse 6:8; 9:18). Ma oggi, la mano di Dio non è ancora venuta con tutta la sua forza per uccidere gli uomini.

Peggio del Coronavirus

Luca, nel suo Vangelo, capitolo 22, racconta che Gesù desiderò grandemente celebrare quella che sarebbe stata la sua ultima Pasqua con i suoi discepoli. In una grande stanza privata, insieme ai suoi amici più intimi, la celebrò in un momento estremamente difficile per lui. Da lì a poco, infatti, avrebbe affrontato la prova più dura della sua esistenza eterna: la separazione da suo Padre.

Quella sera lui instaurò “la cena del Signore” servendosi di due elementi tradizionali della celebrazione giudaica della Pasqua: il calice e il pane non lievitato. Sarebbe divenuto una parte importante dell’adorazione dei veri credenti, attraverso la storia della chiesa.

In tutto il mondo cristiano si celebra la cena del Signore. Per moltissimi è poco più che un rito sterile e formale, forse un po’ mistico. Sicuramente non ne comprendono il significato. 

Per chi, invece, conosce Dio e fa parte della sua famiglia non è affatto così. È una celebrazione solenne che richiede il giusto atteggiamento.

La cena del Signore acclama la vittoria sulla principale causa di morte per l’essere umano: il peccato. 

Ogni essere umano morirà di qualcosa, ma sempre a causa del suo peccato. 

La morte fisica è la logica conseguenza della morte spirituale dell’uomo, alienato dal suo Creatore, per il suo peccato per il quale l’ira di Dio risiede sopra di lui.

Cristo, il Figlio incarnato di Dio, ha vissuto la vita moralmente perfetta che nessuno di noi è capace di vivere. Non avendo peccato non doveva morire. Ma ha scelto di addossarsi la colpa del peccato di tutti coloro che avrebbero creduto in lui, ed è morto sulla croce per riconciliare il peccatore con il suo Creatore. 

Dio Padre ha accettato questo sacrificio risuscitando Gesù e dandogli il nome che è al di sopra di ogni nome affinché noi lo riconoscessimo come Signore e ricevessimo, per fede nei suoi meriti, la vita eterna (Filippesi 2:5-11).

I credenti che leggono e studiano la Bibbia conoscono bene queste verità, ma forse a volte si perde di vista la vera portata di ciò che Gesù ha fatto. 

Ci teniamo aggiornati su come il virus stia diffondendosi nel nostro paese, chiedendoci allarmati che effetto avrà sulla nostra vita. Ma mentre partecipiamo alla cena del Signore dimentichiamo che stiamo celebrando l’incredibile soluzione di Dio al peggiore virus che esista, e che ha già infettato ogni essere umano molto prima del sorgere del primo batterio al mondo. È stato Adamo il paziente zero che ha infettato tutti i suoi discendenti.

FATELO IN MEMORIA DI ME!

È per questa nostra tendenza di partecipare disattenti e superficiali alla commemorazione del sacrificio di Cristo che Paolo ci ha lasciato, in 1 Corinzi 11, le istruzioni su come fare.

Prima di tutto la cena del Signore ci ricorda che Gesù è morto. 

Nel gesto e nelle parole di Gesù non c’era nulla di mistico. Il pane che egli spezzò e distribuì ai suoi discepoli rappresentava il suo corpo che da lì a poco sarebbe morto realmente sulla croce. 

Era pane, e pane restò anche quando i discepoli lo mangiarono. 

Nessuna transustanziazione.

Gli elementi più importanti della cena del Signore non sono infatti il pane e vino, che sono solo dei simboli, come lo erano la “porta” e la “luce” o la “vite” nei discorsi di Gesù. Quello invece che importa davvero è la sua morte sul Golgota, duemila anni fa.

Il pane e il vino non hanno nessuna virtù intrinseca e non portano nessun beneficio a chi mangia e beve. 

È la morte del Figlio di Dio quella che ha reso possibile essere perdonati dei nostri peccati. 

Il secondo motivo per cui Gesù ha instaurato la santa cena riguarda il fatto che ci ricorda la gravità del peccato. 

Dopo aver reso grazie, Gesù ruppe il pane e disse: “«Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me». Nello stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne berrete, in memoria di me” (1 Corinzi 11:24,25).

Il problema del peccato non può essere sorvolato né dev’essere minimizzato. 

Non si risolve la colpa mettendo su un piatto della bilancia i nostri peccati e sull’altro le buone opere. Un singolo peccato è sufficiente per condannare l’uomo alla morte eterna nell’inferno. Cosa mai potresti fare di così nobile ed eccezionale da revocare questa condanna? 

Per risolvere il nostro peccato Dio ha dovuto prendere l’iniziativa. È sceso in terra nella persona di Gesù Cristo. 

Nel Getsemani, quella stessa notte in cui istituì la cena del Signore, Gesù era in un’agonia tale che dal forte stress sudò grosse gocce di sangue per la rottura dei suoi capillari. Pregò Dio con voce straziata, chiedendogli, se fosse stato possibile, di risparmiarlo da quella imminente separazione da Lui (Luca 22:39-46). L’eterno Figlio di Dio non era mai stato separato dal Padre, non aveva mai conosciuto l’ira di Dio.

Ma il Signore ha voluto stroncarlo con i patimenti. Ha fatto ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti (Isaia 53:5-11). 

Colui che non ha conosciuto peccato, Egli lo ha fatto diventare peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui (2 Corinzi 5:21).

Partecipare alla cena del Signore significa riconoscere la gravità del nostro peccato. Ma non è solo provare rimorso per quello che abbiamo fatto. Dovrebbe spingerci a odiare il peccato in tutte le sue manifestazioni, e a crocifiggere le nostre passioni e le nostre tentazioni. 

Ogni volta che ci accostiamo ai simboli del sacrificio di Cristo dovremmo essere nuovamente risoluti nel non voler peccare più, e smettere di considerare certi peccati come normali nella nostra vita.

La terza cosa da ricordare è che c’è un patto eterno nel sangue di Cristo. 

Un patto nelle Scritture è un accordo particolare tra due parti, per garantire pace, alleanza e aiuto reciproco, stabilito in presenza di testimoni, ratificato con un giuramento, quindi immutabile e inviolabile (Galati 3:15), celebrato con doni e banchetti, a volte con dei sacrifici, e in qualche caso si ergevano dei monumenti per stabilirne un ricordo perenne.

Il nuovo patto di cui Gesù è il mediatore è tutto questo, e molto di più (Ebrei 8:6-13).

- Il suo è un sacrificio fatto una volta per sempre, e per questo non può essere ripetuto (Ebrei 7:23-27; 9:24-28). 

- In virtù di esso siamo stati santificati una volta per sempre (Ebrei 10:10), e resi perfetti per sempre (v. 14). 

- La morte di Cristo è stata sufficiente per un perdono completo dei nostri peccati passati, per quelli presenti e per quelli futuri (Ebrei 10:18).

- Il suo sacrificio è l’unico che purifica le coscienze, ci permette di servire Dio ed è garanzia di un’eredità eterna in cielo (Ebrei 9:11-15).

Una volta per sempre, per l’eternità! C’è da celebrare! C’è da festeggiare!

Cosa proclami?

Dio, però non voleva che fosse solo un ricordo, ma anche una proclamazione: “Poiché ogni volta che mangiate questo pane e bevete da questo calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga” (1 Corinzi 11:26). 

Il verbo “annunciare” nel testo originale in greco è la stessa parola che altrove viene tradotta con “proclamare, predicare”. 

La commemorazione passa così dall’essere una comunione intima e privata con il Signore, a un annuncio personale e pubblico.

Ogni volta che partecipi alla Santa cena, affermi che Cristo è morto sulla croce. Che è morto al posto tuo, a causa dei tuoi peccati. Affermi che hai creduto personalmente, che hai messo la tua fede in quello che Cristo ha fatto sulla croce. 

Affermi anche che la tua non è una fede solo mentale, ma che Gesù è diventato effettivamente il tuo salvatore e Signore. Come ha detto l’apostolo Paolo: “Non sapete che il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete ricevuto da Dio? Quindi non appartenete a voi stessi. Poiché siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo” (1 Corinzi 6:19,20).

Affermi pubblicamente che non vivi più per te stesso, ma per il Signore. Giorno per giorno in piena comunione con Dio e con i tuoi fratelli in fede. Senza rancori o dissidi con nessuno. 

Il costo della superficialità

Fin qui pare chiaro che la cena del Signore deve essere considerata come un momento solenne, fonte di gioia e consolazione per il credente. Ma è anche un severo monito per non vivere la fede alla leggera. 

Non si può mentire a Dio che conosce tutto. Anania e Saffira l’hanno fatto e questo gli è costato la vita.

A Corinto, evidentemente, c’erano dei credenti che pensavano che, a motivo di Cristo, Dio fosse diventato più indulgente verso il loro peccato. Avrebbe chiuso un occhio.

“Perciò, chiunque mangerà il pane o berrà dal calice del Signore indegnamente, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. Ora ciascuno esamini se stesso, e così mangi del pane e beva dal calice; poiché chi mangia e beve, mangia e beve un giudizio contro se stesso, se non discerne il corpo del Signore. Per questo motivo molti fra voi sono infermi e malati, e parecchi muoiono” (1 Corinzi 6:27-30).

È partecipare indegnamente quando si resta aggrappati al peccato, a quell’idea, gesto, parola o atteggiamento infernale che ha portato il Signore a subire l’ira di Dio. 

Invece dobbiamo esaminarci, giorno per giorno, per essere sicuri che quello che celebriamo e annunciamo sia veramente vero nella nostra vita.

Trascurare questo esame può portarci addosso il giudizio. Con questo Paolo non stava alludendo che si possa perdere la salvezza, ma al fatto che Dio possa decidere piuttosto di far morire un suo figlio. 

Che non ti sia successo ancora, non è la garanzia che Dio approvi quello che fai. Egli ha promesso di riprendere, correggere, punire e disciplinare ogni figlio che ama (Ebrei 12:4-6; Apocalisse 3:19). 

Alcuni credenti, a causa di queste parole, evitano di andare in chiesa quando si celebra la cena del Signore, o si astengono dal parteciparvi. 

Per quanto sia giusto astenersi se ci sono peccati non confessati e non abbandonati, o se non si è in piena comunione con tutti, il piano di Dio non prevede che i suoi figli evitino di partecipare alla cena del Signore, ma che la cena stessa sia un continuo ammonimento a progredire in una vita di santificazione come discepoli in modo da piacere al Maestro.

La mia speranza è che in questo periodo in cui tanti celebrano la Pasqua, e tanti altri sono in ansia per il virus molto meno pericoloso del peccato, di cui tutti siamo affetti, possiamo emanare una pace e una serenità decisamente diverse da quelle con cui i nostri amici affrontano le loro difficoltà e le loro paure.  

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