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La Voce del Vangelo

La VOCE aprile 2021

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Un pizzico di sale 


Se tu potessi esprimere tre desideri che certamente si avvereranno, cosa chiederesti?

Aladdin, nel celebre film d’animazione, ebbe questa incredibile occasione grazie al Genio della lampada magica di cui era venuto in possesso. Al posto suo, con la mente di un bambino, qualcuno avrebbe desiderato far comparire un giocattolo straordinario o diventare grande all’istante, o magari non avere più i compiti da fare… Onestamente non riesco proprio a immaginare cosa avrei chiesto io. 

L’idea di desiderare qualcosa che poi si avvererà ha ispirato molti film in cui adolescenti, e pure adulti, passano gran parte del tempo a cercare di annullare gli effetti disastrosi della loro fantasia realizzata.

Crescendo i nostri gusti sono ovviamente cambiati, e oggi, alla mia età saprei cosa chiedere. 

E mi auguro che, messo alle strette da un’occasione tanto unica (solo tre desideri!) sarei anche altruista nelle mie richieste, e spero pure totalmente spirituale. 

“Aladino e la lampada magica” è solo una favola, ma c’è stato un uomo che veramente ha avuto la possibilità di chiedere a Dio ciò che voleva, ed Egli glielo concesse. 

Quell’uomo era Salomone il quale, davanti a quell’incredibile opportunità, chiese un cuore intelligente. Dio gli rispose al di là della sua richiesta, facendo di lui l’uomo più saggio che sia mai esistito (1 Re 3:5-14).

UNA DURA REALTÀ

Socrate ha detto: “Costui crede di sapere mentre non sa; io almeno non so, ma non credo di sapere. Ed è proprio per questa piccola differenza che io sembro di essere più sapiente, perché non credo di sapere quello che non so.”

Un altro pensatore, riflettendo sul fatto che la saggezza si ottiene solo attraverso l’esperienza, ha osservato laconico: “La saggezza ci arriva quando non ci serve più.”

Di fronte a questioni importanti capita spesso di sentire il bisogno di avere più discernimento per fare la scelta giusta, per evitare di peggiorare dei rapporti già in bilico o per raggiungere nuovi obiettivi.

Ma la triste realtà è che molti si atteggiano a saggi senza esserlo, e attirano altri a emulare il loro esempio sbagliato.

Magari fossimo tutti come Salomone che ha saputo chiedere la cosa giusta alla Fonte stessa di ogni scienza e conoscenza! Dio non soltanto lo ha esaudito, ma si è servito di lui per insegnare al mondo in cosa consista la vera saggezza.

È duro da ammettere, ma nessuno nasce saggio, e nessuno lo diventa autonomamente. Abbiamo bisogno di imparare e di essere guidati da qualcuno che lo sia.

Salomone ha fatto un’affermazione colma di verità, spesso ignorata da genitori, e sorprendentemente combattuta da alcuni educatori dalle vedute innovative: “La follia è legata al cuore del bambino, ma la verga della correzione l’allontanerà da lui” (Proverbi 22:15).

Dovrebbe essere ovvio, come dice la Bibbia, che i bambini non sanno distinguere il bene dal male da soli. Hanno bisogno di essere guidati da un adulto. Troppa libertà molto presto nuocerà al bambino, e demolirà quei paletti di protezione di cui ha bisogno per uno sviluppo equilibrato della sua personalità. 

Si comincia quindi senza saggezza, e poi? L’ideale non è quello di lasciare che il bambino faccia tutte le esperienze possibili perché tanto “la vita è una scuola”, ma di aiutarlo a crescere nella saggezza. 

E quando dico “bambino”, intendo ogni uomo e donna. Siamo tutti in qualche misura mancanti in questo ambito. 

Chiunque voglia essere saggio dovrà cominciare con la consapevolezza che non lo è, e che ha bisogno di diventarlo.

Ma è rassicurante il fatto che non dobbiamo ricercare la saggezza come a tastoni o giocando a mosca-cieca, perché Dio ci ha fornito la sua Parola scritta che è certamente punto di partenza e punto di arrivo di questa ricerca. Le Sacre Scritture sono la cartina tornasole per capire cosa sia veramente saggio e cosa no. 

La Bibbia nello spiegare cos’è la saggezza spesso la paragona alla stoltezza, evidenziandone il contrasto. 

Il problema tante volte è che ci avviciniamo agli insegnamenti biblici come se fossero solo dei semplici suggerimenti; siamo d’accordo con quello che leggiamo nelle Scritture, ma poi non facciamo nulla per cambiare né per praticare la saggezza di cui abbiamo appena letto.

Conoscendo la riluttanza umana ad ammettere di dover cambiare, Dio avverte: “Mettete in pratica la parola e non ascoltatela soltanto, illudendo voi stessi. Perché, se uno è ascoltatore della parola e non esecutore, è simile a un uomo che guarda la sua faccia naturale in uno specchio; e quando si è guardato se ne va, e subito dimentica com’era. Ma chi guarda attentamente nella legge perfetta, cioè nella legge della libertà, e in essa persevera, non sarà un ascoltatore smemorato ma uno che la mette in pratica; egli sarà felice nel suo operare” (Giacomo 1:22-25).

Ascoltare senza obbedire non soltanto ci lascia nella nostra stoltezza, ma fa di noi persone che si illudono di essere sagge, perché la verità ascoltata ci tocca soltanto a livello emotivo senza essere assimilata, compresa e accettata con la nostra fede (Matteo 13:20,21; Ebrei 4:2). 

E rischiamo di somigliare a quell’uomo di cui la grande Mina cantava tanti anni fa: “Parole, parole, parole… Non cambi mai.” 

Ci sono troppi credenti nella chiesa che, anche dopo anni d’istruzione attraverso la Parola di Dio, cambiano poco o niente. 

E peggio ancora, il Signore stesso potrebbe essere costretto a  riprenderci come ha fatto con Israele: “…questo popolo si avvicina a me con la bocca e mi onora con le labbra, mentre il suo cuore è lontano da me…” (Isaia 29:13).

UN ETTO DI GIOIA

Nel mio ufficio ho ancora la bilancia con cui i miei genitori ci pesavano da bambini. Per i neo-genitori tenere sotto controllo il peso del loro bimbo appena nato è emozionate. Bastano 100 grammi per rendere felice la mamma, ma è sufficiente anche poco per allarmarla. La crescita fa parte della vita ed è importante.

E tu, sei felice quando vedi il progresso spirituale di qualcuno? Ti ricordi l’ultima volta che hai gioito per questo?

Come mai in chiesa non ci preoccupiamo se c’è mancanza di crescita in noi e nei nostri fratelli? Perché nessuno si allarma per i credenti che non sembrano migliorare nella vera saggezza?

Non è mica normale restare sempre uguali, e non mostrare segni di crescita e maturità!

È pericoloso pensare che si possa avere un rapporto autentico con Dio senza dover crescere nella sua conoscenza, nell’amore, nella fede e nell’ubbidienza (leggi: nella vera saggezza). 

Gesù ha avvertito che nel giorno del giudizio ci saranno persone che pensano di avere avuto un rapporto con Dio, ma gli sentiranno pronunciare questa frase: “Io non vi ho mai conosciuti.” 

Il Signore, però, non ci ha lasciati nell’ignoranza ad aspettare l’eventuale brutta sorpresa; ci ha dato piuttosto una chiave per valutare il nostro progresso spirituale: “Ogni albero che non fa buon frutto è tagliato e gettato nel fuoco. Li riconoscerete dunque dai loro frutti” (Matteo 7:19,20).

La mancanza di buoni frutti, quelli della crescita, deve allarmare chiunque si professi credente!

Questi frutti sono gli effetti evidenti di un cambiamento nella vita del credente: l’amore per le cose di Dio, un attaccamento maggiore alla Parola di Dio, la voglia di metterla in pratica e l’odio verso il peccato.

Ma da dove cominciare per cambiare rotta e finalmente portare questi buoni frutti?

SULLA LINEA DI PARTENZA

Salomone dice: “Il principio della saggezza è il timore del SIGNORE, e conoscere il Santo è l’intelligenza” (Proverbi 9:10). 

Il concetto è chiaro: non c’è saggezza senza un rapporto col Signore, e non c’è un rapporto vero con Lui se ci si ostina a continuare a comportarsi da stolti.

Ma il tempo da solo, né le esperienze della vita, né le sofferenze benché tutto ciò contribuisca a modellare l’uomo, non ci renderanno saggi perché la saggezza viene da Dio. 

L’Apostolo Paolo afferma: “Nessuno s’inganni. Se qualcuno tra di voi presume di essere un saggio in questo secolo, diventi pazzo per diventare saggio; perché la sapienza di questo mondo è pazzia davanti a Dio. Infatti, è scritto: «Egli prende i sapienti nella loro astuzia»; e altrove: «Il Signore conosce i pensieri dei sapienti; sa che sono vani»” (1 Corinzi 3:18-20).

Tra i credenti, particolarmente tra gli uomini, c’è chi è convinto che la responsabilità primaria sia quella di lavorare per provvedere alla famiglia, cosa verissima, dimenticando però che aiutare i propri cari a crescere nella fede e nella conoscenza di Dio è cosa più importante e necessaria.

Possiamo sentirci incapaci o inadeguati davanti a questa grande responsabilità, ma Giacomo ci rassicura: “Se poi qualcuno di voi manca di saggezza, la chieda a Dio che dona a tutti generosamente senza rinfacciare, e gli sarà data. Ma la chieda con fede, senza dubitare; perché chi dubita rassomiglia a un’onda del mare, agitata dal vento e spinta qua e là. Un tale uomo non pensi di ricevere qualcosa dal Signore, perché è di animo doppio, instabile in tutte le sue vie” (Giacomo 1:5-8).

E Salomone dice: “Il SIGNORE infatti dà la saggezza; dalla sua bocca provengono la scienza e l’intelligenza” (Proverbi 2:6).

Dio ha piacere di donare saggezza, e non vede l’ora di farlo. Ma si aspetta da parte nostra serietà e disciplina. 

È per questo che nella lettera di Giacomo la richiesta di saggezza precede l’ammonimento ad ascoltare e a mettere in pratica la Parola di Dio. 

Cosa vuol dire in parole povere?

IMPARARE A… IMPARARE

Prima di tutto abbiamo bisogno di curare la nostra lettura e meditazione personale della Parola di Dio. Questo è il punto di partenza. 

Se abbiamo bisogno di un suggerimento esistono ottimi piani e schemi di lettura giornaliera che possiamo seguire. Basta digitare su Google “piano di lettura della Bibbia” e avremo solo l’imbarazzo della scelta. 

Se siamo credenti e non abbiamo il desiderio di leggere la Bibbia dovremmo preoccuparci. L’Apostolo Pietro scrive che ogni credente, quando lo è veramente, ha fame della Parola di Dio (1 Pietro 2:1,2). 

Solo attraverso la Bibbia possiamo sperare di ottenere saggezza, ma questa ricerca deve essere voluta e perseguita intenzionalmente e con costanza.

In questo è fondamentale la scelta della chiesa che si intende frequentare. Ricevere un insegnamento biblico accurato, sistematico e chiaro deve essere una priorità per ogni cristiano, anche se fosse necessario dover impiegare più tempo per raggiungere la chiesa ogni domenica. 

È ovvio che anche il modo in cui si ascolta fa una grande differenza. 

Per esempio, prendere appunti durante la spiegazione della Parola di Dio, per poi ripassare durante la settimana ciò che abbiamo ascoltato, aumenta la capacità di apprendere. In questo gli uomini hanno qualcosa da imparare dalle donne che lo fanno con molta più disciplina. 

Come sarebbero diverse le nostre chiese se ognuno ricercasse la saggezza e la crescita personale insieme a quella della comunità intera! Infatti Giacomo scrive: “La saggezza che viene dall’alto, anzitutto è pura; poi pacifica, mite, conciliante, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale, senza ipocrisia” (Giacomo 3:17). Immagina che bello sarebbe essere circondati da persone sagge, che vivono la loro vita di credenti senza ipocrisia, nella pace e portando frutti alla gloria di Dio.

TUTTO È COLLEGATO

Fin qui abbiamo parlato della saggezza, ma è ovvio che ci sono altre richieste che un cristiano dovrebbe fare a Dio, come per esempio imitare i discepoli che hanno chiesto a Gesù: “Aumentaci la fede!” (Luca17:4).

Senza fede è impossibile conoscere Dio perché è impossibile piacergli se non si crede a ciò che dice (Ebrei 11:6). 

La fede ci predispone a ricevere con il giusto atteggiamento quello che la Bibbia afferma, ci fa capire che essa è utile, e che metterla in pratica è la cosa migliore da fare.

La fede è necessaria anche per la nostra testimonianza. Sarebbe un controsenso affermare di credere in Cristo e vivere con le stesse reazioni, paure e ansie di coloro che non ci credono. Cosa vedono i nostri famigliari, i colleghi e i vicini quando ci osservano?

Paolo ha detto che la fede viene dall’udire la Parola di Dio. Infatti è tutto collegato: mentre stiamo crescendo in saggezza attraverso la Parola di Dio cresciamo anche nella fede! E più questa aumenta, più ci fidiamo delle Scritture, e più acquistiamo la vera saggezza. 

Quando preghiamo per avere più fede faremmo bene a pregare anche per gli altri credenti che fanno parte della nostra vita, come faceva l’Apostolo Paolo: “Per questo motivo piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni famiglia nei cieli e sulla terra prende nome, affinché egli vi dia, secondo le ricchezze della sua gloria, di essere potentemente fortificati, mediante lo Spirito suo, nell’uomo interiore, e faccia sì che Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, perché, radicati e fondati nell’amore, siate resi capaci di abbracciare con tutti i santi quale sia la larghezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità dell’amore di Cristo e di conoscere questo amore che sorpassa ogni conoscenza, affinché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio” (Efesini 3:14-19).

UN TRITTICO POTENTE

Non voglio certo rifarmi al racconto della lampada di Aladino, ma c’è una terza richiesta fondamentale che il credente dovrebbe fare, che è questa: “Signore dacci più amore verso Dio, verso i fratelli, verso le nostre famiglie; insegnaci ad amare di più e meglio!”

Paolo pregava così per i credenti di Filippi: “Prego che il vostro amore abbondi sempre più in conoscenza e in ogni discernimento, perché possiate apprezzare le cose migliori, affinché siate limpidi e irreprensibili per il giorno di Cristo, ricolmi di frutti di giustizia che si hanno per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio” (Filippesi 1:9-11).

Anche qui c’entra la saggezza: unita all’amore e guidata da esso, la saggezza ci rende in grado di scegliere le cose migliori e, di conseguenza, saremo irreprensibili e ricolmi di frutti di giustizia prodotti da Gesù in noi.

E c’entra anche la Parola di Dio, perché il nostro amore è stimolato dalla comprensione dell’amore di Dio per gli uomini attraverso lo studio della Bibbia.

Come sarebbe bello se avessimo anche noi la reputazione dei credenti di Tessalonica: “Noi dobbiamo sempre ringraziare Dio per voi, fratelli, com’è giusto, perché la vostra fede cresce in modo eccellente, e l’amore di ciascuno di voi tutti per gli altri abbonda sempre di più” (2 Tessalonicesi 1:3). Gesù, infatti, ha detto che saremo riconosciuti come suoi discepoli per l’amore che c’è fra di noi. 

Saggezza, fede e amore: ecco le tre cose da chiedere al Signore.

La Bibbia però non è come il Genio della lampada di Aladino che esaudiva qualunque richiesta anche assurda all’istante. 

La Parola di Dio piuttosto ci informa e può istruirci, e tocca a noi studiarla con diligenza e costanza per applicarla alla nostra vita. 

Non ti accontentare! Se non stai crescendo è tempo di cambiare. Comincia con dei piccoli passi, ma con determinazione e nella direzione giusta. 

Questo mese ti proponiamo alcuni strumenti utili per questo, ma ricordati che la tua crescita comincia con la tua lettura personale della Parola di Dio e con la tua partecipazione attiva alla vita nella tua chiesa.

—D.S.


L'ecolibro e L'autoparlante

“Per piacere, Mamma, proprio per piacere, facci stare tutto il giorno alzati (il che nel loro gergo significa: Non farci fare il pisolino). Staremo buonissimi perché abbiamo un bellissimo progetto. Basta che tu metta a letto Stefanino.”

Gli occhi di Davide erano così imploranti, quelli di Daniele così supplichevoli e quelli di Deborah così onesti che Mamma acconsentì. 

“Ma guardate, ho da fare un lavoro importante, per cui non devo essere disturbata né interrotta. Perciò conto proprio sulla vostra collaborazione.” 

“Che è la collaborazione?” chiese Daniele che vuole essere sempre sicuro di capire tutti i termini dei… contratti. 

“Vuoi dire non disturbarmi e fare esattamente quello che vi dico di fare.” 

“Va bene.” 

Davide si attaccò al collo di Mamma: “Tu sei la Mamma più brava del mondo!” 

Stefanino se ne andò pacificamente a letto e dopo pochi minuti dormiva con una mano sul cuore mentre con l’altra stringeva una macchinina di plastica, gioia e delizia della giornata. 

Gli altri tre si eclissarono. 

Mamma sedette alla scrivania. Doveva finire una traduzione e correggere delle bozze. Il tipografo le aspettava per l’indomani mattina. 

Dalla stanza dei bambini venivano voci serafiche. Mamma si ingolfò in alcune frasi astruse e poco chiare di uno scrittore inglese, che le diedero del filo da torcere per una buona mezz’ora. 

Ad un tratto, uno scroscio di cocci, di ferraglia e di rottami interruppe la pace. 

“Che succede?”

Daniele era mezzo sepolto sotto una valanga di stracci e pezzi di legno. “È stato Davide che mi ha fatto perdere l’ecolibro!” 

“Ma Deborah mi aveva spinto!” 

“Si può sapere che cosa volevate fare?” 

“Facevamo la conferenza” spiegò Daniele riemergendo dai rottami e spolverandosi i pantaloni. 

“E l’imbuto a che cosa serviva?” 

“Era l’autoparlante.” 

“E questo vecchio tubo del gas?” 

“Il filo dell’autoparlante.” 

“E il bicchiere che si è rotto era per bere durante il discorso…” spiegò ancora Daniele. 

“E il cassetto dell’armadio a che cosa serviva?” chiese Mamma. 

“Era il pulpito, no?” 

Mamma fu comprensiva. “Beh, ora mettete tutto a posto e fate qualche cosa di più calmo.” 

“Ma che cosa possiamo fare?” 

“Ci annoiamo sempre.” 

“Quando ci dai la merenda?”

“Ci puoi aiutare a pitturare con gli acquerelli?” 

“Ascoltatemi,” disse Mamma, “mi avete promesso di non disturbarmi. Ora vi do un po’ di merenda e poi vi mettete a giocare a scuola. Deborah fa la maestra e voi siete gli scolari. O forse Davide è lo scolaro e Daniele è il signor Direttore…” 

“E va bene…”

Mamma tornò alla traduzione, ma per poco tempo. Deborah ora stava gridando a pieni polmoni che Davide le aveva dato un pizzicotto e le faceva i dispetti. 

“Se non state buoni, vi do una sculacciata come non l’avete avuta da molto tempo!” 

I tre rimasero in silenzio, con aria colpevole. 

Poi Davide ruppe il silenzio, con voce piagnucolosa: “Ma, Mamma, perché non ci hai mandati a fare il pisolino? Non capisci che siamo troppo stanchi per stare buoni?” 

Mamma cercò di controllarsi: “Voi avete fatto esattamente come facevano gli Ebrei con Dio.” 

I tre spalancarono occhi e orecchie. Niente li affascina quanto le storie. 

“Sì, a volte si ostinavano a chiedere delle cose a Dio e Dio, pur sapendo che ne avrebbero sofferto, le concedeva. Voi non volevate fare il pisolino e io vi ho lasciati stare alzati. E ora siete stanchi, nervosi e non mi avete lasciato combinare niente col mio lavoro. Chi pensate che fosse più savio, Mamma o voi?” 

“Mamma” ammise Davide. 

Deborah mise la sua guancia grassotta da angelo barocco contro la guancia di Mamma: “Ma a noi sembra molto difficile pensare che tu abbia ragione sempre…” 

“No, non ho sempre ragione, ma sono un po’ più saggia di voi” rispose Mamma e pensò a quante volte anche a lei era sembrato difficile preferire la saggezza di Dio alla sua testardaggine. Ma tutte le volte che lo aveva fatto, ne era valsa la pena.

 –Maria Teresa Standridge da “Un pizzico di sale”, VdV Aprile 1965

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La VOCE marzo 2021

“Come mai non hai fatto i compiti?” “Per quale ragione non hai riordinato la tua stanza?” “Perché mi hai disubbidito?”

Mi ritornano in mente le parole di mia mamma quando mi chiedeva perché non avessi fatto quello che mi aveva chiesto.

Poi, quando la domanda veniva da mio padre il fatto si faceva più serio per me.

Il più delle volte non avevo una buona spiegazione, ma cercavo lo stesso di giustificarmi meglio che potevo.

Nel tempo diventava sempre più difficile rispondere in modo convincente, perché mi rendevo conto che non bastava più trovare scuse banali.

Una volta cresciuto, non erano più i miei genitori a interrogarmi su certi perché, bensì i miei professori all’università prima, i datori di lavoro poi, e pure le persone vicine a me. E non si trattava più di monellerie di ragazzini, ma di questioni tra adulti.

È ovvio che non tutte le dimenticanze erano cose serie, ma certe erano importanti e mi avevano messo davanti alle mie responsabilità.

Siamo tutti fallibili e dobbiamo fare i conti con le nostre mancanze. Non tutte le richieste sono formulate in modo chiaro, e si possono pure presentare situazioni impreviste che ci impediscono di compiere il nostro dovere. 

Ma quando è Dio a chiedermi qualcosa, io come rispondo?

Davanti a Dio nessuna scusa tiene! 

Le sue richieste sono chiare, logiche, appropriate, autorevoli e giuste. E davanti a ciò che mi chiede Lui, non c’è cosa più saggia che domandarmi perché non ubbidisco. 

Posso razionalizzare quanto mi pare, dire che sono umano e quindi fallibile, ma col Signore non attacca. È molto meglio farsi un attento esame di coscienza sincero. 

Non posso permettermi di non pensarci o essere superficiale, perché così tornerò solo a ripetere le mie azioni.

Lui ci ha dato incarichi precisi e compiti da svolgere. Uno tra i più importanti è questo: “Ogni potere mi è stato dato in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutte quante le cose che vi ho comandate. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente” (Matteo 28:18-20).

Il concetto è chiaro: portare il vangelo alle persone deve essere uno stile di vita. Non abbiamo incarico più importante di questo. 

Quando il Signore ce l’ha affidato, ha assicurato che ci avrebbe accompagnato in questa responsabilità con la sua onnipotenza e la sua presenza costante. 

Eppure, tante volte recalcitriamo: “Il comando è chiaro, il suo aiuto è garantito, ma… lo facciano gli altri. Io no.”

Davanti alla giusta domanda di Gesù “Perché non evangelizzi?” come risponderei?

Non mi sento all’altezza… Non ho una preparazione adeguata… Non ho il dono dell’evangelista… Non ho la chiamata… Non so come si fa… 

CINQUE MOTIVI PER CUI NON EVANGELIZZO

 

1. Non è una priorità

Per la maggior parte delle persone la vita si riduce a una somma di circostanze. Le situazioni che viviamo ci incanalano in un flusso ininterrotto di eventi, che andranno poi a determinare quali cose hanno per noi importanza prioritaria. Anche per molti credenti è così.

Le decisioni prese tanto tempo fa tengono ancora in pugno la scala delle nostre priorità.

Abbiamo scelto una carriera? Ogni avanzamento professionale richiede un impegno sempre maggiore. 

Ci siamo sposati? Coltivare un matrimonio felice è un lavoro a tempo pieno. 

Abbiamo figli? Accompagnarli a scuola, aiutarli con i compiti, educarli, portarli a fare sport o a lezioni di musica è una giostra che continua a girare sempre. 

Quando le cose stanno così, sfido chiunque a trovare del tempo libero per qualsiasi altra cosa. 

“Insegnaci dunque a contare bene i nostri giorni, per acquistare un cuore saggio” (Salmo 90:12). 

Non permettiamo che le circostanze o la società ci impongano una scala di valori e delle priorità non adatte ai figli di Dio. 

Stabilire quali siano le cose più importanti è un ruolo che spetta a Dio; e Lui ce le dice attraverso la sua Parola.

2. Non vedo il mondo come perduto

Il male nel mondo ci dà fastidio come credenti. Ci sono tanti “peccatori” che, coi loro commenti e con l’atteggiamento che hanno, possono urtare la nostra sensibilità. Subiamo ingiustizie in un modo o nell’altro tutti i giorni. 

I non credenti spesso sono veri e propri ostacoli alla nostra serenità e alla nostra pace… Il mondo è fatto così, non ci possiamo fare nulla… Non ci resta che evitare il più possibile di entrare in contatto con il male degli altri…

Siamo infastiditi, ma non proviamo compassione per certe persone; compatiamo piuttosto noi stessi per il fatto che dobbiamo conviverci.

Gesù invece “vedendo le folle, ne ebbe compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore” (Matteo 9:36). Erano le stesse persone che lo avrebbero crocifisso di lì a breve! 

Gesù non poteva fare a meno di avere compassione, era una sua qualità. Questo evidenzia il nostro bisogno di rivalutare il modo in cui vediamo le persone intorno a noi seguendo il suo esempio.

3. Non sono preparato

“Evito di parlare della mia fede, perché potrebbero farmi delle domande a cui non so rispondere. Farei solo una figuraccia. Non sono mica l’apostolo Paolo io!” 

Una preoccupazione legittima. Forse. 

È possibile che dovrai rispondere a domande difficili. Allora è meglio che ti dia da fare per essere pronto a rispondere a chi te le fa con sincerità. Restare nell’ignoranza o avere solo delle vaghe idee non è d’aiuto a nessuno. 

Essere preparati sugli argomenti della salvezza e della fede è importante anche per il tuo stesso benessere spirituale. Ci sono ottimi libri, facili da leggere e da comprendere, ci sono messaggi e studi anche su internet che ci possono aiutare. Ma se non ci diamo una mossa non saremo mai pronti né preparati.

Un modo sicuramente utile è quello di seguire dei corsi biblici sulle dottrine basilari della Bibbia, curati dall’Istituto Biblico Bereano oppure chiedi informazioni al nostro ufficio tel. 06-7002559, Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

“Siate sempre pronti a render conto della speranza che è in voi a tutti quelli che vi chiedono spiegazioni” (1 Pietro 3:15b).

4. Ho paura

Questa forse è la ragione più verosimile. Abbiamo paura della reazione delle persone, temiamo di perdere amici o di essere presi per fanatici. 

Ci giustifichiamo dicendo che viviamo una vita onesta, ed è quella la nostra testimonianza. Sarà la gente a chiederci qualcosa nel vedere il nostro buon comportamento. 

Purtroppo però può accadere che quando si presenta un’occasione per parlare del Signore non sappiamo coglierla, perché non la vediamo. Ma la realtà è che non la cerchiamo e non la stiamo aspettando perché, comunque, abbiamo paura.

Temiamo il giudizio delle persone, non ci piace sentirci diversi e vogliamo essere accettati.

“Se siete insultati per il nome di Cristo, beati voi! Perché lo Spirito di gloria, lo Spirito di Dio, riposa su di voi. Nessuno di voi abbia a soffrire come omicida, o ladro, o malfattore, o perché si immischia nei fatti altrui; ma se uno soffre come cristiano, non se ne vergogni, anzi glorifichi Dio, portando questo nome” (1 Pietro 4:14-16).

Dovremmo avere più paura di offendere Dio piuttosto che gli uomini!

5. Ho fallito troppe volte

“Ci ho provato, ma le persone non vogliono ascoltare discorsi sulla fede. Non sono capace di convincere nessuno, tanto meno di convertire qualcuno. Se non riesco ad avere un buon dialogo sulle cose spirituali con chi fa parte della mia vita, come potrei riuscirci con uno sconosciuto? E più ci provo, e meno mi stanno ad ascoltare. Ho perso ogni influenza su di loro.”

Sarà. Ma non sta a te cambiare il cuore di nessuno. Quella è un’opera esclusiva di Dio. Noi siamo solo suoi messaggeri.

Gesù ha detto: “Vi dico la verità: è utile per voi che io me ne vada; perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma se me ne vado, io ve lo manderò. Quando sarà venuto, convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio” (Giovanni 16:7,8).

Sarà lo Spirito Santo a convincere chi vuole del proprio peccato e delle sue conseguenze, noi dobbiamo parlare alle persone e avvertirle di ravvedersi, in modo che siano riconciliate con Dio. E preghiamo che Lui possa aprire i loro occhi.

I professionisti della fede

È più facile lasciare che siano i missionari, gli evangelisti e le guide della chiesa a parlare di Cristo. Hanno sia la chiamata sia i doni necessari. Ma è un atteggiamento sbagliato. Anzi, se credi sia giusto così, dovresti preoccuparti sul serio del tuo rapporto con il Signore. Il principio spirituale “Dall’abbondanza del cuore la bocca parla” (Matteo 12:34) vale anche per questo. 

“Io sono debitore verso i Greci come verso i barbari, verso i sapienti come verso gli ignoranti;così, per quanto dipende da me, sono pronto ad annunciare il vangelo anche a voi che siete a Roma. Infatti non mi vergogno del vangelo; perché esso è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede; del Giudeo prima e poi del Greco; poiché in esso la giustizia di Dio è rivelata da fede a fede, com’è scritto: «Il giusto per fede vivrà»” (Romani 1:14-17).

Questo è ciò che Paolo ha scritto ai romani sotto ispirazione di Dio. 

Sapeva di essere debitore, e che aveva ricevuto una notizia che non poteva tenere per sé. Sapeva che Dio ha stabilito come la fede debba essere trasmessa: da persona a persona. Ogni credente deve ubbidire al comando di Dio.

Le mie giustificazioni di bambino non hanno mai funzionato con i miei genitori. Del resto le nostre scuse davanti alle nostre responsabilità mancate non convincono e non coprono lo sbaglio.

Quali scuse potrei mai presentare allora davanti al Signore che un giorno valuterà il mio operato? Non so tu, ma io desidero sentirlo dire: “Va bene, servo buono e fedele; sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo Signore” (Matteo 25:21).

Che Dio ci aiuti a rinunciare alle nostre scuse!

“...l’amore di Cristo ci costringe, perché siamo giunti a questa conclusione: ...ch’egli morì per tutti, affinché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro. Noi dunque facciamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro; vi supplichiamo nel nome di Cristo: siate riconciliati con Dio” (2 Corinzi 5:14,15,20).

– D.S.

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La VOCE febbraio 2021

Mi hanno fatto un regalo. 
Non metto un punto esclamativo perché, mentre lo scartavo tutto felice, ho riconosciuto subito quel logo gialloblu, e il mio sorriso si è pietrificato in una mezza smorfia imbarazzata. 

Speravo fossero le polpette svedesi; quelle almeno non si devono montare…

Mi rende nervoso dover montare i prodotti di quella Casa, semplicemente perché, dopo aver assemblato con tanta fatica il mio acquisto, non vorrei ancora una volta ritrovarmi con qualche pezzo in più che non ho idea di dove mettere. 

Anche quando mi tocca aggiustare qualcosa ho sempre una punta di apprensione per lo stesso motivo: smonti, ripari, rimonti e ti ritrovi in giro quel fatidico pezzo in più! 
Allora ti chiedi: “Era così importante o ho creato qualcosa di nuovo?!” 
Se poi non funziona, allora poco male, tanto non funzionava neanche prima!

Non so se anche tu hai notato che nelle chiese certe volte ci sono dei pezzi in più, quelle persone che per qualche motivo sono difficili da collocare, ma che non sembra perché vengono a tutte le riunioni. 

Dopo tanto tempo non si sono ancora ben inserite. 

Cosa possiamo fare noi, se questa difficoltà le fa sentire escluse?

Membri di un corpo particolare

Un passo della Bibbia in cui si parla di questo, in Efesini 4:16, dice che “Da [Cristo] tutto il corpo ben collegato e ben connesso mediante l’aiuto fornito da tutte le giunture, trae il proprio sviluppo nella misura del vigore di ogni singola parte, per edificare se stesso nell’amore.”

Il corpo di cui parla è proprio la chiesa, ossia l’insieme dei credenti. L’apostolo Paolo la descrive in questo modo: 

Per la grazia che mi è stata concessa, dico quindi a ciascuno di voi che non abbia di sé un concetto più alto di quello che deve avere, ma abbia di sé un concetto sobrio, secondo la misura di fede che Dio ha assegnata a ciascuno. 
Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e tutte le membra non hanno una medesima funzione, così noi, che siamo molti, siamo un solo corpo in Cristo, e, individualmente, siamo membra l’uno dell’altro. 
Avendo pertanto doni differenti secondo la grazia che ci è stata concessa, se abbiamo dono di profezia, profetizziamo conformemente alla fede; se di ministero, attendiamo al ministero; se d’insegnamento, all’insegnare; se di esortazione, all’esortare; chi dà, dia con semplicità; chi presiede, lo faccia con diligenza; chi fa opere di misericordia, le faccia con gioia. –Romani 12:3-8

È evidente che la chiesa è formata da persone tutte diverse fra loro, ma proprio sulla base di questa diversità il Signore gli dà dei doni spirituali e un ruolo specifico che ha preparato per loro. 
Ognuno dovrà trovare lo spazio per mettere al servizio degli altri ciò che è, e quello che può fare. 

Le parti del corpo (i credenti) devono fare attenzione a non inorgoglirsi e a mantenere un atteggiamento sobrio. Sono chiamati da Dio a svolgere bene i loro compiti, servendo gli altri con gioia. E nessuno di loro è messo lì a caso o è inutile. Dio dà a tutti un ruolo importante e impegnativo!

Paolo scrive: 

Poiché, come il corpo è uno e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, benché siano molte, formano un solo corpo, così è anche di Cristo. 
Infatti, noi tutti siamo stati battezzati in un unico Spirito per formare un unico corpo, Giudei e Greci, schiavi e liberi; e tutti siamo stati abbeverati di un solo Spirito. Infatti il corpo non si compone di un membro solo, ma di molte membra. 
Se il piede dicesse: «Siccome io non sono mano, non sono del corpo», non per questo non sarebbe del corpo. 
Se l’orecchio dicesse: «Siccome io non sono occhio, non sono del corpo», non per questo non sarebbe del corpo. 
Se tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe l’udito? Se tutto fosse udito, dove sarebbe l’odorato? 
Ma ora Dio ha collocato ciascun membro nel corpo, come ha voluto. Se tutte le membra fossero un unico membro, dove sarebbe il corpo? 
Ci sono dunque molte membra, ma c’è un unico corpo; l’occhio non può dire alla mano: «Non ho bisogno di te»; né il capo può dire ai piedi: «Non ho bisogno di voi». 
Al contrario, le membra del corpo che sembrano essere più deboli, sono invece necessarie; e quelle parti del corpo che stimiamo essere le meno onorevoli, le circondiamo di maggior onore; le nostre parti indecorose sono trattate con maggior decoro, mentre le parti nostre decorose non ne hanno bisogno; ma Dio ha formato il corpo in modo da dare maggior onore alla parte che ne mancava, perché non ci fosse divisione nel corpo, ma le membra avessero la medesima cura le une per le altre. 
Se un membro soffre, tutte le membra soffrono con lui; se un membro è onorato, tutte le membra ne gioiscono con lui. 
Ora voi siete il corpo di Cristo e membra di esso, ciascuno per parte sua. –1 Corinzi 12:12-27

Gesù ha affermato che lui stesso edifica la chiesa. Perché è sua.
Con attenta e minuziosa precisione colloca ogni persona nel posto giusto, per il bene di lei e di quelli che le sono stati messi accanto.

Infatti nel passo di Corinzi si evidenzia che ogni membro partecipa attivamente alla cura delle altre parti del corpo. Se un membro soffre gli altri soffrono con lui, se uno è onorato anche gli altri partecipano all’onore. Ciò che vive uno non si può scindere dall’altro. Dio ha deciso che così deve funzionare la sua chiesa.

Perciò quando non onoriamo un altro membro della chiesa, stiamo venendo meno alla nostra responsabilità. E questo produrrà inevitabilmente divisione.

Se sei un credente, hai capito qual è il tuo ruolo? 

Ma a prescindere da questo, cosa stai facendo in pratica per curare gli altri? Sei del tipo che quando arriva porta più unità o genera divisione?
Le tue parole verso l’altro, sono efficaci nell’accogliere o fanno sentire rifiutati? 
Credi di avere un ruolo marginale o hai capito quanto sei importante per Dio? 

Non ci troviamo nella nostra chiesa per puro caso, ma siamo fondamentali, qualsiasi cosa facciamo o non facciamo.

Sbilenco

C’è da dire però che la chiesa è un corpo strano: è formato da malati! Questo perché Cristo non è venuto per i sani bensì per i malati, i peccatori, e con la salvezza, attraverso la rigenerazione, egli guarisce ogni persona dalla sua condizione di peccato. 
Così la radice del problema è risolta. 

Ma è pur vero che ognuno continua a portarsi dietro gli strascichi della sua “malattia”. In fin dei conti siamo tutti persone “rotte” che Dio deve aggiustare, e certe riparazioni richiedono tempo, a volte anche tutta la vita. 

La Bibbia però ci rassicura sul fatto che Dio continua a lavorare con attenzione nella vita di ogni credente, con un progetto ben preciso, dei risultati che ha già in mente e... con l’amore di Padre.

Il lavoro di trasformazione che il Signore fa nei credenti, non va alla stessa velocità per tutti, quindi nella chiesa ci sono diversi gradi di maturità. 

Alcuni per esempio capiscono subito come servire Dio e cosa fare, altri al contrario si sentono sempre inadeguati e incapaci di fare qualsiasi cosa, e si tengono in disparte. Altri invece si sentono già arrivati, aspirando a quello per cui ancora non sono pronti. 

La chiesa è un corpo complesso, ma è il posto che Dio ha prestabilito dove si realizza la crescita dei veri credenti, quelli che desiderano piacere a Dio. 

Scoprire il nostro ruolo, anche se non facile, è necessario.

A volte in una chiesa succede come con i mobili da assemblare: ci ritroviamo in mano qualche “pezzo” che sembrerebbe superfluo perché non sappiamo bene dove mettere. 

Ci sono i “pezzi” più complicati, gli adolescenti per esempio, i single un po’ avanti negli anni, quelli che hanno il coniuge non credente, i divorziati con figli, gli anziani con tutti i loro acciacchi, le vedove, i vedovi… Tutti quelli che non sono automaticamente collocabili nella chiesa a volte vengono trascurati.

Non è raro che il credente stesso, pieno di buona volontà, trovi il proprio posto nel servizio cristiano. Ad alcuni viene facile, ma questo non deve mai spingerci a criticare quelli che non si inseriscono con la stessa facilità. 

Paolo scrive che quando un membro soffre tutto il corpo ne risente. 

Le membra che, per un motivo o per un altro, non si inseriscono nel loro posto nel corpo, non fanno male solo a sé stesse ma a tutto l’organismo. 

È qualcosa che crea sofferenza e diminuisce il vigore, la forza e il benessere di tutto il corpo.

Pensiamoci un momento: che cosa ho fatto per rendere più facile l’inserimento dei fratelli in fede nella mia chiesa? Sono di aiuto o di ostacolo in questo? Quanto sono consapevole del peso che può avere il mio incoraggiamento verso le persone?

Credere che sia solo compito dei responsabili è un grave errore. Tutti i passi che abbiamo citato mettono su tutto il corpo, nella sua interezza, la responsabilità di accogliere, curare e servire gli altri.

Né carne né pesce 

L’adolescenza è quell’età in cui cominciano a farsi sentire le tante pressioni dall’esterno, e spesso è difficile per i genitori capire come aiutare i ragazzi. 

In questa fase della crescita molti cominciano a lasciare la chiesa. E qualunque sia la causa, dovrebbe essere anche un problema nostro, perché abbiamo tutti il dovere di fare in modo che si inseriscano nella chiesa, con un ruolo che li faccia sentire utili, che li responsabilizzi e che sia di supporto al servizio. 

Potremmo iniziare da ciò che sanno fare meglio. Per esempio la tecnologia per gli adolescenti di oggi è pane quotidiano. Ma ci sono tante cose in cui possono aiutare, basa stimolarli e usare l’ingegno. 

Curare la vita spirituale di un adolescente ha la sua difficoltà perché la loro personalità si sta formando ancora, il corpo cambia, tra gli amici ricevono stimoli opposti a quelli spirituali, sono scostanti, si sentono incompresi e per questo non si aprono. Diciamolo: è complicato relazionarsi con loro e ci vuole tanto tempo, pazienza e originalità.

Ecco che può arrivare il problema: per gli adolescenti è facile lasciare il corpo, e il corpo non fa fatica a lasciarli andare! 

Non possono e non devono essere ignorati, né trattati da bambini perché immaturi. Piuttosto devono essere aiutati a maturare. 

I genitori credenti nella chiesa devono trovare validi alleati per curare i loro figli adolescenti. Sia i figli che i genitori hanno bisogno di ricevere l’aiuto adatto, capire il ruolo che Dio gli ha dato, e anche il posto dove poter sviluppare i propri doni per il bene di tutti. 

Affinché questo accada, servono fratelli e sorelle che siano pronti ad investire tempo e sforzi per prepararli a servire bene. Ovvio che questo richiede un lavoro difficile, e tanto amore.

Della terra di nessuno

Gli adolescenti crescono e diventano i single. Alcuni pensano che il matrimonio sia un segno di maturità, e che quelli che non si sposano rimangono in qualche modo “nella terra di nessuno”. Ovviamente non è così. Un anello al dito non è garanzia di una persona matura. 

Da una parte i non sposati dovrebbero essere il gruppo che si inserisce più facilmente nel corpo-chiesa. Paolo incoraggiava i single a rimanere in quella condizione, perché è quella in cui si ha più tempo per servire. 

Molti di loro servono nella chiesa con serietà e zelo, ma spesso non si inseriscono facilmente. Portano avanti le loro responsabilità, ma possono vivere la vita di chiesa in grande solitudine. 

Alcuni non hanno la famiglia credente o vivono lontani da casa. Potrebbero sentirsi soli e non dirlo, perché sarebbe un segno di debolezza che non vogliono far vedere. 

Non tutti soffrono la solitudine, anzi hanno bisogno di più tempo per sé stessi. Ma essendo liberi e abituati a vivere da soli, può facilmente accadere che rimangano troppo concentrati su loro stessi. 

La chiesa deve assolutamente usufruire del loro servizio cristiano, ma deve essere anche la loro famiglia, dove trovare calore, accoglienza, condivisione, “cibo”. 

E se qualche volta declinano un invito a partecipare a qualche attività, attenzione a non dirgli: “Tanto tu hai più tempo!” solo perché non hanno figli e non sono sposati. A volte fanno anche di più di chi ha responsabilità familiari.

In Italia ci si sposa sempre meno, perciò nelle nostre chiese ce ne sono di single, e saranno sempre più numerosi. Bisogna essere consapevoli che sono un dono per la chiesa, ma anche una nostra responsabilità. Devono trovare protezione e cura per la loro crescita spirituale, per il confronto, per la comunione e un posto dove la loro tendenza a isolarsi eccessivamente sia combattuta per un giusto equilibrio.

I single spirituali

Ci sono persone sposate che sono single nella fede. 

Nelle nostre chiese abbiamo credenti il cui coniuge non lo è. Non è difficile intuire che vivono difficoltà, perché in una certa misura sono ostacolati nel loro cammino cristiano. La realtà spirituale è un aspetto della loro vita di coppia che non è condiviso. 

Anche quelli che hanno più libertà di vivere secondo la loro fede devono comunque conciliare la vita di famiglia e la vita di chiesa. 

Essendo anche loro una parte vitale del corpo di Cristo, la chiesa, Dio li ha equipaggiati come gli altri con suoi doni spirituali, e come tutti gli altri hanno un ruolo da svolgere. 

Il loro campo di missione primario è la famiglia. Trovare comprensione e sostegno dai fratelli, li aiuterà a saper conciliare le proprie responsabilità come credenti con quelle tra le mura domestiche. 

I due ruoli potrebbero andare in conflitto, perciò i fratelli e le sorelle più maturi devono essere un punto di riferimento per consigliarli e guidarli nel loro cammino per niente facile. 

Attenzione: anche se superfluo vorrei però ricordare che in questo gli uomini devono camminare accanto agli uomini, e le donne accanto alle donne. 

Nel nostro paese, fondamentalmente cattolico, “i single nella fede” sono numerosi, e hanno bisogno di trovare il servizio adatto ai loro doni, compatibile con la loro situazione familiare. I modi ci sono per aiutarli, ma anche qui c’è bisogno di ingegno, attenzione, tempo e dare fiducia. 

Strappi e rammendi

Un gruppo crescente e difficile sono i divorziati e i separati. 
Da alcuni anni questa categoria di credenti è sempre più numerosa. 

Nelle nostre chiese, di solito piccole, si fanno tante attività dirette a tutti: ai bambini e ai giovani, alle persone anziane, alle donne, alla cura delle coppie. Ma bisogna ammettere con dispiacere che è difficile curare nello specifico chi è separato. Eppure, sicuramente in ogni chiesa locale una piccola percentuale di credenti è separata o divorziata. 

Queste famiglie sono strattonate da diversi problemi specifici proprio a causa del divorzio. Spesso hanno figli, e sono come quelle famiglie con un solo genitore. Anche per loro il Signore fa lo stesso: per chi si pente e si converte a Cristo, Lui dà doni e compiti da svolgere. 

Come possono trovare un ruolo e la collocazione più adatta nella chiesa? 

Intanto si può iniziare scoprendo il proprio dono spirituale da mettere a servizio degli altri. E si prosegue con lo studio personale della Parola di Dio, l’incoraggiamento alla condivisione coi fratelli e, cosa indispensabile, un tempo a tu per tu con un fratello (o una sorella per le donne) più maturo nella fede, da cui non sentirsi giudicato, ma che porti i pesi insieme, preghi insieme e con cui consigliarsi liberamente, con discrezione dell’altro. 

È bello vedere dei credenti che sono pronti a fare da zii e zie, da nonni o fratelli maggiori ai bambini di chi è divorziato. È contagioso, e ci dà la spinta a imitarli. 

La terza stagione

Le persone anziane, i vedovi e le vedove, sono altra parte integrante della chiesa. Ho avuto il privilegio di vivere con un vedovo per diversi anni. Papà era uno che aveva servito il Signore fedelmente per decenni, probabilmente per più anni dell’età della maggioranza dei nostri lettori.

Ha affrontato la vedovanza con maturità e grande attaccamento al Signore, ma non gli è stato risparmiato comunque dover affrontare il senso di perdita, la solitudine e il cambiamento che accompagna questa stagione della vita. 

Passare da una perfetta autonomia alla sempre maggiore dipendenza dagli altri non è facile, e affrontare e accettare la realtà del corpo che “si disfa” è molto pesante. Confrontarsi con il cambiamento di ruolo nella chiesa può essere doloroso. 

Il corpo-chiesa deve essere sensibile su come accogliere in modo utile, trovare un ruolo adatto, capire come amare e onorare questo gruppo di santi. Deve sapere come accompagnarli nell’autunno della loro vita e usufruire dei doni che hanno, facendo tesoro della loro esperienza. Sono una grande ricchezza, e hanno tanta saggezza di vita vissuta da condividere, consigli validi da dispensare e incoraggiamento e ascolto da ricevere.

E questo non è sempre facile, perché li vediamo fragili, stanchi, a volte si lamentano o stanno male. 

Ma ci sono i modi più semplici con cui cominciare, come telefonare o andare a fare la spesa per loro, o meglio accompagnarli nelle loro necessità o fare una semplice passeggiata. Ma credo che ci siano idee più ingegnose e meno scontate, basta mettere in moto il meccanismo.

Meglio delle polpette! 

Ho finito di montare il mobile che mi hanno regalato seguendo le istruzioni, eppure, come da copione, mi ritrovo con qualche pezzo di cui non so proprio che farmene! 

Forse non sei come me, e queste cose non ti fanno sentire frustrato. Ma a me fa questo effetto, e nel dubbio metto da parte quel pezzo cercando di intuire se sia veramente necessario. Alla fine lascio perdere. 

Nella chiesa però non ci sono pezzi in più. L’inserimento lo fa Dio in persona! 

Noi abbiamo comunque la responsabilità di essere un corpo che accoglie volontariamente, cura, onora e ama ogni membro che ne fa parte, di qualsiasi gruppo. 

Il nostro compito è gioire e soffrire insieme a loro. Questa cura individuale comincia da me e da te. Il dono spirituale che il Signore ci ha dato da quando ci siamo convertiti a Cristo, lo abbiamo ricevuto proprio per questo.

Allora, usiamolo bene!

— D.S.

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La VOCE gennaio 2021

Una volta viaggiare era piuttosto facile. C’erano i controlli di sicurezza negli aeroporti, ma non erano molto rigidi. Per i viaggi intercontinentali dovevi rispondere ad alcune domande pro forma, ed era permesso anche all’accompagnatore di arrivare fino alla porta d’imbarco. Al ritorno, invece, si poteva aspettare il viaggiatore addirittura all’uscita dell’aereo. 

Tutto è cambiato dopo gli attentati dell’11 settembre. I controlli ora sono molto rigidi e scrupolosissimi, e viaggiatori e accompagnatori devono salutarsi molto prima di accedere all’area degli imbarchi. 

Per diversi anni il mio lavoro mi portava a viaggiare tra l’Italia e gli Stati Uniti anche decine di volte all’anno.

Mia moglie, che è molto organizzata, si occupa sempre lei dei nostri bagagli. Quando viaggiamo in Italia, le valigie spuntano almeno una settimana prima, per gli Stati Uniti, invece, anche con un mese di anticipo. Ogni dettaglio è pensato attentamente e preparato con cura. 

Invece io sono meno organizzato, e mi sembra una vera esagerazione, e per questo ci prendiamo in giro a vicenda anche se, in fin dei conti, sono sempre grato che sia lei a preparare le valigie con tutto l’occorrente per la nostra permanenza. Anzi (e lo scrivo sottovoce!) spesso portiamo cose che neanche ci servono.

Ora affrontiamo un altro viaggio tu e io, e stiamo per imbarcarci verso un nuovo anno. Come vanno i preparativi?

sette in valigia

Se da una parte mia moglie è una che prepara i bagagli due settimane prima, io sono quello che vuole arrivare all’aeroporto almeno due ore prima. C’è chi dice che sono esagerato, ma mi piace ricordare che in tutti i miei viaggi, con le centinaia di voli e milioni di chilometri alle spalle, non ho mai perso un volo! Certo, ammetto che questo mi ha pure fatto passare tante ore di attesa all’aeroporto. 

In una delle mie ultime partenze ho avuto la mia rivincita. Come sempre, ci eravamo mossi con il solito largo anticipo, anche perché l’aeroporto dista più di 40 minuti da casa. Appena arrivati al parcheggio Lunga Sosta, ho tirato fuori i passaporti, pronti per il controllo. Allora mia moglie, che ha la doppia cittadinanza come me, si è accorta che avevo in mano il suo passaporto italiano, non quello degli USA, ed è sbiancata! Infatti quello che avevo preso era scaduto, e io me n’ero completamente dimenticato. 

Non ci crederete, ma siamo risaliti in macchina, tornati a casa abbiamo recuperato l’altro passaporto, siamo tornati in aeroporto, e non abbiamo perso l’aereo! Abbiamo solo corso un po’ più del solito.

TUTTI IN MARCIA!

Entrare nel nuovo anno è un po’ come intraprendere un viaggio spirituale che richiede che anche il nostro “passaporto spirituale” sia a posto. 

Partire con la presunzione che “andrà tutto bene” e che “nessun male ci toccherà quest’anno”, sarebbe un atto di arroganza, perché nessuno conosce il futuro né sa quanto durerà la vita. 

Gesù ha raccontato la storia di un uomo tutto soddisfatto di sé, che pensava di avere la sua vita sotto controllo. 

Dio però ha ammonito quell’uomo dicendogli: “Stolto, questa notte stessa l’anima tua ti sarà ridomandata; e quello che hai preparato, di chi sarà? Così è di chi accumula tesori per sé e non è ricco davanti a Dio” (Luca 12:20,21).

Vivere anche un solo giorno o un’ora sola senza essere sicuri del proprio destino eterno è da stolti. 

Davanti a questa realtà non posso evitare di chiederti se tu sei sicuro di sapere dove passerai la tua eternità.

È una domanda che devi a te stesso, perché nessun altro ci pensa al posto tuo. 

Se la tua risposta è che speri di andare in cielo, che in fondo sei una brava persona, mi dispiace ma ho l’obbligo di avvertirti con la massima serietà che non sei pronto ad affrontare l’eternità.

Solo coloro che hanno creduto in Gesù Cristo come il loro salvatore e il loro signore possono essere certi del loro destino eterno. Sanno perfettamente che le buone opere, come pure l’essere più o meno religiosi, non possono salvare nessuno né conferire alcun beneficio o merito al peccatore davanti a Dio. 

Gesù, infatti, ha affermato che solo chiunque crede in lui ha vita eterna. 

E ha spiegato come arrivare a Dio, dicendo: “Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Giovanni 14:6).

Il passaporto per il nostro viaggio spirituale è quindi la certezza di aver posto la nostra fiducia esclusivamente nel sacrificio di Gesù Cristo sulla croce, senza arrogarci alcun merito, ma solo per la fede!

Oltre a un documento di viaggio valido, bisogna avere pronti anche i bagagli. Una valigia mezza preparata è segno di un viaggio non ancora cominciato.

L’apostolo Giacomo scrive: “A che serve ... se uno dice di aver fede ma non ha opere? Può la fede salvarlo? Così è della fede; se non ha opere, è per sé stessa morta. Anzi uno piuttosto dirà: «Tu hai la fede, e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le tue opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede” (Giacomo 2:14,17,18).

Ci sono persone che si definiscono cristiane, ma si illudono, perché in realtà 

Gesù non è diventato il loro Signore: non prendono sul serio quello che lui ha detto, e non lo mettono in pratica. 

Pensare di essere cristiani senza però obbedire a Cristo è come mettersi in viaggio sprovvisti dei documenti necessari e senza i bagagli appropriati, salendo su un qualunque treno scelto a caso, senza sapere dove sia diretto.

L’idea che la vita somigli a un viaggio viene dalla Parola di Dio. La Bibbia dice che nel momento della conversione, quando un peccatore si arrende a Cristo e diventa un vero credente, comincia per lui un cammino di santificazione, di progresso e cambiamento. 

Come si prospetta il tuo cammino nell’anno 2021, che per molti versi si presenta difficile e con molte incognite?

nessuno è ESCLUSo

La Parola di Dio comanda senza mezzi termini: “Come figli ubbidienti, non conformatevi alle passioni del tempo passato, quando eravate nell’ignoranza; ma come colui che vi ha chiamati è santo, anche voi siate santi in tutta la vostra condotta, poiché sta scritto: «Siate santi, perché io sono santo»” (1 Pietro 1:14-16).

Alcune persone leggendo questo passo reagiscono male. Si rendono conto che si tratta di un comando, non di un suggerimento, ma che è umanamente impossibile da seguire. E si rassegnano a tirare avanti nel miglior modo possibile. 

In generale, molti pensano che testi come questo riguardino solo pochi supereroi cristiani del calibro di Paolo o di grandi predicatori e riformatori del passato, e che Dio si debba accontentare di noi che gli zoppichiamo dietro come possiamo. 

L’errore è che siamo noi che ci stiamo accontentando di una vita cristiana mediocre e insoddisfacente, e poi pretendiamo da Dio che, dato che ci conosce e ci capisce, si accontenti pure Lui e non ci chieda di più. È un grave errore!

Per esempio, l’apostolo Pietro, lungi dall’essere un supereroe della fede, si era dimostrato in diverse occasioni tremendamente umano e fallibile. Eppure, lui stesso testimonia: “La sua potenza divina ci ha donato tutto ciò che riguarda la vita e la pietà mediante la conoscenza di colui che ci ha chiamati con la propria gloria e virtù. Attraverso queste ci sono state elargite le sue preziose e grandissime promesse perché per mezzo di esse voi diventaste partecipi della natura divina dopo essere sfuggiti alla corruzione che è nel mondo a causa della concupiscenza” (2 Pietro 1:3,4).

Al momento della nostra conversione Dio ci ha donato una salvezza completa ed eterna, senza alcun contributo da parte nostra. Non dobbiamo assolutamente completare l’opera salvifica di Cristo sulla croce, perché è già compiuta. E così come abbiamo ricevuto in dono la nostra salvezza, allo stesso modo ci è stato donato abbondantemente anche tutto ciò che è necessario per vivere una vita eccellente agli occhi di Dio. 

Infatti, Dio ha promesso di guidarci nel nostro cammino con Lui e per Lui. La sua Parola è piena di promesse che ci accompagneranno e ci aiuteranno in questo nuovo anno. Certo, le dobbiamo conoscere, credere e vivere.

Nessuna SCUSa

Se siamo credenti da diversi anni, e pensiamo al nostro tracciato spirituale, potremmo chiederci perché mai questo cammino di santificazione non sia chiaramente visibile, perché non vediamo miglioramenti in noi e un progresso più evidente.

In parte la risposta è tanto ovvia quanto triste: ci accontentiamo di zoppicare nella fede, ci rassegniamo a considerarci delle pecore nere, ma pur sempre pecore di Dio. E non consideriamo che l’assenza di progressi nel nostro viaggio potrebbe significare che non siamo partiti affatto. 

Gesù ha avvertito chiaramente che alcuni saranno sorpresi di scoprire che non sono mai stati figli di Dio.

“Non chiunque mi dice: Signore, Signore! entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno in quel giorno: «Signore, Signore, non abbiamo noi profetizzato in nome tuo e in nome tuo cacciato demòni e fatto in nome tuo molte opere potenti?» Allora dichiarerò loro: «Io non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, malfattori!»” (Matteo 7:21-23).

Queste persone affermeranno di avere fatto cose che noi nemmeno ci sogneremmo di fare, ma resta il fatto che si erano illuse di avere seguito Gesù. 

È per questo motivo che la Parola di Dio ci esorta a esaminarci per vedere se Cristo è in noi (2 Corinzi 13:5). Dio conosce perfettamente il nostro stato spirituale, e se glielo chiediamo con sincerità certamente ce lo farà capire.

NESSUNA SCORCIATOIA

Camminare con Gesù non avviene per caso. Richiede un duro lavoro. 

Pietro spiega qual è l’impegno che spetta a noi: “Voi, per questa stessa ragione, mettendoci da parte vostra ogni impegno, aggiungete alla vostra fede la virtù; alla virtù la conoscenza; alla conoscenza l’autocontrollo; all’autocontrollo la pazienza; alla pazienza la pietà; alla pietà l’affetto fraterno; e all’affetto fraterno l’amore” (2 Pietro 1:5-7).

Chi ha creduto in Cristo, ha anche ricevuto “le preziose e grandissime promesse” di Dio, e ora, diventato “partecipe della natura divina”, deve metterci ogni impegno per seguire Cristo. Ma non deve farlo per guadagnarsi qualche merito personale, semplicemente per vivere appieno la vita che Dio desidera per i suoi figli.

Tutti noi ci impegniamo in tante cose, chi nello studio, chi nel lavoro. Ci diamo da fare per mantenerci in forma, per affermarci nella vita, per ottenere quello che è importante per noi. Ma quando i nostri interessi privati vanno a scapito dell’impegno spirituale dobbiamo ammettere che le nostre priorità non sono giuste e devono essere rivalutate e assestate secondo la Parola di Dio.

È evidente quindi che questo cammino, ovvero il nostro progresso spirituale, non avviene per caso e non si ottiene senza sforzi. Ciascun credente da parte sua deve impegnarsi per il proprio bene. 

Gesù più volte ha affermato che per seguirlo bisognava abbandonare tutto, essere pronti a morire, pronti a invertire le priorità della propria vita.

Seguire Cristo non è qualcosa che si “aggiunge” a una vita già di per sé molto piena e complicata. Non si può incorporare la vecchia vita nella nuova. Le vecchie abitudini, gli atteggiamenti e le ambizioni, se non sradicate finiranno per soffocare il buon seme. La nuova vita, infatti, non è la vecchia vita riveduta e corretta, ma una vita totalmente nuova!

Chiediti se quella che chiami “la tua conversione” sia stata veramente l’inizio di una vita nuova.

Pietro va avanti e scrive: “Perciò, fratelli, impegnatevi sempre di più a render sicura la vostra vocazione ed elezione; perché, così facendo, non inciamperete mai. In questo modo infatti vi sarà ampiamente concesso l’ingresso nel regno eterno del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo” (2 Pietro 1:10,11).

Questo cammino faticoso, fatto con impegno, è la dimostrazione che la nostra fede è reale. 

Le qualità da aggiungere alla fede nella lettera di Pietro non sono come le pietanze di un buffet, non possiamo scegliere solo quelle che ci piacciono. Sono tutte indispensabili per la nostra santificazione e la nostra conformazione a Cristo. È utile quindi esaminare più in dettaglio cosa dobbiamo aggiungere giornalmente alla nostra vita.

LA FEDE

Tutto parte da qui: la fede. Senza fede non si può piacere a Dio. 

Nessuno ha mai visto Dio, ma per fede siamo certi che esiste, che ha creato ogni cosa dal nulla con la sua parola, e che ha mandato suo figlio Gesù a morire per i peccati di coloro che credono in lui. 

Attraverso la fede diventiamo figli di Dio e cominciamo il cammino con Cristo: “È per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio. Non è in virtù di opere affinché nessuno se ne vanti” (Efesini 2:8,9). 

Avere fede significa essere certi che le cose spirituali sono reali, e vivere di conseguenza: “Or la fede è certezza di cose che si sperano, dimostrazione di realtà che non si vedono” (Ebrei 11:1). 

Infatti, essere persuasi di quello che Dio dice nella Bibbia influisce su tutto il nostro modo di comportarci.

LA VIRTÙ

La virtù è l’eccellenza morale. È il terreno fertile; da qui crescono poi tutte le altre qualità che Dio vuole che coltiviamo nella nostra vita. È qui che si vede il desiderio di piacere a Dio: nelle scelte di ogni giorno.

Alcune di queste scelte richiedono delle rinunce, altre un approccio più concreto, ma scegliere bene e una cosa complicata. Ecco perché il cammino cristiano nella Bibbia è descritto come un combattimento, come la gara di un atleta e come il duro lavoro del contadino. È duro perché va contro la nostra natura umana. 

L’apostolo Giovanni descrive l’indole naturale dell’uomo così: “Tutto ciò che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza, ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno” (1 Giovanni 2:16,17).

Il combattimento è vero, e Dio si aspetta che ognuno alla fede aggiunga un terreno fertile, una pista per l’atleta e un campo di battaglia per la nostra santificazione.

LA CONOSCENZA

Solo la Bibbia può darci le informazioni necessarie per proseguire il nostro cammino con Cristo o per cambiare direzione (Salmo 32:8; Proverbi 20:24). 

La vera saggezza e il discernimento sono doni di Dio che dà a chiunque glieli chieda (Giacomo 1:5-8). Sapere cosa Dio vuole da noi, saper distinguere il bene dal male e saper scegliere le cose eccellenti fanno parte della conoscenza.

Ogni credente ne ha bisogno. 

Si capisce dalle parole di Paolo ai credenti di Roma: “Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio; questo è il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza quale sia la volontà di Dio, la buona, gradita e perfetta volontà” (Romani 12:1,2).

L’AUTOCONTROLLO

Questa è la parte che risulta difficile a tutti. Dobbiamo imbrigliare, ossia tenere a freno la nostra volontà. Molti nostri desideri ci spingono in una direzione, mentre la Parola di Dio ci comanda di andare nella direzione opposta. Ma da soli è impossibile. Non c’è asceta, persona austera e rigidamente intransigente che abbia vinto la battaglia contro sé stessa. 

Ma per i figli di Dio esercitare l’autocontrollo è possibile proprio per “le preziose e grandissime promesse” di Dio che cammina accanto a noi. 

Non siamo mai soli. 

Possiamo contare sul suo aiuto nell’imparare l’autocontrollo perché, come ha detto Paolo, è Dio stesso che produce in noi il volere e l’agire: “Così, miei cari, voi che foste sempre ubbidienti, non solo come quand’ero presente, ma molto più adesso che sono assente, adoperatevi al compimento della vostra salvezza con timore e tremore; infatti, è Dio che produce in voi il volere e l’agire, secondo il suo disegno benevolo” (Filippesi 2:12,13).

È chiaro da questo passo che c’è un solo modo di vivere la realtà della nostra salvezza: con l’ubbidienza. 

Dio, da parte sua, produce in noi il desiderio e la forza per ubbidirgli, e noi, da parte nostra, dobbiamo adoperarci, sforzandoci di farlo.

L’autocontrollo non è difficile solo a causa della lotta interna nei nostri cuori, ma anche a causa del mondo in cui viviamo, ed è per questo che bisogna coltivare nel nostro terreno fertile un’altra qualità.

LA PAZIENZA

Un altro modo per definire questa parola è perseveranza. Abbiamo bisogno di camminare con perseveranza perché spesso cadremo e a volte ci scoraggeremo, perché il nostro cammino con il Signore non sembra portare i risultati che desideriamo.

Ma Paolo, su questo argomento scrivendo ai galati, dice: “Non ci scoraggiamo di fare il bene; perché, se non ci stanchiamo, mieteremo a suo tempo” (Galati 6:9).

Avere pazienza ed essere perseveranti nel fare la volontà di Dio porta dei benefici per noi e per le persone che Lui ci mette vicino.

Trovi a volte difficile e scoraggiante continuare a fare il bene ed essere paziente? Non demordere, il bello deve ancora venire. Ma ci sono ancora qualità da aggiungere.

LA PIETÀ

Forse questa è la qualità più difficile da capire. La parola pietà, in questo contesto, significa il modo pio di vivere, devoto a Dio. Potremmo definirla la vera religione, la vera adorazione, in altre parole divenire più simili a Cristo. Infatti, Dio vuole formare Cristo in noi, e ha ispirato Paolo a scrivere ai galati: “Figli miei, per i quali sono di nuovo in doglie, finché Cristo sia formato in voi” (Galati 4:19).

I passi biblici che parlano di questa realtà sono tantissimi. 

Per Paolo questo era possibile solo rinunciando a tutto, e dedicando sé stesso totalmente a tale scopo. D’altra parte, parlando ai credenti di Filippi ammette: “Non che io abbia già ottenuto tutto questo o sia già arrivato alla perfezione; ma proseguo il cammino ... Fratelli, io non ritengo di averlo già afferrato; ma una cosa faccio: dimenticando le cose che stanno dietro e protendendomi verso quelle che stanno davanti,corro verso la mèta per ottenere il premio della celeste vocazione di Dio in Cristo Gesù” (Filippesi 3:12-14).

Se hai pensato che questo lavoro di santificazione sia solo un aspetto, una tappa tra tante nella vita cristiana, ripensaci: l’apostolo Paolo si è dedicato a questo scopo per tutta la vita. Tutta una vita per diventare simili a Cristo e mostrare le stesse qualità che aveva lui.

L’AMORE FRATERNO e L’AMORE

Le metto insieme anche se non sono la stessa cosa. 

La prima riguarda le nostre relazioni, e la seconda è l’amore perfetto che Dio ci ha dimostrato e che noi dobbiamo avere per gli altri. Quell’amore che ama con sacrificio chi non lo merita e i nostri nemici. 

A volte ci chiediamo perché non amiamo meglio e di più. Beh, questi versetti dimostrano che l’amore va costruito su qualità su cui dobbiamo lavorare.

UN VIAGGIO CHE NON FINISCE sulla TERRA

Pietro termina questo discorso con queste parole: “Se queste cose si trovano e abbondano in voi, non vi renderanno né pigri, né sterili nella conoscenza del nostro Signore Gesù Cristo. Ma colui che non ha queste cose, è cieco oppure miope, avendo dimenticato di essere stato purificato dei suoi vecchi peccati” (2 Pietro 1:8,9).

Se ci adoperiamo per aggiungere alla fede queste qualità ci saranno dei risultati, e ci renderemo conto che il nostro rapporto con il Signore diventerà più intimo e fruttuoso, e la sua Parola più chiara per noi. 

Ma se non ci impegniamo in questo senso allora rischieremo di diventare ciechi nella fede, cioè perderemo di vista le priorità spirituali, dimenticando l’importanza di stare attaccati a Gesù. Oppure potremmo diventare miopi, e non vedere al di là della nostra bolla, concentrandoci solo su noi stessi, sui nostri problemi e le nostre necessità.

I bagagli pronti

Non so cosa aspettarmi dal 2021. Sembrerebbe un altro anno difficile. Potremmo pure non arrivare a dicembre. 

Di una cosa però voglio assicurarmi, come scrive Pietro: “Fratelli, impegnatevi sempre di più a render sicura la vostra vocazione ed elezione; perché, così facendo, non inciamperete mai. In questo modo infatti vi sarà ampiamente concesso l’ingresso nel regno eterno del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo” (2 Pt. 1:10,11).

Voglio essere sicuro di aver messo in valigia tutto il necessario, cioè tutto quello che è mia responsabilità preparare per affrontare il viaggio nel nuovo anno. 

Al resto ci penserà il Signore.

— D.S.

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La VOCE dicembre 2020

Alla fine di dicembre ho l’abitudine di rivedere l’anno passato e di riflettere su tutto quello che è successo. Mai come quest’anno valutarlo sembra tanto difficile.

Sarai d’accordo con me che il 2020 è stato totalmente diverso da quello che avremmo potuto prevedere. Direi che, per la stragrande maggioranza di noi italiani che non abbiamo visto la guerra o vissuto gli stenti del dopoguerra, questo potrebbe essere il più difficile anno della nostra vita.

È anche vero che, a livello personale, in passato, c’è chi è stato colpito da grandi tragedie personali – incidenti stradali, malattie, lutti, ristrettezze economiche e tanti altri problemi gravi – ma mai come quest’anno le difficoltà sono state distribuite nella vita di tutti.

Ho il sentore che questo sarà ricordato come l’anno che ha cambiato la società e il nostro modo di vivere in modo incisivo e duraturo.

In che modo, quindi, dovrei considerare il mio 2020? È stato un anno di perdite o di guadagni? 

Come credente, ho una scala diversa per valutare le cose. Che tipo di risposta Dio si aspetterebbe da me? Rispondere in modo “spirituale” sarebbe una forzatura?

Ho perso tanto

Rivedendo il mio 2020 non posso fare a meno di pensare subito alla perdita di mio padre. Ma non sono l’unico ad aver perso un parente stretto: dicembre non è ancora arrivato mentre sto scrivendo questo articolo e sono già morte oltre 40.000 persone solo di Covid-19. 

Il mio dolore particolare, che mi ha accompagnato in questa perdita, è che a causa della pandemia non mi è stato permesso di stare vicino a papà nei suoi ultimi giorni. Per più di un mese era rimasto isolato da tutti i suoi cari. E dopo non abbiamo neanche potuto celebrare il suo funerale. Questo fatto da solo è sufficiente per farmi pensare che il coronavirus mi abbia fatto perdere molto. 

Riflettendo poi sulla mia libertà personale mi sembra di aver perso tanto anche in questo campo. Chiuso in casa per mesi, come un prigioniero, non ho potuto incontrarmi con i miei familiari e gli amici. Per non parlare delle file da fare, mascherine da indossare e regole da seguire, alcune incomprensibili e altre proprio esagerate. 

Mi è pesato non poter andare in chiesa e non frequentare i miei fratelli in Cristo, che sono due aspetti fondamentali della mia vita settimanale. 

Ovviamente non sono potuto andare in ufficio e così, probabilmente per la prima volta in sessantadue anni, La Voce del Vangelo non è stata pubblicata per un paio di mesi.

Questo è quello che ho perso io, ma tanti altri hanno perso stipendi, altri ancora il lavoro, gli studenti hanno dovuto affrontare lo studio a casa.

Un anno da dimenticare? Un anno di grandi perdite?

Dio dov’era?

Sono un credente in Cristo, le cose di Dio e le realtà spirituali fanno parte della mia vita quotidiana. Nel momento in cui comincio a pensare a Lui mi rendo conto che, per essere giuste e veritiere, le mie valutazioni devono avere una prospettiva diversa. Devo essere onesto nei miei ragionamenti. E mi accorgo che non è facile mantenere sempre il giusto punto di vista.

Quando lo scorso dicembre auguravo “Buon Anno!” non pensavo minimamente che sarebbe stato un anno tanto travagliato. A dire il vero, sembra proprio difficile considerare il 2020 un buon anno. Piuttosto è stato un anno da non ripetere per molti di noi. E purtroppo sembra che le nostre circostanze prospettino altri mesi ancora molto simili a quelli appena passati. Il che non fa che aumentare l’ansia e il disagio.

È un po’ come quando anni fa, durante una partita di calcio, ho rotto il legamento crociato del ginocchio. Sono stato operato tre volte, di cui la terza è stata la più difficile. Avendo già subito due interventi ero più che consapevole del dolore che avrei provato e quanto sarebbe stata dura la riabilitazione. 

Adesso, umanamente, se le cose dovessero peggiorare, non so quanti di noi saranno pronti ad affrontare le difficoltà dei prossimi mesi senza ribellarsi.

Sento già le persone che mettono le mani avanti: “Non abbiamo bisogno di una predica!” Forse hanno ragione, fiumi di parole vuote non combinano niente. Ma possibile che Dio non voglia aiutarci ad affrontare le nostre “perdite”, passate e future, in modo migliore? Forse facendoci vedere i benefici che non abbiamo saputo riconoscere nel recente passato?

Quello che per me è stata una grande sorpresa, per Dio non lo era affatto. Su questo non ci piove. Casomai la vera sorpresa è che Lui aveva pianificato ogni cosa.

Nel caso di mio padre, è stato Dio a stabilire il tempo e il modo della sua chiamata all’eternità. 

Non ho idea di quanto fosse cosciente o quanto abbia sofferto, ma sono sicuro che, come Dio aveva intessuto il suo corpo nel grembo di sua mamma e lo aveva accompagnato nei suoi 93 anni dei quali più di 70 al suo servizio, così lo ha anche accolto nella dimora eterna che aveva preparato per lui, secondo la promessa di Gesù ai suoi discepoli.

“Il vostro cuore non sia turbato; abbiate fede in Dio, e abbiate fede anche in me! Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore; se no, vi avrei detto forse che io vado a prepararvi un luogo? Quando sarò andato e vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi; e del luogo dove io vado, sapete anche la via” (Giovanni 14:1-4).

Queste parole introducono le mie riflessioni su quello che ho guadagnato in quest’anno, così diverso da quello che mi aspettavo.

Dio stava lavorando!

Nello scrivere le parole di Gesù in questi versetti appena citati, i miei occhi si sono riempiti di lacrime. Sono parole che trasudano comprensione e cura da parte di Dio: “Il vostro cuore non sia turbato.” 

Il mio è stato turbato. E, se non lo è più, rischia di turbarsi ancora! 

Dio non è mai colto di sorpresa dagli eventi, e tantomeno dalle nostre reazioni. La sua cura per noi non consiste necessariamente nel cambiare le circostanze, ma nel prepararci ad affrontarle, in modo che non ne saremo schiacciati e distrutti. 

Dobbiamo fidarci di Dio, Lui sa quello che è meglio per noi. Tu e io non possiamo pretendere di conoscere il futuro, né siamo in grado di prevedere le ripercussioni negative delle nostre scelte se ci incaponiamo a fare di testa nostra.

Ci sono concetti che so, che conosco, o che per lo meno dovrei avere capito ormai, ma che spesso dimentico o metto da parte. Uno di questi l’apostolo Paolo l’aveva capito presto nella sua vita, e metterlo in pratica lo aveva reso uno strumento molto utile per Dio: “Secondo la mia viva attesa e la mia speranza di non aver da vergognarmi di nulla; ma che con ogni franchezza, ora come sempre, Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia con la vita, sia con la morte. Infatti per me il vivere è Cristo e il morire guadagno” (Filippesi 1:20,21).

Non siamo noi che dobbiamo preservare la nostra vita, lo deve fare Dio, e lo fa in armonia con i suoi piani eterni.

È assurdo pensare che una vita senza problemi sulla Terra sia una buona alternativa, anche se temporanea, alla vita nella perfezione del cielo alla presenza di Dio. Eppure permettiamo all’istinto di conservazione di impadronirsi dei nostri pensieri al punto di dominare le nostre emozioni e le nostre azioni.

Ma se le difficoltà legate al coronavirus ci hanno spinto a preferire la vita col Signore, gli intenti di Dio sono stati raggiunti, almeno in parte.

Non ci rendiamo conto di quanto il nostro concetto di un “buon anno” sia diverso da quello di Dio. 

Noi auguriamo il bene che immaginiamo, basandoci sui nostri desideri e preferenze individuali, e se Dio c’entra qualcosa, per più delle volte è solo in teoria, e anche allora non ragionando biblicamente.

Cuore mio, dove mi porti!

Nella nostra vita esistono forze avverse che mirano a sabotare il nostro rapporto con Dio. Alcune di queste agiscono dal di fuori e sfuggono al nostro controllo. Ostacolano e rendono più difficile la nostra ubbidienza al Signore. 

Le forze avverse invece che sono dentro di noi sono capaci di avvelenare i nostri affetti, storpiare la percezione della realtà, e farci prendere decisioni avventate. 

Quando ci troviamo in mezzo al fuoco incrociato di queste forze facciamo fatica a capire che cosa vuole Dio da noi. 

E Lui, cosa si aspettava da noi in questo anno passato? Gli abbiamo dato retta? 

In realtà, nulla di diverso da quello che vuole sempre da noi: “«Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente». Questo è il grande e il primo comandamento. Il secondo, simile a questo, è: «Ama il tuo prossimo come te stesso». Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti” (Gesù in Matteo 22:37-40).

Dio mi comanda di amarlo. Non è la pretesa di un despota, ma l’invito di Colui che mi ha amato prima che esistessi, quando non ero interessato al suo amore, bensì un suo nemico che seguiva Satana. 

Ora, al concludersi dell’anno, una domanda me la devo fare: “Amo Dio più di prima? Oggi sono più simile a Cristo di un anno fa?”

In questi mesi ho visto tante persone diventare ciniche, amare, e convinte che hanno ragione a lamentarsi e a essere arrabbiate. Non dico che sia sbagliato che le persone cerchino di rendere la loro vita più comoda e senza problemi. Il problema, però, è che l’essere umano ama sé stesso più di ogni altra cosa. Gli altri intorno a lui servono nella misura in cui non sono un ostacolo alla sua felicità, ma uno strumento utile per il suo benessere emotivo e fisico. 

Non è una mia idea, ma è quello che Dio dice nella sua Parola.

“Non amate il mondo né le cose che sono nel mondo. Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui. Perché tutto ciò che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza” (1 Giovanni 2:15-17).

Posso dire con certezza che, se abbiamo permesso alla nostra vita di essere guidata dalle nostre concupiscenze, il 2020 è stato un anno di grandi perdite. Un 2021 simile sarebbe non solo spaventoso ma anche molto deprimente. 

Se invece le circostanze dei mesi passati sono servite ad allineare le nostre priorità e i nostri scopi con quello che Dio vuole per noi, è stato un anno di grandi guadagni.

L’inventario spirituale

Il motivo per cui, verso la fine di ogni anno, faccio una valutazione di tutto quello che mi è successo è perché voglio essere preparato al mio oggi e al mio domani.

Qualunque siano le nostre circostanze, Dio vuole:
- farci desiderare la vita futura con Lui più della vita presente;
- spingerci a diventare più simili a Gesù;
- che, finché siamo qui sulla Terra, la nostra sia una vita di progresso spirituale personale, che curiamo i credenti che Lui ha messo accanto a noi, e che siamo fedeli nel presentare la verità del vangelo a coloro che non la conoscono.

Capendo questo, posso dire che il 2020 certamente aveva tutti gli elementi necessari per aiutarci a realizzare gli scopi di Dio in noi.

Ho avuto più tempo per crescere spiritualmente, più tempo per leggere e studiare, per riflettere su tanti aspetti della mia vita. 

I credenti hanno avuto bisogno di amore e di incoraggiamento più del normale. Le persone intorno a noi hanno dovuto pensare alla morte come non lo avevano mai fatto prima. 

Gli elementi c’erano tutti, ma come è andata? Siamo stati trascinati a lamentarci o ad avere le stesse reazioni degli altri? 

Facebook non è certamente uno strumento adatto per valutare cosa succede nel cuore delle persone, perciò prendi con le dovute pinze quello che sto per dire. Su questo social network ho letto post di credenti che non sembrano crescere affatto nella fede. Fanno la voce grossa contro le decisioni prese dal governo, e sono molto duri verso coloro che non la pensano nello stesso modo sulle mascherine o su come vivere, ma esitano a testimoniare di Cristo. 

Ripensa alle tue conversazioni in famiglia, con gli amici e coi vicini: sono state occasioni per esaltare la bontà e l’amore di Dio? Sono stati momenti utili per incoraggiare altri credenti a crescere spiritualmente? Ne hai approfittato per parlare della Buona Novella?

Non voglio assolutamente giudicare nessuno, ma forse per qualcuno di noi l’anno passato è stata un’occasione persa, e non vorrei che si ripetesse. Siamo tutti ancora in tempo per rivalutare quello abbiamo fatto, e riflettere su come potremo rendere il prossimo un anno di guadagno più che di perdite.

Pronti per quel che verrà

Ci sono delle certezze ci aiutano ad analizzare biblicamente le nostre circostanze: 

Dio regna sovrano
- Egli è perfetto 
- Egli è saggio
- Egli è potente
- Egli è amore

 Dio governa l’universo intero tutto il tempo. Nulla gli sfugge, nulla lo coglie di sorpresa, perché è Lui che lo permette. Dio domina sulla natura, sulla vita, sulle autorità, sulle nostre famiglie, sulle circostanze più piccole, sul microcosmo. 

Questo è ciò che la Bibbia afferma. Ma tu, ci credi?

Se non fosse davvero sovrano, pregare Dio sarebbe una perdita di tempo, non ci sarebbe speranza per nessuno, saremmo nel caos assoluto e ogni nostro sforzo risulterebbe inutile. 

Dio è perfetto in tutti i suoi attributi. Non c’è nulla di oscuro in Lui. È immutabile e assoluto nella sua santità e perfezione. “Non v’ingannate, fratelli miei carissimi; ogni cosa buona e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre degli astri luminosi presso il quale non c’è variazione né ombra di mutamento” (Giacomo 1:16,17).

Proprio perché Lui non cambia possiamo fidarci di Lui. Se così non fosse saremmo nelle mani di un Dio capriccioso e imprevedibile. 

Dio è saggio. Ci conosce perfettamente. Sa quello che stiamo per dire o fare prima che lo facciamo. Sa cosa siamo in grado di sopportare e cosa sia utile per noi. Ci conosce meglio di quanto noi conosciamo noi stessi. Nella sua saggezza compie sempre il meglio per noi, perché anche le sue intenzioni sono sempre perfette. Perciò, dammi retta: tu non sai tutto.

Dio è potente. Non sarebbe Dio se non avesse potesse sconfiggere ogni forza avversa, o se le sue “buone intenzioni” fossero limitate dalla sua inabilità a mettere in atto i suoi piani perfetti. 

Quando noi facciamo o subiamo qualcosa non è a causa dei limiti di Dio, ma è perché Lui pensa che sia la cosa migliore per noi.

Dio è amore. Amore è una parola tanto usata, ma in fin dei conti non sappiamo né definirla bene né come metterla in pratica. Dio invece sì. 

Sapere che il nostro Padre celeste ci ama deve filtrare ogni nostro pensiero, ogni nostra valutazione, ogni nostra reazione. Se Dio ha dato la vita del suo unigenito Figlio per noi, non farà tutto quello che è necessario per amarci perfettamente? 

“Colui che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per noi tutti, non ci donerà forse anche tutte le cose con lui?” (Romani 8:32). Se veramente crediamo al suo amore non possiamo far altro che correre nelle sue braccia per trovare vera pace e vera sicurezza.

L’anno si sta concludendo e non ho dubbi che per me il 2020 non è stato un anno di perdite, ma di grandi guadagni! Spero che lo sia stato anche per te! 

Auguri di Buon Anno 2021!

— D.S.

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La VOCE novembre 2020

Una caratteristica dei neonati è quella di non essere consapevoli di ciò che avviene intorno a loro, infatti tutto il loro essere è concentrato solo su se stesso. 

Si nasce piangendo, e per i primi mesi piangere è l’unico modo che abbiamo per esprimerci. 

I bimbi piangono quando hanno fame, piangono quando sono stanchi, e piangono anche quando sono sporchi. Lo fanno per istinto, non per una scelta pensata.

D’altro canto, ci sono anche caratteristiche che accomunano le persone anziane. Si può senz’altro dire che con l’età molti diventano alquanto intransigenti. Può darsi che vedendosi sempre meno autosufficienti comincino a temere di perdere il controllo della propria vita. 

Gli anziani esigono di essere curati come è giusto che sia, ma allo stesso tempo possono non essere disposti a rinunciare alla loro indipendenza e alle loro abitudini. E, seppure in modo diverso e non tutti con la stessa intensità, anche loro sembrano diventare molto concentrati su loro stessi.

Tra questi due gruppi di persone ai poli estremi della vita ce n’è un terzo, molto più numeroso, che annovera la maggior parte dell’umanità. In un mondo in cui “ognuno si fa i fatti suoi”, dobbiamo tutti barcamenarci per sopravvivere. Forse per molti di noi la vita è una continua battaglia per rincorrere quello che desideriamo, che sogniamo o di cui abbiamo strettamente bisogno.

Il passo che ci separa dall’egocentrismo più estremo è breve. Tutta la vita ci affanniamo per cose che sembrano necessarie, e tutta la vita siamo strattonati da quello che io chiamo “il grande distruttore delle relazioni”. Ha mille facce ma un solo nome: l’egoismo.

Scusami il bagaglio

Nessuno vuole essere bollato come egoista, eppure di recente una tendenza tra i tanti esperti del benessere e life coaching prende piede, quella cioè di promuovere un cosiddetto “sano egoismo”.  Sostengono che serve per non sentirsi annichiliti dall’eccessivo senso del dovere, o affinché gli altri non calpestino i nostri diritti.

Sia come sia, il dizionario Treccani definisce l’egoismo come un “Atteggiamento di chi si preoccupa unicamente di se stesso, del proprio benessere e della propria utilità, tendendo a escludere chiunque altro dalla partecipazione ai beni materiali o spirituali ch’egli possiede e a cui è gelosamente attaccato.” 

Scommetto che la tua prima reazione leggendo la definizione sia stata come la mia: “Quello non sono mica io!” Ma la triste realtà è che noi tutti tendiamo a esserlo, perché ci viene naturale.

Sapendo qual’è la nostra naturale propensione Dio ci esorta a fare molta attenzione a non amare il mondo, perché “tutto ciò che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno” (1 Giovanni 2:16,17). 

È normale che le persone cerchino di soddisfare i propri piaceri, e si diano da fare per ottenere quello che desiderano, e per migliorare la loro posizione sociale. Ma è anche logico che, vivendo così, l’esistenza stessa rischia di diventare un combattimento senza fine. 

La parola concupiscenza che Giovanni ha usato nel versetto citato descrive un intenso, irrefrenabile desiderio di possedere qualcosa. Fa capire chiaramente che quello che viene naturale all’uomo è l’opposto di quello Dio desidera per suoi figli.

A volte, per comprendere bene un concetto è utile considerare il suo contrario. L’antitesi dell’egoismo umano non è l’altruismo, perché anche l’altruismo più disinteressato è tarato dall’egoismo, ma è l’amore di Dio. Ecco come le Scritture descrivono l’amore di Dio.

“Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna” (Giovanni 3:16).
“Dio invece mostra la grandezza del proprio amore per noi in questo: che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Romani 5:8).
“Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo” (1 Giovanni 4:19).

Dio ci ha amati per primo. Aveva scelto di amarci quando eravamo ancora suoi nemici! È un pensiero stupefacente. 

Il suo amore è privo di qualunque traccia di egoismo. Ci ha amati quando eravamo totalmente concentrati su noi stessi, ribelli e odiosi. 

Non c’è mai stato nulla in noi che potesse suscitare anche la più piccola tenerezza. Eppure ci ha amati a un costo incalcolabile: la vita del suo unigenito Figlio.

In tutta la storia umana, l’unica persona non egoista è stata il Signore Gesù. Era integro, e ha vissuto una vita moralmente perfetta senza mai peccare, malgrado fosse stato tentato anche lui come noi, come attesta la Bibbia. 

Nel deserto Satana lo provocò su questo, cercando di tentarlo di pensare a se stesso e di cercare i suoi interessi, ma lui non cedette neanche per un istante. Dai Vangeli emerge chiaramente che Gesù non ha mai rincorso la propria felicità, ma ha compiuto in tutto e per tutto la volontà del Padre. 

Anche davanti alla più crudele violenza e ingiustizia “egli non commise peccato e nella sua bocca non si è trovato inganno. Oltraggiato, non rendeva gli oltraggi; soffrendo, non minacciava, ma si rimetteva a colui che giudica giustamente” (1 Pietro 2:22,23).

Noi che siamo oggetto del suo eterno e immutabile amore, e siamo stati rigenerati dal suo Spirito, il quale ci dà anche la capacità di resistere agli impulsi del peccato, dobbiamo imitare il suo esempio: “Infatti a questo siete stati chiamati, poiché anche Cristo ha sofferto per voi, lasciandovi un esempio, perché seguiate le sue orme” (1 Pietro 2:21).

Per seguire le orme di Gesù dobbiamo, prima di tutto, guardare in faccia la realtà e renderci conto che l’egoismo non allenta la sua morsa su di noi spontaneamente: per tutta la nostra vita o lo combattiamo o lo alimentiamo. Non si può semplicemente “convivere con il problema” e pensare di cavarsela senza troppi effetti collaterali. 

L’egoismo è una forza distruttiva che corrode tutti gli aspetti della vita. Può danneggiare una carriera, causare problemi alla salute, isolare, far prendere decisioni avventate, rovinare economicamente… In questo articolo, mi limiterò a considerare, intanto, i suoi effetti sulla famiglia e sulla chiesa.

Pensiamo alla coppia

Prova a rispondere a queste domande con la massima onestà e imparzialità:
– In casa, su questioni di preferenze, chi di voi si impone di più?
– In vacanza, chi decide dove si va e cosa si fa?
– Come coppia, fate più cose separatamente o insieme?
– Per quale motivo, se così è, le fate separatamente?
– Chi decide come usare i soldi?
– Chi di voi due si scusa più spesso dicendo: “Sono fatto così”?
– Uno di voi si sente schiacciato dall’altro?

Com’è andata? Da come hai risposto, il vostro è un rapporto di coppia armonioso o sbilanciato? 

Se le tue risposte pendono da una parte fai attenzione, perché l’egoismo di uno di voi sta distruggendo l’unità che Dio ha pianificato per la vostra coppia. 

In Genesi 2:24, quando il Signore ha decretato: “Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e saranno una stessa carne” non parlava di un’unione solamente fisica, ma dell’unità di coppia che si estende a ogni aspetto della vita. Lo scopo di Dio per il matrimonio è che ci sia intimità fisica, emotiva e spirituale, insieme a unità di scopi e d’intenti. Qualsiasi forma d’egoismo corrompe fino a distruggere questa unità!

Le coppie si sposano perché si amano, ma troppo spesso il loro non è un amore altruista e generoso; è piuttosto un contratto di scambio: ti amerò fino a quando staremo bene tutti e due. Ed è ancora più tragico quando l’“amore” non è altro che egoismo travestito da nobili sentimenti, sotto i quali si cela un famelico bisogno di essere costantemente soddisfatti: “Ti amo per quello tu puoi fare per me. Tu mi farai star bene, ti prenderai cura di me e non mi farai del male.” 

Ma non ci vorrà tanto prima che la nuova coppia si scontri con la realtà che, invece, il proprio coniuge gli farà del male, che non sempre se ne pentirà e che, purtroppo, lo farà di nuovo. Nel matrimonio tipo “contratto di scambio” ben presto uno dei due si accorgerà che tocca sempre a lui, o a lei, cedere.

Se nella coppia non c’è un dialogo e non si affronta con onestà l’egoismo di tutti e due, la speranza di sconfiggere questo “mostro” è minima. 

Nel tempo, il desiderio di rivalsa diventerà sempre più acuto e di fatto, forse anche senza rendersene conto, i due cominceranno a condurre due vite parallele. A questo punto, anche se la coppia resta tecnicamente unita, non sperimenterà quella benedizione che Dio intendeva per tutte le coppie quando formò Eva per essere la compagna adatta per Adamo.

L’unica soluzione è che la coppia si decida di mettere in pratica quello che Dio dice nella Bibbia: “L’amore è paziente, è benevolo; l’amore non invidia; l’amore non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s’inasprisce, non addebita il male” (1 Corinzi 13:4,5).

In questa sua definizione dell’amore non c’è spazio per mettere se stessi al centro di tutto e tutti.

È possibile che l’egoismo non si manifesti tutto in una volta. Piano piano diventiamo pigri, insensibili e a volte anche amari nei nostri rapporti. Tutto questo fa crescere il nostro amor proprio.

Giacomo scrive: “Dove c’è invidia (zelo per se stessi) e contesa (desiderio di prevalere), c’è disordine e ogni cattiva azione” (Giacomo 3:16). 

L’egoismo non è un innocuo tratto caratteriale, non è mai “sano”, e non è una protezione contro un “eccessivo senso del dovere”. Piuttosto distrugge, e produce sempre disordine e cattive azioni.

Ecco un’altra serie di domande che dovremmo porci.
– Quello su cui mi sto impuntando è obiettivamente necessario?
– Precisamente per quale motivo stiamo litigando?
– Quali sono le cose che ci fanno allontanare l’uno dall’altra?
– Sto imponendo qualcosa che è solo una mia preferenza?

Ognuno porta nel matrimonio il suo bagaglio di egoismo congenito, ma Dio ci chiama ad amarci a seguire l’esempio di Cristo. Tutti possiamo e dobbiamo proteggerci da questo modo di fare distruttivo. 

Non ho spazio qui per scrivere l’intero capitolo 5 di Efesini, ma se sei un marito o una moglie, ti consiglio di leggerlo ora, anche più volte. E se non sei sposato, leggilo lo stesso, ti renderai conto che questi stessi principi si applicano a tutte le relazioni familiari: tra genitori e figli, nonni, zii e anche tra cugini. Non lasciare che la tua famiglia si sfasci a causa tua!

Pensiamo alla chiesa

L’amore vero, quello divino, è l’opposto dell’egoismo. Gesù ha detto: “Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri” (Giovanni 13:35).

Ora, come risponderesti alle domande di seguito?
– Noti segni di divisione nella tua chiesa?
– Ci sono persone che non si parlano, o che non vanno d’accordo tra loro?
– Si sentono serpeggiare critiche verso le guide o verso i credenti?
– Ci sono amarezze non ancora risolte?
– Sei coinvolto in queste cose?

A volte si pensa che per il “quieto vivere” sarebbe meglio tacere e sorvolare su tutto, che sia possibile nascondere i peccati ed evitare che abbiano conseguenze, o per lo meno che, tacendo, si possano limitare i danni. Ma anche nelle chiese, fra i santi, l’egoismo è una prepotente forza distruttiva dell’unità. 

Come nella coppia, ogni credente porta con sé il suo bagaglio di difetti. Se tollerato, l’egoismo si scaglia contro quell’amore che dovrebbe invece contraddistinguerci come discepoli di Cristo sottomessi a lui.

Nella Bibbia vediamo che fin dall’inizio l’egoismo ha provocato divisioni nelle chiese. Ora non mi riferisco alle divisioni a motivo di falsi insegnamenti. È compito e responsabilità delle guide di ogni chiesa locale proteggerla e tutelarla contro questi. Mi riferisco al fatto che troppo spesso, per ignoranza o per il voler imporsi, si confondono le dottrine con le abitudini, le tradizioni e con le preferenze personali. E, triste a dirsi, in certi casi mantenere le tradizioni si dimostra più importante dell’aderenza alla verità e di conservare l’unità.

Certi credenti passano di chiesa in chiesa alla ricerca di un ambiente adatto per soddisfare le proprie preferenze e le loro idee. Se non lo trovano, se ne vanno, ma non prima di creare divisione.

Nelle sue lettere Paolo ha affrontato diverse volte la questione dell’unità nella chiesa. È stato incisivo in quello che ha detto. Una sua frase in particolare riassume quale deve essere il nostro atteggiamento verso gli altri credenti: “Non fate nulla per spirito di parte o per vanagloria, ma ciascuno, con umiltà, stimi gli altri superiori a se stesso, cercando ciascuno non il proprio interesse, ma anche quello degli altri” (Filippesi 2:3,4). 

Sono parole che non lasciano alcun posto per l’egoismo insito in noi. Nessun credente che ama Dio deve cercare di prevalere nella chiesa con le sue idee, o per la posizione che occupa. Al contrario, deve essere proteso a cercare l’interesse degli altri. E deve considerarli più importanti di se stesso. 

Quando ci sono attriti e contrasti, il consiglio di Paolo è disarmante nella sua praticità: “Perché non patite piuttosto qualche torto? Perché non patite piuttosto qualche danno?” (1 Corinzi 6:7).

Esaminiamoci per vedere se non siamo noi la causa delle discordie, e chiediamoci:
– Quello che mi disturba nella chiesa è solo una questione di preferenze?
– La mia difficoltà di cedere e di perdonare rispecchia quello che Dio vuole da me?
– Sono un agente di pace fra i credenti?
– Sto servendo e amando gli altri come Dio vuole?
– Servo con spirito di sacrificio o mi limito a fare quello che mi costa poco?
– In generale, ho la reputazione di uno che ama dare piuttosto che ricevere?

Dio vuole che siamo conosciuti per il nostro amore. 

Paolo scrive: “Quanto all’amore fraterno, siate pieni di affetto gli uni per gli altri. Quanto all’onore, fate a gara nel rendervelo reciprocamente” (Romani 12:10).

Il Signore ci comanda anche di amare i nostri nemici. 

Gesù ha detto: “Voi avete udito che fu detto: «Ama il tuo prossimo e odia il tuo nemico». Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; poiché egli fa levare il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Se infatti amate quelli che vi amano, che premio ne avete? Non fanno lo stesso anche i pubblicani? E se salutate soltanto i vostri fratelli, che fate di straordinario? Non fanno anche i pagani altrettanto? Voi dunque siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste” (Matteo 5:43-48).

I figli di Dio devono avere gli stessi tratti somatici spirituali del loro Padre celeste, devono somigliare a Cristo. Non è sufficiente essere delle “brave persone”. 

I pagani e i pubblicani fanno quello che viene loro naturale. Sono egoisti e, quando gli conviene, fanno del bene a coloro che ritengono degni del loro gesto. 

Il vero seguace di Cristo ama senza secondi fini. Mette da parte il suo egoismo perché è grato a Dio, si rende conto di aver ricevuto la grazia immeritata della salvezza, e desidera imitare Cristo.

Anche qui dobbiamo porci qualche domanda e rispondere con sincerità:
– Il mio atteggiamento dimostra una disponibilità e un amore verso le persone?
– Sono diventato svogliato e incurante del mio comportamento?
– Sto permettendo che le mie amarezze e le delusioni che ho subito influenzino il mio atteggiamento verso gli altri?

L’egoismo offende Dio. 

Non comportiamoci più come bambini che hanno solo loro stessi come punto di riferimento. Facciamo attenzione che i nostri bisogni personali non siano per noi la massima priorità. E non scusiamoci più, ma affrontiamo il nostro egoismo sistematicamente e senza pietà per vincerlo. 

Va combattuto con sottomissione e ubbidienza alla Parola di Dio. 

Sarà una battaglia giornaliera per il resto della nostra vita.

E lancio questa sfida: Se vuoi sapere come stai progredendo in questa battaglia, chiedilo a una persona di fiducia che ti conosce bene e che ti darà una risposta onesta. Senza metterci sulle difensive e senza offenderci siamo pronti ad ascoltare quando gli domandiamo: “Io sono una persona egoista?”

Che Dio ci aiuti!

– Davide Standridge

 

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La VOCE ottobre 2020

A Roma, come in tutte le grandi città, il traffico è un fattore di stress notevole. 

Ormai ho perso il conto di quante volte, venendo al lavoro, ho dovuto girare a vuoto (anche per quarantacinque minuti!) per trovare un parcheggio. Lo stesso vale per i nostri collaboratori e per chiunque venga a visitare il nostro ufficio.

Quando poi capita di trovarlo subito, è facile pensare che Dio ci abbia veramente benedetti. E ne siamo ancora più convinti se non è a pagamento.

Diciamo pure che siamo stati benedetti quando l’esito degli esami medici che ci preoccupavano è negativo. 
Lo gridiamo, un po’ scossi, anche dopo essere scampati da un pericolo. 
E lo diciamo con gratitudine quando Dio risponde a una nostra preghiera.

Ma fermiamoci a pensare: che significa benedire o essere benedetti? 

Quando dici “Dio ti benedica” a qualcuno, a cosa stai pensando? Come fai a sapere se, dopo, Dio avrà effettivamente benedetto quella persona? 

La risposta più comune è che auguriamo qualcosa che possa rendere la vita più bella o più confortevole. Ma è proprio quella la volontà finale di Dio per i suoi figli?

Ti sei mai chiesto perché mai Lui dovrebbe benedirti, o quale sia il motivo per cui lo fa?

Fai risplendere il tuo volto su noi

Il mese di ottobre è un po’ come cominciare il nuovo anno. Le vacanze ormai sono finite, il lavoro e tutte le attività sono ricominciate. I mesi estivi sono stati (speriamo!) belli anche se diversi per il Covid-19, che senza dubbio ha avuto un impatto sulle nostre normali attività. In tutti i casi si ricomincia.

E ci auguriamo che Dio ci benedica.

Il Salmo 67 comincia con parole che probabilmente rispecchiano quello che tutti desideriamo.

“Dio abbia pietà di noi e ci benedica, faccia egli risplendere il suo volto su di noi.” 

Senza distorcere il significato originale del versetto, si potrebbe parafrasarlo così: Dio, mostraci grazia, facci del bene sia spiritualmente che fisicamente, e cammina con noi.

Sono tre richieste sempre valide e di cui abbiamo continuamente bisogno, dalle quali risuona l’eco della benedizione che Dio, tramite Mosè, aveva ordinato ad Aronne di pronunciare per il popolo di Israele. 

“Il signore disse ancora a Mosè: «Parla ad Aaronne e ai suoi figli e di’ loro: “Voi benedirete così i figli d’Israele; direte loro: ‘Il signore ti benedica e ti protegga! Il signore faccia risplendere il suo volto su di te e ti sia propizio! Il signore rivolga verso di te il suo volto e ti dia la pace!’” (Numeri 6:22-26).

Sono parole ispirate da Dio, e sappiamo che Lui ha piacere di benedire i suoi. Il Salmo 67 non parla quindi di cose astratte o teoriche, ma di realtà per i credenti. 

Il nostro rapporto con Dio si basa, dall’inizio alla fine, sulla sua grazia. 

Lui, per grazia, ha mandato suo Figlio a morire e a salvare coloro che – sempre per grazia sua – umilmente si riconoscono peccatori, meritevoli della condanna eterna, e si appellano alla sola grazia di Dio per essere perdonati e (ancora per la grazia di Dio) seguono Cristo risorto come loro salvatore e Signore.

Per dirla tutta, ogni nostro respiro e ogni battito del cuore è per grazia di Dio. 

Chiediamo al Signore di benedirci perché sappiamo che tutta la nostra esistenza dipende comunque da Lui. È Lui che, nella sua onnipotenza, dirige ogni passo della nostra vita, provvede per noi e ci protegge anche quando non ce ne rendiamo propriamente conto.

E non lo fa solo per i suoi figli. Infatti la Bibbia afferma che Dio fa splendere il sole, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Ogni persona, che lo riconosca o no, sta di fatto beneficiando della grazia di Dio (Matteo 5:45). 

Purtroppo, spesso anche come credenti, sottovalutiamo questa grazia che sostiene e pervade l’esistenza stessa di ogni cosa, e alziamo la cresta. L’apostolo Paolo, proprio conoscendo la nostra arroganza, ci ricorda che tutto quello che abbiamo lo abbiamo ricevuto (1 Corinzi 4:7).

Quando ripenso ai miei viaggi nei villaggi africani, dove la povertà era ovunque, mi chiedo cosa abbia fatto io per nascere in un paese ricco come l’Italia, e non essere uno di quei bambini malnutriti e vestiti di stracci?! Eppure la grazia di Dio è attiva tanto in una capanna africana quanto a casa mia a Roma. 

Siamo stati benedetti, lo siamo in questo momento, e possiamo chiedere al Signore di continuare a benedirci, come il salmo ci invita a fare: “Fai risplendere il tuo volto su di noi.” Cioè “Sii al nostro fianco in tutto quello che ci succede.” 

È una richiesta che si legge spesso nei salmi. Abbiamo bisogno che Dio ci accompagni, che ci protegga e ci salvi.

Sei consapevole che poter cantare al Signore e chiedere a Lui di benedirci è un privilegio straordinario, che non può e non deve lasciarci indifferenti?

 

Il punto principale del Salmo 67 è, però, un altro, e lo leggiamo più avanti. È una verità fondamentale che, se compresa e messa in pratica, cambierà sicuramente il nostro modo di chiedere a Dio di benedirci. 

E non cambierà solo il nostro atteggiamento verso le cose che chiediamo al Signore, ma influenzerà il nostro modo di pensare in generale. Può darsi che quello che stiamo per scoprire non ci sorprenderà, ma ho la sensazione che molti di noi si sentiranno ripresi. Ed è una cosa buona.

Il Dio che ci mostra grazia continuamente, che ci benedice al di là di quello di cui ci rendiamo conto, e cammina con noi, ha uno scopo ben preciso nel farlo. E non è quello di farci stare meglio, e nemmeno più comodi.

Il salmo prosegue: “affinché la tua via sia conosciuta sulla terra e la tua salvezza fra tutte le genti. Ti lodino i popoli, o Dio, tutti quanti i popoli ti lodino! Le nazioni gioiscano ed esultino, perché tu governi i popoli con giustizia, sei la guida delle nazioni sulla terra” (versetti 2-4).

Le sue benedizioni, nella vita del popolo di Israele prima e nella nostra poi, erano intese per fare in modo che Lui fosse conosciuto e riconosciuto come unico vero Dio e salvatore, e come guida di ogni nazione.

Questo concetto l’aveva espresso già in Genesi, quando aveva detto ad Abramo: “in te saranno benedette tutte le famiglie della terra” (Genesi 12).

Più avanti l’aveva ripetuto a Isacco, e poi a Giacobbe. 

Questa promessa conteneva una profezia che si è avverata in Gesù, perché tramite Lui anche i non-Ebrei hanno ora libero accesso a Dio. 

In passato, prima della venuta di Cristo, il Signore si era fatto conoscere dai popoli pagani per mezzo del popolo d’Israele. Egli era “il Dio del cielo”, il creatore di tutte le cose, che aveva benedetto il popolo d’Israele facendo innegabili miracoli straordinari. Si era fatto conoscere col diluvio universale, liberando Israele dall’Egitto, a Gerico, con Daniele nella fossa dei leoni, con Davide e Golia. Ogni sua benedizione aveva lo scopo di esaltare il suo nome davanti ai popoli e alle nazioni della terra.

Infatti la benedizione citata prima, che Aronne doveva pronunciare sopra Israele, aveva una funzione ben precisa: “Così metteranno il mio nome sui figli d’Israele e io li benedirò” (Numeri 6:27).

Lo scopo di Dio nel benedire il popolo d’Israele era quello di farsi conoscere. Lo stesso vale per noi oggi: Dio ci benedice per farsi conoscere dagli altri.

L’apostolo Paolo lo espresse così: “Il Dio che disse: «Splenda la luce fra le tenebre», è quello che risplendé nei nostri cuori per far brillare la luce della conoscenza della gloria di Dio che rifulge nel volto di Gesù Cristo” (2 Corinzi 4:6).

Il Signore vuole che la sua luce risplenda attraverso di noi. Chiaro, no?

Il mondo ancora oggi ha bisogno di conoscere la salvezza, i popoli devono lodare Dio e devono capire che Dio governa con giustizia (Salmo 67:2-4).

Sì, Lui governa proprio con quella giustizia, la quale esige che l’uomo sia condannato eternamente per il suo peccato e per la sua ribellione a Dio, ma che ha anche provveduto al modo di imputare al peccatore la giustizia di Cristo che soddisfa la giustizia di Dio, per fede. 

 

Allora, la prossima volta che chiediamo a Dio di benedirci, o auguriamo la sua benedizione a qualcuno, ricordiamoci: stiamo affermando che vogliamo essere lo strumento per far conoscere la sua salvezza e la sua grandezza ai popoli.

Basta con l’autocommiserazione, con l’insoddisfazione! Tutti passiamo momenti in cui non svolgiamo bene il nostro compito, ma non deve diventare il nostro stile di vita.

A volte siamo veloci a prenderci dei meriti che non abbiamo, e Dio deve correggere la nostra arroganza. Ma poi siamo veloci a rigurgitare la nostra insoddisfazione su tutti, e contagiamo tanta gente. Dobbiamo smetterla.

Invece di essere pietre d’inciampo per la proclamazione del vangelo, diventiamo “pietre viventi… per formare una casa spirituale, un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali, graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo” perché siamo “un popolo che Dio si è acquistato, perché proclamia[mo] le virtù di colui che [ci] ha chiamati dalle tenebre alla sua luce meravigliosa” (1 Pietro 2:5,9b).

Dio ha uno scopo e lo porterà a compimento servendosi di coloro che gli ubbidiscono, e riconoscono fedelmente davanti a tutti Gesù come il loro Signore e salvatore (Matteo 10:32,33).

“Ti lodino i popoli, o Dio, tutti quanti i popoli ti lodino! La terra ha prodotto il suo frutto; Dio, il nostro Dio, ci benedirà. Dio ci benedirà, e tutte le estremità della terra lo temeranno” (Salmo 67:5,6).

Fai di questo salmo il tuo canto, fai che sia il tuo grido di gioia! 

Il versetto 6 dice che “la terra ha prodotto il suo frutto.” La terra non produce frutti spirituali, ma quelli materiali. Significa che Dio ci benedice anche materialmente per far conoscere il suo nome. 

Le nostre azioni, reazioni, atteggiamenti, parole sono fondamentali nel promuovere la gloria di Dio.

In Apocalisse leggiamo che: “Dopo queste cose guardai e vidi una folla immensa che nessuno poteva contare, proveniente da tutte le nazioni, tribù, popoli e lingue, che stava in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, vestiti di bianche vesti e con delle palme in mano. E gridavano a gran voce, dicendo: «La salvezza appartiene al nostro Dio che siede sul trono, e all’Agnello”  (Apocalisse 7:9,10).

Dio è al lavoro, sta raggiungendo ogni popolo, ogni nazione con il messaggio della salvezza. L’ha fatto in passato tramite Israele, e lo farà ancora quando tutti gli Ebrei riconosceranno Gesù come Messia. In questo momento, lo sta facendo tramite la chiesa: Egli mostra la sua benevolenza verso i suoi figli, affinché noi lo riconosciamo pubblicamente come nostro Dio e lo esaltiamo davanti agli altri.

“Dio, benedicimi!” non deve più essere una richiesta egoistica per soddisfare i nostri desideri. Dev’essere una preghiera che scorga dal desiderio che il Dio che amiamo e ammiriamo sia onorato, ora e per sempre.

– Davide Standridge

 

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La VOCE settembre 2020

I credenti nella nostra chiesa sono molto attivi nello scambiare parole di incoraggiamento e richieste di preghiera tramite le varie app degli smartphone. È un modo veloce e ideale per comunicare con più persone contemporaneamente. 

Tempo fa, una persona nuova al mondo evangelico, commentando questa nostra usanza, mi disse che trovava alcune richieste un po’ ridicole. 

Era d’accordo con chi chiedeva preghiere per situazioni gravi, ma farlo addirittura per un esame a scuola…?! Non sarebbe meglio studiare che pregare?

Indubbiamente sono tante le richieste di preghiera in una chat dedicata come la nostra e, a volte, alcune possono sembrare un po’ ingenue o irrilevanti. Ma quello che conta è cosa ne pensa Dio.

Come reagisce Dio alle tue preghiere?
Ci sono preghiere che non andrebbero fatte? 
O è meglio pregare per qualunque cosa e lasciare il resto al Signore? 

Ci sono delle preghiere a cui Dio risponderà sicuramente, su cui ci dovremmo concentrare?

In ogni modo, qualunque sia la nostra richiesta, sarebbe senz’altro buono che cercassimo il modo migliore per formulare la nostra preghiera a Dio. 

Le preghiere dell’apostolo Paolo possono aiutarci in questo. 

Preghiere che Dio ascolta

La preghiera è essenziale sia per la salvezza, sia per la vita cristiana, perché è il mezzo per comunicare con il Signore. Ma non sorprenderei nessuno dicendo che tante persone la trascurano. Molti la trovano un esercizio noioso, o non la capiscono. Altri hanno smesso di pregare perché non ne hanno ricevuto il beneficio che si aspettavano. 

Effettivamente Dio non risponde come vorremmo a tutte le preghiere. Faremmo meglio a scoprire quali siano quelle che Lui ascolta, perché possiamo imparare a pregare in modo efficace. 

Giacomo scrive: “Domandate e non ricevete, perché domandate male per spendere nei vostri piaceri. O gente adultera, non sapete che l’amicizia del mondo è inimicizia verso Dio? Chi dunque vuol essere amico del mondo si rende nemico di Dio” (Giacomo 4:3,4).

Sono parole chiare che si commentano da sole. Una preghiera motivata dall’egoismo e incentrata su noi stessi è praticamente simile, se non identica, a quelle di coloro che non conoscono Dio: preghiere mondane guidate da colui che influenza il mondo, Satana.

Giovanni, infatti, scrive: “Tutto ciò che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno” (1 Giovanni 2:16,17).

La ricerca dei propri piaceri, del possesso o di una posizione invidiabile sono ambizioni umane che non hanno valore agli occhi di Dio.

Detto questo, esaminandoci con onestà, ci rendiamo subito conto che tante delle nostre richieste sono, o rischiano di essere, contaminate dalla nostra natura umana orgogliosa ed egoista, e dai nostri desideri personali.

Non sto dicendo che dovremmo essere in ansia per “ogni parola oziosa” (Matteo 12:36) tutte le volte che esprimiamo al Padre celeste quello che è sul nostro cuore, ma che dovremmo chiederci più spesso quali siano le richieste che realmente gli fanno piacere. Perché quando lo avremo capito e imparato, le nostre preghiere potrebbero pure sembrare simili a quelle di prima, ma saranno di sicuro guidate da principi più biblici.

Dio vuole trasformare il nostro modo di pensare e i nostri desideri (Romani 12:2). Non sappiamo pregare come si conviene, a volte riusciamo solo a gemere e sospirare, ma colui che esamina i cuori ci viene in aiuto anche in questo (8:26,27). 

In questo articolo non ho lo spazio sufficiente per citare ogni preghiera nella Bibbia, ma ne esaminerò alcune e, prendendole poi come modelli per le nostre, potremo essere sicuri di pregare in modo gradito a Dio, e avremo la certezza che Egli ci risponderà.

Ricolmi di tutta la pienezza di Dio

L’apostolo Paolo pregava molto per i credenti che conosceva. Spesso nelle sue lettere faceva anche sapere il contenuto delle sue preghiere, e invitava i suoi lettori a unirsi a lui nel farlo. Cominciamo con la sua preghiera per i credenti di Efeso.

Per questo motivo piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni famiglia nei cieli e sulla terra prende nome, affinché egli vi dia, secondo le ricchezze della sua gloria, di essere potentemente fortificati, mediante lo Spirito suo, nell’uomo interiore, e faccia sì che Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, perché, radicati e fondati nell’amore, siate resi capaci di abbracciare con tutti i santi quale sia la larghezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità dell’amore di Cristo e di conoscere questo amore che sorpassa ogni conoscenza, affinché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio.  —Efesini 4:14-19

È certamente una preghiera a cui il Signore risponde. E si adatta anche a diverse situazioni che affrontiamo nella vita. 

A una prima lettura può sembrare una frase lunga e complicata da comprendere, perché il pensiero principale si trova solo alla fine del ragionamento.

Ma questa preghiera affronta proprio la nostra condizione interiore, da dove nascono le nostre paure, le incertezze e i nostri dubbi. Siamo così fragili, e facilmente sballottati da vari avvenimenti. Abbiamo bisogno di essere fortificati nell’uomo interiore, per mezzo dello Spirito Santo.

Per mezzo della fede in Cristo Gesù quale nostro Salvatore abbiamo un rapporto vero con Dio, che non ha a che fare soltanto con il nostro destino eterno. Molti benefici che traiamo da questa relazione riguardano infatti la nostra vita pratica. Uno di questi è che Cristo viene ad abitare in noi e diventa il nostro Signore.

Siamo diventati figli di Dio quando abbiamo compreso e creduto che Dio ci ha amati e ha dato il suo Figlio per noi, e abbiamo chiesto il perdono dei peccati per fede. Ma l’amore di Cristo è molto più profondo ed esteso di quello che comprendiamo all’inizio del nostro cammino di fede. Ed è totalmente diverso dal nostro. 

Questo amore ci sorprende, ci confonde, ci sfida perché ribalta tanti concetti che abbiamo appreso.

Se vuoi pregare secondo la volontà di Dio, chiedigli che tu, e i credenti che conosci, possiate conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, e che è diverso da quello che pensiamo e che abbiamo mai esperimentato prima. Un amore che vuole il vero bene dei nemici, che ama anche quando non è ricambiato, che non pone condizioni o limiti. Un amore tanto sorprendente, quanto difficile da comprendere perché sappiamo di non meritarlo.

Più conosciamo questo amore, più saremo ricolmi e traboccanti di tutta la pienezza di Dio, e questo ci darà una stabilità che non abbiamo mai avuto prima, e che è impossibile avere fino a quando non ci rendiamo conto che è Dio che ci ha amati per primo. 

Quante preghiere sature di autocommiserazione e delusione cesserebbero di essere pronunciate alla luce di una comprensione migliore dell’amore di Dio!

DEGNI DELLA chiamata

Nella preghiera per i credenti di Efeso il punto principale riguardava la vita interiore del credente. In questa prossima preghiera, Paolo prega che la chiesa di Tessalonica possa vivere alla gloria di Dio.

Ed è anche a quel fine che preghiamo continuamente per voi, affinché il nostro Dio vi ritenga degni della vocazione e compia con potenza ogni vostro buon desiderio e l’opera della vostra fede, in modo che il nome del nostro Signore Gesù sia glorificato in voi, e voi in lui, secondo la grazia del nostro Dio e Signore Gesù Cristo. —2 Tessalonicesi 1:11,12

Quella di Tessalonica era una chiesa sana. Poco prima di questi versetti Paolo l’ha encomiata per la fede dei credenti che cresceva in modo eccellente, e per l’amore che abbondava tra di loro in mezzo alle persecuzioni a causa della loro fede. 

Questa fede, Paolo ricordava loro, sarà valutata e premiata da Dio nel giorno di Cristo davanti al tribunale del gran trono bianco. È per questo motivo che Paolo pregava che la loro vita fosse vissuta in modo degno della fede che professavano. 

Può sembrare un controsenso pregare per una cosa che già c’è e funziona: la fede crescente dei credenti tessalonicesi. Ma Paolo sapeva quanto facilmente i credenti tendono ad adagiarsi nel loro cammino col Signore. 

Vale la pena notare che, malgrado questi credenti fossero perseguitati, Paolo non prega che soffrano meno o che la loro vita sia più facile, ma che non si scoraggino e che Dio li reputi degni della sua chiamata. Non sta dicendo che la chiamata di Dio possa essere meritata, ma che c’è un modo di camminare che Lui approva e, di conseguenza, anche uno che non approva. 

Se Paolo ha pregato che i credenti si comportino in modo degno della chiamata di Dio, vuol dire che è un soggetto di preghiera sempre valido anche per noi.

È straordinario il pensiero che Dio, il creatore di ogni cosa, si interessi di noi  individualmente. Paolo, scrivendo ai Romani, ricorda che siamo stati chiamati secondo un disegno preciso di Dio, un piano prestabilito (Romani 8:28). Sappiamo che Egli ha già preparato pure le opere buone per noi, in modo che le possiamo compiere (Efesini 2:10).

Paolo prega non solo che i credenti si comportino in modo degno, ma anche che Dio possa approvare, guidare e compiere i loro buoni propositi! 

Ognuno di noi prende tantissime decisioni ogni giorno, alcune ovviamente sono piccole, altre di grande portata con conseguenze più profonde e durature. Se camminiamo consapevoli di dover piacere a Dio, avremo anche il desiderio di fare quello che è buono agli occhi suoi. 

E solo allora si potrà compiere la terza richiesta di questa breve preghiera: che il nome del Signore Gesù sia glorificato in noi e noi in Lui. 

Penso che siamo tutti d’accordo che vogliamo vivere alla gloria di Dio, ma questo non succederà mai per caso; sarà piuttosto frutto dell’opera di Dio in noi come risposta a delle preghiere mirate.

ECCELLENTI NELLE DECISIONI

Spesso rischio di accontentarmi di fare solo quello che so di essere giusto e basta. Faccio attenzione a non fare nulla di sbagliato. Ma è sufficiente?

Per i credenti della chiesa di Filippi Paolo pregava così: 

Infatti Dio mi è testimone come io vi ami tutti con affetto profondo in Cristo Gesù. E prego che il vostro amore abbondi sempre più in conoscenza e in ogni discernimento, perché possiate apprezzare le cose migliori, affinché siate limpidi e irreprensibili per il giorno di Cristo, ricolmi di frutti di giustizia che si hanno per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio. —Filippesi 1:8-11

La chiesa di Filippi era stata fondata da Paolo, e lui nutriva un affetto sincero per questi credenti. Il loro benessere, il progresso spirituale, era per lui una priorità. Li aveva istruiti, e adesso desiderava che vivessero una vita eccellente davanti a Dio, che non si accontentassero “dei compitini”, ma che fossero avidi di fare le cose migliori.

Nei versetti precedenti gli aveva ricordato che Dio stesso stava operando in loro per la crescita spirituale e la santificazione. Ma lui desiderava che Dio li spingesse all’eccellenza spirituale.

Ti sei mai chiesto se la tua vita spirituale è eccellente agli occhi di Dio?

Paolo pregava che il loro amore abbondasse sempre di più. Amore per chi? Per Dio? Per i fratelli? Per i non credenti? Per i famigliari? Per i nemici? 

La risposta è sì, per tutti. L’amore di Dio non si può e non si deve dividere in compartimenti. 1 Corinzi 13 afferma chiaramente che qualsiasi cosa facciamo, se non è spinta e avvolta dall’amore, e se non ha come fine l’amore, è inutile!

Questa preghiera è la richiesta che il nostro amore non sia superficiale. L’amore di cui parla è quell’amore divino che non viene in modo spontaneo, che non conosciamo naturalmente, tanto è vero che, come abbiamo visto nella prima preghiera, abbiamo bisogno dell’opera di Dio per comprenderlo. Qui il concetto è lo stesso, ma espresso con parole diverse. 

Più conosciamo e pratichiamo questo amore e più siamo capaci di capire la differenza e discernere tra le varie opzioni che abbiamo. 

Discernere vuol dire proprio questo: la capacità di valutare le cose. Sapere la differenza tra le diverse scelte possibili non è una conoscenza sterile, ma deve spingerci ad apprezzare le cose migliori.

“Apprezzare”, in questo contesto, potrebbe confonderci. Non vuol dire gradire qualcosa, ma stimarne e giudicarne il valore. In altre parole, dopo aver valutato le diverse scelte o opportunità, sceglierò le cose migliori, quelle eccellenti. Quelle migliori tra tutte le altre buone. 

Non devo accontentarmi di fare la cosa giusta, ma devo saper discernere e fare quella eccellente. È questo contribuisce a rendermi limpido e irreprensibile. 

È possibile che scegliere solo il buono, quello cioè che non è sbagliato ma neanche eccellente, non ci renda irreprensibili davanti a Dio? Alla luce di questa preghiera penso proprio di sì. 

Oltre alla capacità di scegliere le cose migliori, Paolo prega che i credenti siano colmi di frutti di giustizia nel giorno di Cristo, quando Egli valuterà le nostre azioni. Gesù stesso infatti ha detto che desidera che il credente porti molto frutto (Giovanni 15:1-8).

E la cosa straordinaria di questi frutti di giustizia è che si hanno per mezzo di Cristo, e non per merito nostro, così che tutta la gloria andrà a Dio.

Testimoni fedeli

Viviamo in mondo corrotto, in un mondo dove regna il peccato. È facile sentirsi frustrati per tutte le ingiustizie che vediamo e, a volte, subiamo. Ma spesso ci dimentichiamo che la malvagità nel mondo dovrebbe produrre in noi una preoccupazione sempre più grande per la salvezza delle persone. 

Forse siamo demoralizzati dal fatto che le persone non ci vogliono ascoltare, che perseverano imperterrite nelle loro idee e nel loro peccato. Ci sentiamo impotenti. 

Paolo ne sapeva qualcosa, ed è per questo che ha scritto ai Colossesi: 

Perseverate nella preghiera, vegliando in essa con rendimento di grazie. Pregate nello stesso tempo anche per noi, affinché Dio ci apra una porta per la parola, perché possiamo annunciare il mistero di Cristo, a motivo del quale mi trovo prigioniero, e che io lo faccia conoscere, parlandone come devo. Comportatevi con saggezza verso quelli di fuori, ricuperando il tempo. Il vostro parlare sia sempre con grazia, condito con sale, per sapere come dovete rispondere a ciascuno. —Colossesi 4:2-6

Paolo era totalmente dedito alla proclamazione della buona novella, e aveva visto grandi risultati con sua evangelizzazione. Se c’è mai stato uno che sapesse spiegare perfettamente il vangelo, quello era proprio lui. Nonostante tutto, ispirato da Dio, in questo brano invita i credenti a pregare in modo specifico per avere opportunità di parlare del vangelo.

Ci siamo rassegnati all’idea che certe persone non si convertiranno mai, che i nostri parenti, amici, colleghi e vicini di casa abbiano chiuso le orecchie al messaggio del vangelo? 

Oppure siamo talmente presi dalle nostre responsabilità giornaliere e dai nostri problemi da non testimoniare come dovremmo?

Paolo si sentiva un debitore di Dio verso quelli che non conoscevano il vangelo, per aver ricevuto da  Lui qualcosa che loro non avevano. Siamo debitori anche noi?

Questa sua preghiera è semplice: Dio, dammi delle occasioni di parlare di te, dammi il messaggio e dammi la saggezza necessaria per proclamarlo.

Dio deve aprirci le porte per portare il suo messaggio, ma mi domando se davvero desideriamo che lo faccia, se siamo davvero pronti ad entrarci, o se non stiamo cercando affatto queste porte.

È facile trascurare questa priorità. È facile ignorare l’urgenza del messaggio. È facile addormentarci davanti alla realtà della vita dopo la morte, dell’inferno e del paradiso. Ma va contro quella fede che noi professiamo.

Questa preghiera dovrebbe svegliarci! Paolo raccomanda che si preghi con perseveranza, vegliando in essa e ringraziando Dio. 

Pregare può essere stancante e difficile, tutti lo sanno. Può darsi che bisogni pregare a lungo, e per molto tempo. Vegliare nella preghiera vuol dire che dobbiamo farlo con attenzione, senza distrarci. 

La gratitudine dimostra che dipendiamo da Dio, e che è un dono sapere che ci ascolta e risponde alle nostre preghiere.

Il Signore deve darci non solo le opportunità per parlare di Lui ma anche il messaggio. E questo è fondamentale: non dobbiamo cambiarlo! Il vangelo è di Dio, e noi non abbiamo il diritto di alterarlo per renderlo più appetibile per le persone. Dobbiamo trasmetterlo così com’è. Era un mistero per coloro che lo ascoltavano ai tempi di Paolo, ed è un mistero anche per le persone d’oggi. 

I non credenti sono accecati dalle loro idee, influenzati da quello che hanno sentito e condizionati da quello che la loro religione gli ha insegnato. È molto possibile che reagiscano male al vangelo. 

Le reazioni delle persone avverse a Cristo hanno fatto sì che Paolo finisse in prigione. Noi non la rischiamo, almeno per adesso, ma rischiamo di essere presi in giro o di avere reazioni negative. La paura non deve essere un deterrente. 

Il messaggio che dobbiamo proclamare viene da Dio, il modo in cui lo presentiamo dev’essere saggio e senza compromessi. Ogni persona o gruppo di persone richiede un approccio diverso, ma mai rude, arrogante o litigioso.

Ecco perché la preghiera è così importante. Pregare secondo la volontà di Dio cambierà il nostro modo di pregare, cambierà le nostre mete e le nostre aspirazioni. Smetteremo di fare alcune preghiere, e altre dovranno allinearsi con gli scopi eterni di Dio.

Preghiamo di più! E preghiamo meglio! 

– Davide Standridge

 

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