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La Voce del Vangelo

La VOCE luglio 2018

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La schermaglia vincente – 2 | Un pizzico di sale


Pensavo fosse una cosa privata

C’è un comportamento peccaminoso che è diventato molto comune anche tra i credenti. Anzi, lo consideriamo piuttosto normale, un’abitudine forse non tra le migliori ma un modo di fare che accettiamo e tolleriamo, pensando che, in fondo, non sia nient’altro che un naturale bisogno di parlare e di sfogarsi. O anche solo un fatto di cultura popolare...

È talmente accettato nelle nostre chiese che ormai nessuno si pone la domanda su cosa ne pensi Dio. Perciò è facile continuare a comportarsi così; chi lo fa non trova troppa opposizione ma piuttosto complicità carnale.

Ma non lo dobbiamo sottovalutare come un argomento marginale nella Bibbia, o che sarebbe troppo complicato trattarlo nel modo biblico. No, non sono questi i motivi per cui non facciamo niente per contrastarlo. 

La realtà dei fatti è che la nostra carne prova piacere nel partecipare a questo peccato. 

Ti stai chiedendo quale sia?

Il Nuovo Testamento lo menziona diverse volte, ma oggi te ne voglio parlare basandomi sul Salmo 50. Guardiamolo insieme.

Dio dice all’empio:

«Perché vai elencando le mie leggi e hai sempre sulle labbra il mio patto, tu che detesti la disciplina e ti getti dietro alle spalle le mie parole? Se vedi un ladro, ti diletti della sua compagnia e ti fai compagno degli adulteri. Abbandoni la tua bocca al male e la tua lingua trama inganni. Ti siedi e parli contro tuo fratello, diffami il figlio di tua madre. Hai fatto queste cose, io ho taciuto, e tu hai pensato che io fossi come te; ma io ti riprenderò e ti metterò tutto davanti agli occhi.»  —Salmo 50:16-21 

In questi versetti Dio denuncia l’ipocrisia di tutti quelli che dicono di amarlo, di conoscere le sue leggi e di osservare i suoi patti, ma che detestano affrontare il proprio peccato. Persone arroganti che a parole affermano di seguire Dio mentre le loro azioni dimostrano il contrario: hanno voltato le spalle ai chiari comandamenti della Bibbia. 

La gravità dell’ipocrisia diventa ancora più lampante quando si considerano gli altri comportamenti peccaminosi associati ad essa. 

Provare piacere a passare tempo con i ladri
Non si è più disturbati dalla disonestà di chi ci sta intorno: “Non sarà quel piccolo furto a rovinare il nostro rapporto!” 

Farsi compagno degli adulteri 
Si prova sempre meno sconcerto per tradimenti e relazioni extraconiugali. L’infedeltà è talmente ostentata e celebrata dai mass media che non suscita più scandalo.

Abbandonare la bocca al male e tramare inganni 
Mentire per coprire le proprie colpe, per trarre vantaggio disonesto, per sembrare diversi da chi si è in realtà. E ci si vanta dei successi illegittimi e si cerca di trascinare altri a diventarne complici… 

Per i credenti, tutti questi comportamenti sono rifiutati con un NO assoluto. Ma nella lista di Dio c’è ancora un altro peccato, quello particolare che troppo facilmente si insinua nelle nostre vite. 

Parlare contro tuo fratello 

Nel senso letterale la frase si riferisce al parlare contro il fratello carnale. Capita in tutte le famiglie, è vero, ma non ho mai sentito che qualcuno l’abbia fatto per uno scopo nobile, o che ci sia stato un esito utile o positivo. E non posso fare a meno di pensare che la frase si applichi con maggior valore alle relazioni tra i credenti, tra i membri della famiglia di Dio. Perché criticare i fratelli è una cattiva abitudine che si affaccia anche nelle chiese più sane.

Quanto è breve il passo dall’essere semplici ascoltatori al diventare parte del problema! Chi ascolta le malelingue e tace senza rimproverarle come fa la Bibbia, dimostra di approvarle e si fa automaticamente complice di questo peccato. E sarà molto tentato a spargere agli altri quello che ha sentito.

Calunniare e accusare è quello che fa il diavolo! Quando sparliamo di un fratello o di una sorella in fede disprezziamo qualcuno che è stato comprato da Gesù, con il proprio sangue. È come criticare il Signore stesso (Romani 14:4).

Alcuni poi fraintendono il silenzio di Dio e credono che Egli approvi le loro azioni. Nella loro sconsideratezza sottovalutano la gravità del loro peccato e trovano mille giustificazioni per la loro abitudine all’ipocrisia. Imprudenti! 

Ma Dio non si fa alleato del peccato. Anzi, il suo momentaneo silenzio è ripieno di parole e di insegnamenti che risuonano chiari e forti sulle pagine delle Scritture, ma che questi scelgono di ignorare.

Parlare male. È questo il peccato che divide le nostre chiese, che rende impossibili le relazioni genuine e sincere. Non lo si risolve facendo finta di niente o passandoci sopra con leggerezza, ma solo confessandolo, prima a Dio e poi alle persone che ne hanno subito il danno.

Cinque principi biblici 

1. È un peccato che dev’essere affrontato con urgenza
“Se dunque tu stai per offrire la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì la tua offerta davanti all’altare, e va’ prima a riconciliarti con tuo fratello; poi vieni a offrire la tua offerta” (Matteo 5:23,24).

Secondo le parole di Gesù, i problemi fra i credenti vanno affrontati e risolti prima di qualsiasi altra cosa! Non c’è servizio in chiesa – spirituale o pratico che sia – né culto né evento particolare più importante di questo. Ha priorità assoluta.

2. Non tutto è sempre privato 
“Esorto Evodia ed esorto Sintiche a essere concordi nel Signore. Sì, prego pure te, mio fedele collaboratore, vieni in aiuto a queste donne, che hanno lottato per il vangelo insieme a me, a Clemente e agli altri miei collaboratori i cui nomi sono nel libro della vita” (Filippesi 4:2,3).

Problemi e dissensi possono nascere anche tra i più bravi credenti. Nessuno è totalmente immune da questo peccato. Come Evodia e Sintiche, anche noi possiamo diventare miopi e restare attaccati alle nostre ragioni pensando che sia solo una questione privata che non riguardi gli altri. Ma il fatto stesso che Paolo chiede in una lettera aperta che si intervenga per risolvere questa situazione, significa che non lo è sempre, e se rimane irrisolta ha ripercussioni serie su tutta la chiesa.

3. Il peccato irrisolto porta gravi e persistenti conseguenze per la chiesa 
“Un fratello offeso è più inespugnabile di una fortezza, e le liti tra fratelli sono come le sbarre di un castello” (Proverbi 18:19). 
“Impegnatevi a cercare la pace con tutti e la santificazione, senza la quale nessuno vedrà il Signore; vigilando bene che nessuno resti privo della grazia di Dio, che nessuna radice velenosa venga fuori a darvi molestia e molti di voi ne siano contagiati” (Ebrei 12:14,15) 
“…rendete perfetta la mia gioia, avendo un medesimo pensare, un medesimo amore, essendo di un animo solo e di un unico sentimento. Non fate nulla per spirito di parte o per vanagloria, ma ciascuno, con umiltà, stimi gli altri superiori a sé stesso, cercando ciascuno non il proprio interesse, ma anche quello degli altri” (Filippesi 2:2-4).

Per preservare l’unità nella chiesa e per non lasciare alcun suolo fertile per radici velenose, le differenze di opinioni, le preferenze e gli interessi personali devono essere subordinati alla sana dottrina e all’amore. Chi stima gli altri superiori a sé, non va in giro sparlando di loro dietro le spalle.

4. La fallibilità del pensiero umano 
Lasciare correre e sperare che pian piano tutto si risolva da sé, può sembrare meno dannoso e meno doloroso, ma se Dio ci ha dato chiare istruzioni su come affrontare queste situazioni e risolverle con amore (vedi il punto che segue), chi siamo noi a credere di avere un sistema migliore?

 5. Lo schema biblico da seguire 
Prima di tutto dobbiamo appurare se il problema sia reale o solo un dissenso nato da preferenze personali. Nel corpo di Cristo c’è posto per una grande varietà di preferenze, ma non devono mai diventare un intoppo o motivo di caduta per qualcuno. 

Poi, davanti al Signore dobbiamo chiederci se non sia il caso di passare oltre l’offesa. È questo ciò che insegna il versetto che dice: “Soprattutto, abbiate amore intenso gli uni per gli altri, perché l’amore copre una gran quantità di peccati” (1 Pietro 4:8). Pensaci, è un passo obbligatorio, perché una volta che abbiamo deciso di affrontare il problema con la persona interessata, potremmo dover arrivare a coinvolgere altri in questo processo di chiarimento. 

I princìpi da seguire sono spiegati in Matteo 18. Qualsiasi cosa si faccia, lo scopo è sempre il bene della persona interessata. L’obiettivo non è la punizione in sé, ma quello di ristabilire la relazione tra la persona e Dio in primis, e poi con i fratelli.

UNO Il primo approccio dev’essere in privato tra le due persone interessate, nella speranza di un ravvedimento sincero e senza coinvolgere altri. Non appena ne facciamo parola con qualcuno, abbiamo di fatto scavalcato questo primo importantissimo passo.

DUE Se il primo passo non ha avuto esito positivo, il secondo è quello di coinvolgere altre due o massimo tre persone, ma sempre nella speranza di una soluzione positiva.

Lo sottolineo: coinvolgere altri è solo il secondo passo. 

La persona che chiameremo ad assisterci in questo secondo passo ha il dovere di non diventare un orecchio per le lamentele, ma di essere un agente per spingere l’individuo a voler fare il passo numero uno, il ravvedimento. E non deve soltanto incoraggiarlo a fare questo, ma deve accertare che si segua in tutto e per tutto il principio biblico.

TRE Il terzo passo, nel caso in cui neanche il secondo abbia prodotto un esito positivo, è quello di coinvolgere la chiesa locale. Bisogna che tutta la chiesa comprenda che ogni forma di peccato è sempre un’offesa alla santità di Dio, che ha conseguenze gravi e non deve mai essere sottovalutata. 

Troppi credenti affermano con leggerezza di godere la comunione con Dio mentre di fatto il loro peccato li contraddice.

Ricordi da dove siamo partiti? “Lascia la tua offerta davanti all’altare e prima di ogni altra cosa metti le cose a posto con tuo fratello.” In altre parole, non t’illudere che il tuo “servizio” per il Signore in qualche modo compensi la tua mancanza nel fare le cose giuste. 

In ogni chiesa ci sono situazioni non risolte. La nostra carnalità ci porta a minimizzarle. Non ci va di sporcarci le mani, è più comodo girarci dall’altra parte. Ma abbiamo tutti, in qualche misura, parlato male quando dovevamo tacere, o ascoltato maldicenze quando dovevamo rimproverarle. 

Dio ci comanda di seguire la Bibbia. Il tempo non risolve un bel niente. Potremmo provare a ignorare il problema, ma finché non lo risolviamo, Dio non è contento e noi coviamo amarezza che avvelena i nostri rapporti e condiziona il nostro comportamento. Che cosa siamo pronti a fare?


La schermaglia vincente — 2

Spesso i battibecchi, le schermaglie, le risposte affrettate e infuocate fra marito e moglie, genitori e figli, fratelli o sorelle di chiesa, vicini o colleghi, in qualche modo… piacciono! Hai detto la tua e ti senti liberato, addirittura soddisfatto.

Ma il libro dei Proverbi nella Bibbia dice che quel tipo di risposte sono da “stolti”, e “stolto” è una brutta descrizione per chiunque. Lo stolto è una persona che fa male a se stessa e offende Dio! Nulla di cui vantarsi.

Eppure per molte persone, anche credenti, scagliare parole infuocate è diventata un’abitudine, quasi uno scherzo, un motivo di sottile orgoglio.

Non è da credenti. Non è opera dello Spirito Santo. Non è né buffo né segno di una persona arguta e spiritosa.

L’Apostolo Paolo chiama queste parole “puzzolenti”, “uova marce” e ordina che nessuna parola del genere “esca dalla vostra bocca!” (Efesini 4:29). E aggiunge: “Via da voi ogni amarezza, ogni cruccio e ira e clamore e parola offensiva con ogni sorta di cattiveria!” (Efesini 4:31). 

Perché lo dice? Perché il problema sta proprio qui: quando parli, la tua bocca rappresenta il tuo Salvatore e Signore, oppure te stesso? 

Di solito le prime parole che ci escono di bocca sono quelle più vere. Esprimono i malumori, i risentimenti e l’infelicità che portiamo in cuore da tempo. Cose che non si osano dire in modo diretto, chiaro e pacifico, con l’intento di affrontarle e risolverle. 

Quante persone si sentono consolate dalla loro convinzione di averla detta tutta, di aver risposto per le rime, di essersi dimostrate capaci di difendersi? Ma, in realtà, hanno offeso Dio lasciando dietro di sé una scia di gente ferita e amareggiata.

Qual è il modo migliore per uscire vincitore da una discussione? Di certo servirebbe qualcosa che porti un risultato positivo e costruisca unità e amicizia. Fraternità e amore. È mai possibile? 

È essenziale!

A cosa serve, nel piano di Dio, quella tua risposta, il commento o l’intervento che stai per fare in una conversazione nell’intimità della tua casa, nella chiesa o nella società in cui vivi? 

Paolo te lo dice così chiaramente che non puoi sbagliare: “ma, se avete qualche parola buona (utile, eccellente), che edifichi secondo il bisogno, ditela affinché conferisca grazia a chi l’ascolta” (Efesini 4:29).

Ecco lo scopo che Dio vuole che le tue parole abbiano in qualunque discussione: portare una benedizione, edificare secondo il bisogno, conferire grazia. Non la “tua” parola arguta o battuta di spirito, ma solo quella che Dio può usare per portare pace, unità, sottomissione e gloria a Dio.

“La risposta dolce calma il furore, ma la parola dura eccita l’ira” (Proverbi 15:1). 

Ecco l’unico modo per vincere una schermaglia! Pensaci.

—Guglielmo


 
Ristampa dal febbraio 1965

Un pizzico di sale

“Avete detto che non volete che giochi più con voi?” chiese Daniele con tono di sfida. 
“Sì” risposero Deborah e Davide, con una voce da congiurati di melodramma. 
“E allora... ecco!” Le palline di vetro, che Deborah aveva diviso per colore in tanti vasetti diversi, furono versate con ira in un vasetto comune (quelle che non entrarono ubbidientemente nel vasetto se ne andarono a rotolare sul pavimento). 
Mamma era sulla soglia della porta e stava a guardare la scena. Era venuta a chiamare i figli a colazione e francamente non c’era da perdere neppure un minuto... 
“Adesso che faccio?” si domandò. “Lascio andare e faccio finta di non avere visto?... No, è meglio di no... Questi figli intempestivi!...” 
“Davide, Deborah e Stefanino, andate a lavarvi le mani, mettetevi a tavola e aspettate un momento. Non voglio sentire nessun chiasso! Daniele, tu vieni con me…” 
“Mi devi parlare?” chiese lui con aria contrita. 
“Sì.”  
Mamma si sedette. “Daniele, ti pare di avere fatto un bel gesto a buttare così le perline di Deborah?” 
“No, ma ero triste perchè non erano stati gentili e quando sono triste mi viene da arrabbiarmi.” 
“Non è mai giusto arrabbiarsi e fare le vendette.” 
“Che cosa sono le vendette?” 
“I dispetti a quelli che ci hanno fatto arrabbiare. Ti ricordi la storia di Agar che abbiamo letta ieri? La sua padrona era stata molto cattiva e ingiusta, ma anche Agar aveva fatto male. E l’angelo le ha detto: «Torna indietro e chiedi perdono alla tua padrona»...” 
“Dovrei chiedere perdono ai miei fratelli?” 
“Sarebbe una buona idea...” 
“Ma come è difficile essere pazienti!” (Mamma, in cuor suo, gli diede pienamente ragione.) 
Qualche ora dopo, Mamma stava accanto a Daniele e lo ascoltava mentre leggeva una paginetta del libro di scuola. Ad un tratto, lui si interruppe e le buttò le braccia al collo: “Mamma, ti voglio bene!” 
“Anch’io, caro. Ma perché ti viene in mente ora?” 
“Perché mi aiuti ad essere buono...” 
Molti secoli fa, S. Paolo scrisse al suo giovane discepolo e amico Timoteo: “Predica la parola, insisti in ogni occasione favorevole e sfavorevole, convinci, rimprovera, esorta con ogni tipo di insegnamento e pazienza” (2 Timoteo 4:2). 
Tante volte sarebbe molto più facile chiudere un occhio su una marachella e tollerare un capriccio, o coprire un peccato nella chiesa per un falso concetto di amore e tolleranza. Ma sarebbe un errore grave. Ogni male non curato subito diventa sempre un focolaio di malattia grave e forse di morte. 

 

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La VOCE aprile 2018

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Guglielmo risponde | Un pizzico di sale


Sii fedele fino alla morte

I telegiornali ne parlano pochissimo, ma la persecuzione è un’aspra realtà per molti cristiani nel mondo. Porte Aperte, la missione dedicata alla chiesa perseguitata, rivela che ogni mese 214 chiese o proprietà di credenti vengono distrutte, mentre 722 cristiani subiscono rapimenti, stupri, arresti o pestaggi e 322 vengono uccisi per la loro fede. Ogni mese!

La Corea del Nord ritiene il triste primato di 50.000 cristiani rinchiusi in prigione o in campi di lavoro. L’Afghanistan e il Pakistan la seguono nella durezza della persecuzione. Ma i paesi che praticano un qualche tipo di ostilità verso i cristiani sono almeno 609 (stima del Dipartimento dello Stato degli Stati Uniti).

The PewResearch Center afferma che oltre il 75% della popolazione mondiale vive in zone con severe restrizioni religiose.  

In 35 delle 50 nazioni più ostili al cristianesimo, la persecuzione è di stampo estremismo islamico.

Ovviamente, queste statistiche non fanno distinzione tra cristiani nominali e credenti biblici.

E benché non possiamo essere che raccapricciati e disturbati da qualsiasi violenza per qualunque motivo, dobbiamo constatare che morire non è sinonimo di fede genuina in Gesù Cristo. Nondimeno, non ci sono dubbi che molti nostri fratelli oggi soffrono a causa della loro fede, subendo ostilità e discriminazione a vari livelli, nella famiglia, nello studio, al lavoro.

Nel nostro paese la persecuzione è meno visibile, casomai prende forme più subdole: vessazioni psicologiche ed emotive e abusi verbali, ma ugualmente reali e dolorosi per chi li subisce. Pensare che la persecuzione non possa arrivare anche in Italia è rischioso.

Vivi con una prospettiva eterna

C’è un sentiero di sangue, tracciato dai martiri, che attraversa la storia. Ha visto il suo apice durante la Riforma, quando migliaia di migliaia di seguaci di Cristo sono strati trucidati per la loro fede. Oggi, se noi non stiamo soffrendo come loro, non vuol dire che Dio ci ami di più o che ci siamo meritati una protezione particolare. Questo nostro periodo di pace potrebbe finire anche presto.

Per quanto tempo ancora, la vera chiesa potrà denunciare il peccato e parlare apertamente contro l’aborto e contro l’omosessualità, senza essere perseguitata?

Il fatto che non viviamo in una di quelle aree mondiali dove essere cristiani vuol dire rischiare la vita, ci ha reso forse poco consapevoli di questa realtà e non ne parliamo abbastanza.

Anzi, in certi ambienti, il benessere generale che permea la nostra società ha prodotto un concetto distorto della fede evangelica.

Ci sono chiese che evitano qualsiasi argomento negativo, calcano sempre gli aspetti positivi della fede. La loro è una ricerca costante di buoni sentimenti. Pensano che il successo e la prosperità ci spettino di diritto in quanto figli di Dio. Ma predicare che la norma per il credente sia quella di vivere da un trionfo a un altro, è una falsa dottrina che nuoce alla chiesa perché trascura il ruolo biblico della difficoltà e della persecuzione nella vita del credente.

Soffrire per Cristo ha sempre fatto parte della vita cristiana. Sin dall’inizio.

Le parole di Gesù non lasciano dubbi: seguirlo non sarebbe stata una passeggiata, “Se uno vuole venire dietro a me, rinunci a se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Troppo spesso, però, pensiamo che la croce di cui parlava Gesù siano quei piccoli disagi quotidiani o le seccature che dobbiamo sopportare. Minimizziamo e spiritualizziamo i concetti scomodi.

Ma per non essere frainteso, Gesù ha detto: “Non pensate che io sia venuto a mettere pace sulla terra; non sono venuto a metter pace, ma spada. Perché sono venuto a mettere l’uomo contro suo padre, la figlia contro sua madre e la nuora contro sua suocera; e i nemici dell’uomo saranno quelli stessi di casa sua. Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; e chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me. Chi non prende la sua croce e non viene dietro a me, non è degno di me. Chi avrà trovato la sua vita la perderà; e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà” (Matteo 10:34-39). “Sarete odiati da tutti a causa del mio nome; ma chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato” (10:22). Più chiaro di così!

Un messaggio di salvezza che non prende in considerazione il costo del discepolato, non è affatto il vangelo predicato da Gesù.  Egli ha detto: “Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra. Ma tutto questo ve lo faranno a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato” (Giovanni 15:20b-21).

E l’apostolo Paolo avverte: “Tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati” (2 Timoteo 3:12).

Beato te, se soffri

Le persecuzioni non avverranno mai per volontà d’uomini, movimenti religiosi o governi, ma sempre e solo per volontà di Dio. Infatti non ci sono governi o religioni che sorgano senza che Dio lo permetta. Sapere questo deve farci riflettere sui motivi per cui avvengono. Se Dio le permette, serviranno ai suoi scopi eterni e coopereranno al nostro bene (Romani 8:28;31-39).

Nella sua grazia, Dio permette alla chiesa di godere lunghi periodi di pace, ma quando siamo attaccati per la fede, è importante che esaminiamo noi stessi per escludere che siamo noi la causa delle nostre sofferenze, che non siamo di scandalo, che non provochiamo nessuno, che non ci comportiamo male, che non siamo arroganti né presuntuosi nei nostri modi di fare. I guai che ci attiriamo addosso da soli, portano sofferenze inutili.

Strano a dirsi, ma la persecuzione porta alcuni benefici speciali per il credente. Fanno parte degli scopi benefici ed eterni di Dio.

Pietro dice che se soffriamo per Cristo, siamo beati, perché lo Spirito riposa su di noi: “Carissimi, non vi stupite per l'incendio che divampa in mezzo a voi per provarvi, come se vi accadesse qualcosa di strano. Anzi, rallegratevi in quanto partecipate alle sofferenze di Cristo, perché anche al momento della rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare. Se siete insultati per il nome di Cristo, beati voi! Perché lo Spirito di gloria, lo Spirito di Dio, riposa su di voi. Nessuno di voi abbia a soffrire come omicida, o ladro, o malfattore, o perché si immischia nei fatti altrui; ma se uno soffre come cristiano, non se ne vergogni, anzi glorifichi Dio, portando questo nome” (1 Pietro 4:12-16).

  • Per cominciare, uno dei benefici della persecuzione è che il credente è identificato con Cristo: “Se il mondo vi odia, sapete bene che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe quello che è suo; poiché non siete del mondo, ma io ho scelto voi in mezzo al mondo, perciò il mondo vi odia” (Giovanni 15:18,19). Siamo curati da Cristo anche quando nessuno ci perseguita, ma lo siamo in modo particolare quando siamo odiati a causa sua.
  • In secondo luogo, la costanza e la fede dei credenti nelle persecuzioni sono la prova del giusto giudizio di Dio (2 Tessalonicesi 1:4b-10). Ci sarà una netta distinzione tra i figli di Dio e il mondo, in modo che nessuno potrà contestare il verdetto finale. D’altro canto, la costanza nelle prove perfeziona il credente (Giacomo 1:2-4). È l’opera santificatrice di Dio che ha come scopo ultimo quello di farci diventare simili a Cristo.
  • Poi, la persecuzione purifica la chiesa da falsi credenti (Matteo 13:20). Chi non ha messo le radici in Cristo è presto spazzato via. Alcuni alla più piccola opposizione ammutoliscono, altri smettono presto di frequentare la chiesa. Chi è più disposto a farsi in quattro per le cose del mondo che andare in chiesa, rinuncia all’occasione preziosa di maturare spiritualmente tra i fratelli in vista delle difficoltà future.
    Similmente, nella persecuzione, i falsi dottori si riveleranno dei mercenari che si danno alla fuga quando vedono avvicinarsi il lupo (Giovanni 10:12,13).
  • La persecuzione purifica anche il credente, in modo che porti più frutto per Cristo (Giovanni 15:2), a conferma che la sua fede è genuina. Si è meno attratti dalle distrazioni del peccato e più aggrappati a Cristo quando si è consapevoli di poter perdere la vita. Le cose più importanti acquistano priorità evidente.
  • Infine, ci sarà una gloriosa ricompensa per tutti coloro che avranno sofferto per Cristo (2 Timoteo 2:11,12). È difficile immaginare cosa voglia dire regnare con Cristo, ma è una sua promessa certa!

essere preparati

In tutto questo, è importante capire che il nostro nemico non è mai l’uomo, chiunque esso sia, ma sempre il diavolo. Gli uomini sono solo ignari agenti del diavolo. Per questo non dobbiamo contrastare il male, ma essere miti e amorevoli anche davanti ai soprusi, pregando che Dio conceda ai nostri persecutori di ravvedersi (Matteo 5:39-48).  

A questo punto, la domanda che ci dobbiamo fare è: cosa farei io, se la persecuzione arrivasse anche qui, se essere un cristiano mi costasse la vita? Come cambierebbe il mio comportamento, la mia testimonianza?

È una domanda seria dato che la Bibbia parla di tribolazioni e il Signore non vuole che ci colgano di sorpresa.

Dio ci ha promesso la grazia necessaria per affrontarle nel momento opportuno, non prima (Ebrei 4:16). Come quando Gesù aveva avvisato gli apostoli di non preoccuparsi di ciò che avrebbero detto ai loro persecutori, perché nel momento stesso gli sarebbero state date le parole da dire (Matteo 10:19).

Questo però non significa che, nel frattempo, non dobbiamo fare niente. Gesù aveva detto loro anche: “Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe” (Matteo 10:16). Non siamo chiamati ad essere spericolati, ma saggi e preparati.

In realtà, tutta la crescita spirituale, il progresso nella fede, ha un unico scopo: formare Cristo in ogni credente. Ogni cosa che la Bibbia dice su come comportarci e come piacere a Dio, serve a perfezionarci e prepararci anche in vista di un eventuale martirio.

E la preparazione comincia proprio oggi. È troppo tardi prendere lezioni di nuoto quando si sta per annegare!

Ma come ci si prepara?

Ammettiamolo: umanamente, la prospettiva del martirio spaventa. Ma Dio non vuole che ne siamo dominati. Volta dopo volta, attraverso tutta la Bibbia Egli ci assicura che la sua cura perfetta e il suo amore paterno non ci lasceranno mai.   

“Non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima; temete piuttosto colui che può far perire l’anima e il corpo nella geenna. Due passeri non si vendono per un soldo? Eppure non ne cade uno solo in terra senza il volere del Padre vostro. Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non temete dunque; voi valete più di molti passeri. Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io riconoscerò lui davanti al Padre mio che è nei cieli. Ma chiunque mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io rinnegherò lui davanti al Padre mio che è nei cieli” (Matteo 10:28-33).

Ecco 9 consigli pratici

  1. Non perdere di vista Dio e il suo carattere. Imparare a conoscere gli attributi di Dio (onnipotenza, onniscienza, onnipotenza…) e le sue perfezioni (perfetto amore, perfetta giustizia, perfetta santità…) aiuta ad affrontare con serenità e fiducia qualsiasi problema. Egli non ha promesso di tenerci lontani dalle difficoltà ma di prendersi cura di noi in ogni circostanza.
  2. Tieni presente la prospettiva eterna. Non viviamo per essere comodi oggi sulla terra ma in vista dell’eternità. Paolo, mentre aspettava la sua sentenza di morte, rassicurava i credenti di Filippi preoccupati per lui, che morire era un guadagno. Il peggio che ci può succedere è di andare col Signore. Ed è la miglior cosa!
  3. Studia la Parola. Verrà un giorno in cui studiare la Bibbia sarà difficile o impossibile (e non ci vuole una persecuzione per questo: basterebbe un letto di ospedale). Contatti con altri credenti saranno troppo pericolosi. Tutto ciò che avrai a disposizione sarà quello che hai imparato prima! Ti sembrerà assurdo di aver sprecato tante ore a fare cose inutili.
  4. Sviluppa una vita di preghiera. La preghiera è uno dei mezzi più belli che Dio ci dà per consolidare la nostra dipendenza da Lui e per spingerci ad essere sottomessi. Aver imparato ad essere aggrappati e ubbidienti a Dio è una gran cosa nelle avversità
  5. Impara a memoria dei versetti. Dio non può riportare alla tua mente cose che non vi sono mai entrate! Durante la persecuzione comunista in Cina, alcuni detenuti hanno potuto ricostruire larghe porzioni della Bibbia proprio perché l’avevano imparate a memoria. Si dice che con l’età diventa sempre più difficile memorizzare nuove cose: meglio farlo subito. Esistono diversi metodi efficaci di imparare versetti, addirittura capitoli interi, a memoria. Ci vuole impegno, ma ne vale la pena: la mente permeata dalla Parola di Dio è una gran protezione contro il peccato (Deuteronomio 6:6; Giosuè 1:8; Proverbi 2).
  6. Impara ad amare. Amare Dio con tutto il nostro essere è il più grande comandamento. Ma Dio ci comanda di amare anche il prossimo come noi stessi. Come farai ad amare un tuo nemico se non hai imparato ad amare i tuoi fratelli in Cristo (Matteo 5:43-48)? Quando mai potrai perdonare, benedire e fare del bene a chi ti perseguita se non l’hai fatto con la tua famiglia spirituale? Anche in questo, il nostro esempio è il Signore Gesù. Vedere i nemici come persone bisognose d’amore ci aiuterà a reagire nel modo giusto a ogni provocazione.
  7. Canta le verità bibliche la domenica. Il canto, proprio grazie alle rime e alla melodia, è un ottimo modo per imparare delle verità bibliche che saranno di grande sollievo durante i momenti bui. Perciò bisogna fare attenzione a cosa si canta in chiesa e prediligere inni con un contenuto chiaro, biblicamente sano e solido.
  8. Non pensare solo a te stesso. Sei membro di un corpo ed è compito tuo curare la crescita e la preparazione anche di coloro che Dio ha messo nella tua sfera di influenza. Se sei genitore, parlane con i figli; se sei credente da più tempo, aiuta i nuovi credenti.
  9. Scorte di Scritture ovunque. Alcuni credenti, in diverse parti del mondo, quando il governo pensava di aver confiscato tutte le Bibbia, hanno potuto continuare a studiarla proprio perché qualcuno preventivamente ne aveva nascosto delle copie in posti strategici. Può sembrare una misura esagerata nel nostro contesto, ma chi lo sa che non si dimostri provvidenziale per tempi futuri?

Oggi le nostre chiese si sono adagiate a una vita cristiana facile, senza pesi. Per molti, essere credenti si riduce a un evento domenicale (e forse neanche ogni settimana!). Ma i veri credenti e le chiese sane devono essere pronti a soffrire a causa del Vangelo.
La chiesa di Cristo nei secoli è sempre stata purificata dalla persecuzione, forse è il tempo che anche noi lo siamo.


—Guglielmo Risponde—

Posso dirglielo a parole mie?

Caro Guglielmo,
Come sono contento di vedere che hai ripreso a rispondere, come molti anni fa, alle domande di noi lettori della Voce del Vangelo! Infatti, vorrei chiederti un tuo parere su quanto segue.
Oramai ci sono in commercio sempre più edizioni e traduzioni della Bibbia. Quando ci troviamo a parlare della nostra fede agli amici, o ai non-credenti, o anche tra di noi credenti, alcuni sostengono che bisogna citare i passi biblici, così come sono scritti, parola per parola, per evitare una certa confusione. Considerano un pericolo di infedeltà citarli solo con parole nostre. Altri invece pensano che il gergo troppo pio rappresenti un ostacolo alla comunicazione.
Tu cosa ne pensi? È lecito parafrasare le Scritture per renderle più comprensibili?
Come è bene comportarci?   —R.S.


È vero, come dici tu: di traduzioni della Bibbia ne spuntano sempre nuove. Per di più, alcune sette ne fanno addirittura una versione ad hoc, che pretendono sia l’unica “fedele”.

D’altra parte, i credenti e lettori della Bibbia in tutto il mondo sono milioni; parlano e leggono in migliaia di lingue diverse. Sarebbe assurdo pretendere che tutti leggessero la Bibbia in una sola lingua “originale”.

Perciò, le “traduzioni” ci sono e sono necessarie. 

Ma è anche importante che siano fedeli a ciò che, all’origine, Dio aveva guidato gli autori dei libri della Bibbia a scrivere, cosicché il lettore odierno possa avere la certezza che ciò che legge è davvero “Parola di Dio”.

Non è possibile nominare qui tutti i problemi e le soluzioni che riguardano l’accertamento, per quanto possibile, dei testi originali delle Sacre Scritture. Basti dire che, nei secoli, migliaia di fratelli studiosi, autorevoli e ben preparati, hanno consacrato la loro vita a questo scopo, raggiungendo conclusioni che sono state riconosciute e approvate dalla maggioranza di quelli che ritengono la Sacra Bibbia essere autentica Parola di Dio, di cui il testo è effettivamente ispirato e garantito da Dio stesso.

Benché non esista nessuna traduzione che sia formalmente o ufficialmente riconosciuta come l’unica e perfetta, abbiamo in italiano, e in moltissime lingue, delle traduzioni che sono largamente riconosciute come Parola di Dio da credenti di chiese fedeli alla Bibbia, e quindi degne di fiducia e di diffusione. Siamo pienamente convinti che Dio abbia protetto i testi antichi da contaminazioni e che abbia guidato i traduttori fedeli nel realizzare queste versioni che usiamo.

Perciò, è giusto che, come tu hai accennato, chi predica o insegna oggi consideri e tratti la sua Bibbia come Parola di Dio e proponga quelle precise parole come rivelazione di Dio per l’uomo. E che respinga ed escluda l’uso di traduzioni personali, o di gruppi e movimenti non ritenuti dottrinalmente sani e fedeli alle Scritture.

Per concludere, però, ti devo avvertire che la sola lettura o recitazione pubblica della Bibbia non può essere considerata un ministero completo. “Predicare” o “insegnare” la Bibbia, nelle riunioni della chiesa o in gruppi di studio biblico, significa spiegare il senso del testo biblico, chiarendo il significato delle parole, delle frasi, delle usanze, della storia e delle dottrine contenute nel testo biblico.

Più leggi, mediti e impari, anche a memoria, le parole stesse della Bibbia, più le amerai e praticherai, meglio le spiegherai e più felice sarai a farlo.

Perciò, che sia negli studi biblici, nell’evangelizzazione o nelle conversazioni personali, le tue parole, pesate e conformi alla verità biblica, espresse con semplicità e umiltà, saranno importanti e convincenti. Che Dio ti benedica. n
—Guglielmo


 
Ristampa dal marzo 1964

Un pizzico di sale

“Questa storia mi fa piangere” disse Davide con gli occhi lucidi. Anche Deborah e Daniele erano terribilmente seri dopo che Mamma aveva finito di raccontare la storia, successa almeno cento anni fa, di una ragazza di sedici anni, morta nella bufera di neve, per salvare i suoi due fratellini, sperduti con lei nella tormenta.
“Ma è proprio una storia successa davvero?” chiese Deborah. “Janet è proprio morta?” “Sì.”
“Ma lei amava Gesù?” chiese Daniele. “Sì” rispose Mamma. “Non ti ricordi che lei e i fratelli avevano pregato che qualcuno li venisse a trovare?”
“Ma, allora, perché Dio fa succedere le cose tristi anche a quelli che vogliono bene a Gesù?”
“Dio sa quello che fa” spiegò Mamma. “Probabilmente Lui sapeva che la cosa migliore per Janet era andare in cielo in quel momento, e così l’ha presa con sé.”
“Ma la sua mamma e il suo papà avranno pianto...” disse Davide. “E i suoi fratellini saranno dovuti andare a scuola da soli” continuò Deborah.
“Io sarei molto triste se Stefanino morisse... Ma i bambini piccoli non muoiono, vero Mamma?” disse Daniele.
Mamma attirò a sé i suoi piccolini, ingolfati in pensieri più grandi di loro e si mise a parlare piano piano: “Adesso ascoltatemi bene perché sono cose un po’ difficili. Quando papà vi dice di fare certe cose, come fare il pisolino o mangiare le lenticchie, vi piace?” “No” fu la risposta unanime.
“E voi piangete?” “Deborah e Davide sì!” esclamò Daniele. “Anche tu!” accusarono gli altri due.
“Beh” continuò Mamma, “papà sa che il pisolino vi fa diventare più felici e che le lenticchie vi fanno diventare più forti. Però voi non lo capite e piangete. È un po’ lo stesso fra Dio e noi. Certe volte Egli fa succedere delle cose che ci fanno diventare tristi, ma Egli sa che ci fanno del bene. Anche quando fa morire qualcuno che amiamo... La morte è una cosa un po’ triste, ma Dio dice nella Bibbia che è bella per quelli che amano Gesù. Perché Egli li viene a prendere in braccio e li porta nella città di luce, con le porte di perle e le strade d’oro.”
“E poi quando saremo tutti morti, saremo di nuovo tutti insieme e avremo finito di morire!” concluse trionfante Daniele.
E non c’era più niente da spiegare. Nessuno poteva dire qualche cosa di più vero e di più completo.

 

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