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La Voce del Vangelo

La VOCE giugno 2022

E che sarà mai?!

A Roma, il proprietario di un appartamento è stato portato all’ospedale per gravi ustioni sul corpo. “Mi sono preso il caffè, ho acceso una sigaretta ed è esploso tutto” ha spiegato a quelli dell’ambulanza. Secondo gli investigatori, a provocare l’incidente che ha fatto collassare la palazzina, ferendo l’uomo e altre due persone, è stata appunto l’accensione di una sigaretta e la perdita di gas all’ultimo piano dello stabile.

Non è la prima volta che la cronaca riporta notizie di incendi innescati da un gesto banale come addormentarsi con la sigaretta accesa, buttare un mozzicone nel bosco senza spegnerlo o lasciare una candela accesa troppo vicina alle tende.

Anche una piccola fiammella può attivare una forza distruttiva senza pari! 

La Bibbia avverte: “Osservate: un piccolo fuoco può incendiare una grande foresta!” (Giacomo 3:5). Se solo le persone facessero più attenzione! 

L’avvertimento di Giacomo, si sa, non riguarda gli incendi, e nonostante si avvicini la stagione più arida col rischio più alto per foreste intere, non è di quello che vogliamo parlare. Il tema riguarda piuttosto l’uso della lingua, perché le nostre parole possono fare danni irreparabili.

Quello che preoccupava l’apostolo Giacomo non era soltanto il danno che possono procurare le parole dette male, ma anche il fatto che provengono da una fonte che invece dovrebbe essere incapace di pronunciarle. Lui ammonisce: “Dalla medesima bocca escono benedizioni e maledizioni. Fratelli miei, non dev’essere così. La sorgente getta forse dalla medesima apertura il dolce e l’amaro? Può forse, fratelli miei, un fico produrre olive, o una vite fichi? Neppure una sorgente salata può dare acqua dolce” (Giacomo 3:10-12).

Onestamente, siamo tutti colpevoli su questo punto. Di solito parliamo di getto, senza pensarci.

Siamo anche talmente indulgenti verso noi stessi che scusiamo il nostro modo di parlare come un difetto del nostro carattere. Casomai sono gli altri che devono imparare a essere meno permalosi. E se ci capita di dire cose sbagliate è perché reagiamo di pancia alle provocazioni degli altri. 

Così nella nostra mente giustifichiamo i sassi acuminati che ci escono dalla bocca: non è mica un peccato come rubare, l’adulterio o l’omicidio. Tanto più che i pugni li teniamo comunque nascosti in tasca. Non stiamo affatto esagerando quindi, in fondo sono solo parole...

Che sorpresa, però, scoprire nella Parola di Dio che certe cose non devono essere mai dette da un credente.

Il punto di Giacomo è che se un seguace di Cristo proferisce parole malvagie, deve sapere che lo sta facendo contro la volontà di Dio, e agisce anche al contrario di come dovrebbe, dato che ora ha una nuova natura in Cristo. Il credente, infatti è una nuova creatura, costituita da Dio per portare frutti buoni. Le cattiverie, le frecciate e le parole amare sono in realtà frutti marci e puzzolenti del suo “vecchio uomo”, quindi della sua vecchia natura.

Il nostro problema, però, è che forse non ne siamo del tutto convinti. Così, con la stessa lingua proferiamo parole di guerra e di pace, di vendetta e di conciliazione, di lamento e di gratitudine, di rabbia e di intesa, di disprezzo e di incoraggiamento, di odio e di amore. Anche se tutto questo ci sembra normale, addirittura inevitabile, per Dio non lo è affatto. 

Ora, però, davanti alla chiara Parola di Dio, non possiamo più sottovalutare le nostre parole ma dobbiamo guardarle come Dio le vede. 

Paolo avvisa i credenti di Efeso: “Come si addice ai santi, né fornicazione, né alcuna impurità, né avarizia, sia neppure nominata tra di voi; né oscenità, né parole sciocche o volgari, che sono cose sconvenienti; ma piuttosto abbondi il ringraziamento. Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore o impuro o avaro (che è un idolatra) ha eredità nel regno di Cristo e di Dio. Nessuno vi seduca con vani ragionamenti; infatti, è per queste cose che l’ira di Dio viene sugli uomini ribelli” (Efesini 5:3-6).

In questi versetti Paolo parla di due tipi di peccati, ma nel nostro articolo ci soffermeremo solo sull’uso della lingua.

Va da sé che la nostra società non solo minimizza il peccato in generale, ma lo giustifica, e a volte ne parla come se fosse normale. Anzi, a volte lo esalta. Più ci avviciniamo al ritorno di Cristo più il senso morale delle persone degenera. Ma Dio non cambia e il suo senso morale è sempre lo stesso, e ogni credente deve pensarla come Lui. 

Infatti, Paolo nella stessa lettera agli Efesini dice così: “Questo, dunque, io dico e attesto nel Signore: non comportatevi più come si comportano i pagani nella vanità dei loro pensieri, con l’intelligenza ottenebrata, estranei alla vita di Dio, a motivo dell’ignoranza che è in loro, a motivo dell’indurimento del loro cuore. Essi, avendo perduto ogni sentimento, si sono abbandonati alla dissolutezza, fino a commettere ogni specie di impurità con avidità insaziabile” (Efesini 4:17-19). 

La denuncia è chiara: i non credenti, senza intelligenza spirituale ed estranei a tutto ciò che è spirituale, si abbandonano sempre di più a ogni sorta d’impurità senza freni, perché non conoscono Dio e lo disonorano. Al contrario invece, Dio comanda a ogni suo figlio di comportarsi nel modo degno del suo nome. Anche se una volta si comportava male come tutti gli altri, oggi deve fare l’opposto. È un ordine chiaro ed esplicito, non è né un consiglio né un’opzione!

Questo cambiamento si deve vedere anche nell’uso della lingua del credente. 

In teoria siamo tutti d’accordo su questo, ma in pratica spesso consideriamo i peccati della nostra lingua come un vizio secondario, solo una cattiva abitudine che fatichiamo a controllare. Ed è proprio questo il nostro problema: se non ne comprendiamo la gravità, siamo sconfitti in partenza e non saremo mai motivati a voler cambiare.

Se lo ritenessimo davvero un peccato grave, faremmo senz’altro come dice Giacomo: “Avvicinatevi a Dio, ed egli si avvicinerà a voi. Pulite le vostre mani, o peccatori; e purificate i vostri cuori, o doppi d’animo! Siate afflitti, fate cordoglio e piangete! Sia il vostro riso convertito in lutto, e la vostra allegria in tristezza! Umiliatevi davanti al Signore, ed egli v’innalzerà” (Giacomo 4:8-10).

Dire cose che dispiacciono a Dio dovrebbe provocare in noi una tale tristezza e un turbamento così profondo da spingerci a non volerlo ripetere mai più.

Questa è la “tristezza secondo Dio che produce un ravvedimento che porta alla salvezza” del quale non c’è mai da pentirsi (vedi 2 Corinzi 7:8-11). 

Troppo spesso succede, invece, che siamo rattristati più per le conseguenze del nostro peccato che per il fatto di aver offeso Dio. Si, perché quando pecchiamo offendiamo Lui per primo. Se ci rendessimo conto che abbiamo prima di tutto recato disonore a Dio, la nostra sufficienza sparirebbe in un attimo. 

Quali sono, allora, le parole che offendono Dio? 

Paolo ha citato qualche esempio in Efesini 5:4 e sono oscenità, parole sciocche e volgari.

Il presupposto è che i credenti non pronuncino mai determinate parole. Ma il significato di questi tre vocaboli elencati da Paolo è più esteso di quello che si pensa.

Nella lingua originale con “oscenità” si intendono parole sporche, brutte, vergognose, che danno scandalo, ma anche parole normali che producono quel tipo di effetto. 

Sono “oscenità” i pettegolezzi, che non sono necessariamente sempre falsi, ma sono detti per fare del male, per rovinare la reputazione di qualcuno, indiscrezioni raccontate a persone che non hanno il bisogno di saperle. I pettegolezzi non hanno mai uno scopo sano. 

“Le parole del maldicente sono come ghiottonerie, penetrano fino nell’intimo delle viscere” avverte l’autore del libro dei Proverbi in 26:22. 

È triste ammetterlo, ma a volte riusciamo a mascherare i pettegolezzi come motivi per cui pregare.

Della stessa categoria delle parole sporche e vergognose fanno parte anche le calunnie. Calunniare è asserire cose su qualcuno che non sappiamo essere vere o false. Il modo più comune di calunniare è giudicare i motivi per cui le persone hanno fatto o detto una certa cosa. 

Quanto è facile cadere in questo peccato! Pensiamo di poter vedere dentro le menti e nei cuori degli altri. Noi, che non conosciamo a fondo neanche le motivazioni del nostro cuore insanabilmente maligno! Eppure, pretendiamo di saper giudicare con oggettività quelle altrui. 

In questa lista di Paolo di parole oscene sono comprese anche le lamentele. 

Hai mai riflettuto sul fatto che quando ci lamentiamo di qualcosa, stiamo in realtà parlando in modo sconveniente di Dio? Lui che è sovrano su tutte le cose, incluse le circostanze che non ci vanno bene, è possibile che si sia distratto? È possibile che all’Onnipotente sia sfuggito qualcosa della nostra vita? È ovvio che no.

Bisogna renderci conto che le nostre parole sono più gravi di quello che fino a ora siamo stati disposti ad ammettere. 

Ma la lista di Paolo non è finita ancora. Lui dice che dobbiamo evitare anche le parole sciocche, quelle che fanno parte del parlare senza intelligenza, parole inutili, stolte e vuote. 

Noi uomini ci cadiamo spesso, specialmente quando vogliamo avere per forza ragione durante una discussione e scivoliamo nel litigio. La nostra bocca diventa un fiume in piena, che raccoglie qualsiasi idea e la butta fuori di getto. E così, sperando di sopraffare il nostro interlocutore con le nostre opinioni, cominciamo battaglie che producono divisioni e dolori, spesso sproporzionate e sicuramente ingiustificabili pensando alla vera causa del dissidio.

L’ultima sulla lista di Paolo è la parola volgare. 

Si tratta di parole sconvenienti, le parolacce, ma il significato può includere anche il concetto del sarcasmo. Il sarcasmo è definito come “una forma di ironia amara e pungente, volta a schernire o umiliare qualcuno o qualcosa. Può essere sottolineato anche attraverso particolari intonazioni della voce, enfatizzando così alcune parole o parti dell’affermazione.” 

La parola deriva dal greco antico, da sarkazein – mordersi le labbra per la rabbia – che a sua volta è una derivazione di sarx, carne. Sarcasmo letteralmente può essere reso con “tagliare un pezzo di carne da qualcuno”. È quindi sempre sconveniente, e non produce mai risultati che piacciono a Dio.

Tutti questi tipi di parole sono sconvenienti, dice Paolo. Sono inutili. Non vanno d’accordo con la nostra vita di cristiani, perché siamo imitatori di Dio. Non rappresentano né Cristo né Dio. Non sono amorevoli e di conseguenza contravvengono alla nostra responsabilità di amare Dio prima di tutto, e poi di amare il nostro prossimo come noi stessi.

Il versetto ci disarma da ogni giustificazione sull’usare male la nostra lingua. Quella parola puzzolente che pensavamo fosse arguta o buffa quando l’abbiamo detta, dovrebbe produrre invece cordoglio e tristezza, perché abbiamo offeso il nostro Dio.

La fucina nascosta

Dobbiamo però considerare un altro aspetto importante: il motivo per cui diciamo le cose, che sta dietro a tutto quello che esce dalla nostra bocca. 

La Bibbia parla della fabbrica dove si creano le parole: “L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore tira fuori il bene, e l’uomo malvagio dal malvagio tesoro del suo cuore tira fuori il male; perché dall’abbondanza del cuore parla la sua bocca” (Luca 6:45). La fabbrica delle nostre parole è il nostro cuore. 

Il problema è molto più grande e profondo di quello che vogliamo ammettere. Abbiamo un cuore malvagio e duro, un terreno fertile per pensieri malvagi che si traducono in parole.

Di conseguenza non si tratta solo di parole innocue, ma di espressioni di un cuore malato, che non è stato trasformato dalla Parola di Dio.

Gesù ha sempre sottolineato che le parole sono molto più importanti di quanto generalmente si pensi.

“Voi avete udito che fu detto agli antichi: «Non uccidere: chiunque avrà ucciso sarà sottoposto al tribunale»; ma io vi dico: chiunque si adira contro suo fratello sarà sottoposto al tribunale; e chi avrà detto a suo fratello: «Raca» sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli avrà detto: «Pazzo!» sarà condannato alla geenna del fuoco. Se dunque tu stai per offrire la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì la tua offerta davanti all’altare, e va’ prima a riconciliarti con tuo fratello; poi vieni a offrire la tua offerta” (Matteo 5:21-24).

Le cattive parole (anche quelle dette per scherzo) nascono da radici malvagie. Chiamare qualcuno pazzo ha radici che sorgono dal nostro disdegno, odio o risentimento per quella persona. Quelle, poi, dette contro un fratello distruggono la nostra relazione di comunione con Dio. Il Signore non ha nessun piacere nelle nostre offerte, nelle nostre eloquenti preghiere fino a che non abbiamo messo a posto le parole sconvenienti che abbiamo detto.

Gesù ha anche affermato che “ciò che esce dalla bocca viene dal cuore, ed è quello che contamina l’uomo. Poiché dal cuore vengono pensieri malvagi, omicidi, adultèri, fornicazioni, furti, false testimonianze, diffamazioni. Queste sono le cose che contaminano l’uomo; ma il mangiare con le mani non lavate non contamina l’uomo” (Matteo 15:18-20).

Le nostre parole ci contaminano, ci fanno diventare sporchi. 

È implicito che dobbiamo confessarle e chiedere perdono a Dio e a coloro ai quali le abbiamo rivolte.

Duemila anni fa gli uomini facevano il nostro stesso errore, cioè quello di dare più importanza alle azioni esteriori che alle proprie parole. Ma l’avvertimento di Dio è chiaro: “O fate l’albero buono e buono pure il suo frutto, o fate l’albero cattivo e cattivo pure il suo frutto; perché dal frutto si conosce l’albero. Razza di vipere, come potete dir cose buone, essendo malvagi? Poiché dall’abbondanza del cuore la bocca parla. L’uomo buono dal suo buon tesoro trae cose buone, e l’uomo malvagio dal suo malvagio tesoro trae cose malvagie. Io vi dico che di ogni parola oziosa che avranno detta, gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio; poiché in base alle tue parole sarai giustificato, e in base alle tue parole sarai condannato” (Gesù in Matteo 12:33-37).

È questa l’ipocrisia che l’apostolo Giacomo smaschera e denuncia parlando del cattivo uso della nostra lingua: “Con essa benediciamo il Signore e Padre; e con essa malediciamo gli uomini che sono fatti a somiglianza di Dio. Dalla medesima bocca escono benedizioni e maledizioni. Fratelli miei, non dev’essere così. La sorgente getta forse dalla medesima apertura il dolce e l’amaro? Può forse, fratelli miei, un fico produrre olive, o una vite fichi? Neppure una sorgente salata può dare acqua dolce” (Giacomo 3:9-12).

Siamo un controsenso vivente:
> Crediamo in un Dio sovrano, ma ci lamentiamo delle circostanze.
> Crediamo in un Dio che perdona, ma noi non perdoniamo.
> Crediamo in un Dio creatore, ma malediciamo le sue creature.
> Crediamo in un Dio che provvede, ma siamo ansiosi del futuro.
> Crediamo in un Dio che ci conosce, ma rifiutiamo la sua guida.
> Crediamo che Dio può tutto, ma non può cambiare le persone.

Se ci sono attriti nei nostri rapporti con gli altri, ricordiamoci che, se continuiamo a essere superficiali nella nostra vita spirituale permettendo alla nostra lingua di esprimersi in modo incontrollato, creeremo ancora più pasticci.

Ricordiamoci anche che la gratitudine è il grande antidoto a un cuore che produce pensieri e parole malvagie, come scrive Paolo agli Efesini.

Un cuore grato produce parole buone.

Viviamo in un mondo dove abbondano l’ingratitudine e la ribellione verso Dio. Sono atteggiamenti che saturano ogni strato della società e si riscontrano nell’arte, nella politica, nell’educazione, nel governo. C’è il rischio che i credenti e la chiesa vengano sedotti da questi ragionamenti. Paolo, avverte: “Nessuno vi seduca con vani ragionamenti; infatti, è per queste cose che l’ira di Dio viene sugli uomini ribelli” (v. 6).

Non c’è dubbio che una persona grata a Dio non può contemporaneamente essere ribelle a Lui.

Le parole digitate

E c’è da dire ancora un’altra cosa sull’uso delle parole. Ormai non comunichiamo solo a voce, ma anche sui social, che da un lato offrono una preziosa possibilità di raggiungere persone che altrimenti non raggiungeremmo mai. Dall’altro, però, si prestano troppo facilmente a lasciare dichiarazioni e commenti assolutamente non in linea con la santità che si addice ai seguaci di Cristo.

Chi si definisce tale non deve lasciarsi andare a espressioni sconvenienti nemmeno sui social. Non facciamoci ingannare dal falso senso di libertà o dell’anonimato come se non dovremmo rendere conto al Signore di ogni parola scritta su internet. 

Nessun figlio di Dio deve proferire né scrivere parole sconvenienti che offendono Lui, le sue creature o la sua sovranità. Smettiamola di giustificare e accettare le nostre parole malvagie, perché provocano solo la sua giusta ira.

Quanti incendi abbiamo acceso nella nostra avventata superficialità!

Per evitare di ripetere lo stesso errore prendiamo sul serio l’ammonimento di Dio: “Nessuna cattiva parola esca dalla vostra bocca; ma se ne avete qualcuna buona, che edifichi secondo il bisogno, ditela, affinché conferisca grazia a chi l’ascolta. Non rattristate lo Spirito Santo di Dio con il quale siete stati suggellati per il giorno della redenzione. Via da voi ogni amarezza, ogni cruccio e ira e clamore e parola offensiva con ogni sorta di cattiveria! Siate invece benevoli e misericordiosi gli uni verso gli altri, perdonandovi a vicenda come anche Dio vi ha perdonati in Cristo” (Efesini 4:29-32).

Le nostre parole devono aiutare, edificare, promuovere la vita spirituale, evangelizzare i non credenti, spingere i fratelli verso la santificazione. 

Per essere così, devono essere sature della verità della Parola di Dio. “Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia” (2 Timoteo 3:16).

Le nostre parole devono essere appropriate, “secondo il bisogno,” cioè non solo buone e utili ma anche dette al momento giusto.

Le nostre parole devono portare grazia. Chi ci ascolta deve poter riconoscere la misericordia di Dio in quello che diciamo.

Prima di parlare facciamo pulizia nei nostri cuori.

Non sminuiamo le nostre parole né i motivi che ci spingono a dirle. Il Signore, di certo, non lo fa!

—Davide Standridge

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La VOCE settembre 2016

Piromani oppure pompieri

Tra le tristi piaghe che si ripetono ogni estate nel nostro paese ci sono gli incendi. Nell’ultimo decennio sono andati in fumo più di 500 mila ettari di bosco; una devastazione che né l’azione di rimboschimento né la ricostituzione boschiva sono riusciti a rimediare.

Malgrado gli sforzi preventivi di molti, l’incuria e la disattenzione continuano a produrre danni che durano nel tempo ed hanno conseguenze su tante persone innocenti. Basta un mozzicone di sigaretta non spento per dar fuoco a intere foreste.
Ma c’è un altro tipo di incendio che provoca altrettanti danni incalcolabili. È un pericolo che stranamente molti scelgono di ignorare. Alcuni genitori addirittura, con il loro cattivo esempio, allevano dei piccoli piromani. Non sarai mica tu uno di questi?

Bruciare boschi danneggia la produzione di ossigeno, colpisce la conservazione naturalistica, nuoce al turismo e accresce la possibilità di frane.
Le conseguenze dell’altro tipo di incendio sono altrettanto gravi. Continua a leggere.


Frutti d'oro nei vasi d'argento

Nessuno di noi, spero, sarà stato vittima di un incendio, ma sono sicuro che ognuno di noi porta le cicatrici di un altro tipo di bruciatura. Impariamo presto a giocare con questo fuoco, a fare gli spavaldi giocolieri pensando di non ustionarci mai. Capito di cosa sto parlando? Della nostra lingua. La lingua “è un piccolo membro, eppure si vanta di grandi cose. Osservate: un piccolo fuoco può incendiare una grande foresta! Anche la lingua è un fuoco, è il mondo dell’iniquità. Posta com’è fra le nostre membra, contamina tutto il corpo e, infiammata dalla geenna, dà fuoco al ciclo della vita” (Giacomo 3:5,6).

Diciamoci la verità: siamo tutti colpevoli di aver usato male la lingua. Non ci viene spontaneo fermare le maldicenze. Siamo molto più avvezzi a usare la nostra lingua come un’arma.

Ma come si fa a passare da piromani a pompieri? Le nostre famiglie, le chiese e i nostri posti di lavoro ne hanno bisogno. Per poter cambiare e diventare dei “vigili del fuoco” ci vogliono un paio di premesse.

La prima è che i pompieri pensano all’incolumità degli altri, non di se stessi. Se ci preoccupiamo solo della nostra pelle, dei nostri diritti (veri o immaginari), saremo facilmente portati ad usare la lingua in modo nocivo.

La seconda premessa è che bisogna essere motivati da un amore genuino per le persone intorno. Un amore che comincia dalla famiglia, che comprende i fratelli della chiesa e si estende fino a toccare tutti, anche i nemici, è un comandamento di Dio.

Queste premesse riguardano, però, chi è stato trasformato dal Signore e coltiva un desiderio di piacergli e vuole crescere nella conoscenza della Parola di Dio.

Lo standard a cui dobbiamo aspirare ce lo ha dato l’Apostolo Paolo sotto ispirazione di Dio: “Nessuna cattiva parola esca dalla vostra bocca; ma se ne avete qualcuna buona, che edifichi secondo il bisogno, ditela affinché conferisca grazia a chi l’ascolta” (Efesini 4:29).

Parole semplici che, se messe in pratica, fanno di noi costruttori invece che distruttori. Niente fuoco, ma abbondante acqua rinfrescante!

Nessuna cattiva parola

“Cattiva” nel suo significato originale in greco esprime il concetto di qualcosa di putrefatto, che emana fetore. Le parole che non fanno del bene puzzano e sono odiose. Disgustano chi le sente.

Hai mai pensato che Dio sente tutto quello che dici? Ascolta ogni singola parola che viene detto da chiunque. Il Salmo 139 afferma che Lui sa quello che diremo prima ancora che lo proferiamo. Prima che le nostre parole riescano a danneggiare qualcuno, Egli ne è già disgustato. L’unico modo per evitare che la nostra bocca vomiti parole putrefatte è curare il nostro cuore perché “dall’abbondanza del cuore la nostra bocca parla” (Matteo 12:34). Amarezza, rabbia e voglia di vendetta sono il terreno fertile per le parole incendiarie.

Solo parole buone

Sembra scontato, ma in realtà è tutt’altro che facile. Saper dire cose buone in circostanze diverse è da saggi. Se non lo sappiamo fare, o se non siamo sicuri che quello che stiamo per dire sia buono, è meglio stare zitti! Salomone scrisse: “Nella moltitudine delle parole non manca la colpa, ma chi frena le sue labbra è prudente” (Proverbi 10:19). E Paolo, parlando ai Filippesi, comanda loro di pensare nel modo giusto: “Tutte le cose vere, tutte le cose onorevoli, tutte le cose giuste, tutte le cose pure, tutte le cose amabili, tutte le cose di buona fama, quelle in cui è qualche virtù e qualche lode, siano oggetto dei vostri pensieri” (Filippesi 4:8). Chi si lascia trasformare dalla Parola di Dio imparerà da essa e sarà capace di dire cose giuste e buone.

Solo parole che aiutano

Nel Salmo 19 Davide ha pregato così: “Ti siano gradite le parole della mia bocca, davanti a te i pensieri del mio cuore, Signore, mia rupe e mio redentore” (v. 14). Prima di dire qualunque cosa dobbiamo chiederci se sarà utile per chi l’ascolterà, se le mie parole saranno un motivo di crescita per lui. È difficile che io possa edificare qualcuno se nel mio cuore non c’è vero amore per lui; se non m’importa niente che lui cresca o meno nel suo rapporto con Dio.

Parlare al momento opportuno

Dire cose giuste è difficile, ma dirle al momento opportuno lo è ancora di più. Sono importantissimi tutti e due. Salomone ha scritto: “Le parole dette a tempo sono come frutti d’oro in vasi d’argento cesellato” (Proverbi 25:11). Ci sono situazioni in cui è decisamente meglio rimandare anche se quello che stiamo per dire è indubbiamente utile. Una volta mi capitò di accompagnare mio figlio e un suo compagno in macchina a scuola. Il compagno si era presentato all’appuntamento con grande ritardo. Ne fui irritatissimo e in modo brusco glielo feci presente. Mio figlio assistette alla scena in silenzio. Solo dopo che fummo arrivati a scuola, e dopo aver fatto uscire il ragazzo ed essermi calmato, mi disse: “Pensi di avere reagito bene?” Se me lo avesse chiesto durante il tragitto, avrei probabilmente risposto male anche a lui. Mio figlio, invece, aveva aspettato al momento giusto. Ero calmo è pronto a ragionare. Ma se mio figlio non avesse detto niente non avrei potuto rincorrere il suo amico e chiedergli scusa! Aspettare il momento migliore sì, ma non tacere!

Parole di un valore eterno

“Conferire grazia” esprime il concetto di portare le persone a conoscere realmente la grazia di Dio. È per grazia che Dio ci ha perdonati e ci ha dato la vita eterna. La stessa grazia ci provvede quello di cui abbiamo bisogno e ci sostiene giorno per giorno. In effetti la grazia di Dio pervade ogni cosa della nostra vita. Noi che l’abbiamo conosciuta ne siamo diventati ambasciatori. Con le nostre parole dobbiamo portare le persone a vedere e conoscere la grazia di Dio in modo che abbia un risultato eterno anche sulla loro vita.

Parole alle persone giuste

Può capitare che abbiamo le parole giuste, e quello che stiamo per dire è necessario e farebbe bene alla persona che abbiamo davanti, anche il momento ci sembra adatto, ma… non siamo al posto giusto! Altri orecchi potrebbero sentirci dire cose che non hanno bisogno di sapere. Questo è particolarmente vero quando sbottiamo incuranti di chi ci sta intorno.
Un giorno dovremo rendere conto a Dio per ogni parola che abbiamo detto (Matteo 12:36,37). È una verità che dovrebbe farci riflettere e gridare: “SIGNORE, poni una guardia davanti alla mia bocca, sorveglia l’uscio delle mie labbra” (Salmo 141:3). È molto meglio essere conosciuti per le parole buone dette al momento adatto alle persone giuste, con benefici eterni a coloro che ci sentono.

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