La VOCE aprile 2024
Ogni volta che dovevano darci il biberon, i miei genitori mi raccontavano che mamma lo dava al mio gemello e papà lo dava sempre a me. Sarà con questo gesto costante che è iniziato quel rapporto speciale che mi ha legato a lui tutta la vita.
Era sempre bello per me passare tempo con papà. Da piccolo ero fiero di tenergli la mano, mi sentivo al sicuro e amato.
Papà per le altre persone era un fratello in fede, il pastore della chiesa, il direttore dell’Istituto Biblico Bereano, un autore di libri apprezzato e un predicatore stimato. Ovviamente lo era anche per me, ma lui era soprattutto “mio papà”.
Il nostro rapporto è maturato negli anni, lavorando insieme alla Voce del Vangelo e nella nostra chiesa locale, quella di “Via Britannia”. Ricordo le nostre lunghe conversazioni, e come abbiamo affrontato insieme sia i momenti belli che quelli tristi e difficili.
Quando mamma è andata col Signore, papà è venuto ad abitare con mia moglie e me. Il nostro rapporto è sempre stato bellissimo, e fino alla fine della sua vita non è cambiato.
Papà non era perfetto, ma era mio, e per questo sarò sempre grato al Signore. Non lo avevo scelto io, né lui aveva scelto me, ma Dio, nella sua grazia, mi ha dato un padre che ha saputo formarmi, disciplinarmi, consigliarmi e amarmi.
Mi rendo conto che non tutti sono stati benedetti come me ad avere un padre così, ma voglio parlarvi del papà che tutti possiamo avere: Dio stesso.
Ogni domenica, nelle chiese del mondo, milioni di persone recitano il Padre nostro. Spurgeon, il noto predicatore inglese, ha commentato così questo fatto:
Penso sia lecito dubitare che il nostro Salvatore abbia inteso la preghiera “Padre nostro” usata nel modo in cui lo è comunemente dalle masse che si professano cristiane. Molti hanno l’abitudine di recitarla come la preghiera mattutina, e pensano che avendo ripetuto queste sacre parole abbiano fatto quanto basta. Ritengo che questa preghiera non sia mai stata intesa per un uso universale.
Gesù Cristo non l’ha insegnata a tutti gli uomini, ma ai suoi discepoli, ed è una preghiera adatta solo a coloro che hanno ricevuto la grazia, e sono veramente convertiti. Sulle labbra di un uomo empio è del tutto fuori posto.
La Scrittura non dice forse degli empi: “Voi avete per padre il diavolo e fate le sue opere”? Perché dunque, empio, dovresti deridere Dio dicendo: “Padre nostro che sei nei cieli”? Come può essere tuo padre? Hai due padri?
E se Dio è Padre, dov’è il suo onore? Dov’è l’amore che gli è dovuto? Tu non lo onori né lo ami, eppure ti avvicini a lui con presunzione, e in modo blasfemo gli dici: “Padre nostro” mentre il tuo cuore è ancora attaccato al peccato, e la tua vita è contraria alla sua legge, e dimostri perciò di essere un erede dell’ira e non figlio della grazia!
Ti scongiuro, smettila di pronunciare sacrilegamente queste parole sacre. Finché non potrai esclamare in sincerità e verità: “Padre mio che sei nei cieli”, e non cercherai di onorare il suo santo nome nella tua vita, non offrirgli il linguaggio dell’ipocrita che è per lui un abominio!”
Mi ricordo, quando ero piccolo, che una volta la nostra famiglia era in visita in un’altra chiesa. Finito il culto, alcuni uomini si misero a conversare con papà. Mi sembravano tutti armadi, erano altissimi. Mi avvicinai cercando la mano di papà. L’afferrai, ma alzato lo sguardo mi resi conto di aver preso la mano di uno sconosciuto. Imbarazzatissimo, lasciai subito la presa e mi affrettai a stringere quella di mio padre.
Non era successo nulla di drammatico in realtà, ma pensa invece a quanto sarà catastrofico illudersi di avere Dio come padre senza essere mai diventato suo figlio veramente! Le conseguenze saranno devastanti, perché si parla del destino eterno della persona.
Molti pensano di essere figli di Dio, ma la Bibbia lo smentisce. È scritto precisamente che “a tutti quelli che l’hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventare figli di Dio, a quelli cioè che credono nel suo nome, i quali non sono nati da sangue, né da volontà di carne, né da volontà d’uomo, ma sono nati da Dio” (Giovanni 1:12,13).
Figli di Dio si diventa solo quando si riconosce Gesù come Salvatore e Signore della propria vita.
A dire il vero, anche noi credenti spesso agiamo con superficialità, e diamo per scontato che Dio sia nostro padre. Per esempio, cominciare ogni volta le preghiere con “Padre celeste” potrebbe diventare un’abitudine che ci fa perdere di vista le profonde verità implicite in queste due parole.
Chiamare Dio padre è un privilegio riservato al credente, ma comporta anche delle responsabilità che non devono essere sottovalutate.
IL PRIVILEGIO
Pietro, nella sua prima lettera, avverte: “Se invocate come Padre colui che giudica senza favoritismi, secondo l’opera di ciascuno, comportatevi con timore durante il tempo del vostro soggiorno terreno” (1 Pietro 1:17; l’enfasi qui e nei versetti successivi è mia).
Se Dio non si fosse fatto conoscere e non avesse mandato suo figlio Gesù sulla terra nessuno potrebbe affermare di essere figlio di Dio. Perciò non dobbiamo mai dimenticare quanto gli è costato adottarci come suoi figli.
Pietro, infatti, va avanti e scrive che dobbiamo comportarci con timore “sapendo che non con cose corruttibili, con argento o con oro, siete stati riscattati dal vostro vano modo di vivere tramandatovi dai vostri padri, ma con il prezioso sangue di Cristo, come quello di un agnello senza difetto né macchia. Già designato prima della fondazione del mondo, egli è stato manifestato negli ultimi tempi per voi; per mezzo di lui credete in Dio che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria affinché la vostra fede e la vostra speranza siano in Dio” (1 Pietro:18-21).
Eravamo in una condizione pietosa, i nostri padri umani erano capaci solo di offrirci un modo vano e futile di vivere. Ogni nostra speranza e tutto quello su cui contavamo non produceva vita, ma morte.
Cristo è dovuto venire sulla terra e morire sulla croce per offrirci la salvezza. Il suo sacrificio era deciso prima della fondazione del mondo, prima ancora che l’uomo peccasse. A prescindere da qualsiasi merito da parte degli uomini, unicamente con lo scopo di portare gloria a Dio per il suo amore senza uguali.
Ogni volta che chiamiamo Dio papà, i nostri cuori dovrebbero scoppiare di gratitudine proprio per questo suo immenso e costoso dono.
Paolo scrive: “Quando giunse la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare quelli che erano sotto la legge, affinché noi ricevessimo l’adozione. E, perché siete figli, Dio ha mandato lo Spirito del Figlio suo nei nostri cuori, che grida: «Abbà, Padre». Così tu non sei più servo, ma figlio, e, se sei figlio, sei anche erede per grazia di Dio” (Galati 4:4-7).
Abbà è una parola aramaica che letteralmente significa “papà”. Illustra perfettamente l’intimità e una cura particolare, e l’amore che Dio ha per noi. Il Dio dell’universo, creatore e sostenitore di ogni cosa, l’onnipresente, l’onnipotente, l’onnisciente è nostro papà, un Dio santo ed eterno!
Giovanni esclama: “Vedete quale amore ci ha manifestato il Padre, dandoci di essere chiamati figli di Dio! E tali siamo. Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui. Carissimi, ora siamo figli di Dio, ma non è stato ancora manifestato ciò che saremo. Sappiamo che quando egli sarà manifestato saremo simili a lui, perché lo vedremo com’egli è. E chiunque ha questa speranza in lui, si purifica com’egli è puro” (1 Giovanni 3:1-3).
Ti rendi conto? Dio non soltanto ha fatto tutto per la nostra salvezza, ma ci sta anche trasformando, e un giorno lo vedremo come egli è, e saremo simili a lui!
Sapere chi è nostro Padre dovrebbe cambiare radicalmente la prospettiva sulla vita. Gesù voleva che vivessimo con questa consapevolezza: “Perciò vi dico: non siate in ansia per la vostra vita, di che cosa mangerete o di che cosa berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. Non è la vita più del nutrimento, e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre. Non valete voi molto più di loro? E chi di voi può con la sua preoccupazione aggiungere un’ora sola alla durata della sua vita?
E perché siete così ansiosi per il vestire? Osservate come crescono i gigli della campagna: essi non faticano e non filano; eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro. Ora se Dio veste in questa maniera l’erba dei campi che oggi è, e domani è gettata nel forno, non farà molto di più per voi, o gente di poca fede?
Non siate dunque in ansia, dicendo: «Che mangeremo? Che berremo? Di che ci vestiremo?» Perché sono i pagani che ricercano tutte queste cose, ma il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose. Cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno date in più. Non siate dunque in ansia per il domani, perché il domani si preoccuperà di sé stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno” (Giovanni 6:25-34).
Nessun figlio di Dio deve essere ansioso né vivere preoccupato per il futuro, per la durata della sua la vita o se avrà tutto quello di cui ha bisogno. Il Dio dell’universo ci ama ed è perfettamente capace di provvedere per noi tutto il necessario.
Pensaci: quando ci lamentiamo o abbiamo paura, se siamo sempre in ansia o arrabbiati è il segnale di un problema di fondo, quello di esserci dimenticati chi è nostro padre e che non ci fidiamo di lui!
Sono tutti atteggiamenti che non lasciano Dio indifferente, infatti Pietro, nel versetto che ho citato all’inizio, avverte che Dio è “colui che giudica senza favoritismi, secondo l’opera di ciascuno.” Egli ci osserva tutto il tempo e valuta la nostra condotta.
Da ragazzino bastava uno sguardo di mio padre per ricordarmi che mi osservava sempre, e per riportarmi sulla retta via. Altre volte l’intervento doveva essere più severo. Allora con voce austera diceva: “Vieni in camera mia”. Di solito c’era la cucchiarella ad aspettarmi sul letto. La punizione, giusta e sufficientemente dolorosa, arrivava puntualmente, ma mai senza la mia piena consapevolezza di aver trasgredito le regole di un padre che mi amava in modo incondizionato.
Dio fa la stessa cosa. L’autore della lettera agli Ebrei ce lo ricorda: “Voi non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato, e avete dimenticato l’esortazione rivolta a voi come a figli: «Figlio mio, non disprezzare la disciplina del Signore, e non ti perdere d’animo quando sei da lui ripreso; perché il Signore corregge quelli che egli ama, e punisce tutti coloro che riconosce come figli».
Sopportate queste cose per la vostra correzione. Dio vi tratta come figli; infatti, qual è il figlio che il padre non corregga? Ma se siete esclusi da quella correzione di cui tutti hanno avuto la loro parte, allora siete bastardi e non figli.
Inoltre abbiamo avuto per correttori i nostri padri secondo la carne e li abbiamo rispettati; non ci sottometteremo forse molto di più al Padre degli spiriti per avere la vita? Essi, infatti, ci correggevano per pochi giorni come sembrava loro opportuno; ma egli lo fa per il nostro bene, affinché siamo partecipi della sua santità.
È vero che qualunque correzione sul momento non sembra recare gioia, ma tristezza; in seguito tuttavia produce un frutto di pace e di giustizia in coloro che sono stati addestrati per mezzo di essa” (Ebrei 12:4-11).
Dio giudica ognuno in modo imparziale, e ci disciplina proprio perché siamo veramente suoi figli amatissimi. Se lui non ci disciplinasse mai sarebbe un chiaro segno che non gli apparteniamo affatto.
La disciplina di Dio non avviene solo qui in terra, perché un giorno lui valuterà e giudicherà ogni singola nostra azione.
Paolo accenna a questo giudizio quando scrive: “Noi siamo infatti collaboratori di Dio, voi siete il campo di Dio, l’edificio di Dio. Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come esperto architetto, ho posto il fondamento; un altro vi costruisce sopra. Ma ciascuno badi a come vi costruisce sopra; poiché nessuno può porre altro fondamento oltre a quello già posto, cioè Cristo Gesù.
Ora, se uno costruisce su questo fondamento con oro, argento, pietre di valore, legno, fieno, paglia, l’opera di ognuno sarà messa in luce; perché il giorno di Cristo la renderà visibile; poiché quel giorno apparirà come un fuoco; e il fuoco proverà quale sia l’opera di ciascuno.
Se l’opera che uno ha costruita sul fondamento rimane, egli ne riceverà ricompensa; se l’opera sua sarà arsa, egli ne avrà il danno; ma egli stesso sarà salvo; però come attraverso il fuoco” (1 Corinzi 9:15).
LA RESPONSABILITÀ
Cito di nuovo l’esortazione solenne di Pietro: “Come figli ubbidienti, non conformatevi alle passioni del tempo passato, quando eravate nell’ignoranza; ma come colui che vi ha chiamati è santo, anche voi siate santi in tutta la vostra condotta, poiché sta scritto: «Siate santi, perché io sono santo». […] comportatevi con timore…” (1 Pietro 1:14-17).
Timore qui si riferisce alla preoccupazione di offendere, deludere, rappresentare male e non onorare Dio, e al timore del suo giudizio.
Paolo scriveva agli Efesini: “Siate dunque imitatori di Dio, come figli amati; e camminate nell’amore come anche Cristo ci ha amati e ha dato se stesso per noi in offerta e sacrificio a Dio quale profumo di odore soave” (Efesini 5:1,2).
Da che mondo è mondo i figli devono obbedire ai genitori e imparare da loro. Chi si definisce cristiano è obbligato a obbedire Dio e a imitarlo. Ha bisogno di essere trasformato dal Padre per avere una condotta santa e degna di lui.
Non possiamo più vivere come facevamo prima di diventare figli di Dio, con gli stessi atteggiamenti, le stesse mete e gli stessi comportamenti di allora.
Parte dell’obbedienza a Dio è lasciarci trasformare dalla sua Parola. Paolo lo spiega così: “Non conformatevi a questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza quale sia la volontà di Dio, la buona, gradita e perfetta volontà” (Romani 1:12).
Giovanni aggiunge: “Non amate il mondo né le cose che sono nel mondo. Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui. Perché tutto ciò che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza, ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno” (1 Giovanni 2:15-17).
Gesù stesso lo aveva detto chiaro e tondo: “Voi dunque siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste” (Matteo 5:48).
Non saremo perfetti in questa vita, perché continueremo a cadere nel peccato, e questo ci farà sempre soffrire, ma dall’altro lato la cosa ci spinge a desiderare di essere sempre più come Cristo, finché non saremo trasformati definitivamente per diventare come lui. È un conflitto che ha vissuto sulla sua pelle anche Paolo (leggi la sua toccante esposizione al capitolo 7 di Romani).
Dio stesso ci ha predestinati a essere conformi all’immagine del suo Figlio (Romani 8:29), il raggiungimento di quest’obiettivo è garantito, l’opera di trasformazione è avviata dallo Spirito Santo dal giorno in cui siamo diventati figli di Dio, e continuerà fino a quando compariremo alla presenza del nostro Padre celeste. Non è fantastico?
Non voglio dimenticare mai tutto il bene che ho ricevuto dall’avere un rapporto così bello con mio papà. Ma più di questo, voglio fare di tutto per non dimenticare quale privilegio e quale responsabilità ho nel poter chiamare “mio papà” YAWEH, l’Eterno.
—Davide Standridge
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SANTIFICAZIONE
La ricerca della santità che proviene da Dio
di Michael Riccardi
Pagine 62
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Per ogni figlio di Dio, l’obiettivo finale è quello di essere trasformati nell’immagine di Gesù Cristo. Dio dice: “Siate santi, perché io sono santo” (1 Pietro 1:15,16). Ma come si diventa simili a Cristo? Come avviene la santificazione? O si tratta di una richiesta impossibile? Alcuni sostengono che spetti a ciascun credente di santificarsi per mezzo del proprio impegno e dello sforzo quotidiano. Altri ritengono che la santificazione sia opera esclusiva di Dio e che il credente debba solo arrendersi e abbandonarsi al suo influsso soprannaturale di trasformazione. Sono due vedute diametralmente opposte, o è solo una questione di semantica? Chi ha ragione? E, soprattutto, come perseguire la santificazione nella vita pratica? Michael Riccardi esamina i due ragionamenti e offre una risposta equilibrata e biblica su come ricercare la santificazione che proviene da Dio.
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