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La Voce del Vangelo

La VOCE aprile 2024

Ogni volta che dovevano darci il biberon, i miei genitori mi raccontavano che mamma lo dava al mio gemello e papà lo dava sempre a me. Sarà con questo gesto costante che è iniziato quel rapporto speciale che mi ha legato a lui tutta la vita.

Era sempre bello per me passare tempo con papà. Da piccolo ero fiero di tenergli la mano, mi sentivo al sicuro e amato.

Papà per le altre persone era un fratello in fede, il pastore della chiesa, il direttore dell’Istituto Biblico Bereano, un autore di libri apprezzato e un predicatore stimato. Ovviamente lo era anche per me, ma lui era soprattutto “mio papà”.

Il nostro rapporto è maturato negli anni, lavorando insieme alla Voce del Vangelo e nella nostra chiesa locale, quella di “Via Britannia”. Ricordo le nostre lunghe conversazioni, e come abbiamo affrontato insieme sia i momenti belli che quelli tristi e difficili. 

Quando mamma è andata col Signore, papà è venuto ad abitare con mia moglie e me. Il nostro rapporto è sempre stato bellissimo, e fino alla fine della sua vita non è cambiato. 

Papà non era perfetto, ma era mio, e per questo sarò sempre grato al Signore. Non lo avevo scelto io, né lui aveva scelto me, ma Dio, nella sua grazia, mi ha dato un padre che ha saputo formarmi, disciplinarmi, consigliarmi e amarmi.

Mi rendo conto che non tutti sono stati benedetti come me ad avere un padre così, ma voglio parlarvi del papà che tutti possiamo avere: Dio stesso.

Ogni domenica, nelle chiese del mondo, milioni di persone recitano il Padre nostro. Spurgeon, il noto predicatore inglese, ha commentato così questo fatto:

Penso sia lecito dubitare che il nostro Salvatore abbia inteso la preghiera “Padre nostro” usata nel modo in cui lo è comunemente dalle masse che si professano cristiane. Molti hanno l’abitudine di recitarla come la preghiera mattutina, e pensano che avendo ripetuto queste sacre parole abbiano fatto quanto basta. Ritengo che questa preghiera non sia mai stata intesa per un uso universale. 

Gesù Cristo non l’ha insegnata a tutti gli uomini, ma ai suoi discepoli, ed è una preghiera adatta solo a coloro che hanno ricevuto la grazia, e sono veramente convertiti. Sulle labbra di un uomo empio è del tutto fuori posto. 

La Scrittura non dice forse degli empi: “Voi avete per padre il diavolo e fate le sue opere”? Perché dunque, empio, dovresti deridere Dio dicendo: “Padre nostro che sei nei cieli”? Come può essere tuo padre? Hai due padri? 

E se Dio è Padre, dov’è il suo onore? Dov’è l’amore che gli è dovuto? Tu non lo onori né lo ami, eppure ti avvicini a lui con presunzione, e in modo blasfemo gli dici: “Padre nostro” mentre il tuo cuore è ancora attaccato al peccato, e la tua vita è contraria alla sua legge, e dimostri perciò di essere un erede dell’ira e non figlio della grazia! 

Ti scongiuro, smettila di pronunciare sacrilegamente queste parole sacre. Finché non potrai esclamare in sincerità e verità: “Padre mio che sei nei cieli”, e non cercherai di onorare il suo santo nome nella tua vita, non offrirgli il linguaggio dell’ipocrita che è per lui un abominio!”

Mi ricordo, quando ero piccolo, che una volta la nostra famiglia era in visita in un’altra chiesa. Finito il culto, alcuni uomini si misero a conversare con papà. Mi sembravano tutti armadi, erano altissimi. Mi avvicinai cercando la mano di papà. L’afferrai, ma alzato lo sguardo mi resi conto di aver preso la mano di uno sconosciuto. Imbarazzatissimo, lasciai subito la presa e mi affrettai a stringere quella di mio padre. 

Non era successo nulla di drammatico in realtà, ma pensa invece a quanto sarà catastrofico illudersi di avere Dio come padre senza essere mai diventato suo figlio veramente! Le conseguenze saranno devastanti, perché si parla del destino eterno della persona.

Molti pensano di essere figli di Dio, ma la Bibbia lo smentisce. È scritto precisamente che “a tutti quelli che l’hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventare figli di Dio, a quelli cioè che credono nel suo nome, i quali non sono nati da sangue, né da volontà di carne, né da volontà d’uomo, ma sono nati da Dio” (Giovanni 1:12,13).

Figli di Dio si diventa solo quando si riconosce Gesù come Salvatore e Signore della propria vita.

A dire il vero, anche noi credenti spesso agiamo con superficialità, e diamo per scontato che Dio sia nostro padre. Per esempio, cominciare ogni volta le preghiere con “Padre celeste” potrebbe diventare un’abitudine che ci fa perdere di vista le profonde verità implicite in queste due parole.

Chiamare Dio padre è un privilegio riservato al credente, ma comporta anche delle responsabilità che non devono essere sottovalutate.

IL PRIVILEGIO

Pietro, nella sua prima lettera, avverte: Se invocate come Padre colui che giudica senza favoritismi, secondo l’opera di ciascuno, comportatevi con timore durante il tempo del vostro soggiorno terreno” (1 Pietro 1:17; l’enfasi qui e nei versetti successivi è mia). 

Se Dio non si fosse fatto conoscere e non avesse mandato suo figlio Gesù sulla terra nessuno potrebbe affermare di essere figlio di Dio. Perciò non dobbiamo mai dimenticare quanto gli è costato adottarci come suoi figli. 

Pietro, infatti, va avanti e scrive che dobbiamo comportarci con timore “sapendo che non con cose corruttibili, con argento o con oro, siete stati riscattati dal vostro vano modo di vivere tramandatovi dai vostri padri, ma con il prezioso sangue di Cristo, come quello di un agnello senza difetto né macchia. Già designato prima della fondazione del mondo, egli è stato manifestato negli ultimi tempi per voi; per mezzo di lui credete in Dio che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria affinché la vostra fede e la vostra speranza siano in Dio” (1 Pietro:18-21). 

Eravamo in una condizione pietosa, i nostri padri umani erano capaci solo di offrirci un modo vano e futile di vivere. Ogni nostra speranza e tutto quello su cui contavamo non produceva vita, ma morte.

Cristo è dovuto venire sulla terra e morire sulla croce per offrirci la salvezza. Il suo sacrificio era deciso prima della fondazione del mondo, prima ancora che l’uomo peccasse. A prescindere da qualsiasi merito da parte degli uomini, unicamente con lo scopo di portare gloria a Dio per il suo amore senza uguali.

Ogni volta che chiamiamo Dio papà, i nostri cuori dovrebbero scoppiare di gratitudine proprio per questo suo immenso e costoso dono.

Paolo scrive: “Quando giunse la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare quelli che erano sotto la legge, affinché noi ricevessimo l’adozione. E, perché siete figli, Dio ha mandato lo Spirito del Figlio suo nei nostri cuori, che grida: «Abbà, Padre». Così tu non sei più servo, ma figlio, e, se sei figlio, sei anche erede per grazia di Dio” (Galati 4:4-7).

Abbà è una parola aramaica che letteralmente significa “papà”. Illustra perfettamente l’intimità e una cura particolare, e l’amore che Dio ha per noi. Il Dio dell’universo, creatore e sostenitore di ogni cosa, l’onnipresente, l’onnipotente, l’onnisciente è nostro papà, un Dio santo ed eterno! 

Giovanni esclama: Vedete quale amore ci ha manifestato il Padre, dandoci di essere chiamati figli di Dio! E tali siamo. Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui. Carissimi, ora siamo figli di Dio, ma non è stato ancora manifestato ciò che saremo. Sappiamo che quando egli sarà manifestato saremo simili a lui, perché lo vedremo com’egli è. E chiunque ha questa speranza in lui, si purifica com’egli è puro” (1 Giovanni 3:1-3).

Ti rendi conto? Dio non soltanto ha fatto tutto per la nostra salvezza, ma ci sta anche trasformando, e un giorno lo vedremo come egli è, e saremo simili a lui! 

Sapere chi è nostro Padre dovrebbe cambiare radicalmente la prospettiva sulla vita. Gesù voleva che vivessimo con questa consapevolezza: “Perciò vi dico: non siate in ansia per la vostra vita, di che cosa mangerete o di che cosa berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. Non è la vita più del nutrimento, e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre. Non valete voi molto più di loro? E chi di voi può con la sua preoccupazione aggiungere un’ora sola alla durata della sua vita? 
E perché siete così ansiosi per il vestire? Osservate come crescono i gigli della campagna: essi non faticano e non filano; eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro. Ora se Dio veste in questa maniera l’erba dei campi che oggi è, e domani è gettata nel forno, non farà molto di più per voi, o gente di poca fede? 
Non siate dunque in ansia, dicendo: «Che mangeremo? Che berremo? Di che ci vestiremo?» Perché sono i pagani che ricercano tutte queste cose, ma il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose. Cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno date in più. Non siate dunque in ansia per il domani, perché il domani si preoccuperà di sé stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno” (Giovanni 6:25-34).

Nessun figlio di Dio deve essere ansioso né vivere preoccupato per il futuro, per la durata della sua la vita o se avrà tutto quello di cui ha bisogno. Il Dio dell’universo ci ama ed è perfettamente capace di provvedere per noi tutto il necessario.

Pensaci: quando ci lamentiamo o abbiamo paura, se siamo sempre in ansia o arrabbiati è il segnale di un problema di fondo, quello di esserci dimenticati chi è nostro padre e che non ci fidiamo di lui! 

Sono tutti atteggiamenti che non lasciano Dio indifferente, infatti Pietro, nel versetto che ho citato all’inizio, avverte che Dio è “colui che giudica senza favoritismi, secondo l’opera di ciascuno.” Egli ci osserva tutto il tempo e valuta la nostra condotta. 

Da ragazzino bastava uno sguardo di mio padre per ricordarmi che mi osservava sempre, e per riportarmi sulla retta via. Altre volte l’intervento doveva essere più severo. Allora con voce austera diceva: “Vieni in camera mia”. Di solito c’era la cucchiarella ad aspettarmi sul letto. La punizione, giusta e sufficientemente dolorosa, arrivava puntualmente, ma mai senza la mia piena consapevolezza di aver trasgredito le regole di un padre che mi amava in modo incondizionato.

Dio fa la stessa cosa. L’autore della lettera agli Ebrei ce lo ricorda: “Voi non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato, e avete dimenticato l’esortazione rivolta a voi come a figli: «Figlio mio, non disprezzare la disciplina del Signore, e non ti perdere d’animo quando sei da lui ripreso; perché il Signore corregge quelli che egli ama, e punisce tutti coloro che riconosce come figli».
Sopportate queste cose per la vostra correzione. Dio vi tratta come figli; infatti, qual è il figlio che il padre non corregga? Ma se siete esclusi da quella correzione di cui tutti hanno avuto la loro parte, allora siete bastardi e non figli. 
Inoltre abbiamo avuto per correttori i nostri padri secondo la carne e li abbiamo rispettati; non ci sottometteremo forse molto di più al Padre degli spiriti per avere la vita? Essi, infatti, ci correggevano per pochi giorni come sembrava loro opportuno; ma egli lo fa per il nostro bene, affinché siamo partecipi della sua santità. 
È vero che qualunque correzione sul momento non sembra recare gioia, ma tristezza; in seguito tuttavia produce un frutto di pace e di giustizia in coloro che sono stati addestrati per mezzo di essa (Ebrei 12:4-11).

Dio giudica ognuno in modo imparziale, e ci disciplina proprio perché siamo veramente suoi figli amatissimi. Se lui non ci disciplinasse mai sarebbe un chiaro segno che non gli apparteniamo affatto.

La disciplina di Dio non avviene solo qui in terra, perché un giorno lui valuterà e giudicherà ogni singola nostra azione. 

Paolo accenna a questo giudizio quando scrive: “Noi siamo infatti collaboratori di Dio, voi siete il campo di Dio, l’edificio di Dio. Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come esperto architetto, ho posto il fondamento; un altro vi costruisce sopra. Ma ciascuno badi a come vi costruisce sopra; poiché nessuno può porre altro fondamento oltre a quello già posto, cioè Cristo Gesù. 
Ora, se uno costruisce su questo fondamento con oro, argento, pietre di valore, legno, fieno, paglia, l’opera di ognuno sarà messa in luce; perché il giorno di Cristo la renderà visibile; poiché quel giorno apparirà come un fuoco; e il fuoco proverà quale sia l’opera di ciascuno. 
Se l’opera che uno ha costruita sul fondamento rimane, egli ne riceverà ricompensa; se l’opera sua sarà arsa, egli ne avrà il danno; ma egli stesso sarà salvo; però come attraverso il fuoco” (1 Corinzi 9:15).

LA RESPONSABILITÀ

Cito di nuovo l’esortazione solenne di Pietro: Come figli ubbidienti, non conformatevi alle passioni del tempo passato, quando eravate nell’ignoranza; ma come colui che vi ha chiamati è santo, anche voi siate santi in tutta la vostra condotta, poiché sta scritto: «Siate santi, perché io sono santo». […] comportatevi con timore…” (1 Pietro 1:14-17).

Timore qui si riferisce alla preoccupazione di offendere, deludere, rappresentare male e non onorare Dio, e al timore del suo giudizio. 

Paolo scriveva agli Efesini: “Siate dunque imitatori di Dio, come figli amati; e camminate nell’amore come anche Cristo ci ha amati e ha dato se stesso per noi in offerta e sacrificio a Dio quale profumo di odore soave” (Efesini 5:1,2).

Da che mondo è mondo i figli devono obbedire ai genitori e imparare da loro. Chi si definisce cristiano è obbligato a obbedire Dio e a imitarlo. Ha bisogno di essere trasformato dal Padre per avere una condotta santa e degna di lui.

Non possiamo più vivere come facevamo prima di diventare figli di Dio, con gli stessi atteggiamenti, le stesse mete e gli stessi comportamenti di allora. 

Parte dell’obbedienza a Dio è lasciarci trasformare dalla sua Parola. Paolo lo spiega così: Non conformatevi a questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza quale sia la volontà di Dio, la buona, gradita e perfetta volontà” (Romani 1:12).

Giovanni aggiunge: “Non amate il mondo né le cose che sono nel mondo. Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui. Perché tutto ciò che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza, ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno” (1 Giovanni 2:15-17).

Gesù stesso lo aveva detto chiaro e tondo: “Voi dunque siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste” (Matteo 5:48).

Non saremo perfetti in questa vita, perché continueremo a cadere nel peccato, e questo ci farà sempre soffrire, ma dall’altro lato la cosa ci spinge a desiderare di essere sempre più come Cristo, finché non saremo trasformati definitivamente per diventare come lui. È un conflitto che ha vissuto sulla sua pelle anche Paolo (leggi la sua toccante esposizione al capitolo 7 di Romani).

Dio stesso ci ha predestinati a essere conformi all’immagine del suo Figlio (Romani 8:29), il raggiungimento di quest’obiettivo è garantito, l’opera di trasformazione è avviata dallo Spirito Santo dal giorno in cui siamo diventati figli di Dio, e continuerà fino a quando compariremo alla presenza del nostro Padre celeste. Non è fantastico?

Non voglio dimenticare mai tutto il bene che ho ricevuto dall’avere un rapporto così bello con mio papà. Ma più di questo, voglio fare di tutto per non dimenticare quale privilegio e quale responsabilità ho nel poter chiamare “mio papà” YAWEH, l’Eterno.

Davide Standridge

E ORA, DIAMOCI DA FARE! 

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 ”Santificazione"SANTIFICAZIONE
La ricerca della santità che proviene da Dio

di Michael Riccardi 
Pagine 62 
Euro 10,00 + spese postali

Per ogni figlio di Dio, l’obiettivo finale è quello di essere trasformati nell’immagine di Gesù Cristo. Dio dice: “Siate santi, perché io sono santo” (1 Pietro 1:15,16). Ma come si diventa simili a Cristo? Come avviene la santificazione? O si tratta di una richiesta impossibile?
Alcuni sostengono che spetti a ciascun credente di santificarsi per mezzo del proprio impegno e dello sforzo quotidiano. Altri ritengono che la santificazione sia opera esclusiva di Dio e che il credente debba solo arrendersi e abbandonarsi al suo influsso soprannaturale di trasformazione.
Sono due vedute diametralmente opposte, o è solo una questione di semantica? Chi ha ragione? E, soprattutto, come perseguire la santificazione nella vita pratica?
Michael Riccardi esamina i due ragionamenti e offre una risposta equilibrata e biblica su come ricercare la santificazione che proviene da Dio.

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La VOCE settembre 2023

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Ristampa del febbraio 1992 ”Il coraggio di guarire" 

Ci sono persone che detestano ingoiare le pillole. Fanno fatica anche con le compresse piccole. C’è chi invece riesce a mandarne giù addirittura una manciata. 

Conosco alcuni trucchi che aiutano a deglutire senza fastidio. Metti, per esempio, la medicina in un cucchiaio di miele e… la pillola va giù, dixit la Poppins. 

Oppure prendi un pezzettino di pane e lo mastichi per qualche secondo e poi, prima d’ingoiarlo, metti in bocca anche la pillola, ed ecco fatto. 

Potresti anche provare a mettere la compressa sulla parte posteriore della lingua e bere usando una cannuccia. 

Il metodo più comune è senz’altro quello di mandar giù la pillola con un sorso d’acqua perché d’istinto incliniamo la testa all’indietro e il farmaco scivola giù più facilmente.

Sicuramente, è qualcosa che se si fa spesso diventa talmente facile che neanche ci fai più caso. 

Ma… è possibile che, nello stesso modo, ci stiamo abituando anche a ingoiare cose dannose per la nostra salute? 

E più ne mandiamo giù, più facile diventa, e più mettiamo a repentaglio il nostro benessere? 

E non parlo solo di ciò che scende nel nostro stomaco.

La Bibbia afferma chiaramente che il mondo è il regno di Satana, e che la società in cui viviamo è sotto il controllo dei suoi schemi e delle sue bugie.

A quelli che volevano solo contendere con lui, Gesù ha detto: “Voi siete figli del diavolo, che è vostro padre, e volete fare i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin dal principio e non si è attenuto alla verità, perché non c’è verità in lui. Quando dice il falso, parla di quel che è suo, perché è bugiardo e padre della menzogna. A me, perché io dico la verità, voi non credete. Chi di voi mi convince di peccato? Se dico la verità, perché non mi credete? Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non le ascoltate; perché non siete da Dio»” (Giovanni 8:44-47).

Satana odia la verità, perché per lui dire il falso è la norma. 

Gesù invece afferma che i veri credenti non danno retta alle menzogne, bensì hanno le orecchie attente alla Parola di Dio.

Stando così le cose, dovremmo chiederci a chi e a che cosa diamo ascolto e, soprattutto, a cosa crediamo.

Gesù ha proseguito il suo discorso, rivolgendosi stavolta a chi voleva seguirlo sinceramente, dicendo: “Se perseverate nella mia parola, siete veramente miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Giovanni 8:31,32).

Prima di diventare dei figli di Dio, era normale per noi mentire e credere alle bugie. La Bibbia descrive così lo stato disperato in cui eravamo e in cui versa pure tutta l’umanità: “Dio ha vivificato anche voi, voi che eravate morti nelle vostre colpe e nei vostri peccati, ai quali un tempo vi abbandonaste seguendo l’andazzo di questo mondo, seguendo il principe della potenza dell’aria, di quello spirito che opera oggi negli uomini ribelli. Nel numero dei quali anche noi tutti vivevamo un tempo, secondo i desideri della nostra carne, ubbidendo alle voglie della carne e dei nostri pensieri; ed eravamo per natura figli d’ira, come gli altri” (Efesini 2:1-3).

Tutto il nostro essere – ogni azione e pensiero – era immerso nella falsità, a motivo delle bugie inventate da Satana e diffuse dalla società accecata dalla sua influenza. Ciò che ci dominava era il desiderio irrefrenabile di soddisfare noi stessi.

La Parola di Dio in questi versetti dipinge un ritratto iperrealista del genere umano, è accurato nei minimi dettagli e spiega il motivo per cui siamo così attratti dalle bugie, e perché ci è così facile “ingoiarle” senza pensarci due volte. Le persone senza Dio sono spiritualmente morte, si abbandonano a una vita di peccato dietro Satana che opera in loro impedendogli di vedere la realtà. 

Da ragazzini, mio fratello e io quando andavamo al cinema ci chiedevamo stupiti come facessero a reclutare attori per dei film in cui dovevano morire! Nella nostra ingenuità eravamo convinti che morissero davvero. Pensavamo addirittura che si trattasse di condannati a morte giustiziati nel corso del film. 

Eh già, eravamo proprio sciocchi. La nostra convinzione si basava sull’immaginazione e non sulla conoscenza dei fatti. 

In uno di questi film ricordo molto bene una scena da incubo che non vorrei mai dover vivere in prima persona: ritrovarmi nelle sabbie mobili. Sentirsi sprofondare inesorabilmente e rendersi conto che più ti agiti e più vieni inghiottito deve essere terrificante! 

Quest’immagine evoca tristemente certi credenti che piano piano si lasciano conformare dai ragionamenti della società e dal suo modo di agire. E la società, si sa, non teme né onora Dio, così questi poveri cristiani sprofondano in pericolosi compromessi col peccato, che li risucchiano giù come nelle sabbie mobili senza scampo.

Tanti di loro sembrano accettare i compromessi con naturalezza, non rendendosi conto che la Bibbia comanda, chiaro e forte, di stare attenti al subdolo canto della sirena del mondo, con tantissime esortazioni a “fuggire il male”.

“Non amate il mondo né le cose che sono nel mondo. Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui. Perché tutto ciò che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza, ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno” (1 Giovanni 2:15-17).

Il peccato è attraente perché fa leva sui nostri desideri che vogliono essere appagati. Se diamo retta a certi appetiti carnali significa che ignoriamo che dietro ogni tentazione c’è un inganno nascosto, su cui Dio ci mette in guardia. Ciò che sembra lecito e attraente è in realtà effimero e nocivo, e ci pone in netto contrasto con Dio.

Il dilemma è questo: come distinguere ciò fa parte della nostra vecchia natura che deve essere messa a morte (Romani 6:1-14) e ciò che invece è lecito per un credente (1 Corinzi 6:12)? 

PENSIERI CHE AFFONDANO

Un campo in cui spesso si creano tensioni è quello dei rapporti interpersonali, soprattutto con i famigliari non credenti. A volte dobbiamo prendere decisioni che loro non condividono. 

A nessuno piace mettersi contro gli altri, specialmente se si tratta di amici o parenti. Tutti vogliono sentirsi accettati e approvati. 

Ma i non credenti sono immersi nelle sabbie mobili del mondo, ed è l’unica realtà che conoscono. 

Il credente, al contrario, è stato salvato e strappato via dall’abitudine di seguire il mondo, e i suoi piedi poggiano sulla roccia solida della Parola di Dio che lo istruisce e guida i suoi passi. 

Due immagini con un contrasto evidente, e saper reagire può risultare difficile. Ci preoccupa il rischio di rovinare le nostre relazioni, minando così la possibilità di testimoniare ai nostri cari. Ma chiediamoci: è meglio prendere una posizione impopolare ma coerente con la Parola di Dio e quindi che Dio approva, oppure tentare una testimonianza contaminata da compromessi?

Gesù da parte sua ci aveva messo in guardia: “Se il mondo vi odia, sapete bene che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe quello che è suo; siccome non siete del mondo, ma io ho scelto voi in mezzo al mondo, per questo il mondo vi odia. Ricordatevi della parola che vi ho detta: «Il servo non è più grande del suo signore». Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra. Ma tutto questo ve lo faranno a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato” (Giovanni 15:18-21).

Che sai, infatti, se salverai i tuoi cari? Ma puoi essere sicuro che il Signore premierà la tua fedeltà a lui. E ha promesso di insegnarti quello che devi fare: “Io ti istruirò e ti insegnerò la via per la quale devi camminare, io ti consiglierò e avrò gli occhi su di te” (Salmo 32:8. Leggi anche Tito 2:11-14).

PENSIERI CHE INNALZANO

Paolo scrive: “Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio; questo è il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza quale sia la volontà di Dio, la buona, gradita e perfetta volontà” (Romani 12:1,2).

Abbiamo bisogno che Dio trasformi il nostro modo di pensare, e che spinga anche a voler cambiare e a ricercare la santità in tutta la nostra condotta.

Il Signore ci chiede un cambiamento drastico, umanamente impossibile e agli occhi del mondo inaccettabile.

La società invece vuole che il peccato diventi normale e, demolendo ogni restrizione di pudore, insiste che ciò che anni fa era inaccettabile sia adesso considerato “naturale”.

Che facciamo, allora, delle pillole che il mondo ci propina continuamente, sotto ogni forma e in ogni ambito? 

Ce le confeziona ben bene insinuandole dentro quello che leggiamo, quello che guardiamo in televisione o in quello che amici e parenti ci presentano come la normalità. 

Una di queste sono i rapporti prematrimoniali che, sostengono molti, sono necessari per capire la compatibilità della coppia. Dal rapporto sessuale prematrimoniale si passa presto alla convivenza, dalla convivenza alla procreazione che, se ritenuta sconveniente, porta all’aborto senza rimorsi. Non è questo il piano di Dio per la coppia.

Oggi, sebbene l’articolo 16 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani dichiari “La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto a essere protetta dalla società e dallo Stato” la famiglia è sotto attacco. Si insistono sulle nuove definizioni della famiglia per includere gruppi di persone che nel corso della storia umana non hanno mai costituito agli occhi della società una famiglia. 

Per tante persone i legami di parentela sono ormai considerati temporanei, durando fino a che non intralciano la propria felicità.

Sono sempre più numerosi i figli che vivono senza la sicurezza di un rapporto stabile tra i loro genitori. Crescono facendo la spola tra l’uno e l’altro, spesso mollati ai nonni o affidati agli estranei. 

La bugia che i genitori si raccontano per giustificare questo tipo di situazioni è che tutto sommato è la scelta migliore: meglio questo che vivere in una famiglia dove non ci si vuole più bene!

Ecco una grande bugia. Infatti è tutto il contrario: la verità che deve guidare ogni credente è che Dio ha costituito il matrimonio, dove le difficoltà devono essere affrontate e superate amandosi a vicenda. Il marito deve curare la vita spirituale della famiglia. Deve amare la moglie. 

Lo standard fissato da Dio è altissimo: il marito deve amare la moglie come Cristo ha amato la chiesa, e la moglie deve sottomettersi al marito come la chiesa a Cristo. Deve essere l’aiuto convenevole per suo marito. I figli devono essere amati, istruiti, disciplinati e curati e devono potersi sentire al sicuro nella loro famiglia. 

A proposito di figli: chi decide di che sesso dovranno essere? Esistono davvero 50 gender diversi? 

Ormai praticamente tutti i nuovi programmi televisivi, i film e molto di ciò che gira in rete spacciano come normale uno stile di vita promiscuo e trasgressivo, specialmente quello omosessuale. Lo stesso si dica della letteratura per i ragazzi e dei fumetti. 

Come aiuteremo le nuove generazioni a discernere la verità e a proteggersi da questi influssi maligni? 

I nostri figli passano molto tempo fuori casa, subendo l’influenza dei compagni di scuola, degli insegnati e di altre persone estranee che non condividono i valori della fede cristiana. 

A casa i figli sono incollati ai cellulari e assorbono tutto ciò che gira su internet. 
Chi metterà ordine in quella valanga di stimoli e smaschererà le menzogne a cui sono esposti continuamente? 

Quanto è difficile per un genitore credente intervenire quando i figli, lasciati crescere senza paletti, cominciano a comportarsi in modo immorale e contrario agli insegnamenti biblici! 

Difficile o impossibile, il genitore ha comunque la responsabilità, che il Signore gli ha dato, di riprendere il figlio quando sbaglia. E se si vuole avere risultati duraturi si deve cominciare in tenerissima età.

Gioire per i nipotini nati fuori dal vincolo matrimoniale o avere in visita figli che portano a casa la convivente sono cose che lasciano un retrogusto amaro. 

Sono realtà pesanti da gestire da soli, e a volte sono doppiamente gravi se le guide della chiesa reagiscono in modo inappropriato, con superficialità o al contrario con una durezza senza compassione. 

Dio desidera che chi ha un ruolo di guida spirituale nella chiesa locale sappia rispondere biblicamente alle domande difficili. Cos’è la verità? Come riconoscere una menzogna? Come deve essere la vita della chiesa secondo quello che Dio dice? Donne pastore, sì o no? Cosa dire a coppie che convivono? Come aiutare una coppia che sta pensando al divorzio? Come affrontare una gravidanza extramatrimoniale? Come gestire i figli ribelli?

Se le pillole di bugie, che una volta ti saresti rifiutato di mettere in bocca, ora vanno giù come l’acqua, fermati! Il rimedio c’è, è efficace e porta benefici concreti da subito se apri il tuo cuore. Solo la Parola di Dio deve essere il nostro unico punto di riferimento. E saremo al sicuro.

Il salmista ha scritto:

La legge del SIGNORE è perfetta, essa ristora l’anima;
la testimonianza del SIGNORE è veritiera, rende saggio il semplice.

I precetti del SIGNORE sono giusti, rallegrano il cuore;
il comandamento del SIGNORE è limpido, illumina gli occhi.

Il timore del SIGNORE è puro, sussiste per sempre;
i giudizi del SIGNORE sono verità, tutti quanti sono giusti, 
sono più desiderabili dell’oro, anzi, più di molto oro finissimo; 
sono più dolci del miele, anzi, di quello che stilla dai favi. 

Anche il tuo servo è da essi ammaestrato; 
v’è gran ricompensa a osservarli. 

Chi conosce i suoi errori? 
Purificami da quelli che mi sono occulti.
–Salmo 19:7-12

Il cuore che segue la Parola di Dio è rafforzato, incoraggiato, rallegrato, soddisfatto, istruito e benedetto. Lascia allora che l’eterna e giusta Parola di Dio faccia il suo lavoro in te, essa è la tua salvezza. 

Lascia che ti rimproveri, accetta la sua correzione e mettila in pratica.
Questo è l’antidoto più efficace contro l’avvelenamento da pillole di menzogna. 
Se ne accorgeranno anche i nostri amici e parenti.

Davide Standridge


Il coraggio di guarire

Un matrimonio che non funziona bene fra marito e moglie rovina i figli, che diventano alleati, messaggeri e pedine dei genitori. Le mamme fanno dei sotterfugi e dicono ai figli: “Non lo dire a papà.” I padri si alleano con un figlio a scapito degli altri o della moglie. 

Questo era proprio il caso di Isacco e Rebecca. Risultato: inganno e disarmonia, al posto dell’accordo e della trasparenza. I buoni inizi andarono sommersi col passare degli anni. 
 
Oggi le coppie moderne, troppe volte, si parlano, ma non condividono i loro pensieri. Sentono quello che l’altro dice, ma non si ascoltano. Si toccano, ma non si amano. Guardano, ma non vedono. Pregano, ma lo fanno di rado insieme. Parlano di persone, di fatti e del tempo, ma non di Dio, del loro amore e dei loro sentimenti. 
 
Conoscono gli amici più del loro coniuge, fanno più confidenze agli estranei che al loro caro. Lavorano forte, ma non per migliorare la loro unione. Nei loro discorsi non trovano vera rispondenza l’uno con l’altro. 
 
Se sono credenti, amano Dio, ma in modo personale e individuale. Non come coppia. Stanno uno a fianco dell’altro, ma non camminano insieme. 
 
C’è una grande tristezza in una unione di questo tipo: due persone, che abitano sotto lo stesso tetto, ma vivono vite solitarie e separate. Per alcuni, il problema dura da tanti anni che non se ne rendono più conto. Anzi, forse, non vorrebbero neppure che le cose cambiassero. 
 
Altri ne soffrono, ma non sanno che fare. 
 
Per risolvere il problema, bisogna avere il coraggio di andare indietro negli anni e capire quando la cosa è cominciata. 
 
Forse c’è un problema lontano che non è stato mai risolto, qualcosa che è accaduto perfino prima delle nozze? 
 
Uno dei due sposi è troppo indipendente? 
Qualche cosa non è mai stata perdonata? 
 
Sarà un processo penoso per tutti e due. Penoso perché andrà a rivangare il passato e penoso perché richiederà dei cambiamenti. Ma a questo punto sarà un grosso guaio se uno dei due coniugi dirà all’altro: “Cambierò se tu cambi.” “Tu fai il primo passo e io ti verrò dietro.”
 
Una guarigione sarà possibile solo se tutti e due saranno molto onesti e sinceri fra loro. E non sarà facile, perché una separazione psicologica rovina fisicamente, mentalmente e spiritualmente. 
 
Ho conosciuto dei credenti che hanno rifiutato questo processo di guarigione, perché lo hanno trovato troppo difficile e ne avevano paura. Allora si sono buttati nel lavoro, passando il minor tempo possibile a casa. O seppellendosi in mille attività “spirituali” e dando l’impressione di essere dei mostri di spiritualità, ma essendo dentro vuoti e frustrati. 
 
È importante, fra marito e moglie, confrontarsi continuamente con la Parola di Dio, correggere la rotta, smussare gli angoli, evitare il comune e l’abitudinario. 
 
Solo allora si realizzerà la verità del versetto “e i due diverranno una sola carne.” Cioè saranno due persone che, col passare degli anni, impareranno a funzionare veramente come coppia, pur restando due individui ben definiti.
 
R.W. (La VOCE del Vangelo, ristampa del 1991)
 

 

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La VOCE settembre 2019

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Un pizzico di sale 


Tra i credenti si possono distinguere due correnti di pensiero, apparentemente contrastanti, riguardo al ruolo e l’impegno di un cristiano nel suo progresso spirituale, che forse hai notato anche tu. 

Ci sono quelli che mettono molta enfasi sui doveri dell’essere seguaci di Cristo: credere è ubbidire, e amare Dio è osservare la sua Parola.

Assolutamente vero. Chiunque abbia conosciuto Cristo, lo sa.

E poi ci sono quelli che fanno notare che un albero di mele non deve sforzarsi e affannarsi ogni volta per produrre i suoi frutti. Sta semplicemente lì, e le sue mele crescono spontaneamente. Questo per dire che il credente non deve preoccuparsi troppo di quello che il Signore compie nella sua vita. Lui fa quello che vuole fare.

Potremmo definire i primi pietisti, in quanto sostengono che il credente deve assumere un ruolo attivo nella sua santificazione. I secondi sarebbero quietisti, per i quali l’idea di qualunque opera umana che contribuisca alla salvezza è eresia. 

È una divisione molto grossolana (anche perché nel pietismo e nel quietismo c’è molto più di questa divisione), ma opportuna per chiarire la confusione che a volte abbiamo su ciò che Dio si aspetta da noi.

Le cose che facciamo, sono perché è Dio che le fa in noi? O le facciamo, anche controvoglia, semplicemente perché Lui ce le comanda? 

Se faccio le cose per il senso d’obbligo, sono legalista… Se faccio solo quello che mi va (perché Dio non mi ha ancora dato la gioia di fare altro) sono pigro e egocentrico… 

È meglio darci da fare o riposare?

Per capire cosa Dio si aspetta da me, e se ci sia un equilibrio tra il pietismo e il quietismo, ho bisogno della Parola di Dio.

Prendiamo in esame una frase di Paolo, scritta ai credenti di Filippi. 

L’apostolo esorta: “Così, miei cari, voi che foste sempre ubbidienti, non solo come quand’ero presente, ma molto più adesso che sono assente, adoperatevi al compimento della vostra salvezza con timore e tremore” (Filippesi 2:12).

Il verbo principale di questo versetto è adoperatevi. Paolo sta dicendo che ogni credente deve personalmente adoperarsi al compimento della sua salvezza. Per essere chiari, lui NON sta dicendo che la salvezza possa essere ottenuta, o dipenda in alcun modo dalle nostre opere. 

Lui parla dell’ubbidienza di chi è già nato di nuovo.

La rigenerazione che lo Spirito Santo opera in chi si converte, produce in lui la sete per il puro latte della Parola di Dio e un desiderio genuino di voler piacere al Signore. Il credente ama il suo Salvatore perché nel suo cuore sa quanto è stato perdonato. È un amore che si traduce in ubbidienza.

A volte, però, col passare degli anni, ci dimentichiamo della gravità delle nostre offese prima di essere convertiti. Cominciamo a crederci migliori di quello che siamo, ed è proprio questo l’atteggiamento che ci deruba di quella gioiosa gratitudine che ci porta a ubbidire. 

D’altra parte, è possibile sentirsi schiacciati già in partenza dai tanti imperativi della Parola di Dio. Il comportamento santo, degno del vangelo, che Dio si aspetta dai suoi figli, è uno standard talmente perfetto di giustizia e di purezza che nessuno ne è all’altezza. 

Eppure Dio ce lo richiede.

Bisogna ammettere che la nostra ubbidienza è sempre imperfetta, ma questo non ci dà il diritto di essere indulgenti verso noi stessi.

È ovvio che certi comportamenti non sono degni del vangelo. Tollerarli nella nostra vita sarebbe in netta contraddizione con la fede che professiamo. 

L’esortazione di Paolo ai credenti di Filippi era chiara: dovevano sforzarsi di vivere come Dio vuole. 

E lo dovevano fare con l’atteggiamento giusto, con timore e tremore nei confronti del Signore. 

Timore e tremore sono due parole che di rado associamo al nostro rapporto con il Signore. Preferiamo parole e concetti più soft, che rassicurano e non ci chiedono troppo. E questo ci porta a dimenticarci, ancora una volta, come eravamo e dove eravamo diretti senza il Signore.

Ma la riverenza e la paura di dispiacere al nostro Salvatore giocano a nostro favore, perché ci spingono a fare solo quello che è giusto, e quindi buono e benefico anche per noi stessi. 

Se Paolo, scrivendo ai filippesi, si fosse fermato qui, allora il senso di inadeguatezza ci schiaccerebbe come un macigno. 

Ma, grazie a Dio!, il passo prosegue e dice: “Infatti è Dio che produce in voi il volere e l’agire, secondo il suo disegno benevolo” (Filippesi 2:13).

Nel testo originale in greco, la frase è espressa con maggiore enfasi: è Dio stesso la forza motrice nella vita del credente. 

Quando i nostri figli o amici non credenti non si comportano bene, non dovremmo sorprenderci; come peccatori si comportano da peccatori. Ma da un credente ci si aspetta un modo di vivere e relazionarsi diverso, santo, perché Dio ha promesso di produrre nei suoi figli sia il volere che l’agire, secondo il suo disegno benevolo.

Anche se, per lo standard perfetto di Dio, è impossibile per l’uomo comportarsi in modo totalmente irreprensibile, una persona che si professa cristiana, ma non lo dimostra nella vita pratica, desta sospetto e preoccupazione, perché Dio ha promesso di darci sia la volontà che la capacità di compiere il suo volere. 

Piacere a Dio è antitetico ai nostri desideri naturali. Se ci abbandoniamo a seguire quelli, adoperarci al compimento della nostra salvezza diventa uno sforzo destinato a fallire! 

CATTIVA MEDICINA CONTROVOGLIA

Come fa in tutte le sue lettere, anche in questa indirizzata ai credenti di Filippi, Paolo non si limita solo a parlare della nostra responsabilità di adoperarci al compimento della nostra salvezza, attraverso l’opera che Dio produce in noi, dandoci l’energia e la capacità di farlo. Ci dà anche istruzioni molto pratiche da seguire. E noi, come figli ubbidienti al nostro Padre celeste, vogliamo onorarlo, nonostante sia difficile e ci sentiamo appesantiti dalla nostra inadeguatezza.

Io vivo, infatti, in una continua tensione tra la mia responsabilità e l’opera che Dio sta facendo in me. E spesso devo tornare a ricordarmi che il piano di Dio è benevolo nei confronti dei suoi figli!

Me ne dimentico quando mi faccio distrarre, o sopraffare, dalle circostanze avverse e dalle persone difficili. Mi dimentico, e mi lamento.

So di non essere il solo ad avere questo problema. 

Paolo scrive: “Fate ogni cosa senza mormorii e senza dispute, perché siate irreprensibili e integri, figli di Dio senza biasimo in mezzo a una generazione storta e perversa, nella quale risplendete come astri nel mondo, tenendo alta la parola di vita, in modo che nel giorno di Cristo io possa vantarmi di non aver corso invano, né invano faticato” (Filippesi 2:14-16).

Cosa sta dicendo? Che dobbiamo andare avanti a tutti i costi, stringendo i denti?

Mi ricorda quello che mia mamma raccontava di quando aveva lavorato per un periodo all’orfanotrofio “Comandi”. 

Diceva che all’epoca, specialmente durante l’inverno quando si rischiava di ammalarsi d’influenza, c’era l’abitudine di prendere dell’olio di ricino. Il sapore era terribile, ma se aveva delle proprietà salutari allora... La sera, prima di andare a letto, tutti i bambini si dovevano mettere in fila, e a ognuno veniva dato un cucchiaio di quest’olio. E dopo esser stati imboccati dalla direttrice, dovevano anche ringraziarla! (Lo scopo nel far dire “grazie” era di assicurare che la cattiva medicina fosse stata ingoiata!) 

A qualcuno potrebbe dare l’impressione che, con tutti questi imperativi impossibili, Dio sia un po’ come la direttrice austera del “Comandi” che ci dà la medicina cattiva e si aspetta pure che le siamo riconoscenti. Ma non è così.

Nel versetto di prima, il Signore ci mette davanti alla responsabilità che abbiamo, all’atteggiamento con cui dovremmo portarla avanti e alla motivazione che dovrebbe spingerci a voler ubbidire.

Dice di fare ogni cosa senza lamentarci, è vero, ma in questo comando ci sono delle verità implicite meravigliose che possiamo scoprire.

L’ERRORE DEGLI EBREI

È umano sottovalutare che brontolare sia una cosa grave. Ci lamentiamo facilmente, pensando che sia solo un modo di esprimere la nostra insoddisfazione del momento. Che male fa? In fin dei conti, siamo maturi abbastanza per fare, comunque, il nostro dovere.

Però il Signore non considera la lamentela come uno sfogo innocuo, anzi la trova offensiva! 

In Esodo 17:1-7 è raccontato come il popolo di Israele si mise a protestare contro Mosè nel deserto. Si erano accampati in una terra aridissima e avevano sete, 

loro e tutto il bestiame. Temevano di morire. Sembrava un motivo legittimo per fare delle rimostranze.

Non mi sono mai trovato in una situazione del genere, ma immagino che avrei avuto motivo di lamentarmi anch’io.

Gli israeliti non erano nati di nuovo.

Per comunicare con Dio, passavano attraverso Mosè e Aaronne. Chissà se sapevano come pregare personalmente? Sicuramente non avevano le Sacre Scritture che spiegano le vie del Signore. 

Ma avevano visto le piaghe d’Egitto, erano passati per il Mar Rosso come sull’asciutto, e ogni giorno e ogni notte c’era la colonna soprannaturale di nuvola e di fuoco che li accompagnava, i loro vestiti non si logoravano, e giorno dopo giorno si nutrivano della manna miracolosa (Neemia 9:9-21).

Avrebbero dovuto sapere.

Avrebbero dovuto comprendere e credere. E aspettare.

Invece, protestarono e tentavano Dio dicendo: “Il SIGNORE è in mezzo a noi, sì o no?” (Esodo 17:7). 

Ogni volta che ci lamentiamo stiamo mettendo in discussione il ruolo di Dio nella nostra vita.

Fermati e rifletti sul fatto che Dio è pienamente coinvolto nella tua vita.

Ricorda tutte quelle volte in cui il Signore si è mostrato tuo soccorritore, e ringrazialo di nuovo. Non dimenticare nessuno dei suoi benefici (Salmo 103). Non angosciarti di nulla, ma in ogni cosa fai conoscere le tue richieste a Dio in preghiere con ringraziamenti, e la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà il tuo cuore e i tuoi pensieri in Cristo Gesù (Filippesi 4:6,7).

È Lui che governa tutto quello che ti accade, come governa anche ogni persona, ogni datore di lavoro, vicino, parente e fratello della chiesa. 

Le situazioni e le persone che ci circondano sono parte della nostra vita, proprio perché volute dal Signore, parte del suo disegno benevolo per noi, attentamente pianificato. La salute, le finanze e tutte le ansiose preoccupazioni di questa vita (Luca 21:34) non devono offuscare la nostra serenità.

Nel chiederci di non lamentarci, ci sta dicendo di non dimenticare che Lui è con noi in qualunque situazione stiamo attraversando. Non è estraneo alla sofferenza, non è insensibile al nostro dolore. 

Riesci a ricordarti l’ultima volta che ti sei lamentato? Non era cosa innocua come potresti pensare. Nessuno di quegli israeliti che protestarono contro Dio entrò nella terra promessa!

Dio non vuole solo che evitiamo di lamentarci, ma che facciamo anche le cose senza dispute. 

OPPORTUNITÀ STRAORDINARIE

Abbiamo parlato delle circostanze, ora affrontiamo il problema delle persone difficili! Spesso sono proprio le persone la causa della nostra scontentezza e, se glielo permettiamo, riescono a derubarci della gioia di servire il Signore e di portargli gloria.

Le dispute e i litigi portano alla critica. 

Quant’è facile criticare… 

La critica, l’insoddisfazione e la lamentela: le tre gemelle sempre a braccetto!

Fare ogni cosa senza dispute è il nostro obiettivo. Lo possiamo affrontare come un peso o come un privilegio. 

La scelta è nostra.

La premessa per non criticare o litigare è la consapevolezza che quelle persone difficili nella nostra vita sono lì per volere di Dio. Abbiamo la possibilità di essere degli strumenti nella loro vita. Come Dio sta operando in noi, vuole operare anche in loro!

Questo pensiero può trasformare il tuo peso in privilegio, e la tua frustrazione nella gioiosa speranza di vedere Dio lavorare nei cuori di quelle persone.

Il mio atteggiamento irreprensibile e integro in circostanze e con persone che normalmente mi porterebbero a lamentarmi e a criticare, testimonia dell’opera di Dio in me in mezzo a questo mondo storto e perverso. È un privilegio straordinario! Più che una responsabilità schiacciante è invece una vera opportunità! È lo Spirito Santo che vive dentro di me che produce in me il volere e l’agire. 

Ti è mai capitato di trovarti in piena notte in mezzo alla campagna o in montagna lontano dalle luci artificiali? La vista del cielo stellato è da mozzare il fiato. Una distesa infinita e strabiliante di stelle. 

E non ce n’è una brutta! Qualcuna più fioca, altre più brillanti, ma nessuna brutta.

Così siamo noi. Paolo dice che splendiamo come stelle in un mondo buio, triste e senza speranza. Abbiamo l’opportunità di essere visti come qualcosa di bello, eterno, utile. 

Ci sono credenti che si preoccupano di essere notati per quello che posseggono, per la posizione che hanno raggiunto, per il loro aspetto fisico. Non voglio offendere nessuno, ma ci saranno sempre altre persone più belle e prestanti di noi, che hanno più cose e hanno raggiunto posizioni più ragguardevoli delle nostre. Il nostro valore non è in queste cose. 

Ma se abbiamo fatto risplendere la Parola di vita, abbiamo fatto qualcosa che ha un valore eterno, perché la Parola ha il potere di attirare le persone a Gesù Cristo e trasformare le loro vite! 

Qui si sta parlando di qualcosa che va al di là dello “sparare i versetti” e postare meme evangelici sui social. Dobbiamo essere pronti a dare una risposta a coloro che, osservando la nostra vita, ci chiedono le ragioni della nostra fede.

Fermati un momento… Sei come una stella nella tua famiglia? Brilli come un astro al lavoro? I tuoi vicini di casa sono incuriositi dalla luce che emetti? E a te importa brillare? A Dio certamente si!

Lo standard di perfezione che il nostro Padre celeste richiede da noi è umanamente irraggiungibile. Il pietista che è in me non potrà mai arrivarci con i suoi sforzi. E, come quietista, difficilmente mi offrirò per essere uno strumento straordinario nelle mani di Dio per produrre frutti eterni in persone difficili. A meno che tutto il brano di Paolo in Filippesi 2:12-16 non diventi una realtà in me. 

E io prego che così sia. 


Aiutanti e Collaboratori  

“Ti possiamo aiutare, Mamma?” chiesero Davide, Daniele e Deborah.  

“Sì, potete mettere a posto la verdura della spesa.” Mamma diede ad ognuno un sacchetto di plastica. 

“Davide, tu metti gli zucchini nel sacchetto, Daniele le melanzane; e tu, Deborah, porta le patate nel cestino. Chiaro?” 

“E le cipolle?” 

“A quelle penseremo dopo.” 

I tre si misero a lavorare. Deborah si ostinava a portare troppe patate in una volta sola e così perdeva tempo a raccattare quelle che le cadevano, ma tutto andò bene per un po’. 

“Ai, ai” si mise a piangere Daniele, “queste uova viola pungono. Io non voglio lavorare con queste!” 

“Allora, metti le cipolle vicino alle patate.” 

“Va bene.” 

Però ora Daniele e Deborah avevano la stessa strada da fare: si scontravano, si e aiutavano, ridacchiavano e trovavano divertentissimo che la pelle delle cipolle (loro la chiamavano carta) venisse via e svolazzasse. 

Davide, sereno, lavorava sugli zucchini e riempiva lentamente il suo sacco. “Io faccio molto bene, vero, Mamma?” 

“Molto bene. Ma cerca di fare più presto.”

Il sacco era pieno: Davide lo posò a terra e quello si rovesciò. 

“Oh, sono tutti fuori di nuovo… Mamma, adesso ho male di pancia, perché sono troppo stanco. Non posso più lavorare.” 

“Ora li butto tutti fuori e faccio da me” pensò Mamma; ma poi non li volle scoraggiare. 

“Su, lavoriamo insieme, Daniele, tu tieni il sacco e io ci metto dentro le melanzane (pungevano davvero quelle “uova” se non si stava attenti…). Poi rimettiamo gli zucchini nel sacco, tiriamo su le pelli delle cipolle e che cosa c’è qui? Ah, le pesche e l’uva da mettere via…”

“Mamma, ci dai un po’ di uva perché ti abbiamo aiutata così bene?” 

Con un grappolino di uva i tre aiutanti uscirono dalla cucina. 

Nel nostro servizio per il Signore, non facciamo molto meglio. Ci scoraggiamo, lo lasciamo a metà, perdiamo tempo e pazienza... Dio potrebbe farlo tanto bene senza di noi; eppure, no: ci fa suoi “collaboratori” e la parte più difficile offre sempre di compierla Lui. E alla fine, per di più, ci darà anche un premio...

Maria Teresa Standridge ("Un pizzico di sale" pubblicato sulla VOCE nel novembre 1962)

 

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