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La Voce del Vangelo

La VOCE marzo 2022

È difficile pensare a un aspetto della nostra vita che non sia stato influenzato in qualche misura dal coronavirus. Molte attività che davamo per scontate sono state sospese o rese più difficili da svolgere. Una di queste è l’evangelizzazione. Per paura di essere esposti a un possibile contagio, ci siamo abituati a limitare i contatti all’indispensabile, soprattutto con gli estranei, con meno possibilità di parlare di argomenti più profondi con chi non ci conosce. 

Il nostro approccio è cambiato, ma la realtà che le persone senza Cristo continuano a morire e ad andare all’inferno è sempre la stessa.

Pensando a questo calo di contatti con la gente, non posso fare a meno di ricordare le parole di Paolo: “Io sono debitore verso i Greci come verso i barbari, verso i sapienti come verso gli ignoranti; così, per quanto dipende da me, sono pronto ad annunciare il vangelo anche a voi che siete a Roma” (Romani 1:14,15).

Qui Paolo usa un termine forte: dice che è un debitore. Il vocabolario definisce il debitore colui che “è tenuto a dare o a fare qualcosa a qualcuno; con definizione più tecnica, in diritto, il soggetto passivo del rapporto obbligatorio, tenuto, in quanto tale, ad adempiere una prestazione in favore del soggetto attivo creditore.” L’idea è espressa in modo piuttosto complicato, ma il concetto è semplice: il debitore deve dare o fare qualcosa per saldare il suo debito.

Paolo si riteneva in debito verso chi non conosceva Dio. Ora dobbiamo chiederci se questo suo debito sia dovuto anche da tutti gli altri credenti, o se solo lui – e qualcun altro con una “chiamata” particolare – fosse l’unico ad avere il compito di evangelizzare, considerandolo un vero debito. La nostra risposta a questa domanda ci accusa o ci scusa.

Se non è un debito vero e proprio, ma qualcosa che è bene fare quando si può, non abbiamo altra responsabilità che cogliere l’occasione quando si presenta (cioè raramente) e di dire una frase o due sulla nostra fede.

Spesso questo si traduce in poche parole ingarbugliate in gergo “evangelichese” che per il credente possono avere un grande significato, ma restano incomprensibili per chi credente non lo è. 

Essendo come siamo distratti dalle responsabilità varie e dalle faccende quotidiane, tendiamo a pensare sempre meno a come testimoniare di Cristo a chi non lo conosce. A volte anche le attività di chiesa sembrano soffocare (di certo non intenzionalmente!) anziché spronare le iniziative che mirano a sensibilizzare il credente all’evangelizzazione. Il fatto è che questi due anni hanno messo ostacoli che sembrano insormontabili. 

L’apostolo Paolo scrive: 

“infatti l’amore di Cristo ci costringe, perché siamo giunti a questa conclusione: che uno solo morì per tutti, quindi tutti morirono; e che egli morì per tutti, affinché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro. Quindi, da ora in poi, noi non conosciamo più nessuno da un punto di vista umano; e se anche abbiamo conosciuto Cristo da un punto di vista umano, ora però non lo conosciamo più così. Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate: ecco, sono diventate nuove. E tutto questo viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé per mezzo di Cristo e ci ha affidato il ministero della riconciliazione. Infatti Dio era in Cristo nel riconciliare con sé il mondo, non imputando agli uomini le loro colpe, e ha messo in noi la parola della riconciliazione. Noi dunque facciamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro; vi supplichiamo nel nome di Cristo: siate riconciliati con Dio. Colui che non ha conosciuto peccato, egli lo ha fatto diventare peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui” (2 Corinzi 5:14-21).

Una delle prime frasi, infatti, che impara a memoria chi si converte è quella espressa nel passo di sopra: “Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate: ecco, sono diventate nuove.” Sono parole belle e vere, ma cosa vogliono dire? Cosa vuol dire essere diventati nuove creature, essere cioè veri cristiani? E cosa significa che le cose vecchie sono passate?

Significa anzitutto che la nostra natura è cambiata, e che anche il nostro destino eterno è cambiato. Ma il contesto nel discorso di Paolo mette in evidenza che è cambiato anche il nostro compito. 

Proprio perché siamo stati cambiati abbiamo ricevuto nuove responsabilità. 

Credere in ciò che Gesù ha fatto morendo e risuscitando ci costringe a cambiare il nostro modo di vivere, come vediamo le persone intorno a noi e di conseguenza come percepiamo il nostro nuovo compito.

L’amore di Cristo ci costringe. È impensabile che dopo aver conosciuto l’incredibile, immeritato e immenso amore di Dio siamo rimasti nello stato in cui eravamo prima. 

La nostra gratitudine per essere stati perdonati e salvati dall’inferno ci spinge a volere servire il Salvatore, e a obbedire a Cristo che è ora il nostro Signore. 

Dio in Cristo, avendoci amati da prima della fondazione del mondo, ci ha comprati a un prezzo altissimo e incalcolabile. È morto per riconciliarci con sé, e noi dobbiamo morire a noi stessi. Significa che non possiamo più vivere nell’egoismo per appagare unicamente i nostri desideri e le nostre concupiscenze. Siamo nuove creature, create per servire Cristo, non per vivere per noi stessi.

Ma che significa praticamente servire il Signore e vivere per Lui?

La risposta è sorprendentemente semplice. Ti ricordi in che modo sei arrivato a conoscere il vangelo e alla fede in Cristo? Qualcuno si è avvicinato a te e ti ha spiegato la gravità del tuo peccato, per il quale eri destinato a subire l’ira di Dio nell’inferno. Ti ha fatto capire che la tua situazione era disperata perché non potevi salvarti da solo, e che c’era un’unica soluzione per il tuo problema. 

Ti ricordi come ti sei sentito? È proprio così che dovremmo vedere le persone intorno a noi: pecore perdute senza pastore, disperate e senza speranza.

Dato che tutti gli esseri umani si trovano nella stessa condizione di essere sotto l’ira di Dio, Paolo scrive che il compito di spiegare alle persone come essere riconciliati con Dio, ci è stato affidato da Dio stesso. 

Ti rendi conto che il tuo compito primario è essere testimone di Cristo? E che Dio ha scelto di usare noi per parlare alle persone? Nulla di scontato o normale, piuttosto di grande peso: in definitiva, noi dobbiamo essere la voce di Dio nel mondo! 

Abbiamo cambiato lavoro dal giorno della nostra conversione, ora siamo ambasciatori! 

È chiaro che se la nostra professione è fare l’insegnante, continueremo a farlo, se siamo impiegati o operai, studenti, casalinghe, disoccupati o pensionati, continueremo a svolgere le nostre mansioni, ma facendo allo stesso tempo da ambasciatori di Dio. 

È importante che la nostra condotta sia impeccabile, ma non è sufficiente: dobbiamo usare anche le parole perché, come dice Paolo, dobbiamo supplicare le persone.

Supplicare qualcuno, infatti è tutta un’altra cosa che dire due frasi in gergo evangelico (che forse capiamo solo noi). Non lo si fa di sfuggita, nemmeno improvvisando. 

Supplicare è implorare, chiedere fervidamente, scongiurare. Richiede sforzo e impegno. Non lascia spazio allo scoraggiamento, e non si può essere sbrigativi nello svolgere questo compito. Se Gesù stesso è “diventato peccato per noi”, come ricambiare quello che Lui ha fatto se non con il nostro impegno più grande?

Tornando alla mia domanda iniziale, e cioè se anche noi siamo debitori come Paolo verso i non credenti, la risposta ce l’ha data lui stesso nel passo che abbiamo esaminato: anche noi siamo in debito perché qualcuno a sua volta ci ha parlato di Cristo.

Non importa se ci sentiamo in debito o meno; resta il fatto che Dio ci ha affidato il ministero della riconciliazione. Cominciamo quindi a pensare ai nostri famigliari, ai nostri vicini, ai nostri colleghi, ai nostri concittadini e a come sdebitarci con loro.

Ti sei mai chiesto come poteva resistere Paolo andando di città in città ed essere battuto, imprigionato, lapidato? Come ha fatto a passare tutta la sua vita soffrendo per portare avanti il suo compito? Lui scrive: “Ecco perché sopporto ogni cosa per amor degli eletti, affinché anch’essi conseguano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna” (2 Timoteo 2:10). Egli aveva preso seriamente il suo debito. Era pronto a sopportare ogni cosa per supplicare le persone a convertirsi.

Oggi, 2000 anni più tardi, come abbiamo preso noi il nostro debito? Fino a che punto siamo pronti a sopportare le difficoltà e a superare gli ostacoli?

La pandemia e le restrizioni varie hanno reso il nostro compito più difficile, ma non hanno estinto il nostro debito. Ognuno di noi deve riflettere personalmente su come pagare il proprio.

Senza dubbio si comincia col pregare che Dio ci offra delle opportunità per parlare di Lui. E noi dobbiamo essere attenti e pronti alle occasioni che Dio senz’altro ci darà. Ma dobbiamo avere delle strategie per agire saggiamente nelle situazioni che viviamo.

Soltanto parole?

Come tutti gli anni, anche questa volta abbiamo preparato un opuscolo evangelistico dal titolo SOLTANTO PAROLE?, che puoi leggere CLICCANDO QUI. La nostra preghiera è che sia uno strumento che tu possa usare per portare il messaggio del vangelo alle persone intorno a te.

Puoi ordinare copie personalizzate per te o per la tua chiesa, con il vostro indirizzo e con il messaggio personalizzato che ci indicherai. Vedi le informazioni su quantitativi e prezzi, e su come fare l’ordine, alla quarta pagina dell’opuscolo stesso!

E proprio per le circostanze che stiamo vivendo, abbiamo preparato anche una versione digitale dell’opuscolo che può essere inviata tramite WhatsApp. È gratuita, ma non personalizzabile. Puoi farne richiesta scrivendoci a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. e indicandoci il tuo numero di cellulare dove vuoi che te la inviamo. 

Ormai facciamo tutti parte di chat e gruppi sui nostri smart-phone, e questo potrebbe essere un ottimo strumento per aiutarti a parlare della tua fede. Non costa nulla, se non un po’ di tempo.

Tanti credenti agguerriti postano le loro opinioni appassionate sulle circostanze attuali. Che il Signore ci aiuti a riflettere e a essere saggi in quello che pubblichiamo sui social. Che possa insegnarci a usare il tempo e ogni mezzo a nostra disposizione per parlare del messaggio più importante che esiste!

Davide Standridge

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La VOCE febbraio 2022

Tanto di cappello a papà!

Questo mese mio papà, Guglielmo Stand-ridge, avrebbe compiuto 95 anni. Ormai è da due anni col Signore, ma l’influenza che ha avuto sulla mia formazione come uomo la sento ancora.

Papà era venuto in Italia per fare il missionario nel 1949, subito dopo la guerra. Aveva lasciato tutto quello che aveva conosciuto fino ad allora: la famiglia, gli amici, il paese dove era cresciuto, la sua cultura e la prospettiva di un lavoro redditizio con la laurea che aveva conseguito. 

Senza conoscere nessuno in Italia, e non conoscendo l’italiano, era partito su una nave che in due settimane lo portò a Napoli. Solo una cosa sapeva: gli italiani avevano bisogno di ascoltare il messaggio del vangelo, quel messaggio che cambia la vita.

Il suo era un biglietto di sola andata: tornare indietro sarebbe stato difficile, e l’unico modo per comunicare con la famiglia era attraverso lettere che arrivavano a destinazione dopo settimane.

Oggi è diverso. 

Per venire in Italia basta un volo, e grazie a internet i missionari moderni si fanno già una idea realistica su ciò che li aspetterà. Il distacco è vissuto in modo meno traumatico e drastico. I contatti con la famiglia, gli amici e la chiesa non sono interrotti  grazie alle video-chiamate. 

La distanza è sempre la stessa, ma le comunicazioni e la possibilità di tornare indietro esistono e sono molto più veloci e realizzabili. 

Su molti aspetti la vita in generale oggi è più agevole ma, riflettendo sull’esperienza di papà, mi chiedo se il prezzo che si paga dedicandosi totalmente alla missione oggi sia meno alto di allora.

Da lui ho imparato molto su una vita al servizio del Signore.

Alla domanda sul perché avesse scelto proprio l’Italia, papà raccontava che intorno ai 14 o 15 anni di età era molto ribelle, non gli interessavano le cose spirituali, aveva una fidanzatina e non desiderava altro che una vita comoda. Ma poi Dio era intervenuto nel suo cuore attraverso alcune predicazioni e delle letture bibliche, e questo lo aveva portato a cambiare i suoi obiettivi.  

Era sicurissimo che non avrebbe mai fatto il missionario; eppure, soltanto qualche anno dopo aveva già deciso di andare in missione in Africa, per poi cambiare destinazione e approdare in Italia, un paese ugualmente sconosciuto per lui.

Il Dio che era intervenuto per cambiare ciò che era nel suo cuore da adolescente è lo stesso che lo ha accompagnato per tutta la sua vita, e Guglielmo lo ha servito con fedeltà nei momenti facili ma specialmente in quelli difficili.

Dopo aver fatto il missionario per oltre settant’anni, papà è morto durante questa  attuale difficile fase della storia umana, segnata dalla pandemia mondiale che ha reso complicato tutto ciò che davamo per scontato.  

Rinchiuso in una struttura medica a Milano, interdetta alle visite a causa del covid, nessuno dei suoi figli ha potuto stargli accanto durante i suoi ultimi giorni.

Alla sua sepoltura eravamo presenti solo mia moglie e io, perché erano vietati gli assembramenti quindi non abbiamo potuto celebrare un funerale in sua memoria insieme a tutti quelli che lo avevano conosciuto e amato.

Nonostante queste circostanze avverse, la sua vita sulla terra è terminata con le stesse certezze che lo avevano accompagnato su quella nave che lo aveva portato la prima volta in Italia. Ed erano le stesse certezze che lo hanno tenuto saldo tutti questi anni. 

Ultimamente mi è capitata fra le mani la sua Bibbia personale e il libro di meditazioni sui salmi che avevo scritto in inglese che gli avevo regalato.

Papà lo aveva letto e riletto tante volte, sottolineando molte frasi e scrivendo le sue note a margine. Sfogliandolo, ho trovato suoi commenti su quasi ogni pagina. 

Nel capitolo sul Salmo 62:5-7 aveva sottolineato alcune parole chiave del brano:

5 Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza.
6 Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.
7 Dio è la mia salvezza e la mia gloria; la mia forte rocca e il mio rifugio sono in Dio.

Ha sottolineato anche una parte del mio commento:

Ognuno di noi ha vissuto delle sconfitte. Forse ti stai chiedendo in questo momento come si fa a tenere sotto controllo cuore e sentimenti. Il Signore, attraverso questo salmo, ci invita a pensare a Lui, a distogliere lo sguardo dalle persone e dalle circostanze.

Com’è ovvio, papà non ha imparato queste verità dal mio libro sui Salmi, ma  leggendo assiduamente la sua Bibbia e camminando giorno per giorno con il Signore, sia in tempi facili che in quelli difficili.

 

Sapevamo che l’ultimo anno per papà era stato particolarmente difficile, ma non si era mai lamentato della struttura dov’era. Noi figli cercavamo di visitarlo il più possibile, specialmente Daniele che viveva vicino a Milano lo andava a trovare tutti i giorni. Ma dopo tutta una vita – dopo anni di servizio per il Signore, di predicazioni e di tante persone che aveva conosciuto – alla fine le parole del Salmo 62 erano molto reali per lui.

Dio era veramente il suo rifugio, la sua rocca. 

La certezza che Dio fosse la sua salvezza sicura ed eterna lo aveva spinto a venire in Italia per portare lo stesso messaggio a un popolo che parlava anch’esso di Dio e della fede, ma senza alcuna certezza concreta.

 

Papà aveva una relazione vera e personale con Dio. Era un uomo di altri tempi, cresciuto in un periodo in cui dimostrazioni pubbliche d’affetto non erano viste di buon occhio. Infatti dubito che suo padre lo avesse mai abbracciato o baciato. L’amore si affermava con la fedeltà, la cura e la presenza. 

Ma quando siamo nati il mio gemello e io, so che papà ha dovuto aiutare nostra mamma. Ci cambiava il pannolino e ci dava il biberon più di quanto abbiano fatto tanti altri padri dell’epoca. Sicuramente più di quanto suo padre avesse fatto con lui.

A me piaceva tenere per mano mio papà. Ricordo che quando una volta (ero grande ormai) per strada gli presi la mano, lui me lo permise con una certa titubanza, ma tenne la presa lo stesso. Io l’avevo fatto perché ero fiero di lui e volevo che tutti sapessero che ero suo figlio. 

Anche mio padre ha vissuto tutta la sua vita fiero di essere figlio di Dio, coraggioso nel proclamare il suo Signore, attento nell’onorarlo, sicuro della sua cura.

Con questa fierezza lo ha servito in tanti modi. Andava in piazza a predicare il vangelo. Predicava sotto le tende di evangelizzazione, e per lui era un onore. Si preparava sempre con cura per esporre la Parola di Dio la domenica e durante i convegni. Visitava le persone che avevano bisogno di essere incoraggiate, e per lui era una gioia.

 

Nel tempo ho potuto osservare da vicino la sua dedizione al Signore. La cosa che mi colpisce di più è che lui e mamma non si lamentavano mai. Sono sicuro che si stancavano anche loro, e parecchio, e papà soffriva pure di emicranie, ma non lasciava che le circostanze bloccassero il suo servizio. Dio era realmente il suo rifugio. 

Spesso era rattristato dai litigi e dalle divisioni tra credenti, dalla durezza con cui alcuni trattavano gli altri fratelli in fede. Aveva le sue convinzioni che non tutti  condividevano, ma non per questo era pronto a compromettere la comunione o il dialogo. 

Ho visto persone che papà aveva curato e servito parlare male di lui e criticarlo. So  che è stato ferito profondamente da molti, ma è rimasto fedele al Dio che è sempre stato la sua forte rocca, e non mai ha parlato male di nessuno. 

Sulla sua copia del libro di meditazioni sui Salmi, papà aveva cambiato il titolo del capitolo 10 mettendolo al personale. Il capitolo è una meditazione sul salmo 103, e anche qui aveva sottolineato alcune parole importanti.

1 Benedici, anima mia, il SIGNORE; e tutto quello ch’è in me, benedica il suo santo nome. 
2 Benedici, anima mia, il SIGNORE e non dimenticare nessuno dei suoi benefici
3 Egli perdona tutte le tue colpe, risana tutte le tue infermità; 
4 salva la tua vita dalla fossa, ti corona di bontà e compassioni
5 egli sazia di beni la tua esistenza e ti fa ringiovanire come l’aquila.

È evidente che anche davanti alle crescenti difficoltà legate alla salute di papà e all’isolamento, la sua lode per il Signore continuava a essere più presente. Ormai passava molte ore da solo, non aveva più la compagnia della mamma, fisicamente dipendeva dall’aiuto di altri, ma lodava Dio.

Quando ancora abitava con me e mia moglie, spesso prendeva l’innario e cominciava a intonare un canto dopo l’altro. La sua voce che lodava Dio risuonava forte per tutto l’appartamento. 

La vecchiaia può offuscare la visione della bontà di Dio nei propri confronti: nuove necessità possono renderci miopi sulla percezione di quanto il Signore sia generoso verso i suoi. Ma a papà non è successo. Non lo ha permesso perché vedeva che Dio gli dava beni a sazietà, così continuava a lodarlo per ogni cosa.

Ogni volta che mi sedevo con lui ero incoraggiato, perché aveva piacere nel raccontare come il Signore lo benediceva in tanti modi. Aveva parole gentili per tutti, e non si lasciava trascinare dalle lamentele degli altri.

Lui mi ha insegnato che si può invecchiare bene, anche quando fisicamente non si è più come prima. La chiave sta nel capire che non si arriva a una vecchiaia serena e felice tutt’a un tratto, ma bisogna costruirla già da adesso, sviluppando giorno dopo giorno una viva gratitudine verso Dio! Ricordare regolarmente, anche ad alta voce, le benedizioni di Dio era stata una delle sue abitudini che portava avanti da quando era giovane.

Quante ne conosciamo  di persone che invecchiano male, diventando sempre più amareggiate e lamentose. Grazie a Dio per papà non è stato così. 

Il 23 gennaio, 2020 ha sottolineato queste parole: 

La sua grazia è infinita, e il suo perdono è assoluto.

Certo, qualche volta anche lui si è sentito scoraggiato, e ha avuto momenti in cui si è chiesto perché Dio lo tenesse ancora in vita. Erano pensieri che lo assalivano nella sua solitudine, ma sapeva dove trovare le risposte nella Parola di Dio. Quella Parola che aveva insegnato con fedeltà per circa 70 anni, che aveva proclamato a persone scoraggiate e deluse, e aveva invitato coloro che non conoscevano il Signore a credere in Lui.

Nel suo ufficio, come anche nel suo salotto, sono passate decine e decine di missionari e servitori del Signore che gli hanno raccontato le loro difficoltà. In lui trovavano un orecchio attento, parole di conforto e preghiere sincere.

Mi ripeteva spesso che se avesse potuto tornare indietro avrebbe cercato di fare meglio, di amare Dio di più e di servirlo meglio. Eppure, nell’ultimo anno della sua vita ripeteva spesso che stava imparando a conoscere il Signore più profondamente, e che ne era felice.

Il 21 gennaio, circa due mesi prima di andare col Signore, ha sottolineato nel libro 31 giorni nei salmi queste parole:

Re Davide non dubitava della potenza del suo Signore, infatti aveva imparato che la potenza di Dio manifesta la sua gloria, e non è a servizio dei desideri umani. Che il Signore ci dia la stessa convinzione e lo stesso desiderio di Davide, affinché, sostenuti dalla sua grazia, possiamo vivere consapevoli della sua infinita potenza, e portargli sempre gloria.

Ho imparato tanto da papà, e il suo esempio ha segnato la mia vita. Le sue convinzioni e il suo amore per il Signore continuano a fare eco anche nelle stanze degli uffici della Voce del Vangelo, mentre continuiamo a raggiungere il nostro prossimo con la Parola di Dio.

Imitatori imitabili

L’apostolo Paolo esortava i credenti dicendo: “Le cose che avete imparate, ricevute, udite da me e viste in me, fatele; e il Dio della pace sarà con voi” (Filippesi 4:9).

Non si considerava un supereroe della fede, anzi aveva ammesso senza falsa modestia: “Certa è quest’affermazione e degna di essere pienamente accettata: che Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, dei quali io sono il primo” (1 Timoteo 1:15).

E diceva ancora: “perché io sono il minimo degli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la chiesa di Dio” (1 Corinzi 15:9).

Paolo ripeteva spesso che qualunque cosa facesse era per grazia e per mezzo delle forze che Dio gli dava e per questo poteva dire anche: “Siate miei imitatori, fratelli, e guardate quelli che camminano secondo l’esempio che avete in noi” (Filippesi 3:17).

Invitava le persone a imitarlo perché la sua vita era spesa a imitare Cristo. 

Noi, a volte, al contrario di Paolo, ci tiriamo indietro pensando che sono parole che non potremmo mai pronunciare. E forse abbiamo ragione. Ma hai mai pensato che, comunque sia, sia che le pronunciamo oppure no, non potremo evitare di essere osservati o imitati?

Capita che mi dicano che assomiglio a papà nei modi di fare. La stessa cosa succede a mio figlio: vedono qualcosa di me in lui. Ma la gente, cosa vede in noi del nostro Padre celeste? È inevitabile avere una certa influenza sugli altri, sia nel bene che nel male. Però, se il mio esempio è negativo è ora di cambiare!

Seguendo il modello di Paolo, facciamo giornalmente questi passi che ci possono rendere imitabili. 

  • Prima di tutto teniamo d’occhio le nostre priorità. “Ma ciò che per me era un guadagno, l’ho considerato come un danno, a causa di Cristo” (Filippesi 3:7). ello che era stato importantissimo prima di diventare seguaci di Cristo adesso non ha più alcun di valore.
  • In secondo luogo, abbandoniamo tutto ciò che ci frena dall’imitare Cristo. “Anzi, a dire il vero, ritengo che ogni cosa sia un danno di fronte all’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho rinunciato a tutto; io considero queste cose come tanta spazzatura al fine di guadagnare Cristo” (Filippesi 3:8). Valutiamo ogni cosa alla luce dello scopo della nostra vita.
  • Terzo, sviluppiamo una consapevolezza giusta del nostro status davanti a Dio. Come Paolo, il nostro traguardo è “di essere trovato in [Cristo] non con una giustizia mia, derivante dalla legge, ma con quella che si ha mediante la fede in Cristo: la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede” (Filippesi 3:9). Sapeva che tutto quello che faceva era per grazia di Dio, e che non erano le buone opere che lo rendevano giusto davanti a Lui.
  • Quarto, abbiamo un solo obiettivo: “Tutto questo allo scopo di conoscere Cristo, la potenza della sua risurrezione, la comunione delle sue sofferenze, divenendo conforme a lui nella sua morte,per giungere in qualche modo alla risurrezione dei morti” (Filippesi 3:10,11). Paolo sapeva che un giorno avrebbe incontrato Cristo faccia a faccia, e voleva a tutti i costi essere perfetto per quel momento.
  • Quinto, il nostro cammino dura tutta la vita. “Non che io abbia già ottenuto tutto questo o sia già arrivato alla perfezione; ma proseguo il cammino per cercare di afferrare ciò per cui sono anche stato afferrato da Cristo Gesù. Fratelli, io non ritengo di averlo già afferrato; ma una cosa faccio: dimenticando le cose che stanno dietro e protendendomi verso quelle che stanno davanti” (Filippesi 3:12,13). Come Paolo, non permettiamo che né vittorie né fallimenti passati frenino il nostro progresso.
  • Sesto, qualunque cosa facciamo, facciamolo per piacere a Dio: “corro verso la mèta per ottenere il premio della celeste vocazione di Dio in Cristo Gesù” (Filippesi 3:14). La vita cristiana non è una passeggiata ma una corsa, con sofferenze, gioie e certezze. Possiamo anche noi affermare come Paolo che “Infatti per me il vivere è Cristo e il morire guadagno” (Filippesi 1:21)?

A essere onesti, è possibile che non siamo degli esempi positivi da imitare, ma Dio vuole che sia così. Volenti o nolenti le persone ci osservano, perciò faremmo bene a seguire l’esempio di Paolo.

Quando incontreremo il Signore che cosa ci dirà? 

Paolo, un credente normale consacrato al Signore, ha detto: “Ho combattuto il buon combattimento, ho finito la corsa, ho conservato la fede. Ormai mi è riservata la corona di giustizia che il Signore, il giusto giudice, mi assegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti quelli che avranno amato la sua apparizione” (2 Timoteo 4:7,8). Potremo dire altrettanto di noi?

Che Dio ci aiuti ad essere imitatori di Cristo, e persone da imitare!             

Davide Standridge

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La VOCE ottobre 2016

Una sola vita

Ero giovane e senza pensieri. Avevo appena cominciato gli studi universitari e mi pareva di avere tutta la vita davanti.

Un giorno, in un corridoio della mia facoltà dove non ero mai passato prima, qualcosa attirò la mia attenzione. Era una bacheca in cui gli studenti lasciavano messaggi per gli altri studenti. Libri usati da vendere o comprare, ricerche di alloggi e coinquilini, inviti a feste e concerti ecc. Ognuno con un numero di telefono da staccare.
Su, in un angolo, vidi una cartolina con un breve messaggio scritto con una bella calligrafia, solo quattro righe:

Una sola vita,
presto passerà!
Solo ciò che hai fatto per Cristo
durerà.

Cosa voleva dire? Chi l’aveva messo lì? L’ho letto più volte.
Forse era un messaggio proprio per me! Vorrei spiegarti cosa mi è successo.


Gioia senza misura

Non ci crederai, ma ho scoperto solo un paio di mesi fa di chi era quel messaggio che avevo trovato sulla bacheca della mia università! Dopo più di settant’anni. Considero quelle quattro righe un messaggio diretto da Dio a me. E anche a te!
Ma prima di svelarti chi l’aveva scritto, ti devo dire una cosa: quel messaggio ha cambiato totalmente la mia vita!

Continuava a pulsarmi in testa:

Una sola vita,
presto passerà!
Solo ciò che hai fatto per Cristo
durerà.

Va bene, d’accordo, è chiaro che abbiamo tutti una sola vita! Ma perché preoccuparmi? Per carità, ero giovane, avevo tutta la vita davanti. C’erano tante cosa da fare: laurearmi, sposarmi, scegliermi la carriera… La mia “vita” sarebbe cominciata a trenta o quarant’anni e poi avrei potuto pensare a cosa fare “per Cristo”.

Invece no. Stavo facendo male i calcoli: la mia vita era già cominciata! E la mia vita futura iniziava in quello stesso momento. Ma per quanto tempo sarebbe andata avanti? Non lo potevo sapere. E non lo sai neanche tu. Non sai quanto tempo ti resta. Per chiunque, la vita potrebbe durare soltanto fino al prossimo respiro. Poi, basta.

“Presto passerà…”

Mi tornavano in mente le parole che avevo sentito dire da un vecchietto: “Come passa presto la vita! Mi sembra solo ieri che mi sono sposato. Poi figli, matrimoni, funerali, lavoro, pensione, tutto in un lampo! Ed eccomi qui tutto solo”.

Quando saremo agli ultimi sgoccioli, non avremo né il tempo né la forza per pensare a ciò che potremmo o avremmo potuto fare “per Cristo”. Se non cominciamo oggi a orientare la nostra vita verso il servire e piacere a Dio al di sopra di ogni altro impegno, il domani ci dimostrerà che siamo arrivati a pensarci troppo tardi.

Ma cosa può fare un giovane universitario “per Cristo”? Non può mica improvvisarsi né missionario né pastore né anziano né diacono. Non è a quello che Dio lo sta chiamando. Ciò che può fare, ora, “per Cristo” è applicarsi bene ai suoi studi.
Esattamente come tu puoi fare la segretaria, l’impiegata, la maestra o la mamma, “per Cristo”. O come si può fare anche il medico, l’infermiere o il commerciante “per Cristo”.

Ma non tutti possono farlo e non tutti quelli che dicono di servire Dio lo fanno davvero. C’è una qualità necessaria, un requisito indispensabile che dovrai possedere prima di poter fare qualunque cosa per Cristo. Devi averlo conosciuto, devi aver posta la tua fede solo in Lui per essere perdonato dei tuoi peccati e per diventare un figlio di Dio. “Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate: ecco, sono diventate nuove” (2 Corinzi 5:17).

Qualunque cosa tu faccia senza essere una nuova creatura in Cristo, non avrà alcun valore eterno. Le parole di Gesù sono un solenne avvertimento: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore! entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno in quel giorno: «Signore, Signore, non abbiamo noi profetizzato in nome tuo e in nome tuo cacciato demòni e fatto in nome tuo molte opere potenti?» Allora dichiarerò loro: «Io non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, malfattori!»” (Matteo 7:21-23).

Il segreto, infatti, non è il mestiere o la professione in sé, secolare o spirituale che sia, nemmeno il luogo in cui fare le cose “per Cristo”, ma far bene, con gioia e onestà qualsiasi cosa Egli ti abbia preparato e chiamato a fare per Lui. Comincia facendo bene ciò che fai adesso e poi… “Qualunque cosa facciate, in parole o in opere, fate ogni cosa nel nome del Signore Gesù ringraziando Dio Padre per mezzo di Lui” (Colossesi 3:17).

Spesso si tratta di fare cose senza alcuna lode e con tante lacrime, lavorare dietro le quinte a volte anche con molta opposizione e contrarietà. Ma se l’hai fatto “per Cristo”, non sarà dimenticato.

Mi dirai che ti sembra molto vago. È tutto qui? Certamente no! Il Signore ti ha dato delle capacità particolari da usare per Lui. Scoprile, sviluppale e usale! “Come buoni amministratori della svariata grazia di Dio, ciascuno, secondo il carisma (il dono) che ha ricevuto, lo metta a servizio degli altri” (1 Pietro 4:10).

Ogni credente ha almeno un dono, o nel campo del parlare o del servire. Anche tu! “Se uno parla, lo faccia come si annunziano gli oracoli di Dio; se uno compie un servizio, lo faccia come si compie un servizio mediante la forza che Dio fornisce, affinché in ogni cosa sia glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo, al quale appartengono la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen” (1 Pietro 4:11).

Riguardo al parlare, ci sono tanti modi di usare questo dono meraviglioso: usa la parola, per esempio, spiegando, insegnando, incoraggiando, consolando, scrivendo, cantando, predicando, esortando, correggendo e più ancora.
Il servire invece vuol dire fare tutto ciò che c’è da fare! “Servire” ha spesso una connotazione di svolgere con umiltà e gioia cose che gli altri non desiderano fare! Ne sei capace? “…appunto come il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito ma per servire e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti” (Matteo 20:28). “Chiunque, tra di voi, vorrà essere primo sarà servo di tutti” (Marco 10:44). “Se dunque io, che sono il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Infatti vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto io” (Giovanni 13:14,15).

Ho scoperto che vi è un elemento di orgoglio in ogni persona. Ogni essere umano desidera lasciare un segno di sé; forse un’attività commerciale, una scoperta scientifica, un edificio, un’opera o qualsiasi altra cosa che faccia durare la memoria del suo nome quando non ci sarà più. Ma sono speranze vane perché prima o poi tutto sulla terra perisce (Ecclesiaste 1:11).

È solo l’orgoglio o la paura che fa sembrare difficile ciò che Dio ci ordina di fare. “Egli morì per tutti, affinché quelli che vivono non vivano più per sé stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro” (2 Corinzi 5:15).

Invece, ciò che avrai fatto “per Cristo” sulla terra, sarà ricordato eternamente nella gloria del cielo, non per la tua, ma per la gloria di Cristo. La tua gioia sarà senza limiti di tempo e di misura.

Una sola vita,
presto passerà!
Solo ciò che hai fatto per Cristo
durerà.

Queste poche parole hanno cambiato la mia vita interamente. Dio mi ha mandato in un paese che non conoscevo e da un popolo con cui non avevo avuto nessun contatto e, nella sua grazia, mi ha permesso di servirlo per tanti anni.

Tu, che ne farai di queste parole? Sono tratte da una lunga poesia di C.T. Studd, (1860-1931) sulla chiamata alle missioni. Lui è stato un pioniere missionario, che ha servito il Signore in Cina, in India e in Africa, dov’è morto, a settanta anni, mentre lo serviva ancora.
Guglielmo Standridge

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