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Commentario 1 Timoteo

1 Timoteo

COMMENTARIO ALLA PRIMA LETTERA DI S. PAOLO A TIMOTEO

di John MacArthur
ISBN 987-88-96129-05-0
Pagine 304
Euro 15,00 + spese postali

PROBLEMI DI CHIESA... CHE FARE?
Come avrebbe potuto Timoteo, un giovane adulto, di carattere timido, non forte fisicamente, e forse scoraggiato, affrontare l’immane compito di guidare una chiesa numerosa, a Efeso, sede rinomata del culto della dea Diana, in cui si diffondevano dottrine false, influenzate da filosofie greche e da pratiche giudaizzanti?

Con chiarezza, John MacArthur in questo commentario, è riuscito a mettere in risalto la preoccupazione dell’apostolo Paolo per quello che chiamava “il suo figlio spirituale” al quale voleva trasmettere soprattutto il suo amore per la verità della Scrittura e la sua passione per il servizio.

Come in tutti i suoi commentari, l’autore non si propone di fare un’opera di linguistica, teologia o ermeneutica, ma spiega, con fedeltà ai testi originali, il significato di ciò che Paolo voleva comunicare al suo collaboratore. Naturalmente, lo fa spiegando il significato del testo originale, versetto dopo versetto, dando interessanti notizie storiche e di costume, confermando ogni sua affermazione con altri passi della Bibbia. Applica, insomma, il principio che la Scrittura spiega se stessa. Ne risulta un’opera utile e certamente di aiuto per chi vuole approfondire la sua conoscenza e la sua vita spirituale.

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[Estratto dal capitolo 6]

La ragione per la preghiera per i perduti

Questo è buono e gradito davanti a Dio, nostro Salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e vengano alla conoscenza della verità. Infatti c’è un solo Dio e anche un solo mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesù uomo, che ha dato se stesso come prezzo di riscatto per tutti; questa è la testimonianza resa a suo tempo e della quale io fui costituito predicatore e apostolo (io dico il vero, non mento), per istruire gli stranieri nella fede e nella verità. (2:3-7)

Questo passo potente e drammatico risponde alla domanda: “Perché pregare per i non credenti?”. Questa è una delle affermazioni più radicali delle Scritture sullo scopo di Dio riguardo alla salvezza. Esso contiene varie ragioni per la preghiera in favore dei non credenti.

Essa è moralmente giusta

La parola questo si riferisce al comandamento di pregare per i non credenti dei versetti 1,2. Kalon (buono) si riferisce a qualcosa di intrinsecamente e moralmente buono.
Dio definisce la preghiera per i non credenti come la cosa nobile e spiritualmente giusta da fare, e le nostre coscienze concordano con questo. I non credenti soffrono l’agonia del peccato, la vergogna, la nullità della propria vita e l’eterna condanna del peccato nella vita futura. Sapendo queste cose, pregare per la loro salvezza è il compito più eccellente. Alcuni potrebbero obbiettare che Gesù disse in Giovanni 17:9: “Io non prego per il mondo”, ma in quel caso egli pregava come Sommo Sacerdote per gli eletti di Dio. Siccome Egli è sovrano, è l’Iddio onnisciente, la sua preghiera era specifica, in un modo in cui la nostra non può esserlo. Nel suo caso si trattava di una preghiera per la salvezza esclusivamente di coloro che Egli amava e aveva scelto prima della fondazione del mondo affinché fossero partecipi di ogni benedizione spirituale (Efesini 1:3,4). “Il mondo” era specificatamente escluso dal piano salvifico di questa preghiera.

Le nostre preghiere, al contrario, non sono quelle di un sommo sacerdote; noi preghiamo come ambasciatori di Cristo il cui compito è quello di implorare, in nome di Cristo, gli uomini e le donne ad essere riconciliati con Dio (2 Corinzi 5:20). Per questo abbiamo ricevuto l’ordine di offrire le nostre suppliche, preghiere, intercessioni e ringraziamenti per tutti gli uomini. Noi dobbiamo desiderare ardentemente la salvezza di tutti i peccatori (Romani 9:3; 10:1). Non dobbiamo cercare di limitare l’evangelizzazione solo agli eletti.

Esistono due ragioni per questo. Primo, la decisione dell’elezione di Dio è segreta. Noi non sappiamo chi siano gli eletti e non abbiamo nessun modo per saperlo fino a quando essi non rispondono al vangelo. Secondo, l’ampiezza dello scopo evangelistico di Dio è molto più ampia dell’elezione. “Molti sono chiamati, ma pochi eletti” (Matteo 22:14). Perfino la preghiera sacerdotale di Gesù abbraccia il mondo a questo riguardo. Il nostro Signore, infatti, pregò che ci fosse unità tra gli eletti affinché la verità del vangelo fosse manifestata al mondo: “Affinché il mondo creda che tu mi hai mandato [...] affinché il mondo conosca che tu mi hai mandato” (Giovanni 17:21,23). La chiamata di Dio a tutti i peccatori è un reale e sicuro invito alla salvezza: “Com’è vero che io vivo” dice il Signore Dio “io non mi compiaccio della morte dell’empio, ma che l’empio si converta dalla sua via e viva; convertitevi, convertitevi dalla vostre vie malvagie! Perché morireste, o casa d’Israele?” (Ezechiele 33:11).

È coerente con il desiderio di Dio

Ovviamente, in qualche modo incomprensibile, il desiderio di Dio che il mondo sia salvato è diverso dallo scopo della sua eterna salvezza. Dal punto di vista umano, riusciamo a capire questo in parte, infatti il nostro scopo spesso è diverso dal nostro desiderio. Possiamo desiderare, per esempio, di trascorrere una giornata di riposo, ma uno scopo più importante ci spinge invece ad andare a lavorare. Allo stesso modo, lo scopo di Dio riguardo alla salvezza trascende i suoi desideri. (C’è una differenza fondamentale naturalmente: noi possiamo essere spinti da circostanze al di fuori dal nostro controllo, a scegliere quello che non desideriamo. Le scelte di Dio invece, non sono determinate da nient’altro che dal suo scopo sovrano e eterno).

Dio vuole veramente che tutti gli uomini siano salvati e vengano alla conoscenza della verità. Però “nel disegno eterno che Egli ha attuato mediante il nostro Signore Cristo Gesù” (Efesini 3:11), Egli scelse “dal mondo” solo gli eletti (Giovanni 17:6), a differenza di altri, che abbandonò alla condanna derivante dal loro peccato (Romani 1:18-32). La colpa della propria dannazione ricade interamente su loro a causa del loro peccato e del loro rifiuto di Dio. Dio non può essere biasimato per la loro incredulità.

Poiché Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati, noi non dobbiamo decidere se una persona sia eletta o no, prima di pregare per la sua salvezza. Solo Dio sa chi sono gli eletti (2 Timoteo 2:19). Noi possiamo pregare per tutti gli uomini sapendo con certezza che ciò è buono e gradito davanti a Dio, nostro Salvatore. Dopo tutto “il Signore è misericordioso e pieno di compassione, lento all’ira e di gran bontà. Il Signore è buono verso tutti, pieno di compassione per tutte le sue opere” (Salmo 145:8,9).
La parola apodektos (gradito) deriva da apodechomai, che significa “ricevere con gioia”, “accettare con soddisfazione” o “ben accetto” Il Signore accetta con gioia la preghiera per i non credenti, perché essa è coerente con il suo desiderio che siano salvati.
Questa preghiera è coerente anche con la sua natura di Salvatore. La frase Dio, nostro Salvatore appare altre cinque volte nelle Epistole Pastorali (1:1; 4:10; Tito 1:3; 2:10; 3:4), come pure in Giuda 25. Dio non è solo il creatore, il sostenitore, il re e il giudice, ma anche il salvatore. Questa sua caratteristica di salvatore si manifesta per mezzo del suo Figlio, Gesù Cristo (2:5,6; 2 Timoteo 1:10; Tito 1:4; 2:13; 3:6). Dio è il “salvatore di tutti gli uomini” in senso temporale, ma “soprattutto dei credenti” in senso eterno (1 Timoteo 4:10).

La verità circa la natura di Dio, quale salvatore, è insegnata anche nell’Antico Testamento (2 Samuele 22:3; Salmo 106:21; Isaia 43:3,11). L’idea che l’Iddio dell’Antico Testamento sia un orco vendicativo e crudele che poi è stato addolcito dall’amorevole Cristo del Nuovo Testamento, non è affatto accurata.
Quando la Bibbia afferma che Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati, dichiara che Egli è coerente con se stesso.
In Isaia 45:22 Dio disse: “Volgetevi a me e siate salvati, voi tutte le estremità della terra!”. Isaia 55:1 invita: “O voi tutti che siete assetati, venite alle acque” della salvezza. Di nuovo, in Ezechiele 18:23,32, Dio afferma chiaramente che Egli non desidera che alcun empio perisca, ma che vuole che si penta con sincerità (Ezechiele 33:11). Nel Nuovo Testamento Pietro scrive: “Il Signore non ritarda l’adempimento della sua promessa, come pretendono alcuni; ma è paziente verso di voi, non volendo che qualcuno perisca, ma che tutti giungano a ravvedimento” (2 Pietro 3:9).
Nessuna teologia biblica sana può insegnare che Dio prende piacere nella condanna degli empi. Però, benché questo non gli faccia piacere, Dio trarrà gloria anche nella condanna dei non credenti (Romani 9:22,23). Come la sua grazia che elegge e lo scopo per cui predestina gli eletti possano coesistere col suo amore per il mondo e il suo desiderio che il vangelo sia predicato a tutti gli uomini, pur considerandoli responsabili del loro rifiuto e della loro condanna, è un mistero della mente divina. Le Scritture insegnano l’amore di Dio per il mondo, il suo dolore nel giudicare i peccatori, e il suo desiderio che tutti ascoltino il vangelo e siano salvati. Esse insegnano anche che ogni peccatore è incapace di credere e che, allo stesso tempo, è responsabile di credere, e che sarà condannato se non lo fa. A coronare l’insegnamento delle Scritture a questo riguardo, c’è la grande verità che Dio ha eletto quelli che crederanno e li ha salvati prima che il mondo iniziasse. Che mistero!

Commentario alla prima lettera di S. Paolo a Timoteo © Associazione Verità Evangelica