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La Voce del Vangelo

La VOCE novembre 2022

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"La morte ti fa paura?" 

Verso la metà di ottobre i supermarket e le pasticcerie cambiano colore: tutto si veste di arancione e nero, che ormai tutti associano alla festa di Halloween (la vigilia di Ognissanti) del 31 ottobre. 

Molti considerano questa festa di origine americana, ma in realtà ha radici antichissime. E benché non ci sia un consenso assoluto fra gli storici sull'origine di Halloween, ci sono testimonianze secolari di tradizioni pressoché identiche che permettono di rintracciarne la storia dagli inizi. 

Secondo gli studiosi, a dare origine alla celebrazione dei morti è stata un’antica festività celtica pagana, la Samhain, durante la quale la gente accendeva dei falò all'aperto e si travestiva con dei costumi particolari per allontanare i fantasmi. Altri esperti sostengono che i cristiani fin dal IV secolo commemoravano i propri martiri e che, in seguito a questo, nell’VIII secolo papa Gregorio III designò il 1° novembre come data per onorare tutti i martiri. La festa dei morti sarebbe quindi una solennità cattolica, ma nella Roma pagana esisteva già un’antico ciclo di feste per i morti, i Lemuria

Ai giorni nostri, il 31 ottobre i bambini si travestono e promettono uno “scherzetto” se non riceveranno un dolcetto da chi vanno a visitare casa per casa, pronunciando la famosa frase: “Dolcetto o scherzetto?” 

È interessante notare che anche se le persone non vogliono pensare alla morte sono comunque pronte a beffarsene e scherzarci su.

Il 2 novembre, in occasione del cosiddetto “giorno dei morti”, molti cattolici usano visitare il cimitero per omaggiare i loro cari defunti portando fiori, per tradizione crisantemi, e lumini sulle loro tombe. 

Sono tante le regioni che hanno usanze particolari legate a questa solennità. 

In alcune zone della Lombardia, per esempio, la notte tra l’1 e il 2 novembre si usa mettere un vaso d’acqua fresca in cucina per far dissetare i morti. In Friuli invece si lascia acceso un lume, e si prepara un secchio d’acqua e un po’ di pane per il defunto. 

In Trentino le campane suonano per richiamare le anime, e in casa si lascia per loro la tavola apparecchiata e il focolare acceso. Lo stesso capita in Piemonte e in Val d’Aosta. Sempre per rifocillare i defunti, in Liguria vengono preparati i bacilli (fave secche) e i balletti (castagne bollite). 

Nella provincia di Massa-Carrara, il 1° novembre, nel giorno del “ben dei morti”, ai bambini viene messa al collo la sfilza, una collana fatta di mele e di castagne. Dopo aver recitato le preghiere, i nonni poi raccontano loro storie e leggende paurose. 

In Umbria si preparano gli stinchetti dei morti, dolci a forma di fave. 

In Abruzzo, oltre al tavolo da pranzo apparecchiato, si lasciano ancora oggi tanti lumini accesi alla finestra quante sono le anime care. Ma un tempo era anche tradizione scavare e intagliare le zucche per inserirvi una candela all'interno da usare come lanterne, proprio come a Halloween. 

Altro che “americanata”! 

A Roma la tradizione voleva che il giorno dei morti si tenesse compagnia a un defunto, consumando un pasto vicino alla sua tomba. 

In Sicilia il 2 novembre è una festa con molti riti per i bambini. Se i più piccoli hanno fatto i buoni, la mattina seguente troveranno sotto il letto dei doni da parte dei morti: giochi ma soprattutto dolci, come i pupi di zucchero. Si preparano anche gli scardellini, dolci di zucchero e mandorle (o nocciole) a forma di ossa dei morti, e si mangia la frutta martorana, fatta di pasta di mandorle colorata. In quei giorni le vetrine delle pasticcerie sono uno spettacolo da vedere. 

Ma, in sostanza, tutto questo non è altro che un modo umano per pensare alla morte superficialmente, per esorcizzarla senza rifletterci con attenzione. 

Una morte “celebre” risale allo scorso 8 settembre, quando a 96 anni d’età è scomparsa la regina Elisabetta II Windsor d’Inghilterra. Le sue commemorazioni hanno incluso 10 giorni di lutto nazionale, durante i quali il feretro è stato esposto al pubblico, e migliaia di persone hanno fatto ore di fila per omaggiarlo. 

Poi, lunedì 19 settembre, oltre un milione di persone sono scese in strada solo per vedere la bara che passava da Westminster Hall a Westminster Abbey, e da lì fino alla cappella di San Giorgio a Windsor. 

Quattro miliardi di persone hanno seguito il funerale in televisione. Tutti i leader mondiali erano presenti, ed erano stati coinvolti 10.000 agenti e 3.000 ufficiali delle forze dell’ordine per la sicurezza. 

La regina Elisabetta ha regnato per 70 anni, più a lungo di qualunque altro sovrano della storia britannica, ed è stata senz’altro una grande donna e un grande esempio per milioni di persone nel mondo. Una vita da ricordare e da celebrare per molti. 

Ma davanti a questa celebrazione non posso fare a meno di paragonarla alla morte del re più importante, che non ha destato questo tipo di scalpore, ma piuttosto il contrario. 

Isaia la racconta così: 

"Disprezzato e abbandonato dagli uomini, uomo di dolore, familiare con la sofferenza, pari a colui davanti al quale ciascuno si nasconde la faccia, era spregiato, e noi non ne facemmo stima alcuna.
Tuttavia erano le nostre malattie che egli portava, erano i nostri dolori quelli di cui si era caricato; ma noi lo ritenevamo colpito, percosso da Dio e umiliato!
Egli è stato trafitto a causa delle nostre trasgressioni, stroncato a causa delle nostre iniquità; il castigo, per cui abbiamo pace, è caduto su di lui e mediante le sue lividure noi siamo stati guariti.
Noi tutti eravamo smarriti come pecore, ognuno di noi seguiva la propria via; ma il SIGNORE ha fatto ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti.
Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la bocca.
Come l’agnello condotto al mattatoio, come la pecora muta davanti a chi la tosa, egli non aprì la bocca.
Dopo l’arresto e la condanna fu tolto di mezzo; e tra quelli della sua generazione chi rifletté che egli era strappato dalla terra dei viventi e colpito a causa dei peccati del mio popolo?
Gli avevano assegnato la sepoltura fra gli empi, ma nella sua morte, egli è stato con il ricco, perché non aveva commesso violenze né c’era stato inganno nella sua bocca.
Ma il SIGNORE ha voluto stroncarlo con i patimenti.
Dopo aver dato la sua vita in sacrificio per il peccato, egli vedrà una discendenza, prolungherà i suoi giorni, e l’opera del SIGNORE prospererà nelle sue mani."

—Isaia 53:3-10

Se c’è mai stata una morte degna di celebrazioni solenni, quella è proprio la morte di Cristo, il Re dei re. Ma invece lui è stato ucciso come un malfattore, ed è stato deriso e disprezzato da quelle stesse persone che lui aveva guarito e sfamato durante il suo ministero. 

A differenza di tutti noi esseri umani, il Signore Gesù è morto senza mai commettere un peccato. Infatti, ha voluto sacrificarsi e morire per i peccati degli altri. 

Moriva per offrire una soluzione definitiva alla giusta condanna che pende su ogni uomo e donna, famoso o sconosciuto che sia, ricco o povero, istruito o ignorante. 

Non c’era nessuno a fare la fila per dargli l’ultimo saluto, per onorarlo o per esprimergli la propria gratitudine. 

Per noi, che siamo peccatori e che abbiamo violato la volontà di Dio tante volte e in molti modi, sarebbe solo giusto morire di una morte atroce. È quello che meritiamo per aver offeso Dio coi nostri peccati, quindi la crocifissione di Gesù è stato il più grave atto di ingiustizia al mondo. 

Prima di morire ha gridato a gran voce: “Elì, Elì, lamà sabactàni?”, cioè: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Matteo 27:46). 

Nessuno di noi può comprendere quello che Cristo ha provato in quel momento, né il tormento della sua anima quando Dio Padre l’ha abbandonato. 

Eppure Gesù stava eseguendo la volontà del Padre: “Dio lo ha prestabilito come sacrificio propiziatorio mediante la fede nel suo sangue, per dimostrare la sua giustizia, avendo usato tolleranza verso i peccati commessi in passato, al tempo della sua divina pazienza; e per dimostrare la sua giustizia nel tempo presente affinché egli sia giusto e giustifichi colui che ha fede in Gesù” (Romani 3:25,26). 

Moriva per volontà di Dio, perché il Padre, che è talmente puro, santo e perfetto da non poter compromettere la giustizia, lo riteneva necessario e giusto per poter accogliere a sé il peccatore pentito che pone la sua fede nel sacrificio di Cristo. 

Una morte necessaria per offrire la vita eterna per grazia a tutti coloro che credono in Cristo ubbidendo a lui. 

Non so quale effetto abbia avuto la morte della regina Elisabetta II sulla tua vita, ma so che la vita, morte e resurrezione di Cristo deve fare la differenza nella vita di coloro che credono in lui. L’Apostolo Paolo scrive: “Siate dunque imitatori di Dio, come figli amati; e camminate nell'amore come anche Cristo ci ha amati e ha dato se stesso per noi in offerta e sacrificio a Dio quale profumo di odore soave” (Efesini 5:1,2). 

Coloro che hanno creduto in Cristo onorano la sua morte imitando Dio e camminando nell'amore. 

Lo fanno amando prima di tutto Dio con tutto il loro essere, e amando coloro che lui ha messo nella loro vita. 

Coloro che amano Cristo devono fare attenzione a come si comportano. Gesù è stato chiarissimo quando ha detto cosa vuol dire credere e amare lui: “Se voi mi amate, osserverete i miei comandamenti. Chi ha i miei comandamenti e li osserva, quello mi ama; e chi mi ama sarà amato dal Padre mio, e io lo amerò e mi manifesterò a lui” (Giovanni 14:15,21). 

Venerare e celebrare i defunti non è una pratica cristiana. Per i morti non c’è più nulla da fare, il loro destino eterno è ormai segnato, perché “è stabilito che gli uomini muoiano una volta sola, dopo di che viene il giudizio” (Ebrei 9:27). 

Cristo Gesù giudicherà i morti con giustizia, e la condanna sarà secondo le opere di ognuno (Apocalisse 20:11-15). Egli sarà giusto nel giudicare proprio perché si è sacrificato personalmente per poter salvare chi si affida a lui. 

Oggi, però, se sei ancora vivo, è un giorno importantissimo per te: puoi ancora essere riconciliato con Dio per mezzo di Gesù Cristo, essere perdonato e ricevere la vita eterna (2 Corinzi 6:2) oggi stesso. 

La morte è reale e arriva a tutte le età. 

Molti preferiscono non pensarci e cercano di esorcizzarla con tradizioni e usanze pagane. Così non saranno mai preparati e pronti ad affrontare l’inevitabile. 

Il credente, però, non ha bisogno di vivere nel timore, perché la resurrezione di Cristo è la prova che la morte è stata vinta per sempre. Per noi il vivere è Cristo e il morire guadagno (Filippesi 1:21). 

Finché il Signore ci dà il respiro, celebriamo la sua morte e la sua resurrezione servendolo con impegno e parlando di lui agli altri con la serietà e la gravità dovute.

Davide Standridge

 

LA MORTE TI FA PAURA?

Non è necessario farsi cogliere impreparati 

Ristampa della VOCE, aprile 2005

La morte non piace a nessuno. Perciò la gente cerca disperatamente di dimenticarla e di ignorarla. 

Le donne spendono fortune in creme che dovrebbero “arrestare il tempo” e gli uomini si iscrivono in palestre e si sottopongono a sforzi che dovrebbero mantenerli giovani e in forma. In più, fanno assicurazioni sulla vita e piani che dovrebbero assicurare loro benessere e tranquillità.

Perciò, quando finalmente una persona muore, amici e parenti dicono sorpresi: “Ma chi lo avrebbe mai detto?”

Ma non è necessario che la morte colga impreparati. Per cominciare, bisogna capire che è inevitabile. Una volta o l’altra, arriva per tutti, sia con creme antirughe e palestre oppure no.

Poi, la sua realtà si deve considerare obiettivamente. È un qualcosa che fa male e porta dolore. 

La morte dei propri cari credenti fa soffrire profondamente e, anche se si sa che si tratta di una separazione temporanea, sarà forse una separazione che durerà a lungo.

Morte significa la perdita di una persona, della sua compagnia, della sua voce, del suo aiuto e della sua presenza. 

Ricordo la profonda impressione che ho provato da ragazza nell'entrare nella cucina di una famiglia di amici. Un angolo era vuoto. Prima c’era stata la poltrona su cui sedeva una mamma paralitica, dal sorriso sereno e dalla voce tranquilla. Ora la donna era morta, era andata a stare bene nel cielo. Ma il vuoto che aveva lasciato era palpabile.

Più si è stati con una persona e più se ne sente la mancanza. E si prova dolore.

Ma non è necessariamente un dolore senza speranza. Se abbiamo una vera fede in Cristo e se la persona che ci ha lasciati era credente, la rivedremo nel pieno delle sue forze, nella pace perfetta e nella gioia totale.

Un altro pensiero rende il dolore più sopportabile. 

Esso è contenuto in un versetto significativo del libro del profeta Isaia: “Il giusto muore e nessuno vi pone mente; gli uomini pii sono tolti via e nessuno considera che il giusto è tolto via per sottrarlo ai mali che vengono; egli entra nella pace...” (57:1,2).

Un vecchio medico aveva subito la perdita della moglie a cui era affezionatissimo. 

“Mi sembra di non riuscire a funzionare senza di lei...” confidò a un amico. “Ci volevamo tanto bene.”

L’amico lasciò che si sfogasse, poi chiese, quasi casualmente: “Se fossi morto tu, che cosa farebbe, Anita?”

Il vecchio rimase soprappensiero, poi disse: “Ma... forse è meglio che sia andata lei prima di me. Dipendeva da me su tutto... Non sapeva neppure fare un assegno alla banca.”

E fu per lui un pensiero importante. Anita aveva avuto bisogno di lui. Lui l’aveva curata teneramente. Ora lui sarebbe riuscito a cavarsela da solo. Il suo dolore, in quel momento, acquistò un significato consolante.

Il dolore di una separazione può essere anche lenito sublimandolo e occupandosi in maniera utile.

“Quando è morto Juan”, mi ha raccontato una donna che era stata missionaria in Argentina e viveva in una casa di riposo in America, “ho chiesto al Signore di prendere anche me. Non mi pareva che ci fosse più una ragione per cui vivere. Invece ora...”

“Che è successo?”

“È successo che ho visto tanti messicani che vengono qui per raccogliere le arance. Vivono tutti insieme e spesso si portano dietro mogli e figli. Così mi sono detta: «Chissà se potrei fare qualcosa per raggiungere quei bambini col Vangelo?» Così sono andata alle baracche dove abitano... sai, lo spagnolo me lo ricordo ancora bene... e ho chiesto.

“Per fare la storia breve. Ora faccio tre «ore felici» alla settimana per i bambini e uno studio biblico per le mamme. E come ascoltano!”

Dopo di che ha concluso: “Quasi me ne vergogno, ma non ho più voglia di morire!” La consapevolezza di avere ancora un compito utile, colmava la sua vita di vecchia di più di ottant'anni.

“Di’ pure quello che vuoi. Ma, anche se sono credente, la morte mi dà timore. È l’idea dell’ignoto quella che mi lascia perplesso, il pensiero del processo che accompagnerà il trapasso è quello che non mi piace” obbiettano in molti. E non si può dare loro torto. Nessuno di noi, che è ancora vivo, sa come si fa a morire. 

Ma è importante ricordare qualche esperienza fatta da bambini. Il pensiero della prima visita dal dentista, della prima notte fuori di casa (forse in un campo per ragazzi), del primo giorno di scuola, ci ha quasi terrorizzati. 

Ma se i nostri genitori ci hanno preparati adeguatamente e se avevamo fiducia in loro, questa fiducia ci ha permesso di superare le situazioni che temevamo tanto.

Lo dice anche l’apostolo Paolo nella sua lettera ai Romani. Se abbiamo messo la nostra fiducia in Cristo, se sappiamo di essere suoi e di appartenergli per sempre, l’ignoto perde molti elementi di paura. 

Paolo dice: “Se viviamo, viviamo per il Signore; e se moriamo, moriamo per il Signore; sia dunque che viviamo o che moriamo, siamo del Signore. Poiché a questo fine Cristo è morto ed è tornato in vita: per essere il Signore dei morti e dei viventi” (14:8,9). Anche Paolo, con tutta la sua fede, non sapeva tutto sul trapasso e sull'aldilà, ma sapeva di appartenere a Cristo e ciò gli bastava. 

Questo ragionamento, chiaramente, ha valore solo se si è accettato il dono della salvezza e si vive nella realtà della presenza di Cristo e della comunione con Lui. 

Non ha nessun valore per chi pensa a Dio come una vaga astrazione o non ci pensa affatto. E non ha valore per chi è cristiano solo di nome.

La Bibbia insiste che la morte è una realtà ineluttabile, e afferma che dopo la morte viene il giudizio. 

Ma dice anche che il giudizio si può evitare. 

Gesù ha affermato: “Chi ascolta la mia parola e crede a Colui che mi ha mandato, ha vita eterna: non viene in giudizio, ma è passato dalla morte alla vita” (Giovanni 5:24).

Che bella notizia!

Maria Teresa Standridge

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La VOCE gennaio 2022

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Un pizzico di sale "Cani ai guinzagli divini" 


Come si prospetta il 2022 appena cominciato? Sarà un altro anno sotto scacco del Covid e di altre sue varianti? Un altro anno di incertezze sul lavoro, la scuola e la salute?

Dai discorsi che sento, è evidente che la gente ha ancora molta paura.

Alcuni hanno talmente paura di contagiarsi che vanno oltre ogni minima prescrizione e raccomandazione delle autorità sanitarie. Altri fanno tutto l’opposto, perché temono di più le possibili conseguenze del vaccino o anche l’intrusione del governo nella vita privata.

A parte la pandemia che ha colpito il mondo intero, in Italia, secondo un’indagine Istat, 444.000 persone hanno perso il lavoro nel 2020.
Dall’inizio di quest’anno a fine agosto si contano 413 suicidi e 348 tentativi.
Dal 1° gennaio al 30 settembre, sulle strade della Capitale, la Polizia Locale è intervenuta per i rilievi di 19.139 incidenti.

Bastano questi tre dati rilevati a presentare un quadro tetro e triste, ma reale. La vita è piena di incognite ed eventi sui quali non abbiamo nessun controllo, che possono contribuire a creare un’atmosfera di paura nella vita delle persone. 

Vivere nella paura non è di certo salutare, ma è anche vero che non avere paura di niente è da incoscienti!

Dove si trova l’equilibrio tra questi due poli opposti? 
La paura è giustificata oppure quando ho paura sto peccando?

Per alcuni versi la paura è un dono di Dio. Infatti, siamo stati creati capaci di provarla perché fossimo allarmati sui pericoli, ma anche saggi nelle nostre scelte.

Qualche esempio. Vedere per strada qualcuno che inizia a sparare, ci porta immediatamente a nasconderci e metterci in salvo. È ovvio, giusto e sarebbe folle non farlo.

È prudente guardare in tutte e due le direzioni prima di attraversare la strada per non essere investiti.

Ed è un segno di saggezza pagare l’assicurazione dell’auto per non dover sborsare di tasca nostra somme esorbitanti in caso d’incidente.

Ma è un danno grave se la nostra vita è condizionata dall’ansia, perché la paura quando è esagerata, costante e non ha la funzione prevista da Dio, ci fa perdere di vista Lui e la sua sovranità.

La paura è entrata nel mondo con la caduta di Adamo ed Eva, diventando la compagna di vita dell’uomo. All’improvviso l’uomo aveva cominciato ad avere paura di Dio, del giudizio degli altri, delle circostanze, del futuro, della morte… Una cappa di paura è scesa sull’umanità. 

Temere la morte e le conseguenze del peccato, però, non è esagerazione, anzi. Infatti non solo è giusto, ma è qualcosa che dovremmo augurare a tutti, perché “il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore” (Romani 6:23).

La Bibbia attesta chiaramente che “è stabilito che gli uomini muoiano una volta sola, dopo di che viene il giudizio” (Ebrei 9:27).

La maggior parte delle persone fa di tutto per sopprimere queste verità. Perciò l’Apostolo Paolo ha scritto in Romani 1:18 che “l’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ingiustizia degli uomini che soffocano la verità con l’ingiustizia.”

Gli uomini cercano di intorbidire la loro consapevolezza dell’esistenza di Dio e della sua giustizia con pensieri, parole e atti ingiusti. Esorcizzano le loro paure esistenziali creando falsi dèi simili a loro, che non gli fanno paura. 

Invece è giusto, e addirittura salutare per il corpo (Proverbi 3:7,8), temere il vero Dio, ma non fare come Adamo ed Eva che pensavano di potersi nascondere tra i cespugli dopo aver peccato.

Esiste però anche una paura malsana, opposta a quel “dispositivo di sicurezza” progettato da Dio, perché è una delle terribili conseguenze del peccato di Adamo. 

È una paura che non aiuta a vivere meglio, non avvicina l’uomo a Dio, non lo rende più avveduto. Al contrario, lo rende ansioso e lo paralizza al punto di non riuscire a reagire correttamente a ciò lo terrorizza, rendendo la sua vita terribile. 

Nessun figlio di Dio dovrebbe cadere vittima di questo tipo di paura. Dalla Genesi fino all’Apocalisse, infatti, volta dopo volta Dio ripete: “Non temere!”

Nel solo libro di Isaia, dal capitolo 40 al 54, lo ribadisce per ben dieci volte al popolo d’Israele terrorizzato da quello che avrebbe dovuto affrontare di lì a poco. Il Signore gli vuole ricordare verità importanti per rassicurarlo, dicendogli: “Tu, non temere, perché io sono con te; non ti smarrire, perché io sono il tuo Dio; io ti fortifico, io ti soccorro, io ti sostengo con la destra della mia giustizia” (Isaia 41:10).

Mentre è vero che bisogna fare molta attenzione a non applicare a noi indistintamente qualunque promessa fatta a Israele (perché la chiesa non ha sostituito Israele nel piano di Dio), ci sono verità eterne per le quali è giusto pensare che queste parole bellissime di Isaia si possano applicare anche ai credenti di oggi. 

Per esempio, all’inizio del capitolo 41 di Isaia, Dio afferma la sua sovrana onnipotenza sulle nazioni e su ogni cosa che accade nell’universo. 

Poi, nei versetti 8 e 9, rivolgendosi direttamente a Israele, dice che lo ha scelto e che questi è il suo servo. 

Sappiamo che il Signore, ancora oggi, ha il totale controllo su tutto. Non accade nulla che sia al di là del suo potere e della sua conoscenza. Gesù ha precisato che nemmeno un passero cade in terra senza che Dio lo sappia e che l’abbia permesso. Nulla è quindi cambiato dai giorni di Isaia fino ai giorni nostri: Dio rimane onnipotente e sovrano eternamente. 

Come per Israele, scelto da Dio come suo tesoro particolare tra le nazioni, ci sono tanti versetti nel Nuovo Testamento che affermano similmente che Dio sceglie i credenti di oggi, e che anche loro sono suoi.

Nel versetto di Isaia, Dio chiama Israele suo servo. È stato un servo tutt’altro che perfetto, perché spesso si è allontanato da Lui, ma un giorno, nel regno di mille anni di Cristo, Israele redento svolgerà di nuovo il suo ruolo glorioso di servo dell’Altissimo. 

Nel Nuovo Testamento i credenti sono chiamati servi di Cristo. Più precisamente, schiavi di Cristo.  A volte dimentichiamo che siamo stati comprati a caro prezzo, che siamo sua proprietà. 

Ma prima di pensare che l’essere proprietà di Cristo sia una cosa negativa, soffermiamoci a considerare il fatto che siamo stati comprati a caro prezzo. 

Paolo scrive: “Infatti, mentre noi eravamo ancora senza forza, Cristo, a suo tempo, è morto per gli empi. Difficilmente uno morirebbe per un giusto; ma forse per una persona buona qualcuno avrebbe il coraggio di morire; Dio invece mostra la grandezza del proprio amore per noi in questo: che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. Tanto più, dunque, essendo ora giustificati per il suo sangue, saremo per mezzo di lui salvati dall’ira. Se infatti, mentre eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio mediante la morte del Figlio suo, tanto più ora, che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita” (Romani 5:6-10).

Il prezzo altissimo che Dio ha pagato per la nostra salvezza dimostra il valore che abbiamo ai suoi occhi. Era ciò che Gesù ha voluto insegnare quando paragonò i discepoli all’uccellino che cade: “Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre. Non valete voi molto più di loro?” (Matteo 6:26).

Chiarito questo, non è affatto sbagliato che i figli di Dio siano incoraggiati dalle parole di Isaia a Israele; Dio rivolge la stessa esortazione anche a noi: “Tu, non temere, perché io sono con te; non ti smarrire, perché io sono il tuo Dio; io ti fortifico, io ti soccorro, io ti sostengo con la destra della mia giustizia” (Isaia 41:10).

Le affermazioni di questo versetto sono dei punti cardine che dovrebbero accompagnarci nell’affrontare i problemi e le vicissitudini di tutti i giorni.

Tu, non temere, perché io sono con te

La prima cosa che Dio vuole che tu capisca è che sei tu il destinatario del suo messaggio. “Tu” è un pronome personale, come se stesse dicendo queste cose direttamente a te.

La seconda cosa che Dio desidera che tu sappia è che Egli conosce e comprende le tue debolezze. “Non temere” implica che Lui sa che tendi a temere. È una tendenza umana, e abbiamo visto che a volte ci sono motivi validi per provare timore. 

La domanda che ci dobbiamo porre, però, è quanto tempo permettiamo che duri la nostra paura. Forse troppo a lungo?

Ogni preoccupazione nasce da circostanze avverse, e se non sappiamo affrontare i problemi, non ci vorrà molto prima che il sentirci sempre in ansia diventi un’abitudine, vivendolo alla fine come uno stato emotivo normale. La consapevolezza della presenza di Dio nella nostra vita – “io sono con te” – deve prendere il posto della nostra abitudine all’ansia, e dissolvere questo debilitante stato emotivo. O quantomeno ridimensionarlo.

Il Signore, infatti, non dice “non avere paura quando sono con te”, ma “non avere paura perché io sono con te.” 

È un’affermazione che ha dell’incredibile. Dio non è come un’ambulanza che viene solo se chiamata in soccorso. Lui è sempre con noi!

È la stessa verità che troviamo nel Salmo 23 al versetto 4: “Quand’anche camminassi nella valle dell’ombra della morte, io non temerei alcun male, perché tu sei con me; il tuo bastone e la tua verga mi danno sicurezza.”

Perfino davanti alla morte la presenza di Dio mi dà tutto ciò di cui ho bisogno per dissolvere ogni mia paura.

Egli ha tutti gli strumenti necessari per proteggermi e accompagnarmi nelle difficoltà reali della vita. Infatti, il primo punto cardine che dobbiamo ricordare è che la presenza e la cura attenta di Dio sono l’antidoto alle mie paure.

Non ti smarrire, perché io sono il tuo Dio

Nel versetto 10, il Signore mostra altre ragioni per non permettere che le nostre paure ci condizionino la vita. 

Non a caso ci comanda di non smarrirci, perché la paura produce disorientamento. Perdiamo di vista i nostri punti di riferimento, e non siamo più capaci di discernere dove andare o cosa fare.

Ci riflettiamo, ci documentiamo, ma spesso le scelte sembrano troppo difficili, lasciandoci frustrati e confusi. 

Ecco, allora, la chiave per uscire dalla confusione: Dio deve essere continuamente il nostro punto fermo. Infatti, proprio perché è immutabile Lui è l’unico punto di riferimento sicuro. 

Ma in pratica, che devo fare per avere Dio come mio punto di riferimento?

Ce lo spiega Giacomo nel suo discorso su come reagire alle prove: “Se poi qualcuno di voi manca di saggezza, la chieda a Dio che dona a tutti generosamente senza rinfacciare, e gli sarà data. Ma la chieda con fede, senza dubitare; perché chi dubita rassomiglia a un’onda del mare, agitata dal vento e spinta qua e là. Un tale uomo non pensi di ricevere qualcosa dal Signore, perché è di animo doppio, instabile in tutte le sue vie” (Giacomo 1:5-7).

Quando cominciamo sentirci smarriti abbiamo un secondo punto di riferimento infallibile che è la Parola scritta di Dio. 

Chiedere con fede vuol dire avere completa fiducia nelle Sacre Scritture, come Giacomo specifica poi: “Ma mettete in pratica la parola e non ascoltatela soltanto, illudendo voi stessi. Perché, se uno è ascoltatore della parola e non esecutore, è simile a un uomo che guarda la sua faccia naturale in uno specchio; e quando si è guardato se ne va, e subito dimentica com’era” (Giacomo 1:22-24).

Sembra assurdo, ma ci sono credenti che reagiscono male a qualunque cosa affermi la Bibbia. “Si è vero, ma la mia situazione è difficile… ma le mie circostanze sono diverse… Sì, Dio, lo so che devo avere fede, ma…!” Rifiutano in partenza la soluzione ai loro problemi.

Ma allora il Creatore di ogni cosa, l’IO SONO, è veramente il nostro Dio? Purtroppo per molte persone (troppe!) non è così, e hanno tanti altri dèi, fallibili, instabili, falsi. E può succedere anche ai credenti di essere tentati di seguire i propri desideri, restare ancorati alle proprie opinioni e preferire autorità diverse da Dio. 

La Bibbia insegna che è giusto che la nostra fede sia messa alla prova, il che serve per dimostrarne la genuinità. 

Se Dio non è davvero il mio pastore, le parole “Il Signore è il mio pastore: nulla mi manca” si riducono solo una bellissima frase, senza nessun riscontro reale. Al contrario, se mi fido di Lui, se continuo a seguirlo pur non capendo tutto, sarò disposto a ubbidirgli anche quando voci contrarie mi spingeranno a non farlo.

Io ti fortifico, io ti soccorro, io ti sostengo con la destra della mia giustizia

Ecco di cosa ho bisogno quando ho paura, quando ho esaurito le mie forze e non ce la faccio più!

Ho bisogno di essere soccorso, tirato fuori dai guai in cui mi sono messo o dalle situazioni che, per colpa di altri, mi stanno sopraffacendo. Ho bisogno di essere fortificato e guidato.

Riconosco che in parte le mie paure nascono dal fatto che vivo in un mondo ingiusto, che si comporta male nei miei confronti, che mi chiede cose sbagliate che Dio non approva. La società è pervasa dall’ingiustizia a tal punto che è molto facile restarne coinvolti, ed è proprio questo che mi atterra e mi spaventa.

Non è un caso che il Signore dica per bocca di Isaia che non devo temere, perché Lui mi sosterrà con la sua giustizia.

La giustizia di Dio trionferà sempre! Quindi, a pensarci bene noi non siamo vittime, perché la potenza di Dio non ha rivali, la sua saggezza non ha limiti e il suo amore per noi non conosce confini, e tutto ciò fa sì che non gli sfugga nulla.

Il problema è piuttosto il fatto che spesso perdiamo di vista il ruolo attivo di Dio nella nostra vita. Attivo, non passivo, né sorpreso dagli eventi o dalle nostre reazioni.

Paolo, che conosceva bene questo problema, pregava che i credenti fossero potentemente fortificati nell’uomo interiore, attraverso una comprensione sempre più grande dell’amore di Dio: “Per questo motivo piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni famiglia nei cieli e sulla terra prende nome, affinché egli vi dia, secondo le ricchezze della sua gloria, di essere potentemente fortificati, mediante lo Spirito suo, nell’uomo interiore, e faccia sì che Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, perché, radicati e fondati nell’amore, siate resi capaci di abbracciare con tutti i santi quale sia la larghezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità dell’amore di Cristo e di conoscere questo amore che sorpassa ogni conoscenza, affinché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio” (Efesini 3:14-19).

La cura di Dio per noi ha come motore e spinta il suo amore, che va oltre quello che possiamo immaginare. Ecco perché, davanti a ciò che sappiamo dalle Scritture, dovremmo imparare a frenare l’impulso di reagire con un MA, e dire piuttosto: Dio mi aMA!

Affronterò, per grazia di Dio, le incognite del nuovo anno con la certezza che Dio è con me. Supererò situazioni che non ho mai affrontato prima, convinto dell’aiuto concreto di Dio, che è sufficiente per ogni giorno. Prenderò decisioni più grandi di me, affidandomi alla saggezza che il Signore ha messo a mia disposizione nelle Scritture. 

Non dovrò farmi la strada da solo né appoggiarmi sulla mia intelligenza o forza, perché ho preso sul serio il mio rapporto con Dio: Egli è davvero il mio SIGNORE. Io lo servo senza “se” e senza “ma”, lasciandomi correggere, guidare e incoraggiare dalla sua Parola, in modo che la mia comprensione del suo amore sia più grande e consapevole ogni giorno di più.

Sarà un 2022 “da paura”!                 

Davide Standridge

 


Cani ai guinzagli divini

Era una sirena di pompieri, una macchina che portava qualcuno all’ospedale a che cosa? 

Mamma si svegliò. 

No, era Daniele che urlava. 

Mamma corse a vedere che cosa stesse succedendo. Ci mancava solo che con quelle grida facesse svegliare anche gli altri tre! 

Danielino stava seduto sul letto singhiozzando. La sua era paura. Paura selvaggia. 

Mamma cercò di calmarlo. “Hai male di pancia?” No. “Era un brutto sogno?” Le urla ricominciarono. Chiaro: era un brutto sogno. 

“Ma che c’era nel sogno?” 

“Lì sotto... i cani!”

“Ma va là, sotto il letto non ci sono cani. Non c’è niente!”

Mamma prese Daniele in braccio e gli fece vedere che sotto il letto non c’era nulla. 

“Sono andati via, adesso, mamma?” 

“Non ci sono mai stati. Ora mettiti tranquillo.” 

La sera dopo, prima di coricarsi, Daniele mise sotto il suo letto un bastone con una testa di cavallo in cima. 

“Questo si mette nell’angolo, nella scuderia” disse Mamma. 

“No” protestò Daniele, “lui tiene via i cani.” 

L’idea era decisamente pagana, ma la quiete piace a tutti e Mamma pensò che certe sottigliezze teologiche, in ogni modo, non possono essere afferrate da un bambino di quattro anni. La cosa importante era che tutti dormissero in pace. 

“Va bene, per stasera, ma soprattutto non ci pensare. Vedrai che dormirai bene.” 

Invece i cani, puntualmente, ritornarono per varie notti. 

Di giorno Daniele entrava in camera con fare sospettoso, guardava sotto il letto, parlava di cani. Davide e Deborah un po’ lo ammiravano, un po’ si spaventavano anche loro. 

Una sera, Mamma andò accanto al letto di Daniele (il cavallo era in scuderia, sconfitto) e disse: “Ora chiediamo a Gesù di tenere lontano tutti i cani.” 

“Tutti, mamma?” 

“Tutti.” 

Mamma e Daniele pregarono: “Gesù, per piacere tieni lontano tutti i cani da Daniele e aiutalo a dormire bene. Grazie. Amen.” 

Daniele si mise giù con un sorriso di beatitudine completa e di perfetta tranquillità. 

Mamma, mentre spegneva la luce, chiese a Dio di aiutarla a non dimenticare quel sorriso e quella lezione di fiducia. “La fede è certezza di cose che si sperano...” dice la Bibbia. 

E i cani sono tornati? No. “Gesù li tiene legati”, dice Daniele.

M.T. Standridge, "Un pizzico di sale" ristampa del luglio 1962

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La VOCE gennaio 2017

Un approccio diverso

“Di nuovo un nuovo anno!? Sarà l’anno della svolta?
Lascerò finalmente alle spalle questo brutto periodo difficile e affronterò il futuro con speranze rinnovate?”

Ultimamente mi sono trovato a  consolare più di una persona che inaspettatamente ha perso qualcuno caro. Un anno fa, proprio alla soglia del 2016, nessuno di loro aveva immaginato di dover affrontare una perdita affettiva tanto grande. L’evento li ha colti di sorpresa e impreparati. Eppure secondo le statistiche le probabilità di una sventura ci sono sempre, e anche piuttosto alte. Per esempio, ogni anno in Italia vengono diagnosticati circa 366.000 tumori maligni. Circa 1.000 al giorno!

Sempre negli ultimi mesi, ho visto più di una persona perdere il posto di lavoro. Purtroppo la situazione economica è quella che è, perciò trovarsi improvvisamente disoccupati può essere una vera catastrofe. Nel 2016 circa 390 imprese al giorno hanno chiuso definitivamente l’attività. 16 ogni ora!

“Basta! Non ci voglio pensare! Se devo cominciare l’anno con tanti brutti pensieri, tanto vale gettare la spugna subito!” Alcuni l’hanno solo pensato, altri l’hanno fatto sul serio. Sono 81 i casi di suicidio per motivi economici registrati in Italia nel primo semestre 2016. Il dato è in crescita di quasi il 20% rispetto a quanto rilevato nella seconda metà dell’anno 2015.

Noi, però, crediamo in Dio e questo fa una bella differenza. Abbiamo una marcia in più. Il credente non è costretto a vivere nella paura o a reagire ai problemi come chi non conosce Dio.

Ma attenzione! Non c’è un mantra evangelico da ripetere nel momento delle avversità per non soccombere all’ansia e alla disperazione! Non c’è espediente che ti salvi dai problemi se ti fai cogliere alla sprovvista. E non è durante la crisi che ci si prepara ad affrontarla, ma molto prima. Se qualuno sta affogando, non ti metterai mica a dargli lezioni di nuoto. Il modo efficace di essere preparati a ogni eventualità esiste, non solo per superarle personalmente, ma anche per aiutare coloro che le stanno affrontando. Scopriamolo insieme.


Affannarsi no! Prepararsi sì!

Tanto per cominciare, non siamo i primi a dovere affrontare le difficoltà. Le guerre ci sono sempre state, le malattie pure, le preoccupazioni finanziarie anche. Dio aveva predetto che a causa del peccato le difficoltà sarebbero state una certezza nella vita di ogni singola persona. Se ci colgono impreparati, vuol dire che, fondamentalmente, non abbiamo dato retta agli avvertimenti di Dio, avvertimenti che ha ripetuto sin dall’inizio, dalle prime pagine della Genesi fino al libro dell’Apocalisse.

Vivere nell’ansia non è, e non deve essere la norma per i figli di un Dio onnipotente. Gesù ha detto: “Non siate dunque in ansia per il domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno” (Matteo 6:34).

Il re Davide aveva dovuto affrontare tantissime difficoltà: guerre, nemici e problemi famigliari. Alcuni guai gli sono successi per colpa sua, per le sue scelte immorali, altri se l’è trovati davanti senza cercarseli, tuttavia tutti problemi seri. In ognuna di queste prove Dio l’aveva sostenuto e l’aveva ispirato a scrivere le sue esperienze in modo che fossero di aiuto proprio a te e me che crediamo nello stesso Dio. I salmi sono dei canti ispirati da Dio e hanno lo scopo di insegnarci delle verità eterne. Sono messe in versi perché potessero essere facilmente impresse nella mente di chi canta, influenzando e modellando il suo modo di pensare fino a penetrare nel profondo del cuore. Era questo il metodo previsto da Dio per preparare gli Ebrei ad affrontare ogni situazione di vita. E lo è anche per noi.

Apri la tua Bibbia e leggi il Salmo 62. Ci sono almeno tre verità che, se assimilate, comprese e credute, possono aiutarci ad essere pronti per qualunque avvenimento.

DIO È PIÙ FORTE DI TUTTI!

“Solo in Dio trova riposo l’anima mia; da lui proviene la mia salvezza. Lui solo è la mia rocca e la mia salvezza, il mio alto rifugio; io non potrò vacillare” (Salmo 62:1,2)

È ora di decidere, una volta per tutte, di chi ci vogliamo fidare! Restare indecisi ci rende deboli e confusi. Impreparati.

Dio vuole che ognuno di noi sia risoluto in cuor suo. La fiducia che abbiamo in Lui deve essere esclusiva. Dobbiamo essere convinti che la nostra unica speranza è il Signore. Il mondo cerca di confonderci con tante voci dissonanti. Ascoltare un po’ tutti produrrà solo insicurezza e turbolenza dentro di noi. Arriva la crisi e non sappiamo a chi dare retta. Diventiamo volubili e tendiamo ad aggrapparci a qualunque falsa speranza e ragionamento umano.

La Bibbia afferma che Dio è sovrano, che ha il controllo assoluto su ogni cosa. È una certezza che dovrebbe infondere serenità in noi. E questa costante serenità ci accompagnerà anche quando le cose non vanno come vorremmo noi (Filippesi 4:6,7). In fin dei conti, quello che ci toglie la pace è la nostra mancanza di fiducia.

Ti fidi di Dio? La tua risposta rivela se lo conosci o meno. Perché tutto quello che Dio fa è in perfetta armonia con il suo carattere. È buono? È giusto? È santo? Allora lo è altrettanto tutto quello che Lui permette nella tua vita.
Ti fidi della sua saggezza? Sei convinto che Egli sappia valutare il quando, il come e il per quanto di ogni situazione in cui ti trovi e le ripercussioni che ci saranno nel tempo? Se non lo sei, non troverai riposo per l’anima tua, ma continuerai a vacillare.
Ti fidi della sua potenza? Egli non solo sa perfettamente quale sia la cosa migliore per noi, ma ha anche i mezzi necessari per portare a compimento ogni suo disegno benevolo.
Sei convinto del suo amore? Un Dio giusto, che sa tutto, che può tutto e che addirittura ama le sue creature, non permette che ti accada nulla che non sia filtrato dal suo amore perfetto e particolare per te.

I nemici di Davide erano reali come lo sono i nostri problemi. Il primo passo per prepararsi al 2017 con tutte le sue incognite è credere che tutti i guai impallidiscono davanti alla realtà del nostro Dio.

Solo DIO!

“Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare” (Salmo 62:5,6).

La parola “solo”, ripetuta due volte in questi versetti, denota la scelta di Davide. Non avrebbe ascoltato altre voci o cercato altri consiglieri. Non si sarebbe fatto influenzare da quelli che la pensavano diversamente da lui. Questa sua presa di posizione diventò un punto fermo per tutta la sua vita e una testimonianza fortissima a coloro che lo osservavano.

Egli aveva posto la sua fiducia in Dio. Non solo per un futuro eterno dopo la morte, ma per la vita di adesso, di ogni giorno. Da allora in poi, il suo modo di vivere e reagire alle difficoltà sarebbe stato un faro che puntava la luce su Dio e non su di lui.

Se conoscessimo in anticipo le nostre difficoltà, vivremmo cercando di evitarle e temendone le conseguenze. Dio non ce le rivela, ma rivela se stesso, in modo che la sua luce risplenda nel buio delle prove.

Il gran finale

“Dio ha parlato una volta, due volte ho udito questo: che il potere appartiene a Dio; a te pure, o Signore, appartiene la misericordia; perché tu retribuirai ciascuno secondo le sue azioni” (Salmo 62:11,12).
Non conosciamo il nostro futuro, ma non importa, sappiamo come andrà a finire. È un po’ come guardare un film o leggere un romanzo di cui si conosce la fine. Se fosse un libro vero, la suspense potrebbe scemare e perderemmo la voglia di continuare a leggerlo. Nella vita vera, però, conoscere l’esito delle nostre circostanze non le renderà necessariamente meno pesanti, ma ci dà un’opportunità unica di avere un approccio diverso alla vita.

Dio vincerà! Salverà i suoi e ricompenserà ognuno secondo le sue opere. Anche coloro che fino ad ora sembrano averla fatta franca non potranno sottrarsi alle conseguenze eterne delle
loro azioni.

Dio desidera che mentre ci accingiamo ad affrontare il 2017 lo facciamo dando meno peso ai particolari e più al glorioso risultato finale. È penoso vedere quanti credenti si fanno cogliere di sorpresa da qualunque difficoltà. Delle volte la loro disperazione sembra addirittura
uguale a quella di chi non conosce il Dio della Bibbia.

Vorrei farti degli auguri speciali per il nuovo anno. Non posso prometterti nulla sugli eventi, ma posso augurarti che tu conosca il Dio della Bibbia e che tu metta la tua fiducia in Lui e possa ricordarti sempre del gran finale. Allora il 2017 sarà un anno veramente speciale!

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La VOCE luglio 2016

Che paura!

“Sai, ho scoperto che soffro di belonefobia!”
“Davvero? Io di hexakosioihexekontahexafobia! Certo che siamo strani!”
“Già. Forse sarebbe stata meglio la eisoptrofobia!”

Le fobie sono paure che non riusciamo a combattere. Tu ne hai qualcuna? Forse una forma di deipnofobia o di mageirocofobia, anche se queste due potrebbero essere solo delle scuse…
Secondo le statistiche al primo posto tra le fobie più comuni c’è l’acrofobia, la paura delle altezze, al secondo la ofidiofobia, la paura dei serpenti, al terzo la glossofobia, del parlare in pubblico, al quarto l’aracnofobia, la paura dei ragni e al quinto la claustrofobia che tutti sappiamo cos’è.

Ti stai forse chiedendo se sei affetto dalle prime che ho menzionato? Beh la belonefobia è la paura degli aghi, la hexakosioihexekontahexafobia del numero 666, la eisoptrofobia degli specchi, la deipnofobia delle chiacchiere a cena e la mageirocofobia, che ci si creda o no, è la paura di cucinare! Quest’ultima, bisognerebbe assicurarsi che la fidanzata non ce l’abbia.

A giudicare dal fatto che così tante persone soffrono di qualche forma di fobia, potrebbe sembrare che sia normale convivere con ansie e paure.
Ma Dio che ne pensa?


Salire al di là delle nuvole

Con i tempi che corrono, come si fa a non essere almeno un po’ ansiosi e preoccupati per il futuro nostro e quello dei nostri cari? Sempre secondo le statistiche, nel 2011 più di 11 milioni di persone in Italia hanno fatto uso degli psicofarmaci. A ricorrere agli ansiolitici sono soprattutto le donne. E il loro numero è in aumento. E gli uomini? Beh, molti si rifugiano nelle bevande alcoliche.

Al contrario di quanto possa sembrare, l’ansia non è una piaga dell’uomo moderno. È una reazione comune davanti all’incertezza di cose e eventi che sfuggono al nostro controllo.

Ma è un argomento delicato, sono tutti un po’ suscettibili al riguardo. È incredibile con quanta facilità giudichiamo i peccati degli altri, pensando di essere noi stessi senza colpe. I nostri saranno al massimo dei “difetti” trascurabili anche se un po’ duri da contrastare e sradicare. Molto giustificabili in fin dei conti...

Gesù, in uno dei suoi discorsi ha voluto fare una distinzione netta fra coloro che lo seguivano e il resto del mondo.
Ha detto: “Non siate dunque in ansia, dicendo: «Che mangeremo? Che berremo? Di che ci vestiremo?» Perché sono i pagani che ricercano tutte queste cose; ma il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose. Cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno date in più. Non siate dunque in ansia per il domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno” (Matteo 6:31-34).

Il futuro è un’incognita per tutti, ma per il non credente è, giustamente, un grande motivo di ansia. Per lui la speranza sta tutta nelle cose materiali che possiede. Più ne riesce ad accumulare, più al sicuro si sente. Ma quando vengono a mancare non ha più certezze che lo possano sorreggere (1 Timoteo 6:17-19). Per la disperazione di aver perso tutto, alcuni hanno addirittura commesso il gesto estremo.

Il credente forse non dispone di grandi risorse, ma sa bene chi ha il pieno controllo su ogni cosa che accade nell’universo. Ha il suo Padre celeste. Sa che è  ricco e generoso verso tutti, e che ha promesso di prendersi cura dei suoi.
Quello che ho detto fin qui non sorprende nessuno. Se siamo credenti, conosciamo queste cose.

Ma che fare, se pur credendo a tutto ciò mi faccio prendere spesso dall’ansia?

Come per ogni problema, la risposta va cercata nelle Scritture. Uno dei vantaggi dell’avere la Parola scritta di Dio è che ci possiamo tornare su ogni volta che ce n’è bisogno.
Ecco allora alcuni principi biblici utili per vincere l’ansia. Sono talmente semplici e logici che qualcuno potrebbe pensare “Ma cos’è, hai scoperto l’acqua calda?!”. Una cosa, però, è professare di credere, l’altra è praticarlo.

Il primo principio è che angosciarti per quello che non si conosce è una fatica inutile. Puoi scervellarti su quello che vuoi, ma senza una palla di vetro è tutto quanto solo frutto delle tue congetture!

Il secondo è che la preoccupazione non può cambiare il nostro futuro. Gesù ha detto: “E chi di voi può con la sua preoccupazione aggiungere un’ora sola alla durata della sua vita?” (Matteo 6:27). È piuttosto vero il contrario: vivere con ansia nuoce alla salute!

Terzo, Dio sa perfettamente quello di cui abbiamo bisogno (Matteo 6:30,32). È Dio! Posso fidarmi di Lui.

Ma la triste realtà dei fatti è che tanti credenti adottano gli stessi atteggiamenti dei non credenti e continuano a essere consumati dall’ansia e dalle inutili preoccupazioni.

Cosa si aspetta Dio da noi? Essere ansiosi è un difetto o un peccato?
L’Apostolo Paolo ne ha parlato nella sua lettera alla chiesa di Filippi. La premessa a quello che dice è che l’ansia ci rende instabili e ci deruba della gioia e della pace che sono nostre di diritto in quanto figli di Dio. Lui non ha mai promesso che il credente non avrà difficoltà, ma lo ha messo in guardia contro il peccato dell’ansia.

Paolo scrive: “La vostra mansuetudine sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino. Non angustiatevi di nulla, ma in ogni cosa fate conoscere le vostre richieste a Dio in preghiere e suppliche, accompagnate da ringraziamenti. E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù” (Filippesi 4:5-7).

“Non angustiatevi di nulla” non è un suggerimento. È un imperativo. Ma è un imperativo per il nostro bene. È come se Dio dicesse: “Figlio mio, levati subito quel fardello di dosso; è troppo pesante per te e a portarlo ti spezzerai la schiena”.

L’angosciarsi per le cose che sono al di fuori di ogni nostro controllo non deve aver posto nella vita del credente per alcun motivo. Non c’è ragione che tenga. Quante volte hai letto nella Bibbia frasi come “non temere” e “pace a voi”? I figli di Dio dovrebbero essere rinomati per la loro calma, per la pace che regna in loro. La gente che ci osserva dovrebbe meravigliarsi non perché tutto ci vada liscio, ma per il fatto che affrontiamo con serenità anche i problemi e le circostanze più difficili della vita.

Allora cosa deve cambiare, quali sono i pensieri che devono rimpiazzare le reazioni normali alle difficoltà?

  • Il credente sa che il Signore è vicino. Abbiamo un Padre onnipresente e onnisciente. Siamo sempre davanti a Lui. Egli non è mai distratto, conosce il nostro passato, presente e futuro.
  • Il credente deve ricordare che Dio è anche onnipotente. Quando Paolo dice che non bisogna angustiarsi di nulla è sottinteso che Dio è perfettamente al corrente delle situazioni e ha anche il potere di fare qualunque cosa ritenga necessaria.

E non finisce qui. Dio non solo conosce la nostra situazione e non solo ha la potenza per affrontarla, ma sa anche con precisione cosa fare e perché! Abbiamo l’incredibile privilegio di parlare con Dio in qualunque momento, di aprirgli i nostri cuori ed esporre a Lui ogni nostra preoccupazione. Facciamolo con ringraziamento, perché così dimostreremo che ci fidiamo della sua sovranità. E che sappiamo che ogni evento della nostra vita sarà filtrato attraverso la sua saggezza e il suo amore per noi.

Temi per il

tuo futuro? Vivi ogni giorno con l’ansia?

  • Il primo passo per liberartene è considerarla come Dio la vede: una mancanza di fiducia in Lui. È infatti proprio come un affronto a tutto ciò che Egli ti ha promesso come suo figlio.
  • In secondo luogo devi riconoscere che l’ansia è un ostacolo alla tua testimonianza verso i non credenti, perché affrontare i problemi con serenità porta gloria a Dio e invita anche gli altri a voler affidare la vita a Lui.

Non credi che la nostra unica paura debba essere quella di non offendere Dio con la nostra incredulità?

 

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