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La Voce del Vangelo

La VOCE aprile 2023

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Un pizzico di sale... "Sia Dio riconosciuto giusto" 

Il mio liceo scientifico era tra i più prestigiosi di Roma. La materia che trovavo più odiosa era latino. Non riuscivo a capire l’utilità di questa lingua morta, che non si parla più in nessun paese del mondo. È vero, le lingue romanze (o neolatine) come l’italiano, derivano proprio dal latino, ma sono praticamente tutte diverse.

Comunque, a casa nostra, ogni volta che riportavo un brutto voto nella lingua “morta” si ripeteva sempre la stessa storia: mio padre mi riprendeva perché non avevo studiato come avrei dovuto, e mia mamma, laureata in lettere classiche (!), mi dava le ripetizioni.

Quanti scappellotti ho preso dietro la testa perché mi rifiutavo di studiare quella materia “inutile”! Anni dopo, scherzandoci su, dicevo a mia mamma che se oggi ero diventato meno intelligente era per i troppi scappellotti che mi aveva dato, e lei rideva.

Poi, però, il valore del latino l’ho capito, ed è un peccato che non sia successo ai tempi del liceo. Sembra che andiamo a scuola quando non siamo abbastanza maturi per capirne il valore. Potessi tornare indietro, m’impegnerei a studiare di più tutte le materie, non solo il latino.

Purtroppo facciamo lo stesso anche nel campo spirituale. Troppi credenti si accontentano di una comprensione superficiale degli insegnamenti della Bibbia, e solo quando sono passati anni se ne rendono conto, e ammettono che se potessero tornare indietro si impegnerebbero di più per capire meglio le Scritture.

Ma non c’è giorno migliore di oggi per cominciare a fare sul serio. Ogni cristiano è coinvolto in una battaglia spirituale che dura per tutta la vita, senza dare tregua. Per restare in piedi è indispensabile essere preparati e avere l’attrezzatura adatta. 

Come ti sei preparato per la tua battaglia spirituale oggi?

È guerra ma pochi ci credono

Nei numeri di gennaio e febbraio della Voce abbiamo cominciato a parlare della battaglia spirituale in cui, volenti o nolenti, si trovano coinvolti tutti i credenti. Il nostro testo di partenza lo ha scritto l’apostolo Paolo nella sua lettera agli Efesini.

“Del resto, fortificatevi nel Signore e nella forza della sua potenza. Rivestitevi della completa armatura di Dio, affinché possiate stare saldi contro le insidie del diavolo; il nostro combattimento infatti non è contro sangue e carne, ma contro i principati, contro le potenze, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, contro le forze spirituali della malvagità, che sono nei luoghi celesti. Perciò prendete la completa armatura di Dio, affinché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver compiuto tutto il vostro dovere. State dunque saldi: prendete la verità per cintura dei vostri fianchi; rivestitevi della corazza della giustizia; mettete come calzature ai vostri piedi lo zelo dato dal vangelo della pace; prendete oltre a tutto ciò lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno. Prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio” (Efesini 6:10-17).

Abbiamo constatato che i versetti contengono tre comandi specifici:
– Fortificatevi nel Signore
– Rivestitevi della completa armatura di Dio
– Prendete la completa armatura di Dio

È vitale che ogni cristiano capisca che è in guerra, che il suo avversario è terribile, e che conosca bene ciascun elemento di quell’armatura spirituale che Dio stesso ha provveduto per ogni suo figlio. Ed è necessario indossarla.

L’armatura ha sei componenti, tutti ugualmente importanti e necessari:
CINTURA della VERITÀ
CORAZZA della GIUSTIZIA
CALZATURE dello ZELO dato dal vangelo
SCUDO della FEDE
ELMO della SALVEZZA
SPADA dello SPIRITO

Il primo di questi, la cintura della verità, l’abbiamo esaminato nel numero di febbraio. Se non hai potuto leggere i numeri di gennaio e febbraio, ce li puoi chiedere e saremo felici di mandarteli gratuitamente. Oggi conosceremo la corazza della giustizia.

Negligenza e ignoranza possono costare caro

Le forze armate e le forze dell’ordine di tutto il mondo portano, durante il servizio attivo, il giubbotto antiproiettile. Ma anche chi non è un militare, se vuole può acquistarlo e indossarlo.

Su internet si trovano tanti modelli diversi di gilet, giubbotti e altri indumenti antiproiettile che vanno, secondo la tipologia, da 100 a oltre 1000 euro per quelli professionali. Dubito comunque che la gente comune reputi di averne realmente bisogno. 

I giubbotti antiproiettile sono realizzati in materiali particolarmente resistenti come il kevlar, il dyneema e il twaron. Quelli più protettivi sono a struttura dura, con piastre di metallo o di materiali ceramici molto resistenti. Il proiettile non riesce a penetrarli, ma rimbalza sulla loro superficie. 

I giubbotti di questo tipo sono i migliori in termini di protezione, anche se peso e ingombro sono notevoli: la polizia e l’esercito li indossano di solito in situazioni ad alto rischio, ma non per attività di routine.

Un secondo tipo di veste protettiva ha una struttura morbida. In questo caso non vengono utilizzate placche di materiali duri ma alcuni tessuti. 

Questi tessuti a struttura morbida sono realizzati con una fitta rete di fibre sintetiche intrecciate. Il kevlar infatti è una fibra sintetica leggera, ma più resistente di una placca d’acciaio dello stesso peso. Quando viene intrecciata dà vita a una rete capace di assorbire grandi quantità di energia. Ma nemmeno questi sono leggeri, possono pesare fino a 11 Kg.

È sorprendente però che tutti questi giubbotti antiproiettile, che costano così tanto, abbiano una data di scadenza: durano solamente circa cinque anni.

È ovvio che chi deve indossare per lavoro questi indumenti deve essere consapevole sia del pericolo a cui si espone, che del tipo di protezione che i vari indumenti offrono contro proiettili o bombe.

L’industria bellica mira a produrre armi e proiettili sempre più efficaci, e questo significa che pure i giubbotti devono migliorare per garantire l’incolumità di chi li indossa. 

Negli Stati Uniti stanno sperimentando un giubbotto fatto di un liquido particolare, formato da un olio di silicone con particelle di ferro. Questo liquido all’impatto col proiettile, in un millesimo di secondo diventa durissimo attraverso cariche elettriche. 

I giubbotti di nuova generazione sarebbero dotati anche di un radar particolare che, in caso di pericolo, attiverebbe dei sensori all’interno dell’indumento.

Tutto questo potrebbe sembrare fantascienza, ma per coloro che vivono e lavorano in situazioni di pericolo reale, è un discorso importantissimo.

Per la nostra battaglia spirituale, noi cristiani abbiamo a disposizione un giubbotto antiproiettile che è stato progettato da Dio stesso. Non scade, né diventa obsoleto o inefficace contro le sofisticate e tecnicamente avanzate armi del nemico. È la corazza della giustizia, ed è sempre a disposizione del credente.

Spesso però, per la nostra stessa negligenza – forse perché non crediamo di essere veramente in guerra – non ci preoccupiamo di capire com’è fatta, e tantomeno di indossarla. 

Ai tempi di Paolo la corazza era diversa da quelle di oggi, ma aveva lo stesso scopo. Copriva il petto ed era fatta di materiale duro, come il cuoio o il metallo. Era modellata per seguire la forma del corpo. Il metallo poteva essere intrecciato o a segmenti. E la corazza poteva essere fatta anche a strati.

La sua funzione era quella di proteggere gli organi vitali del soldato, particolarmente il cuore. 

Il cuore non è soltanto un organo vitale, ma rappresenta la parte centrale della vita stessa, essendo la sede dei pensieri, degli affetti e delle emozioni.

Satana attacca principalmente i pensieri e gli affetti del credente. Lui mira alla mente e al cuore. Con la mente, vuole farci credere alle sue bugie, agitando e minando le nostre convinzioni e certezze spirituali. Attaccando il cuore, vuole rovinare i nostri affetti – tutto ciò che ci è caro, e che amiamo e ammiriamo nelle altre persone. 

Non dimentichiamoci mai che Satana si accanisce contro tutto quello che è vero, eterno e importante, le mete e i desideri santi della nostra vita in quanto figli di Dio. Tutto quello che è vero, puro, santo e onorevole lui vuole pervertirlo, e lo vuole rimpiazzare con menzogne, impurità, vergogna e peccato.

Paolo dice che la corazza, la protezione del credente, è la giustizia. Come la corazza era ancorata alla cintura, anche la giustizia è ancorata alla verità. Per capire cosa voglia dire esaminiamo quello che dice la Parola di Dio.

Per prima cosa dobbiamo ricordare che Paolo non sta parlando di una giustizia umana. Infatti, lui scrive: 

“Che dire dunque? Noi siamo forse superiori? No affatto! Perché abbiamo già dimostrato che tutti, Giudei e Greci, sono sottoposti al peccato, com’è scritto:
Non c’è nessun giusto, neppure uno.
Non c’è nessuno che capisca,
non c’è nessuno che cerchi Dio.
Tutti si sono sviati, tutti quanti si sono corrotti. Non c’è nessuno che pratichi la bontà, no, neppure uno.
La loro gola è un sepolcro aperto;
con le loro lingue hanno tramato frode.
Sotto le loro labbra c’è un veleno di serpenti. La loro bocca è piena di maledizione e di amarezza.
I loro piedi sono veloci a spargere il sangue. Rovina e calamità sono sul loro cammino e non conoscono la via della pace.
Non c’è timor di Dio davanti ai loro occhi.
Or noi sappiamo che tutto quel che la legge dice, lo dice a quelli che sono sotto la legge, affinché sia chiusa ogni bocca e tutto il mondo sia riconosciuto colpevole di fronte a Dio; perché mediante le opere della legge nessuno sarà giustificato davanti a lui; infatti la legge dà la conoscenza del peccato” (Romani 3:9-20).

Alla luce di questo passo è evidente che nessuna persona non credente è al sicuro da Satana, essendo in balia del diavolo e delle sue bugie. Per natura l’uomo non è giusto, nessuno escluso. Non cerca la giustizia perché non gli appartiene, né opera secondo giustizia. Il non credente, però, pensa di essere giusto, e pensa di saper fare azioni giuste. 

La Bibbia invece attesta che solo Gesù è giusto: “Ed è grazie a lui che voi siete in Cristo Gesù, che da Dio è stato fatto per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione; affinché, com’è scritto: «Chi si vanta, si vanti nel Signore»” (1 Corinzi 1:30,31).

È impossibile per l’uomo essere giusto e agire secondo la giustizia, a meno che Dio non intervenga e lo renda giusto e, di conseguenza, lo protegga dalle insidie di Satana.

Nella sua lettera ai Romani Paolo spiega come Dio aveva messo la fede di Abraamo e di Davide in conto per ognuno di loro come giustizia, indipendentemente dalle loro opere, e poi aggiunge: “Or non per lui soltanto sta scritto che questo [l’avere fede nella promessa di Dio] gli fu messo in conto come giustizia, ma anche per noi, ai quali sarà pure messo in conto; per noi che crediamo in colui che ha risuscitato dai morti gesù, nostro signore, il quale è stato dato a causa delle nostre offese ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione” (Romani 4:9,22-25, enfasi aggiunta).

La Bibbia afferma che chi crede in Gesù come suo Salvatore e Signore, viene dichiarato giusto. È una dichiarazione legale. Il credente non diventa giusto in sé stesso, ma Dio lo riveste della giustizia di Cristo, e lo dichiara giusto attraverso i meriti di Gesù – tali meriti sono la sua vita moralmente perfetta e senza peccato, la sua morte per i peccati di coloro che credono in lui, la sua resurrezione che ha sancito l’accettazione da parte di Dio del suo sacrificio – tutto questo protegge il credente dalla condanna della morte eterna.

Satana cerca sempre di insinuare un dubbio nel nostro cuore e nella nostra mente: Dio mi accetta o no? Sono abbastanza giusto per essere salvato e per rimanere salvato? Ci fa mettere in dubbio se siamo degni di servire il Signore o anche di testimoniare. 

Proprio sull’argomento della giustizia di Dio, si è insinuata la falsa dottrina che insegna che si può perdere la salvezza. È come se il credente, dopo che Dio l’ha dichiarato giusto esclusivamente in base ai meriti di Gesù, dovesse cercare di rimanere giusto con le proprie forze insufficienti e destinate a fallire. Molti si lasciano accecare da questa bugia e sono sempre afflitti dal dubbio di essere veramente giustificati o no.

Solo Dio può dichiarare una persona giusta. L’uomo non si può arrogare questo diritto, perché la Bibbia dichiara che nessun uomo che non sia stato dichiarato giusto può praticare la giustizia.

“In questo si distinguono i figli di Dio dai figli del diavolo: chiunque non pratica la giustizia non è da Dio; come pure chi non ama suo fratello” (1 Giovanni 3:10).

Questa conoscenza di ciò che è giusto, e la capacità di farlo, è un dono di Dio, e ci dà sicurezza: “Se sapete che egli è giusto, sappiate che anche tutti quelli che praticano la giustizia sono nati da lui” (1 Giovanni 2:29).

Questo era il sentimento profondo di Paolo mentre rifletteva sul suo passato e su quello che davvero conta davanti a Dio:

“Ma ciò che per me era un guadagno, l’ho considerato come un danno, a causa di Cristo. Anzi, a dire il vero, ritengo che ogni cosa sia un danno di fronte all’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho rinunciato a tutto; io considero queste cose come tanta spazzatura al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui non con una giustizia mia, derivante dalla legge, ma con quella che si ha mediante la fede in Cristo: la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede. Tutto questo allo scopo di conoscere Cristo, la potenza della sua risurrezione, la comunione delle sue sofferenze, divenendo conforme a lui nella sua morte” (Filippesi 3:7-10).

Poi, nella sua lettera agli Efesini, esorta i credenti a rivestirsi di giustizia: “a rivestire l’uomo nuovo che è creato a immagine di Dio nella giustizia e nella santità che procedono dalla verità” (Efesini 4:24).

Ecco come la corazza della giustizia e la cintura della verità sono collegate insieme. La nostra nuova vita consiste nel camminare nella giustizia conosciuta attraverso la verità.

Mettersi la corazza della giustizia vuol dire prima di tutto essere consapevoli che siamo stati dichiarati giusti. È vero che cadiamo ancora nel peccato, ma è altrettanto vero che Dio ci reputa giusti perché non facciamo affidamento sulla nostra bontà o bravura per essere salvati, ma crediamo in Cristo che ha pienamente compiuto ogni cosa per la nostra eterna salvezza. 

A causa del cambiamento che Dio ha fatto in noi, siamo ora resi capaci di fare azioni giuste che onorano Dio, mentre quelle di prima erano solo panni sporchi ai suoi occhi.

La corazza della giustizia è una protezione attiva anche per il fatto che, vivere con un comportamento che segue la giustizia di Dio, ci rende sempre più capaci di capire chiaramente la differenza tra il bene e il male, il giusto e lo sbagliato. Questo ci fa maturare nella nostra fede, e contribuisce a proteggerci contro le insidie e le menzogne del diavolo. Chi invece si adagia senza impegnarsi nel ricercare la giustizia di Cristo, si rende facile preda di dubbi, menzogne e false dottrine.

La battaglia in cui siamo coinvolti è reale! L’obiettivo del nemico è quello di frenare la nostra crescita spirituale, la nostra vita attiva nella chiesa e la nostra testimonianza. Senza la cintura della verità e la corazza della giustizia siamo destinati a cadere miseramente. 

In confronto, un esame fallito in latino è una passeggiata.

Davide Standridge 

Sia Dio riconosciuto giusto

" Un pizzico di sale..." Ristampa della VOCE, maggio 1965

“Così portarono Acan in una valle, lo lapidarono insieme con la sua famiglia e poi lo coprirono con un mucchio di pietre per ricordare a tutti quanto è terribile il peccato della disubbidienza a Dio.” 

Mamma finì di raccontare la storia dell’Israelita ribelle che aveva portato l’interdetto nel campo ebreo (Giosuè 7) e i bambini rimasero assorti e pensierosi. 

“Ma perchè Dio non uccide anche noi quando disubbidiamo?” chiese Davide mettendosi a sedere sul letto. Deborah lo guardò preoccupata.

“Dio fa le cose diversamente, ora. Invece di punire subito, mostra pazienza e aspetta che le persone si pentano e chiedano perdono” spiegò Mamma. 

“Ma, allora, Dio non è giusto. Se si punisce una volta, si deve punire sempre.” 

“No, questo non è vero” continuò Mamma. “Anche Papà e io certe volte abbiamo pazienza e diciamo che vi daremo il castigo solo se rifarete una certa cosa cattiva. Ora state molto attenti, perchè sono cose difficili a capire, ma cercherò di spiegarvele bene.” 

Tutti si misero con le orecchie dritte per non perdere niente, salvo Stefanino che di problemi di alta teologia non si preoccupa ancora. 

“Dio è sempre lo stesso. È buono, cioè ci vuole bene, è giusto, cioè non fa sbagli, ed è santo.”

“Cioè non ha peccato” concluse Daniele. 

“Allora: Dio ha sempre voluto bene al suo popolo, e non ha mai approvato il peccato e non ha mai fatto sbagli nel punirlo. Nei tempi antichi ha scelto gli Ebrei perchè fossero un esempio per i pagani. Li curava, li aiutava e li puniva quando facevano male. Se avesse lasciato che Acan rubasse senza punirlo, gli altri avrebbero detto: «Allora, vuol dire che si può rubare se Dio non ci castiga!» e sarebbero diventati un popolo di ladri, anziché essere il popolo di Dio. Così Dio doveva punire appena qualche cosa di brutto succedeva. Sapete che anche i figli ribelli dovevano essere uccisi a pietrate?” 

Gli occhi di Daniele quasi cascarono fuori dalle orbite. 

“Poi, però, siccome la gente brava e santa non ci sapeva stare, Dio ha deciso di fare in un altro modo: ha mandato Gesù per salvare gli uomini e ha deciso di avere pazienza e di aspettare che la gente si convertisse a Lui. Però dice chiaramente che quelli che non credono in Cristo in questa vita dovranno andare all’inferno.”

“Tu spieghi molto bene” commentò Deborah. 

“Ma io non capisco ancora una cosa. Perchè Acan è dovuto andare all’inferno e ora la gente può avere il tempo di chiedere perdono. Non è mica giusto, vero?” chiese Davide. 

“La Bibbia ci fa capire che Acan ha riconosciuto il suo peccato ed è possibile che abbia chiesto perdono a Dio mentre camminava verso la valle per essere ucciso. Se lo ha fatto, la sua anima è stata salvata. Ed è la cosa che importa di più.” 

“Se è così, va bene” disse Davide rassicurato. 

“Ma a me piace di più come Dio fa adesso” sbadigliò Daniele, infilandosi sotto le coperte. 

“Buona notte, Mamma.” 

Mamma spense la luce e si allontanò per il corridoio lasciando la porta socchiusa. 

“E poi dicono che i bambini di sette anni non si pongono dei problemi...” pensò. “Chissà se anche l’apostolo Pietro non ci ha pensato quando scrisse che dobbiamo sempre essere pronti a rendere ragione della nostra fede a chiunque ce lo chiede?”

Maria Teresa Standridge

La VOCE gennaio 2022

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Un pizzico di sale "Cani ai guinzagli divini" 


Come si prospetta il 2022 appena cominciato? Sarà un altro anno sotto scacco del Covid e di altre sue varianti? Un altro anno di incertezze sul lavoro, la scuola e la salute?

Dai discorsi che sento, è evidente che la gente ha ancora molta paura.

Alcuni hanno talmente paura di contagiarsi che vanno oltre ogni minima prescrizione e raccomandazione delle autorità sanitarie. Altri fanno tutto l’opposto, perché temono di più le possibili conseguenze del vaccino o anche l’intrusione del governo nella vita privata.

A parte la pandemia che ha colpito il mondo intero, in Italia, secondo un’indagine Istat, 444.000 persone hanno perso il lavoro nel 2020.
Dall’inizio di quest’anno a fine agosto si contano 413 suicidi e 348 tentativi.
Dal 1° gennaio al 30 settembre, sulle strade della Capitale, la Polizia Locale è intervenuta per i rilievi di 19.139 incidenti.

Bastano questi tre dati rilevati a presentare un quadro tetro e triste, ma reale. La vita è piena di incognite ed eventi sui quali non abbiamo nessun controllo, che possono contribuire a creare un’atmosfera di paura nella vita delle persone. 

Vivere nella paura non è di certo salutare, ma è anche vero che non avere paura di niente è da incoscienti!

Dove si trova l’equilibrio tra questi due poli opposti? 
La paura è giustificata oppure quando ho paura sto peccando?

Per alcuni versi la paura è un dono di Dio. Infatti, siamo stati creati capaci di provarla perché fossimo allarmati sui pericoli, ma anche saggi nelle nostre scelte.

Qualche esempio. Vedere per strada qualcuno che inizia a sparare, ci porta immediatamente a nasconderci e metterci in salvo. È ovvio, giusto e sarebbe folle non farlo.

È prudente guardare in tutte e due le direzioni prima di attraversare la strada per non essere investiti.

Ed è un segno di saggezza pagare l’assicurazione dell’auto per non dover sborsare di tasca nostra somme esorbitanti in caso d’incidente.

Ma è un danno grave se la nostra vita è condizionata dall’ansia, perché la paura quando è esagerata, costante e non ha la funzione prevista da Dio, ci fa perdere di vista Lui e la sua sovranità.

La paura è entrata nel mondo con la caduta di Adamo ed Eva, diventando la compagna di vita dell’uomo. All’improvviso l’uomo aveva cominciato ad avere paura di Dio, del giudizio degli altri, delle circostanze, del futuro, della morte… Una cappa di paura è scesa sull’umanità. 

Temere la morte e le conseguenze del peccato, però, non è esagerazione, anzi. Infatti non solo è giusto, ma è qualcosa che dovremmo augurare a tutti, perché “il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore” (Romani 6:23).

La Bibbia attesta chiaramente che “è stabilito che gli uomini muoiano una volta sola, dopo di che viene il giudizio” (Ebrei 9:27).

La maggior parte delle persone fa di tutto per sopprimere queste verità. Perciò l’Apostolo Paolo ha scritto in Romani 1:18 che “l’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ingiustizia degli uomini che soffocano la verità con l’ingiustizia.”

Gli uomini cercano di intorbidire la loro consapevolezza dell’esistenza di Dio e della sua giustizia con pensieri, parole e atti ingiusti. Esorcizzano le loro paure esistenziali creando falsi dèi simili a loro, che non gli fanno paura. 

Invece è giusto, e addirittura salutare per il corpo (Proverbi 3:7,8), temere il vero Dio, ma non fare come Adamo ed Eva che pensavano di potersi nascondere tra i cespugli dopo aver peccato.

Esiste però anche una paura malsana, opposta a quel “dispositivo di sicurezza” progettato da Dio, perché è una delle terribili conseguenze del peccato di Adamo. 

È una paura che non aiuta a vivere meglio, non avvicina l’uomo a Dio, non lo rende più avveduto. Al contrario, lo rende ansioso e lo paralizza al punto di non riuscire a reagire correttamente a ciò lo terrorizza, rendendo la sua vita terribile. 

Nessun figlio di Dio dovrebbe cadere vittima di questo tipo di paura. Dalla Genesi fino all’Apocalisse, infatti, volta dopo volta Dio ripete: “Non temere!”

Nel solo libro di Isaia, dal capitolo 40 al 54, lo ribadisce per ben dieci volte al popolo d’Israele terrorizzato da quello che avrebbe dovuto affrontare di lì a poco. Il Signore gli vuole ricordare verità importanti per rassicurarlo, dicendogli: “Tu, non temere, perché io sono con te; non ti smarrire, perché io sono il tuo Dio; io ti fortifico, io ti soccorro, io ti sostengo con la destra della mia giustizia” (Isaia 41:10).

Mentre è vero che bisogna fare molta attenzione a non applicare a noi indistintamente qualunque promessa fatta a Israele (perché la chiesa non ha sostituito Israele nel piano di Dio), ci sono verità eterne per le quali è giusto pensare che queste parole bellissime di Isaia si possano applicare anche ai credenti di oggi. 

Per esempio, all’inizio del capitolo 41 di Isaia, Dio afferma la sua sovrana onnipotenza sulle nazioni e su ogni cosa che accade nell’universo. 

Poi, nei versetti 8 e 9, rivolgendosi direttamente a Israele, dice che lo ha scelto e che questi è il suo servo. 

Sappiamo che il Signore, ancora oggi, ha il totale controllo su tutto. Non accade nulla che sia al di là del suo potere e della sua conoscenza. Gesù ha precisato che nemmeno un passero cade in terra senza che Dio lo sappia e che l’abbia permesso. Nulla è quindi cambiato dai giorni di Isaia fino ai giorni nostri: Dio rimane onnipotente e sovrano eternamente. 

Come per Israele, scelto da Dio come suo tesoro particolare tra le nazioni, ci sono tanti versetti nel Nuovo Testamento che affermano similmente che Dio sceglie i credenti di oggi, e che anche loro sono suoi.

Nel versetto di Isaia, Dio chiama Israele suo servo. È stato un servo tutt’altro che perfetto, perché spesso si è allontanato da Lui, ma un giorno, nel regno di mille anni di Cristo, Israele redento svolgerà di nuovo il suo ruolo glorioso di servo dell’Altissimo. 

Nel Nuovo Testamento i credenti sono chiamati servi di Cristo. Più precisamente, schiavi di Cristo.  A volte dimentichiamo che siamo stati comprati a caro prezzo, che siamo sua proprietà. 

Ma prima di pensare che l’essere proprietà di Cristo sia una cosa negativa, soffermiamoci a considerare il fatto che siamo stati comprati a caro prezzo. 

Paolo scrive: “Infatti, mentre noi eravamo ancora senza forza, Cristo, a suo tempo, è morto per gli empi. Difficilmente uno morirebbe per un giusto; ma forse per una persona buona qualcuno avrebbe il coraggio di morire; Dio invece mostra la grandezza del proprio amore per noi in questo: che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. Tanto più, dunque, essendo ora giustificati per il suo sangue, saremo per mezzo di lui salvati dall’ira. Se infatti, mentre eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio mediante la morte del Figlio suo, tanto più ora, che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita” (Romani 5:6-10).

Il prezzo altissimo che Dio ha pagato per la nostra salvezza dimostra il valore che abbiamo ai suoi occhi. Era ciò che Gesù ha voluto insegnare quando paragonò i discepoli all’uccellino che cade: “Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre. Non valete voi molto più di loro?” (Matteo 6:26).

Chiarito questo, non è affatto sbagliato che i figli di Dio siano incoraggiati dalle parole di Isaia a Israele; Dio rivolge la stessa esortazione anche a noi: “Tu, non temere, perché io sono con te; non ti smarrire, perché io sono il tuo Dio; io ti fortifico, io ti soccorro, io ti sostengo con la destra della mia giustizia” (Isaia 41:10).

Le affermazioni di questo versetto sono dei punti cardine che dovrebbero accompagnarci nell’affrontare i problemi e le vicissitudini di tutti i giorni.

Tu, non temere, perché io sono con te

La prima cosa che Dio vuole che tu capisca è che sei tu il destinatario del suo messaggio. “Tu” è un pronome personale, come se stesse dicendo queste cose direttamente a te.

La seconda cosa che Dio desidera che tu sappia è che Egli conosce e comprende le tue debolezze. “Non temere” implica che Lui sa che tendi a temere. È una tendenza umana, e abbiamo visto che a volte ci sono motivi validi per provare timore. 

La domanda che ci dobbiamo porre, però, è quanto tempo permettiamo che duri la nostra paura. Forse troppo a lungo?

Ogni preoccupazione nasce da circostanze avverse, e se non sappiamo affrontare i problemi, non ci vorrà molto prima che il sentirci sempre in ansia diventi un’abitudine, vivendolo alla fine come uno stato emotivo normale. La consapevolezza della presenza di Dio nella nostra vita – “io sono con te” – deve prendere il posto della nostra abitudine all’ansia, e dissolvere questo debilitante stato emotivo. O quantomeno ridimensionarlo.

Il Signore, infatti, non dice “non avere paura quando sono con te”, ma “non avere paura perché io sono con te.” 

È un’affermazione che ha dell’incredibile. Dio non è come un’ambulanza che viene solo se chiamata in soccorso. Lui è sempre con noi!

È la stessa verità che troviamo nel Salmo 23 al versetto 4: “Quand’anche camminassi nella valle dell’ombra della morte, io non temerei alcun male, perché tu sei con me; il tuo bastone e la tua verga mi danno sicurezza.”

Perfino davanti alla morte la presenza di Dio mi dà tutto ciò di cui ho bisogno per dissolvere ogni mia paura.

Egli ha tutti gli strumenti necessari per proteggermi e accompagnarmi nelle difficoltà reali della vita. Infatti, il primo punto cardine che dobbiamo ricordare è che la presenza e la cura attenta di Dio sono l’antidoto alle mie paure.

Non ti smarrire, perché io sono il tuo Dio

Nel versetto 10, il Signore mostra altre ragioni per non permettere che le nostre paure ci condizionino la vita. 

Non a caso ci comanda di non smarrirci, perché la paura produce disorientamento. Perdiamo di vista i nostri punti di riferimento, e non siamo più capaci di discernere dove andare o cosa fare.

Ci riflettiamo, ci documentiamo, ma spesso le scelte sembrano troppo difficili, lasciandoci frustrati e confusi. 

Ecco, allora, la chiave per uscire dalla confusione: Dio deve essere continuamente il nostro punto fermo. Infatti, proprio perché è immutabile Lui è l’unico punto di riferimento sicuro. 

Ma in pratica, che devo fare per avere Dio come mio punto di riferimento?

Ce lo spiega Giacomo nel suo discorso su come reagire alle prove: “Se poi qualcuno di voi manca di saggezza, la chieda a Dio che dona a tutti generosamente senza rinfacciare, e gli sarà data. Ma la chieda con fede, senza dubitare; perché chi dubita rassomiglia a un’onda del mare, agitata dal vento e spinta qua e là. Un tale uomo non pensi di ricevere qualcosa dal Signore, perché è di animo doppio, instabile in tutte le sue vie” (Giacomo 1:5-7).

Quando cominciamo sentirci smarriti abbiamo un secondo punto di riferimento infallibile che è la Parola scritta di Dio. 

Chiedere con fede vuol dire avere completa fiducia nelle Sacre Scritture, come Giacomo specifica poi: “Ma mettete in pratica la parola e non ascoltatela soltanto, illudendo voi stessi. Perché, se uno è ascoltatore della parola e non esecutore, è simile a un uomo che guarda la sua faccia naturale in uno specchio; e quando si è guardato se ne va, e subito dimentica com’era” (Giacomo 1:22-24).

Sembra assurdo, ma ci sono credenti che reagiscono male a qualunque cosa affermi la Bibbia. “Si è vero, ma la mia situazione è difficile… ma le mie circostanze sono diverse… Sì, Dio, lo so che devo avere fede, ma…!” Rifiutano in partenza la soluzione ai loro problemi.

Ma allora il Creatore di ogni cosa, l’IO SONO, è veramente il nostro Dio? Purtroppo per molte persone (troppe!) non è così, e hanno tanti altri dèi, fallibili, instabili, falsi. E può succedere anche ai credenti di essere tentati di seguire i propri desideri, restare ancorati alle proprie opinioni e preferire autorità diverse da Dio. 

La Bibbia insegna che è giusto che la nostra fede sia messa alla prova, il che serve per dimostrarne la genuinità. 

Se Dio non è davvero il mio pastore, le parole “Il Signore è il mio pastore: nulla mi manca” si riducono solo una bellissima frase, senza nessun riscontro reale. Al contrario, se mi fido di Lui, se continuo a seguirlo pur non capendo tutto, sarò disposto a ubbidirgli anche quando voci contrarie mi spingeranno a non farlo.

Io ti fortifico, io ti soccorro, io ti sostengo con la destra della mia giustizia

Ecco di cosa ho bisogno quando ho paura, quando ho esaurito le mie forze e non ce la faccio più!

Ho bisogno di essere soccorso, tirato fuori dai guai in cui mi sono messo o dalle situazioni che, per colpa di altri, mi stanno sopraffacendo. Ho bisogno di essere fortificato e guidato.

Riconosco che in parte le mie paure nascono dal fatto che vivo in un mondo ingiusto, che si comporta male nei miei confronti, che mi chiede cose sbagliate che Dio non approva. La società è pervasa dall’ingiustizia a tal punto che è molto facile restarne coinvolti, ed è proprio questo che mi atterra e mi spaventa.

Non è un caso che il Signore dica per bocca di Isaia che non devo temere, perché Lui mi sosterrà con la sua giustizia.

La giustizia di Dio trionferà sempre! Quindi, a pensarci bene noi non siamo vittime, perché la potenza di Dio non ha rivali, la sua saggezza non ha limiti e il suo amore per noi non conosce confini, e tutto ciò fa sì che non gli sfugga nulla.

Il problema è piuttosto il fatto che spesso perdiamo di vista il ruolo attivo di Dio nella nostra vita. Attivo, non passivo, né sorpreso dagli eventi o dalle nostre reazioni.

Paolo, che conosceva bene questo problema, pregava che i credenti fossero potentemente fortificati nell’uomo interiore, attraverso una comprensione sempre più grande dell’amore di Dio: “Per questo motivo piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni famiglia nei cieli e sulla terra prende nome, affinché egli vi dia, secondo le ricchezze della sua gloria, di essere potentemente fortificati, mediante lo Spirito suo, nell’uomo interiore, e faccia sì che Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, perché, radicati e fondati nell’amore, siate resi capaci di abbracciare con tutti i santi quale sia la larghezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità dell’amore di Cristo e di conoscere questo amore che sorpassa ogni conoscenza, affinché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio” (Efesini 3:14-19).

La cura di Dio per noi ha come motore e spinta il suo amore, che va oltre quello che possiamo immaginare. Ecco perché, davanti a ciò che sappiamo dalle Scritture, dovremmo imparare a frenare l’impulso di reagire con un MA, e dire piuttosto: Dio mi aMA!

Affronterò, per grazia di Dio, le incognite del nuovo anno con la certezza che Dio è con me. Supererò situazioni che non ho mai affrontato prima, convinto dell’aiuto concreto di Dio, che è sufficiente per ogni giorno. Prenderò decisioni più grandi di me, affidandomi alla saggezza che il Signore ha messo a mia disposizione nelle Scritture. 

Non dovrò farmi la strada da solo né appoggiarmi sulla mia intelligenza o forza, perché ho preso sul serio il mio rapporto con Dio: Egli è davvero il mio SIGNORE. Io lo servo senza “se” e senza “ma”, lasciandomi correggere, guidare e incoraggiare dalla sua Parola, in modo che la mia comprensione del suo amore sia più grande e consapevole ogni giorno di più.

Sarà un 2022 “da paura”!                 

Davide Standridge

 


Cani ai guinzagli divini

Era una sirena di pompieri, una macchina che portava qualcuno all’ospedale a che cosa? 

Mamma si svegliò. 

No, era Daniele che urlava. 

Mamma corse a vedere che cosa stesse succedendo. Ci mancava solo che con quelle grida facesse svegliare anche gli altri tre! 

Danielino stava seduto sul letto singhiozzando. La sua era paura. Paura selvaggia. 

Mamma cercò di calmarlo. “Hai male di pancia?” No. “Era un brutto sogno?” Le urla ricominciarono. Chiaro: era un brutto sogno. 

“Ma che c’era nel sogno?” 

“Lì sotto... i cani!”

“Ma va là, sotto il letto non ci sono cani. Non c’è niente!”

Mamma prese Daniele in braccio e gli fece vedere che sotto il letto non c’era nulla. 

“Sono andati via, adesso, mamma?” 

“Non ci sono mai stati. Ora mettiti tranquillo.” 

La sera dopo, prima di coricarsi, Daniele mise sotto il suo letto un bastone con una testa di cavallo in cima. 

“Questo si mette nell’angolo, nella scuderia” disse Mamma. 

“No” protestò Daniele, “lui tiene via i cani.” 

L’idea era decisamente pagana, ma la quiete piace a tutti e Mamma pensò che certe sottigliezze teologiche, in ogni modo, non possono essere afferrate da un bambino di quattro anni. La cosa importante era che tutti dormissero in pace. 

“Va bene, per stasera, ma soprattutto non ci pensare. Vedrai che dormirai bene.” 

Invece i cani, puntualmente, ritornarono per varie notti. 

Di giorno Daniele entrava in camera con fare sospettoso, guardava sotto il letto, parlava di cani. Davide e Deborah un po’ lo ammiravano, un po’ si spaventavano anche loro. 

Una sera, Mamma andò accanto al letto di Daniele (il cavallo era in scuderia, sconfitto) e disse: “Ora chiediamo a Gesù di tenere lontano tutti i cani.” 

“Tutti, mamma?” 

“Tutti.” 

Mamma e Daniele pregarono: “Gesù, per piacere tieni lontano tutti i cani da Daniele e aiutalo a dormire bene. Grazie. Amen.” 

Daniele si mise giù con un sorriso di beatitudine completa e di perfetta tranquillità. 

Mamma, mentre spegneva la luce, chiese a Dio di aiutarla a non dimenticare quel sorriso e quella lezione di fiducia. “La fede è certezza di cose che si sperano...” dice la Bibbia. 

E i cani sono tornati? No. “Gesù li tiene legati”, dice Daniele.

M.T. Standridge, "Un pizzico di sale" ristampa del luglio 1962

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La VOCE dicembre 2021

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Un pizzico di sale "Cuscini, sapone e panna montata" 


Il dono ineffabile

Nessuno sa la data esatta della nascita di Gesù. Forse ha avuto luogo in primavera, forse in autunno. Si sa solo, dal Vangelo di Luca, che è avvenuta nell’anno del censimento ordinato dall’Imperatore Cesare Augusto, al tempo in cui Quirinio governava la Siria.

Dato che non c’è stata mai sicurezza sulla data di nascita di Gesù, la chiesa “ufficiale” ha scelto arbitrariamente la data del 25 dicembre, e attorno a tutto l’evento si è sviluppata una cornice di tradizioni e leggende popolari sdolcinate e quasi strappalacrime. Come il freddo, il gelo, il bue e l’asino, le cornamuse, i presepi. Il tutto accompagnato da cibi speciali. Alberi decorati, luci e comete, luminarie. E chi più ne ha, più ne metta. 

Per reazione a tante tradizioni inventate, alcuni gruppi di evangelici e alcune sette hanno deciso che di Natale non si deve neppure parlare. Così da una esagerazione si è purtroppo caduti facilmente in un’altra.

Sia come sia, il fatto unico, reale e straordinario che Dio si è incarnato miracolosamente nel corpo di Maria, si è sviluppato in lei come qualsiasi altro feto ed è nato come qualsiasi altro bambino dopo nove mesi di gestazione, rimane. 

La sua data di nascita non è importante. È, però, straordinariamente importante che sia nato!

L’incarnazione  preparata da sempre

Se Gesù non fosse nato, non ci sarebbe salvezza per noi. Lui è venuto per cercare e salvare ciò che era perito e per dare la sua vita per noi, per morire al nostro posto e rendere possibile la riconciliazione fra Dio e gli uomini. 
Se non avesse avuto un corpo umano, non avrebbe potuto morire. 
Se non fosse stato Dio non avrebbe potuto offrire se stesso come sacrificio perfetto.

La venuta di Gesù non è stata un fatto improvviso e imprevisto. Era stata preparata da tutta l’eternità e annunciata da Dio stesso, subito dopo la caduta di Adamo e Eva nel peccato. 

Vari profeti ne hanno parlato attraverso i secoli, indicando con precisione il luogo in cui sarebbe nato, il tipo di morte che avrebbe subito, e il tipo di ministero che avrebbe esercitato.

Isaia, vissuto circa 800 anni prima della nascita di Gesù, nel capitolo 9 del suo libro, per ispirazione di Dio, ha scritto una delle profezie più belle, più complete e più dettagliate sul carattere del “Bambino”, Figlio di Dio, che sarebbe nato e sulle prerogative che avrebbe avuto. Parleremo su ognuna di esse!

Il momento storico in cui Isaia pronunciò questa profezia era difficile, come è difficile quello in cui noi viviamo. Il peccato dilagava in Israele e il popolo viveva lontano da Dio esattamente come succede oggi da noi. Il giudizio di Dio sul peccato si stava avvicinando, come Dio afferma che succede anche oggi. Le tenebre spirituali erano pesanti come accade oggi fra la gente che pensa a tutto fuorché a Dio. 

Ma la speranza di un Messia liberatore persisteva. Perciò il profeta annunciava che “Il popolo che camminava nelle tenebre vede una gran luce; su quelli che abitavano il paese nell’ombra della morte la luce risplende” (Isaia 9:1). 

Stava per nascere un Liberatore. 

Come poteva usare il verbo al presente otto secoli prima dell’avvenimento? 

Per Dio il tempo, come lo intendiamo noi, calcolato in anni, mesi, giorni, ore e minuti, non esiste. Quello che per noi è un secolo, per Lui è un istante. Egli vive in un eterno presente. 

Perciò, anche se Gesù sarebbe nato sulla terra molto tempo dopo, Dio poteva già dire con chiarezza: “Un bambino ci è nato… la luce risplende… il popolo vede una gran luce.” 

Noi viviamo dopo l’adempimento di questa profezia e possiamo constatarne l’assoluta esattezza. 

Gesù è venuto come luce del mondo, ha portato la salvezza.

Ma, nonostante questa nostra posizione privilegiata, conosciamo davvero e esperimentiamo  personalmente il Salvatore che è nato, è vissuto come un uomo qualsiasi, è morto per la nostra salvezza, è risuscitato trionfante sulla morte per darci la vita eterna?

Spero di sì. In ogni modo, meditare sulla descrizione del Bambino annunciato da Isaia, ci aiuterà a godere più che mai la bellezza e l’importanza della sua nascita. 

Un bambino ci è nato 

Sull’infanzia di Gesù, i Vangeli dicono ben poco. Tutto quello che si sa è che è nato a Betlemme, è stato circonciso quando aveva otto giorni, come prescriveva la legge di Mosè, è andato in Egitto con Giuseppe e Maria, per sfuggire a quella che poi è stata chiamata “la strage degli innocenti”, voluta da Erode, il quale voleva sbarazzarsi di un possibile contendente al trono.

Si sa che Gesù è cresciuto come un bambino qualsiasi, che è vissuto a Nazaret e che a 12 anni è andato a Gerusalemme e ha avuto un incontro molto interessante con i dottori della legge nel tempio. Che fino all’età di 30 anni è stato considerato solamente “il figlio del falegname”, che aveva fratelli e sorelle e che era ubbidiente a Dio e ai genitori terreni. 

Isaia 9:5 dice: Un bambino ci è nato.”

Il Signore Gesù era maschio e anche questo ha un peso. 

Il primo uomo creato da Dio, Adamo, ha peccato e, a causa della sua disubbidienza all’ordine di Dio, “Il peccato è entrato nel mondo, e per mezzo del peccato la morte. Così la morte è passata su tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato” spiega l’Apostolo Paolo nella sua lettera ai Romani (5:12). 

Dopo il peccato di Adamo, era necessario che un altro uomo diventasse un salvatore, “perché se per la trasgressione di uno solo molti sono morti, a maggior ragione la grazia di Dio e il dono della grazia proveniente da un solo uomo, Gesù Cristo, sono stati riversati abbondantemente su molti” (5:15). 

Doveva essere, però, un uomo perfetto e assolutamente senza peccato. 

Sempre Paolo afferma ancora: “Come per una sola trasgressione la condanna si è estesa a tutti gli uomini, così pure con un solo atto di giustizia, la giustificazione che dà la vita si è estesa a tutti gli uomini… affinché come il peccato regnò mediante la morte, così pure la grazia regni mediante la giustizia a vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore” (5:18,21). 

Non potrebbe essere più chiaro: il primo uomo, Adamo, è stato lo strumento che ha portato la morte e il peccato nella razza umana. Un secondo uomo, perfetto, il Figlio di Dio, Gesù Cristo, è stato lo strumento per portare la grazia e la vita alla razza umana decaduta. 

“Un bambino è nato” precisa ancora Isaia. Gesù era contemporaneamente Dio e uomo. 

Come uomo, ha potuto morire. Come Dio, ha potuto offrirsi come sacrificio perfetto al posto dell’uomo e risuscitare.

Infine, Isaia afferma: “Un bambino ci è nato.” È nato per salvare ogni individuo che compone l’umanità. È nato per te e per me. 

L’opera di salvezza di Gesù ha valore universale, ma deve essere accolta per mezzo della fede da ogni individuo. 

Tu lo hai accolto?

Maria Teresa Standridge

Tratto dal libretto “Un bambino ci è nato”. Vedi la serie "Una settimana con Maria Teresa"


Cuscini, sapone e panna montata

“Presto, vieni a vedere! Corri, corri, Mamma!” 

Mamma stava rientrando con le braccia cariche di spese. Due bottiglie di latte, un sacchetto di patatine novelle, quattro cespi di insalata e un giornale... più i guanti e la borsa. 

Per quello che Mamma ne sapeva, i bambini potevano stare buttandosi giù dal terrazzo, strappando i gerani – gioia e orgoglio di Papà – o pitturando col gesso la biancheria stesa ad asciugare. 

Mamma posò i suoi pacchi e corse a vedere (le patatine corsero allegramente sulla tavola e rimbalzarono sul pavimento). 

Tutto era in ordine e i bambini stavano innocentemente col naso in su a guardare il cielo. Perfino Stefano, dal suo recinto, guardava in alto saltando eccitato. 

“Guarda le nuvole, Mamma!” disse Daniele. 

“Quelle sembrano sapone!” fece eco Davide. 

“No, panna montata” corresse Daniele. 

“Un po’ sporche” commentò Deborah osservandone una leggermente grigia. 

Il cielo era una meraviglia. Azzurro, cupo, come può essere a Roma, con delle immense nuvole bianche, sparse senza economia, che viaggiavano nello spazio. 

“A me piace quella lì, grassa e bianca come un cuscino. Mi piacerebbe che Gesù stesse seduto lì sopra” così lo potrei vedere. Proprio mi piacerebbe” disse Daniele. 

“Gesù sta là sopra, Mamma?” chiese Davide. 

“Sì. Gesù è dappertutto.” 

“Gesù ha fatto le nuvole?” “Sì.” 

“E le tiene appese lassù?” 

“E le fa camminare?” 

“Sì, e un giorno dentro ad una grande nuvola, verrà a prendere tutti gli uomini, le donne e i bambini col cuore bianco e pulito.” 

Davide, Daniele e Deborah rimasero ancora un momento a guardare. 

“Il Signore stesso, con potente grido, con voce d'arcangelo e con tromba di Dio, scenderà dal cielo, e i morti in Cristo risusciteranno i primi; poi noi viventi, che saremo rimasti, verremo, insieme con loro rapiti sulle nuvole, a incontrare il Signore nell'aria; e così saremo sempre col Signore” pensò Mamma, mentre cominciava a preparare il pranzo e a dare la caccia alle patatine sparse sul pavimento.

M.T. Standridge, "Un pizzico di sale" ristampa del luglio 1962

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La VOCE aprile 2021

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Un pizzico di sale 


Se tu potessi esprimere tre desideri che certamente si avvereranno, cosa chiederesti?

Aladdin, nel celebre film d’animazione, ebbe questa incredibile occasione grazie al Genio della lampada magica di cui era venuto in possesso. Al posto suo, con la mente di un bambino, qualcuno avrebbe desiderato far comparire un giocattolo straordinario o diventare grande all’istante, o magari non avere più i compiti da fare… Onestamente non riesco proprio a immaginare cosa avrei chiesto io. 

L’idea di desiderare qualcosa che poi si avvererà ha ispirato molti film in cui adolescenti, e pure adulti, passano gran parte del tempo a cercare di annullare gli effetti disastrosi della loro fantasia realizzata.

Crescendo i nostri gusti sono ovviamente cambiati, e oggi, alla mia età saprei cosa chiedere. 

E mi auguro che, messo alle strette da un’occasione tanto unica (solo tre desideri!) sarei anche altruista nelle mie richieste, e spero pure totalmente spirituale. 

“Aladino e la lampada magica” è solo una favola, ma c’è stato un uomo che veramente ha avuto la possibilità di chiedere a Dio ciò che voleva, ed Egli glielo concesse. 

Quell’uomo era Salomone il quale, davanti a quell’incredibile opportunità, chiese un cuore intelligente. Dio gli rispose al di là della sua richiesta, facendo di lui l’uomo più saggio che sia mai esistito (1 Re 3:5-14).

UNA DURA REALTÀ

Socrate ha detto: “Costui crede di sapere mentre non sa; io almeno non so, ma non credo di sapere. Ed è proprio per questa piccola differenza che io sembro di essere più sapiente, perché non credo di sapere quello che non so.”

Un altro pensatore, riflettendo sul fatto che la saggezza si ottiene solo attraverso l’esperienza, ha osservato laconico: “La saggezza ci arriva quando non ci serve più.”

Di fronte a questioni importanti capita spesso di sentire il bisogno di avere più discernimento per fare la scelta giusta, per evitare di peggiorare dei rapporti già in bilico o per raggiungere nuovi obiettivi.

Ma la triste realtà è che molti si atteggiano a saggi senza esserlo, e attirano altri a emulare il loro esempio sbagliato.

Magari fossimo tutti come Salomone che ha saputo chiedere la cosa giusta alla Fonte stessa di ogni scienza e conoscenza! Dio non soltanto lo ha esaudito, ma si è servito di lui per insegnare al mondo in cosa consista la vera saggezza.

È duro da ammettere, ma nessuno nasce saggio, e nessuno lo diventa autonomamente. Abbiamo bisogno di imparare e di essere guidati da qualcuno che lo sia.

Salomone ha fatto un’affermazione colma di verità, spesso ignorata da genitori, e sorprendentemente combattuta da alcuni educatori dalle vedute innovative: “La follia è legata al cuore del bambino, ma la verga della correzione l’allontanerà da lui” (Proverbi 22:15).

Dovrebbe essere ovvio, come dice la Bibbia, che i bambini non sanno distinguere il bene dal male da soli. Hanno bisogno di essere guidati da un adulto. Troppa libertà molto presto nuocerà al bambino, e demolirà quei paletti di protezione di cui ha bisogno per uno sviluppo equilibrato della sua personalità. 

Si comincia quindi senza saggezza, e poi? L’ideale non è quello di lasciare che il bambino faccia tutte le esperienze possibili perché tanto “la vita è una scuola”, ma di aiutarlo a crescere nella saggezza. 

E quando dico “bambino”, intendo ogni uomo e donna. Siamo tutti in qualche misura mancanti in questo ambito. 

Chiunque voglia essere saggio dovrà cominciare con la consapevolezza che non lo è, e che ha bisogno di diventarlo.

Ma è rassicurante il fatto che non dobbiamo ricercare la saggezza come a tastoni o giocando a mosca-cieca, perché Dio ci ha fornito la sua Parola scritta che è certamente punto di partenza e punto di arrivo di questa ricerca. Le Sacre Scritture sono la cartina tornasole per capire cosa sia veramente saggio e cosa no. 

La Bibbia nello spiegare cos’è la saggezza spesso la paragona alla stoltezza, evidenziandone il contrasto. 

Il problema tante volte è che ci avviciniamo agli insegnamenti biblici come se fossero solo dei semplici suggerimenti; siamo d’accordo con quello che leggiamo nelle Scritture, ma poi non facciamo nulla per cambiare né per praticare la saggezza di cui abbiamo appena letto.

Conoscendo la riluttanza umana ad ammettere di dover cambiare, Dio avverte: “Mettete in pratica la parola e non ascoltatela soltanto, illudendo voi stessi. Perché, se uno è ascoltatore della parola e non esecutore, è simile a un uomo che guarda la sua faccia naturale in uno specchio; e quando si è guardato se ne va, e subito dimentica com’era. Ma chi guarda attentamente nella legge perfetta, cioè nella legge della libertà, e in essa persevera, non sarà un ascoltatore smemorato ma uno che la mette in pratica; egli sarà felice nel suo operare” (Giacomo 1:22-25).

Ascoltare senza obbedire non soltanto ci lascia nella nostra stoltezza, ma fa di noi persone che si illudono di essere sagge, perché la verità ascoltata ci tocca soltanto a livello emotivo senza essere assimilata, compresa e accettata con la nostra fede (Matteo 13:20,21; Ebrei 4:2). 

E rischiamo di somigliare a quell’uomo di cui la grande Mina cantava tanti anni fa: “Parole, parole, parole… Non cambi mai.” 

Ci sono troppi credenti nella chiesa che, anche dopo anni d’istruzione attraverso la Parola di Dio, cambiano poco o niente. 

E peggio ancora, il Signore stesso potrebbe essere costretto a  riprenderci come ha fatto con Israele: “…questo popolo si avvicina a me con la bocca e mi onora con le labbra, mentre il suo cuore è lontano da me…” (Isaia 29:13).

UN ETTO DI GIOIA

Nel mio ufficio ho ancora la bilancia con cui i miei genitori ci pesavano da bambini. Per i neo-genitori tenere sotto controllo il peso del loro bimbo appena nato è emozionate. Bastano 100 grammi per rendere felice la mamma, ma è sufficiente anche poco per allarmarla. La crescita fa parte della vita ed è importante.

E tu, sei felice quando vedi il progresso spirituale di qualcuno? Ti ricordi l’ultima volta che hai gioito per questo?

Come mai in chiesa non ci preoccupiamo se c’è mancanza di crescita in noi e nei nostri fratelli? Perché nessuno si allarma per i credenti che non sembrano migliorare nella vera saggezza?

Non è mica normale restare sempre uguali, e non mostrare segni di crescita e maturità!

È pericoloso pensare che si possa avere un rapporto autentico con Dio senza dover crescere nella sua conoscenza, nell’amore, nella fede e nell’ubbidienza (leggi: nella vera saggezza). 

Gesù ha avvertito che nel giorno del giudizio ci saranno persone che pensano di avere avuto un rapporto con Dio, ma gli sentiranno pronunciare questa frase: “Io non vi ho mai conosciuti.” 

Il Signore, però, non ci ha lasciati nell’ignoranza ad aspettare l’eventuale brutta sorpresa; ci ha dato piuttosto una chiave per valutare il nostro progresso spirituale: “Ogni albero che non fa buon frutto è tagliato e gettato nel fuoco. Li riconoscerete dunque dai loro frutti” (Matteo 7:19,20).

La mancanza di buoni frutti, quelli della crescita, deve allarmare chiunque si professi credente!

Questi frutti sono gli effetti evidenti di un cambiamento nella vita del credente: l’amore per le cose di Dio, un attaccamento maggiore alla Parola di Dio, la voglia di metterla in pratica e l’odio verso il peccato.

Ma da dove cominciare per cambiare rotta e finalmente portare questi buoni frutti?

SULLA LINEA DI PARTENZA

Salomone dice: “Il principio della saggezza è il timore del SIGNORE, e conoscere il Santo è l’intelligenza” (Proverbi 9:10). 

Il concetto è chiaro: non c’è saggezza senza un rapporto col Signore, e non c’è un rapporto vero con Lui se ci si ostina a continuare a comportarsi da stolti.

Ma il tempo da solo, né le esperienze della vita, né le sofferenze benché tutto ciò contribuisca a modellare l’uomo, non ci renderanno saggi perché la saggezza viene da Dio. 

L’Apostolo Paolo afferma: “Nessuno s’inganni. Se qualcuno tra di voi presume di essere un saggio in questo secolo, diventi pazzo per diventare saggio; perché la sapienza di questo mondo è pazzia davanti a Dio. Infatti, è scritto: «Egli prende i sapienti nella loro astuzia»; e altrove: «Il Signore conosce i pensieri dei sapienti; sa che sono vani»” (1 Corinzi 3:18-20).

Tra i credenti, particolarmente tra gli uomini, c’è chi è convinto che la responsabilità primaria sia quella di lavorare per provvedere alla famiglia, cosa verissima, dimenticando però che aiutare i propri cari a crescere nella fede e nella conoscenza di Dio è cosa più importante e necessaria.

Possiamo sentirci incapaci o inadeguati davanti a questa grande responsabilità, ma Giacomo ci rassicura: “Se poi qualcuno di voi manca di saggezza, la chieda a Dio che dona a tutti generosamente senza rinfacciare, e gli sarà data. Ma la chieda con fede, senza dubitare; perché chi dubita rassomiglia a un’onda del mare, agitata dal vento e spinta qua e là. Un tale uomo non pensi di ricevere qualcosa dal Signore, perché è di animo doppio, instabile in tutte le sue vie” (Giacomo 1:5-8).

E Salomone dice: “Il SIGNORE infatti dà la saggezza; dalla sua bocca provengono la scienza e l’intelligenza” (Proverbi 2:6).

Dio ha piacere di donare saggezza, e non vede l’ora di farlo. Ma si aspetta da parte nostra serietà e disciplina. 

È per questo che nella lettera di Giacomo la richiesta di saggezza precede l’ammonimento ad ascoltare e a mettere in pratica la Parola di Dio. 

Cosa vuol dire in parole povere?

IMPARARE A… IMPARARE

Prima di tutto abbiamo bisogno di curare la nostra lettura e meditazione personale della Parola di Dio. Questo è il punto di partenza. 

Se abbiamo bisogno di un suggerimento esistono ottimi piani e schemi di lettura giornaliera che possiamo seguire. Basta digitare su Google “piano di lettura della Bibbia” e avremo solo l’imbarazzo della scelta. 

Se siamo credenti e non abbiamo il desiderio di leggere la Bibbia dovremmo preoccuparci. L’Apostolo Pietro scrive che ogni credente, quando lo è veramente, ha fame della Parola di Dio (1 Pietro 2:1,2). 

Solo attraverso la Bibbia possiamo sperare di ottenere saggezza, ma questa ricerca deve essere voluta e perseguita intenzionalmente e con costanza.

In questo è fondamentale la scelta della chiesa che si intende frequentare. Ricevere un insegnamento biblico accurato, sistematico e chiaro deve essere una priorità per ogni cristiano, anche se fosse necessario dover impiegare più tempo per raggiungere la chiesa ogni domenica. 

È ovvio che anche il modo in cui si ascolta fa una grande differenza. 

Per esempio, prendere appunti durante la spiegazione della Parola di Dio, per poi ripassare durante la settimana ciò che abbiamo ascoltato, aumenta la capacità di apprendere. In questo gli uomini hanno qualcosa da imparare dalle donne che lo fanno con molta più disciplina. 

Come sarebbero diverse le nostre chiese se ognuno ricercasse la saggezza e la crescita personale insieme a quella della comunità intera! Infatti Giacomo scrive: “La saggezza che viene dall’alto, anzitutto è pura; poi pacifica, mite, conciliante, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale, senza ipocrisia” (Giacomo 3:17). Immagina che bello sarebbe essere circondati da persone sagge, che vivono la loro vita di credenti senza ipocrisia, nella pace e portando frutti alla gloria di Dio.

TUTTO È COLLEGATO

Fin qui abbiamo parlato della saggezza, ma è ovvio che ci sono altre richieste che un cristiano dovrebbe fare a Dio, come per esempio imitare i discepoli che hanno chiesto a Gesù: “Aumentaci la fede!” (Luca17:4).

Senza fede è impossibile conoscere Dio perché è impossibile piacergli se non si crede a ciò che dice (Ebrei 11:6). 

La fede ci predispone a ricevere con il giusto atteggiamento quello che la Bibbia afferma, ci fa capire che essa è utile, e che metterla in pratica è la cosa migliore da fare.

La fede è necessaria anche per la nostra testimonianza. Sarebbe un controsenso affermare di credere in Cristo e vivere con le stesse reazioni, paure e ansie di coloro che non ci credono. Cosa vedono i nostri famigliari, i colleghi e i vicini quando ci osservano?

Paolo ha detto che la fede viene dall’udire la Parola di Dio. Infatti è tutto collegato: mentre stiamo crescendo in saggezza attraverso la Parola di Dio cresciamo anche nella fede! E più questa aumenta, più ci fidiamo delle Scritture, e più acquistiamo la vera saggezza. 

Quando preghiamo per avere più fede faremmo bene a pregare anche per gli altri credenti che fanno parte della nostra vita, come faceva l’Apostolo Paolo: “Per questo motivo piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni famiglia nei cieli e sulla terra prende nome, affinché egli vi dia, secondo le ricchezze della sua gloria, di essere potentemente fortificati, mediante lo Spirito suo, nell’uomo interiore, e faccia sì che Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, perché, radicati e fondati nell’amore, siate resi capaci di abbracciare con tutti i santi quale sia la larghezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità dell’amore di Cristo e di conoscere questo amore che sorpassa ogni conoscenza, affinché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio” (Efesini 3:14-19).

UN TRITTICO POTENTE

Non voglio certo rifarmi al racconto della lampada di Aladino, ma c’è una terza richiesta fondamentale che il credente dovrebbe fare, che è questa: “Signore dacci più amore verso Dio, verso i fratelli, verso le nostre famiglie; insegnaci ad amare di più e meglio!”

Paolo pregava così per i credenti di Filippi: “Prego che il vostro amore abbondi sempre più in conoscenza e in ogni discernimento, perché possiate apprezzare le cose migliori, affinché siate limpidi e irreprensibili per il giorno di Cristo, ricolmi di frutti di giustizia che si hanno per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio” (Filippesi 1:9-11).

Anche qui c’entra la saggezza: unita all’amore e guidata da esso, la saggezza ci rende in grado di scegliere le cose migliori e, di conseguenza, saremo irreprensibili e ricolmi di frutti di giustizia prodotti da Gesù in noi.

E c’entra anche la Parola di Dio, perché il nostro amore è stimolato dalla comprensione dell’amore di Dio per gli uomini attraverso lo studio della Bibbia.

Come sarebbe bello se avessimo anche noi la reputazione dei credenti di Tessalonica: “Noi dobbiamo sempre ringraziare Dio per voi, fratelli, com’è giusto, perché la vostra fede cresce in modo eccellente, e l’amore di ciascuno di voi tutti per gli altri abbonda sempre di più” (2 Tessalonicesi 1:3). Gesù, infatti, ha detto che saremo riconosciuti come suoi discepoli per l’amore che c’è fra di noi. 

Saggezza, fede e amore: ecco le tre cose da chiedere al Signore.

La Bibbia però non è come il Genio della lampada di Aladino che esaudiva qualunque richiesta anche assurda all’istante. 

La Parola di Dio piuttosto ci informa e può istruirci, e tocca a noi studiarla con diligenza e costanza per applicarla alla nostra vita. 

Non ti accontentare! Se non stai crescendo è tempo di cambiare. Comincia con dei piccoli passi, ma con determinazione e nella direzione giusta. 

Questo mese ti proponiamo alcuni strumenti utili per questo, ma ricordati che la tua crescita comincia con la tua lettura personale della Parola di Dio e con la tua partecipazione attiva alla vita nella tua chiesa.

—D.S.


L'ecolibro e L'autoparlante

“Per piacere, Mamma, proprio per piacere, facci stare tutto il giorno alzati (il che nel loro gergo significa: Non farci fare il pisolino). Staremo buonissimi perché abbiamo un bellissimo progetto. Basta che tu metta a letto Stefanino.”

Gli occhi di Davide erano così imploranti, quelli di Daniele così supplichevoli e quelli di Deborah così onesti che Mamma acconsentì. 

“Ma guardate, ho da fare un lavoro importante, per cui non devo essere disturbata né interrotta. Perciò conto proprio sulla vostra collaborazione.” 

“Che è la collaborazione?” chiese Daniele che vuole essere sempre sicuro di capire tutti i termini dei… contratti. 

“Vuoi dire non disturbarmi e fare esattamente quello che vi dico di fare.” 

“Va bene.” 

Davide si attaccò al collo di Mamma: “Tu sei la Mamma più brava del mondo!” 

Stefanino se ne andò pacificamente a letto e dopo pochi minuti dormiva con una mano sul cuore mentre con l’altra stringeva una macchinina di plastica, gioia e delizia della giornata. 

Gli altri tre si eclissarono. 

Mamma sedette alla scrivania. Doveva finire una traduzione e correggere delle bozze. Il tipografo le aspettava per l’indomani mattina. 

Dalla stanza dei bambini venivano voci serafiche. Mamma si ingolfò in alcune frasi astruse e poco chiare di uno scrittore inglese, che le diedero del filo da torcere per una buona mezz’ora. 

Ad un tratto, uno scroscio di cocci, di ferraglia e di rottami interruppe la pace. 

“Che succede?”

Daniele era mezzo sepolto sotto una valanga di stracci e pezzi di legno. “È stato Davide che mi ha fatto perdere l’ecolibro!” 

“Ma Deborah mi aveva spinto!” 

“Si può sapere che cosa volevate fare?” 

“Facevamo la conferenza” spiegò Daniele riemergendo dai rottami e spolverandosi i pantaloni. 

“E l’imbuto a che cosa serviva?” 

“Era l’autoparlante.” 

“E questo vecchio tubo del gas?” 

“Il filo dell’autoparlante.” 

“E il bicchiere che si è rotto era per bere durante il discorso…” spiegò ancora Daniele. 

“E il cassetto dell’armadio a che cosa serviva?” chiese Mamma. 

“Era il pulpito, no?” 

Mamma fu comprensiva. “Beh, ora mettete tutto a posto e fate qualche cosa di più calmo.” 

“Ma che cosa possiamo fare?” 

“Ci annoiamo sempre.” 

“Quando ci dai la merenda?”

“Ci puoi aiutare a pitturare con gli acquerelli?” 

“Ascoltatemi,” disse Mamma, “mi avete promesso di non disturbarmi. Ora vi do un po’ di merenda e poi vi mettete a giocare a scuola. Deborah fa la maestra e voi siete gli scolari. O forse Davide è lo scolaro e Daniele è il signor Direttore…” 

“E va bene…”

Mamma tornò alla traduzione, ma per poco tempo. Deborah ora stava gridando a pieni polmoni che Davide le aveva dato un pizzicotto e le faceva i dispetti. 

“Se non state buoni, vi do una sculacciata come non l’avete avuta da molto tempo!” 

I tre rimasero in silenzio, con aria colpevole. 

Poi Davide ruppe il silenzio, con voce piagnucolosa: “Ma, Mamma, perché non ci hai mandati a fare il pisolino? Non capisci che siamo troppo stanchi per stare buoni?” 

Mamma cercò di controllarsi: “Voi avete fatto esattamente come facevano gli Ebrei con Dio.” 

I tre spalancarono occhi e orecchie. Niente li affascina quanto le storie. 

“Sì, a volte si ostinavano a chiedere delle cose a Dio e Dio, pur sapendo che ne avrebbero sofferto, le concedeva. Voi non volevate fare il pisolino e io vi ho lasciati stare alzati. E ora siete stanchi, nervosi e non mi avete lasciato combinare niente col mio lavoro. Chi pensate che fosse più savio, Mamma o voi?” 

“Mamma” ammise Davide. 

Deborah mise la sua guancia grassotta da angelo barocco contro la guancia di Mamma: “Ma a noi sembra molto difficile pensare che tu abbia ragione sempre…” 

“No, non ho sempre ragione, ma sono un po’ più saggia di voi” rispose Mamma e pensò a quante volte anche a lei era sembrato difficile preferire la saggezza di Dio alla sua testardaggine. Ma tutte le volte che lo aveva fatto, ne era valsa la pena.

 –Maria Teresa Standridge da “Un pizzico di sale”, VdV Aprile 1965

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La VOCE settembre 2019

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Un pizzico di sale 


Tra i credenti si possono distinguere due correnti di pensiero, apparentemente contrastanti, riguardo al ruolo e l’impegno di un cristiano nel suo progresso spirituale, che forse hai notato anche tu. 

Ci sono quelli che mettono molta enfasi sui doveri dell’essere seguaci di Cristo: credere è ubbidire, e amare Dio è osservare la sua Parola.

Assolutamente vero. Chiunque abbia conosciuto Cristo, lo sa.

E poi ci sono quelli che fanno notare che un albero di mele non deve sforzarsi e affannarsi ogni volta per produrre i suoi frutti. Sta semplicemente lì, e le sue mele crescono spontaneamente. Questo per dire che il credente non deve preoccuparsi troppo di quello che il Signore compie nella sua vita. Lui fa quello che vuole fare.

Potremmo definire i primi pietisti, in quanto sostengono che il credente deve assumere un ruolo attivo nella sua santificazione. I secondi sarebbero quietisti, per i quali l’idea di qualunque opera umana che contribuisca alla salvezza è eresia. 

È una divisione molto grossolana (anche perché nel pietismo e nel quietismo c’è molto più di questa divisione), ma opportuna per chiarire la confusione che a volte abbiamo su ciò che Dio si aspetta da noi.

Le cose che facciamo, sono perché è Dio che le fa in noi? O le facciamo, anche controvoglia, semplicemente perché Lui ce le comanda? 

Se faccio le cose per il senso d’obbligo, sono legalista… Se faccio solo quello che mi va (perché Dio non mi ha ancora dato la gioia di fare altro) sono pigro e egocentrico… 

È meglio darci da fare o riposare?

Per capire cosa Dio si aspetta da me, e se ci sia un equilibrio tra il pietismo e il quietismo, ho bisogno della Parola di Dio.

Prendiamo in esame una frase di Paolo, scritta ai credenti di Filippi. 

L’apostolo esorta: “Così, miei cari, voi che foste sempre ubbidienti, non solo come quand’ero presente, ma molto più adesso che sono assente, adoperatevi al compimento della vostra salvezza con timore e tremore” (Filippesi 2:12).

Il verbo principale di questo versetto è adoperatevi. Paolo sta dicendo che ogni credente deve personalmente adoperarsi al compimento della sua salvezza. Per essere chiari, lui NON sta dicendo che la salvezza possa essere ottenuta, o dipenda in alcun modo dalle nostre opere. 

Lui parla dell’ubbidienza di chi è già nato di nuovo.

La rigenerazione che lo Spirito Santo opera in chi si converte, produce in lui la sete per il puro latte della Parola di Dio e un desiderio genuino di voler piacere al Signore. Il credente ama il suo Salvatore perché nel suo cuore sa quanto è stato perdonato. È un amore che si traduce in ubbidienza.

A volte, però, col passare degli anni, ci dimentichiamo della gravità delle nostre offese prima di essere convertiti. Cominciamo a crederci migliori di quello che siamo, ed è proprio questo l’atteggiamento che ci deruba di quella gioiosa gratitudine che ci porta a ubbidire. 

D’altra parte, è possibile sentirsi schiacciati già in partenza dai tanti imperativi della Parola di Dio. Il comportamento santo, degno del vangelo, che Dio si aspetta dai suoi figli, è uno standard talmente perfetto di giustizia e di purezza che nessuno ne è all’altezza. 

Eppure Dio ce lo richiede.

Bisogna ammettere che la nostra ubbidienza è sempre imperfetta, ma questo non ci dà il diritto di essere indulgenti verso noi stessi.

È ovvio che certi comportamenti non sono degni del vangelo. Tollerarli nella nostra vita sarebbe in netta contraddizione con la fede che professiamo. 

L’esortazione di Paolo ai credenti di Filippi era chiara: dovevano sforzarsi di vivere come Dio vuole. 

E lo dovevano fare con l’atteggiamento giusto, con timore e tremore nei confronti del Signore. 

Timore e tremore sono due parole che di rado associamo al nostro rapporto con il Signore. Preferiamo parole e concetti più soft, che rassicurano e non ci chiedono troppo. E questo ci porta a dimenticarci, ancora una volta, come eravamo e dove eravamo diretti senza il Signore.

Ma la riverenza e la paura di dispiacere al nostro Salvatore giocano a nostro favore, perché ci spingono a fare solo quello che è giusto, e quindi buono e benefico anche per noi stessi. 

Se Paolo, scrivendo ai filippesi, si fosse fermato qui, allora il senso di inadeguatezza ci schiaccerebbe come un macigno. 

Ma, grazie a Dio!, il passo prosegue e dice: “Infatti è Dio che produce in voi il volere e l’agire, secondo il suo disegno benevolo” (Filippesi 2:13).

Nel testo originale in greco, la frase è espressa con maggiore enfasi: è Dio stesso la forza motrice nella vita del credente. 

Quando i nostri figli o amici non credenti non si comportano bene, non dovremmo sorprenderci; come peccatori si comportano da peccatori. Ma da un credente ci si aspetta un modo di vivere e relazionarsi diverso, santo, perché Dio ha promesso di produrre nei suoi figli sia il volere che l’agire, secondo il suo disegno benevolo.

Anche se, per lo standard perfetto di Dio, è impossibile per l’uomo comportarsi in modo totalmente irreprensibile, una persona che si professa cristiana, ma non lo dimostra nella vita pratica, desta sospetto e preoccupazione, perché Dio ha promesso di darci sia la volontà che la capacità di compiere il suo volere. 

Piacere a Dio è antitetico ai nostri desideri naturali. Se ci abbandoniamo a seguire quelli, adoperarci al compimento della nostra salvezza diventa uno sforzo destinato a fallire! 

CATTIVA MEDICINA CONTROVOGLIA

Come fa in tutte le sue lettere, anche in questa indirizzata ai credenti di Filippi, Paolo non si limita solo a parlare della nostra responsabilità di adoperarci al compimento della nostra salvezza, attraverso l’opera che Dio produce in noi, dandoci l’energia e la capacità di farlo. Ci dà anche istruzioni molto pratiche da seguire. E noi, come figli ubbidienti al nostro Padre celeste, vogliamo onorarlo, nonostante sia difficile e ci sentiamo appesantiti dalla nostra inadeguatezza.

Io vivo, infatti, in una continua tensione tra la mia responsabilità e l’opera che Dio sta facendo in me. E spesso devo tornare a ricordarmi che il piano di Dio è benevolo nei confronti dei suoi figli!

Me ne dimentico quando mi faccio distrarre, o sopraffare, dalle circostanze avverse e dalle persone difficili. Mi dimentico, e mi lamento.

So di non essere il solo ad avere questo problema. 

Paolo scrive: “Fate ogni cosa senza mormorii e senza dispute, perché siate irreprensibili e integri, figli di Dio senza biasimo in mezzo a una generazione storta e perversa, nella quale risplendete come astri nel mondo, tenendo alta la parola di vita, in modo che nel giorno di Cristo io possa vantarmi di non aver corso invano, né invano faticato” (Filippesi 2:14-16).

Cosa sta dicendo? Che dobbiamo andare avanti a tutti i costi, stringendo i denti?

Mi ricorda quello che mia mamma raccontava di quando aveva lavorato per un periodo all’orfanotrofio “Comandi”. 

Diceva che all’epoca, specialmente durante l’inverno quando si rischiava di ammalarsi d’influenza, c’era l’abitudine di prendere dell’olio di ricino. Il sapore era terribile, ma se aveva delle proprietà salutari allora... La sera, prima di andare a letto, tutti i bambini si dovevano mettere in fila, e a ognuno veniva dato un cucchiaio di quest’olio. E dopo esser stati imboccati dalla direttrice, dovevano anche ringraziarla! (Lo scopo nel far dire “grazie” era di assicurare che la cattiva medicina fosse stata ingoiata!) 

A qualcuno potrebbe dare l’impressione che, con tutti questi imperativi impossibili, Dio sia un po’ come la direttrice austera del “Comandi” che ci dà la medicina cattiva e si aspetta pure che le siamo riconoscenti. Ma non è così.

Nel versetto di prima, il Signore ci mette davanti alla responsabilità che abbiamo, all’atteggiamento con cui dovremmo portarla avanti e alla motivazione che dovrebbe spingerci a voler ubbidire.

Dice di fare ogni cosa senza lamentarci, è vero, ma in questo comando ci sono delle verità implicite meravigliose che possiamo scoprire.

L’ERRORE DEGLI EBREI

È umano sottovalutare che brontolare sia una cosa grave. Ci lamentiamo facilmente, pensando che sia solo un modo di esprimere la nostra insoddisfazione del momento. Che male fa? In fin dei conti, siamo maturi abbastanza per fare, comunque, il nostro dovere.

Però il Signore non considera la lamentela come uno sfogo innocuo, anzi la trova offensiva! 

In Esodo 17:1-7 è raccontato come il popolo di Israele si mise a protestare contro Mosè nel deserto. Si erano accampati in una terra aridissima e avevano sete, 

loro e tutto il bestiame. Temevano di morire. Sembrava un motivo legittimo per fare delle rimostranze.

Non mi sono mai trovato in una situazione del genere, ma immagino che avrei avuto motivo di lamentarmi anch’io.

Gli israeliti non erano nati di nuovo.

Per comunicare con Dio, passavano attraverso Mosè e Aaronne. Chissà se sapevano come pregare personalmente? Sicuramente non avevano le Sacre Scritture che spiegano le vie del Signore. 

Ma avevano visto le piaghe d’Egitto, erano passati per il Mar Rosso come sull’asciutto, e ogni giorno e ogni notte c’era la colonna soprannaturale di nuvola e di fuoco che li accompagnava, i loro vestiti non si logoravano, e giorno dopo giorno si nutrivano della manna miracolosa (Neemia 9:9-21).

Avrebbero dovuto sapere.

Avrebbero dovuto comprendere e credere. E aspettare.

Invece, protestarono e tentavano Dio dicendo: “Il SIGNORE è in mezzo a noi, sì o no?” (Esodo 17:7). 

Ogni volta che ci lamentiamo stiamo mettendo in discussione il ruolo di Dio nella nostra vita.

Fermati e rifletti sul fatto che Dio è pienamente coinvolto nella tua vita.

Ricorda tutte quelle volte in cui il Signore si è mostrato tuo soccorritore, e ringrazialo di nuovo. Non dimenticare nessuno dei suoi benefici (Salmo 103). Non angosciarti di nulla, ma in ogni cosa fai conoscere le tue richieste a Dio in preghiere con ringraziamenti, e la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà il tuo cuore e i tuoi pensieri in Cristo Gesù (Filippesi 4:6,7).

È Lui che governa tutto quello che ti accade, come governa anche ogni persona, ogni datore di lavoro, vicino, parente e fratello della chiesa. 

Le situazioni e le persone che ci circondano sono parte della nostra vita, proprio perché volute dal Signore, parte del suo disegno benevolo per noi, attentamente pianificato. La salute, le finanze e tutte le ansiose preoccupazioni di questa vita (Luca 21:34) non devono offuscare la nostra serenità.

Nel chiederci di non lamentarci, ci sta dicendo di non dimenticare che Lui è con noi in qualunque situazione stiamo attraversando. Non è estraneo alla sofferenza, non è insensibile al nostro dolore. 

Riesci a ricordarti l’ultima volta che ti sei lamentato? Non era cosa innocua come potresti pensare. Nessuno di quegli israeliti che protestarono contro Dio entrò nella terra promessa!

Dio non vuole solo che evitiamo di lamentarci, ma che facciamo anche le cose senza dispute. 

OPPORTUNITÀ STRAORDINARIE

Abbiamo parlato delle circostanze, ora affrontiamo il problema delle persone difficili! Spesso sono proprio le persone la causa della nostra scontentezza e, se glielo permettiamo, riescono a derubarci della gioia di servire il Signore e di portargli gloria.

Le dispute e i litigi portano alla critica. 

Quant’è facile criticare… 

La critica, l’insoddisfazione e la lamentela: le tre gemelle sempre a braccetto!

Fare ogni cosa senza dispute è il nostro obiettivo. Lo possiamo affrontare come un peso o come un privilegio. 

La scelta è nostra.

La premessa per non criticare o litigare è la consapevolezza che quelle persone difficili nella nostra vita sono lì per volere di Dio. Abbiamo la possibilità di essere degli strumenti nella loro vita. Come Dio sta operando in noi, vuole operare anche in loro!

Questo pensiero può trasformare il tuo peso in privilegio, e la tua frustrazione nella gioiosa speranza di vedere Dio lavorare nei cuori di quelle persone.

Il mio atteggiamento irreprensibile e integro in circostanze e con persone che normalmente mi porterebbero a lamentarmi e a criticare, testimonia dell’opera di Dio in me in mezzo a questo mondo storto e perverso. È un privilegio straordinario! Più che una responsabilità schiacciante è invece una vera opportunità! È lo Spirito Santo che vive dentro di me che produce in me il volere e l’agire. 

Ti è mai capitato di trovarti in piena notte in mezzo alla campagna o in montagna lontano dalle luci artificiali? La vista del cielo stellato è da mozzare il fiato. Una distesa infinita e strabiliante di stelle. 

E non ce n’è una brutta! Qualcuna più fioca, altre più brillanti, ma nessuna brutta.

Così siamo noi. Paolo dice che splendiamo come stelle in un mondo buio, triste e senza speranza. Abbiamo l’opportunità di essere visti come qualcosa di bello, eterno, utile. 

Ci sono credenti che si preoccupano di essere notati per quello che posseggono, per la posizione che hanno raggiunto, per il loro aspetto fisico. Non voglio offendere nessuno, ma ci saranno sempre altre persone più belle e prestanti di noi, che hanno più cose e hanno raggiunto posizioni più ragguardevoli delle nostre. Il nostro valore non è in queste cose. 

Ma se abbiamo fatto risplendere la Parola di vita, abbiamo fatto qualcosa che ha un valore eterno, perché la Parola ha il potere di attirare le persone a Gesù Cristo e trasformare le loro vite! 

Qui si sta parlando di qualcosa che va al di là dello “sparare i versetti” e postare meme evangelici sui social. Dobbiamo essere pronti a dare una risposta a coloro che, osservando la nostra vita, ci chiedono le ragioni della nostra fede.

Fermati un momento… Sei come una stella nella tua famiglia? Brilli come un astro al lavoro? I tuoi vicini di casa sono incuriositi dalla luce che emetti? E a te importa brillare? A Dio certamente si!

Lo standard di perfezione che il nostro Padre celeste richiede da noi è umanamente irraggiungibile. Il pietista che è in me non potrà mai arrivarci con i suoi sforzi. E, come quietista, difficilmente mi offrirò per essere uno strumento straordinario nelle mani di Dio per produrre frutti eterni in persone difficili. A meno che tutto il brano di Paolo in Filippesi 2:12-16 non diventi una realtà in me. 

E io prego che così sia. 


Aiutanti e Collaboratori  

“Ti possiamo aiutare, Mamma?” chiesero Davide, Daniele e Deborah.  

“Sì, potete mettere a posto la verdura della spesa.” Mamma diede ad ognuno un sacchetto di plastica. 

“Davide, tu metti gli zucchini nel sacchetto, Daniele le melanzane; e tu, Deborah, porta le patate nel cestino. Chiaro?” 

“E le cipolle?” 

“A quelle penseremo dopo.” 

I tre si misero a lavorare. Deborah si ostinava a portare troppe patate in una volta sola e così perdeva tempo a raccattare quelle che le cadevano, ma tutto andò bene per un po’. 

“Ai, ai” si mise a piangere Daniele, “queste uova viola pungono. Io non voglio lavorare con queste!” 

“Allora, metti le cipolle vicino alle patate.” 

“Va bene.” 

Però ora Daniele e Deborah avevano la stessa strada da fare: si scontravano, si e aiutavano, ridacchiavano e trovavano divertentissimo che la pelle delle cipolle (loro la chiamavano carta) venisse via e svolazzasse. 

Davide, sereno, lavorava sugli zucchini e riempiva lentamente il suo sacco. “Io faccio molto bene, vero, Mamma?” 

“Molto bene. Ma cerca di fare più presto.”

Il sacco era pieno: Davide lo posò a terra e quello si rovesciò. 

“Oh, sono tutti fuori di nuovo… Mamma, adesso ho male di pancia, perché sono troppo stanco. Non posso più lavorare.” 

“Ora li butto tutti fuori e faccio da me” pensò Mamma; ma poi non li volle scoraggiare. 

“Su, lavoriamo insieme, Daniele, tu tieni il sacco e io ci metto dentro le melanzane (pungevano davvero quelle “uova” se non si stava attenti…). Poi rimettiamo gli zucchini nel sacco, tiriamo su le pelli delle cipolle e che cosa c’è qui? Ah, le pesche e l’uva da mettere via…”

“Mamma, ci dai un po’ di uva perché ti abbiamo aiutata così bene?” 

Con un grappolino di uva i tre aiutanti uscirono dalla cucina. 

Nel nostro servizio per il Signore, non facciamo molto meglio. Ci scoraggiamo, lo lasciamo a metà, perdiamo tempo e pazienza... Dio potrebbe farlo tanto bene senza di noi; eppure, no: ci fa suoi “collaboratori” e la parte più difficile offre sempre di compierla Lui. E alla fine, per di più, ci darà anche un premio...

Maria Teresa Standridge ("Un pizzico di sale" pubblicato sulla VOCE nel novembre 1962)

 

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La VOCE dicembre 2018

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Un pizzico di sale 


Mai più compromessi

Anni fa il pastore della chiesa che frequentavo ha dovuto affrontare una grave tragedia. La sua nipotina aveva solo due anni quando è uscita dalla porta di casa senza che la famiglia se ne accorgesse. Quando avevano capito che la bambina non era in casa si erano messi tutti a cercarla. Dietro la casa di campagna c’era un laghetto. L’avevano trovata lì, riversa nell’acqua. Tutti gli sforzi di rianimarla, come anche l’arrivo dell’ambulanza, erano stati inutili. La bambina era annegata. 

Questa tragedia ha spinto la famiglia a esaminare e rivalutare le possibili negligenze nella messa in sicurezza della tenuta.

Ma le morti per annegamento sono più comuni di quanto si pensi. Ci sono addirittura istruttori di nuoto che insegnano a bambini di solo un anno cosa fare se dovessero cadere in acqua: come girarsi sulla schiena e spingersi con i piedi fino ad arrivare a bordo piscina, e aspettare fino all’arrivo di qualcuno.

A volte la vita sembra proprio come una piscina dove scivoliamo inavvertitamente. Se non abbiamo imparato a nuotare rischiamo di annegare nelle acque insidiose delle difficoltà. 

Pensando alla nostra vita come era  ieri, e immaginando il domani, siamo davvero preparati a quello che avverrà? Sappiamo cosa fare, dove aggrapparci? O, incerti sul da farsi, saremo inghiottiti senza scampo? 

Cosa ci spinge a fare le cose che facciamo e che modellano il nostro futuro?

Luce o tenebre? Saggi o stolti?

La Bibbia descrive tutti i credenti come persone particolarmente benedette e curate da Dio, eppure molti non conoscono quella vita di pace, senza ansie e amarezze che contraddistingue coloro che conoscono il Signore.

Spesso viviamo come degli struzzi. Nascondiamo la testa sotto la sabbia e speriamo che ignorando il caos intorno tutto si risolva da sé, senza che cambiamo nulla nel nostro modo di affrontare i contrattempi e le complicazioni della vita.

Oppure lasciamo che le esigenze della famiglia, del lavoro e della salute consumino i nostri giorni al punto che non ci rimane tempo per valutare con saggezza il presente, tanto meno per prepararci agli imprevisti del futuro. 

Arrivati allo stremo alziamo le mani sconsolati, abbassiamo la testa e sospiriamo: “Lo so… ma che ci posso fare?” 

Hai notato come le Scritture spesso mettono due cose opposte a confronto? La luce e le tenebre, il saggio e lo stolto, il giusto e l’ingiusto, la carne e lo spirito, il mondo e la volontà di Dio. Questi binomi servono per scuoterci e per spingerci a chiederci da che parte stiamo. 

Siamo figli di Dio, ma forse nella nostra crescita spirituale ci siamo accontentati di troppo poco. 

Abbiamo standard troppo bassi e non abbiamo imparato che quello che è successo ieri serviva per oggi, così che davanti a tutta questa marea di problemi che tenta di farci naufragare non scendiamo a compromessi con il peccato ma rimaniamo integri. E non ci accontentiamo della sufficienza pur di sopravvivere. 

Per uscire dal vortice in cui siamo bisogna cominciare a dare retta a Dio e badare a quello che Lui dice nella Bibbia. 

Se Dio ci chiede di essere saggi, di non amare il mondo, di non vivere carnalmente vuol dire che è possibile con il suo aiuto.

La premessa è sempre la nuova nascita! Se non siamo nati di nuovo, se Dio non ha cambiato il nostro cuore, ogni nostro sforzo di cercare di affrontare la vita come desidera Lui è impossibile. 

Da persone rigenerate, dunque, quando pensiamo a affrontare in modo migliore la vita, abbiamo tre aspetti da tenere presenti.

Prima di tutto, agiamo secondo le informazioni che abbiamo. 

Viviamo in un’epoca senza precedenti: informazioni su qualunque cosa sono alla nostra portata, all’istante, 24 ore su 24. La Parola di Dio è il nostro punto di riferimento incontestabile. Ci informa su tutta la volontà di Dio per la nostra vita. 

Ma essere informati non è sufficiente. La Parola di Dio deve anche convincerci che tutto quel bagaglio d’informazioni che abbiamo accumulato nella vita, se non è in linea con le Sacre Scritture, è falso o sbagliato.

“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona” (2 Timoteo 3:16,17).

La Bibbia ci informa, istruisce e ci fa capire cosa è sbagliato. Ne stai approfittando? Stai permettendo alle Scritture di mostrarti come rimuovere e rimpiazzare i pensieri errati, e di istruirti su come vivere una vita che onori Dio?

Non sto dicendo nulla di nuovo: senza l’istruzione biblica siamo in balia dei nostri pensieri – pensieri che la Bibbia descrive come totalmente diversi da quelli di Dio. “Infatti i miei pensieri non sono i vostri pensieri, né le vostre vie sono le mie vie», dice il signore. «Come i cieli sono alti al di sopra della terra, così sono le mie vie più alte delle vostre vie, e i miei pensieri più alti dei vostri pensieri” (Isaia 55:8,9).

È allarmante quando un credente non sa distinguere quali dei suoi pensieri e ragionamenti siano davvero biblici e quali invece frutto di ragionamenti umani e nient’altro. 

Non solo abbiamo bisogno di essere informati, ma anche di essere convinti che quello che dice la Bibbia sia attuale, la verità necessaria per la vita di tutti i giorni.

Ma come faccio a capire il ruolo che ho permesso alla Parola di Dio di avere nella mia vita? O se mi sto perdendo alcuni dei suoi benefici? 

La risposta non sta nel contare le volte che frequento la chiesa o gli studi biblici. Sta invece in come reagisco quando sono esposto all’insegnamento biblico, quando leggo e studio la Parola di Dio per conto mio, e quando ascolto la sua esposizione.

Un aspetto che molti sottovalutano è la sostanza dell’insegnamento biblico della chiesa che frequentano. Mi spinge a valutare con onestà le mie azioni, i miei pensieri, i miei affetti, i miei sogni e le mie aspirazioni? O mi fa assopire nell’illusione che vada tutto bene così? Presto attenzione a quello che viene detto, o l’ascolto con indifferenza?

Siamo pronti a attraversare mezza città per una cena in qualche location speciale, o sopportare code interminabili  per goderci una bella giornata di vacanza. Ma quando si deve fare uno sforzo per essere istruiti dalla Parola di Dio – garanzia di un beneficio concreto e duraturo – anche il minimo disagio è eccessivo.

Gesù ha pregato che il Padre santificasse i credenti nella verità, dicendo che la Parola di Dio è verità (Giovanni 17:17). 

La Parola di Dio è quella che opera nella mia santificazione, scandagliando e trasformando la mia mente che influenza le mie decisioni. La sto forse ostacolando per la mia negligenza e superficialità? Ci sono degli aspetti della mia vita che devo cambiare? L’insegnamento nella chiesa che frequento mira a questa mia santificazione? 

Sono consapevole del mio bisogno di continuare a imparare, o sono ostinato e fermo nelle mie idee?

Non solo agiamo in base alle istruzioni che riceviamo, ma anche in base agli affetti a cui teniamo. 

Anche questo non è un concetto nuovo: dov’è il tuo tesoro, lì è il tuo cuore. 

“Non fatevi tesori sulla terra, dove la tignola e la ruggine consumano, e dove i ladri scassinano e rubano; ma fatevi tesori in cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove i ladri non scassinano né rubano. Perché dov'è il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore” (Matteo 6:19-21).

“Non amate il mondo né le cose che sono nel mondo. Se uno ama il mondo, l'amore del Padre non è in lui. Perché tutto ciò che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno” (1 Giovanni 2:15-17).

È naturale desiderare quello che soddisfa e appaga i nostri desideri. Vediamo cose che non abbiamo e le desideriamo; e sentiamo il bisogno di essere riconosciuti e approvati. Ma essere succubi di questi desideri è peccato. La nostra peccaminosità perverte questi desideri in modo che non siamo affatto soddisfatti, né riconoscenti di quello che il Padre ci da ogni giorno; non consideriamo che, in fine, è la sua approvazione che conta davvero.

Negli affetti siamo condizionati dalle nostre paure e incertezze. Desideriamo qualcosa, ma nello stesso tempo abbiamo paura di quello che gli altri possano pensare di noi se lo facciamo. Le nostre scelte e le decisioni ne sono fortemente influenzate. 

E come siamo facilmente soggiogati anche dai nostri stessi sentimenti! Quello che proviamo è reale ma il problema è che, se ci lasciamo dominare dai sentimenti anziché dalla Parola di Dio, siamo spinti in direzioni che forse non ci aspettavamo e non avremmo voluto.

Non tutti i desideri o gli affetti sono sbagliati in sé, ma diventano pericolosi quando non impariamo a riconoscerli e a valutarli alla luce delle Scritture, e correggerli quando necessario.

Spesso sono proprio gli affetti che, davanti alle scelte, sembrano metterci in condizione di non trovare alternative. 

“Il cuore è ingannevole più di ogni altra cosa, e insanabilmente maligno; chi potrà conoscerlo?” (Geremia 17:9).

A proposito di affetti, a volte sento alcuni credenti dire che il loro migliore amico non è nato di nuovo. Però, non è strano che ci sia una tale affinità quando i cuori e gli affetti dovrebbero essere molto diversi? O forse il problema è proprio che non c’è differenza? 

Anche qui è bene fermarsi e porsi delle domande. Cosa sta influenzando i miei affetti? Quali sono quei tesori nel mio cuore che dirigono la mia vita? “Chi va con i saggi diventa saggio, ma il compagno degli insensati diventa cattivo” (Proverbi 13:20).

Il terzo aspetto sono proprio le nostre scelte. 

In ogni momento prendiamo decisioni. Nessuna è senza conseguenze. Dio si aspetta che non ci limitiamo a valutare quello che sia giusto o sbagliato. Il suo standard è molto più alto.

Paolo scriveva questo: “E prego che il vostro amore abbondi sempre più in conoscenza e in ogni discernimento, perché possiate apprezzare le cose migliori, affinché siate limpidi e irreprensibili per il giorno di Cristo, ricolmi di frutti di giustizia che si hanno per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio” (Filippesi 1:9-11).

In queste sue parole c’è proprio il succo del nostro discorso. Prima viene la conoscenza, l’essere informati! Con la conoscenza si ha la capacità di apprezzare, di dare il giusto valore, e desiderare le cose migliori. E così si arriva alle scelte e alle azioni che onorano Dio. 

È da sciocchi vivere la vita senza mai fermarsi a valutarla con onestà. 

Se ci colpisce una tragedia, ne saremo travolti? Se scivoliamo in acque agitate, sapremo come reagire?

Oltre a questi tre aspetti importanti ce n’è un quarto che lega tutto. La fede! Di chi ci fidiamo veramente? 

Avere informazioni giuste non serve a niente se non ci credi. 

La fede ti fa agire in base alle informazioni ricevute da Dio. 

La fede insegna a prendere precauzioni ed essere prudenti. La fede si conforma al pensiero di Dio.

Anche i nostri affetti richiedono fede: amare Dio più di ogni altro richiede la convinzione che ne valga la pena. Non a caso Gesù ha detto: “Ama dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l'anima tua, con tutta la mente tua, e con tutta la forza tua” (Marco 12:30).

Trascurare questi principi nel valutare la nostra vita è come sottovalutare il pericolo che alla prossima marea di problemi saremo travolti irrimediabilmente. 


Speriamo bene

“E se dovesse succedere una disgrazia a suo marito... Ce l’avrebbe la pensione?” chiese a Mamma la suora di servizio la vigilia dell’operazione di Papà. 

“No” rispose Mamma e quasi si mise a ridere. Il tatto e la delicatezza non sembravano essere il forte della brava vecchietta dal velo bianco... D’altra parte la vita in un ospedale conduce a fare molte considerazioni pratiche, e un’operazione è sempre un’operazione. 

“No?! Oh, allora speriamo che tutto vada bene!” 

“Dio non fa sbagli. Se siamo suoi, siamo nelle migliori mani che ci siano. Egli ha cura di noi” rispose Mamma. 

I due occhi burberi si addolcirono e si spalancarono un po’ meravigliati: “Eh, sì! È proprio come dice lei... Buona notte, signora.” 

“Buona notte.” 

Le strade erano piuttosto deserte e Mamma arrivò in fretta a casa. I bambini dormivano, c’era una gran pace. Mamma andò a rimboccare le coperte ai gemelli. Danielino si svegliò. 

“Come sta Papà?”

“Bene, ti manda un bacio.” 

“Domani il dottore lo taglia?”

“Sì.” 

“E se si sbaglia, che cosa succede?” 

“Pregheremo il Signore che non si sbagli” rispose Mamma. Anche Danielino, come tatto, non aveva niente da invidiare alla monaca... 

Mamma andò in cucina a lavare i grembiulini di scuola dei bambini e a preparare un po’ di cibo per l’indomani. Mentre affondava le mani nella schiuma e strofinava certe macchie dispettose e pertinaci, un pensiero duro come una coltellata, le attraversò la mente. E il cuore le si mise a battere a precipizio. 

“E se davvero il dottore si sbagliasse o se davvero succedesse una disgrazia?... Se Dio avesse usato una vecchia e un bambino per avvertirla?...” 

Gli occhi le si riempirono di lacrime, mentre continuava a lavorare sui grembiulini macchiati... 

“Dio non fa sbagli” aveva detto poco prima, ma francamente non aveva troppo pensato a tutto quello che rimanere sola con quattro piccoli avrebbe potuto implicare. E ora ne era atterrita. 

Col cuore pesante si dispose ad andare a letto, ma aveva paura di spegnere la luce e di pensare... 

Si inginocchiò accanto al letto. Ci volle un bel po’ prima che riuscisse a pregare: “Padre, tu fai ogni cosa bene...” e quasi senza rendersene conto si trovò che stava enumerando a Dio i vari benefici che aveva ricevuti da Lui durante gli anni di matrimonio. Erano stati otto anni di cose piccole e grandi, di giorni belli e di giorni scuri... 

Ripensava alla venuta dei bambini, ai fallimenti come cuoca, alle conquiste lente e a volte difficili sui misteri delle arti casalinghe, ai problemi e ai dissensi risolti quietamente davanti a Dio, alle ore trascorse con Papà chiacchierando di mille cose, ai viaggi, alle discussioni, agli ospiti, alle malattie... In ogni esperienza c’era stata una benedizione, un qualche cosa che aveva servito magnificamente a cementare la loro unione. Dio era stato fedele e aveva fatto sempre tutto bene. Anche le cose tristi erano state utili e belle. 

“Grazie di tutti i tuoi beni, Padre... E grazie anche di tutto quello che farai domani, qualunque cosa sia...” 

Mamma guardò l’orologio. Non poteva credere ai suoi occhi. Erano passate due ore. Si infilò sotto le coperte con una gioia quieta e perfetta che l’avvolgeva tutta. Forse per la prima volta nella sua vita aveva veramente provato quello che è detto di Abramo che “davanti alla promessa di Dio non vacillò per incredulità, ma fu fortificato nella fede e diede gloria a Dio” (Romani 4:20).

–Un pizzico di sale, ristampa dal 1965

 

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La VOCE giugno 2018

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La schermaglia vincente | Un pizzico di sale


Il tuo bene più prezioso!

È inutile girarci intorno: abbiamo un problema che ci accomuna tutti. Lo conosciamo bene, ma la verità è che non facciamo granché per risolverlo. Le sue ripercussioni sulle nostre vite sono grandi – nel bene e nel male – eppure solo poche persone sono disposte a rivedere e correggere le loro priorità per affrontarlo. 

Possono esserci molti motivi per non reagire ma forse, molto semplicemente, si tratta del non essere davvero convinti dei benefici che si hanno quando lo si affronta con la dovuta serietà. Ignorarlo c’indebolisce e ci lascia impreparati davanti alle incognite della vita. E se continuiamo a trascurarlo rischiamo di diventare anche arroganti, e forse non lo ammetteremmo mai!

È un problema grande anche perché c’è chi ha interesse a impedirci di affrontarlo, sviandoci in modi subdoli che nemmeno immaginiamo.

Di cosa stiamo parlando? Del fatto che non preghiamo abbastanza (e mi auguro che per te non sia un argomento inflazionato!). 

Senza farci venire inutili sensi di colpa, consideriamo insieme perché è saggio, anzi vitale pregare, quali sono le cose per le quali è giusto pregare e quali invece le conseguenze se non lo facciamo. 

Sempre, comunque e con ogni tenacia

Se conosci qualcuno affetto da anoressia nervosa, saprai che è un disturbo che può avere effetti devastanti su chi ne soffre. Non sono esperto in medicina e non voglio assolutamente banalizzare questa patologia; ne parlo solo perché in certi versi è molto simile a una vita di preghiera irregolare.

Tutti sanno che per stare in salute è necessario nutrirsi correttamente. Una persona colpita da anoressia nervosa invece, per qualche motivo pensa di doverne fare a meno. Si guarda allo specchio e si vede in modo distorto: sempre troppo grassa, sempre inaccettabile. Cercando di assumere un aspetto ideale per il suo fisico, in realtà comincia a deturparlo credendo di stare meglio. 

È un comportamento che senza un tempestivo intervento esterno accompagnato da una cura attenta può portare alla morte. 

Come credenti, siamo tutti d’accordo che la preghiera è vitale per noi. Non si può vivere una vita spirituale sana senza pregare. Un periodo prolungato di non preghiera danneggia il nostro senso di orientamento spirituale, distorce il modo in cui affrontiamo i problemi, mina la nostra relazione intima con il Signore e, in alcuni casi, porta alla rovina. 

Che si preghi poco è una triste realtà. Ed è triste che non si voglia veramente risolvere questo problema.

Per alcune persone la preghiera si riduce a un ringraziamento sbrigativo davanti ai pasti o la sera prima di addormentarsi.

Quelli, poi, che hanno un tempo abituale di lettura biblica durante la giornata (altro tasto dolente!) forse riescono a dedicare qualche minuto in più alla preghiera. 

Come dovrebbe invece essere il nostro atteggiamento verso la preghiera?
  • “…siate allegri nella speranza, pazienti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera.” (Romani 12:12)
  •  “Perseverate nella preghiera, vegliando in essa con rendimento di grazie.” (Colossesi 4:2)
  • “Non cessate mai di pregare.” (1 Tessalonicesi 5:17)
  • “Io voglio dunque che gli uomini preghino in ogni luogo, alzando mani pure, senza ira e senza dispute.” (1 Timoteo 2:8)
  •  “Pregate in ogni tempo, per mezzo dello Spirito, con ogni preghiera e supplica; vegliate a questo scopo con ogni perseveranza. Pregate per tutti i santi.” (Efesini 6:18) 

Conosciamo bene questi versetti, ma letti così in fila non possono lasciarci indifferenti. L’esortazione è chiara: pregare sempre e ovunque. 

Non sono scritti per farci sentire in colpa. Pregare è quello che il nostro amorevole Padre celeste vuole che facciamo per il nostro bene, sia fisico che spirituale. I suoi benefici li possiamo sperimentare solo... pregando!

Benefici reali per chi prega
  • Dio è attento a chi prega: “Egli ascolterà la preghiera dei desolati e non disprezzerà la loro supplica.” (Salmo 102:17)
  • Dio è vicino a chi prega: “Il SIGNORE è vicino a tutti quelli che lo invocano, a tutti quelli che lo invocano in verità.” (Salmo 145:18)
  • Dio ha promesso di esaudire chi prega: “Questa è la fiducia che abbiamo in lui: che se domandiamo qualche cosa secondo la sua volontà, egli ci esaudisce. Se sappiamo che egli ci esaudisce in ciò che gli chiediamo, noi sappiamo di aver le cose che gli abbiamo chieste.” (1 Giovanni 5:14,15)
  • Dio dimostra il suo amore a chi prega: “Se dunque voi, che siete malvagi, sapete dare buoni doni ai vostri figli, quanto più il Padre vostro, che è nei cieli, darà cose buone a quelli che gliele domandano!” (Matteo 7:11)
  • La preghiera è la giusta reazione alla sofferenza: “C’è tra di voi qualcuno che soffre? Preghi.” (Giacomo 5:13a)

La vita non ci risparmia le difficoltà: a ognuno la sua porzione di problemi di salute, incertezze economiche, conflitti relazionali, attriti coniugali, pensieri per i figli che crescono in un mondo corrotto… Per non parlare del governo, della società, delle amicizie o dei parenti che sempre più prepotenti insinuano la loro influenza sulla nostra realtà di tutti i giorni. 

E noi che facciamo? Abbozziamo.
Ci lamentiamo e forse litighiamo pure. Ma pregare, no eh?

L’apostolo Paolo sapeva che non sarebbe stato facile per noi gestire tutto questo da soli, perciò ha dato degli ottimi strumenti, o meglio comandi, per affrontare le cose in modo equilibrato.

“Rallegratevi sempre nel Signore. Ripeto: rallegratevi. La vostra mansuetudine sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino. Non angustiatevi di nulla, ma in ogni cosa fate conoscere le vostre richieste a Dio in preghiere e suppliche, accompagnate da ringraziamenti. E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù” (Filippesi 4:4-7).

Essere sempre gioiosi, mantenere un atteggiamento pacato e non impensierirsi mai ma essere sereni è decisamente difficile, se non impossibile, a meno che la preghiera non sia parte integrante e preminente nella nostra vita.

Paolo sta dicendo che la preghiera produce la consapevolezza che il Signore ci è vicino. Le preoccupazioni invece, nascono dalla nostra incapacità di affrontare i problemi e dal dimenticare che possiamo lasciare che se ne occupi il Signore. 

Dio desidera che dialoghiamo con Lui esponendogli consapevolmente e con fede le nostre circostanze. Non perché non le conosca o non sappia già tutto. Egli è onnisciente. Nondimeno desidera che prendiamo del tempo per raccontargli in preghiera tutto quello che ci turba, che ci fermiamo a chiedergli aiuto e saggezza e che poi ci fidiamo di Lui per i risultati.

A proposito dei risultati: la preghiera non è un mezzo per convincere Dio ad agire come vogliamo noi! Troppo spesso preghiamo avendo già stabilito nella mente in che modo Dio debba risponderci. Come se fossimo noi i padroni del nostro destino. La preghiera invece serve per allineare la nostra volontà con quella di Dio. Sottomettendoci di buon grado alla saggezza di Dio i nostri cuori, naturalmente ansiosi e facilmente agitati, saranno custoditi in Cristo.

La gratitudine è una disposizione d’animo che, nella preghiera, cambia il nostro atteggiamento verso le situazioni: produce gioia, fa svanire la lamentela e l’amarezza.

Come vedi, la preghiera è il mezzo che Dio ha stabilito per curarci, perché oltre a rispondere alle nostre richieste secondo la sua volontà, produce un cambiamento sovrannaturale dentro di noi. 

Sarebbe assurdo se un credente volesse farne a meno e lasciarsi deperire come un anoressico spirituale. 

MAI A CASO

Non lo ammetteremmo mai, ma certe volte siamo proprio arroganti. Infatti, trascurando la preghiera personale è come se pensassimo di essere migliori di Gesù che, benché fosse Dio, ne sentiva l’assoluta necessità. È assurdo!

Ma pregare non ci viene naturale. È una disciplina che deve essere imparata ed implementata. E prima che diventi quella buona abitudine che caratterizza un vero credente, deve essere ripetuta parecchie volte.

Marco scrive: “Poi, la mattina, mentre era ancora notte, Gesù si alzò, uscì e se ne andò in un luogo deserto; e là pregava” (Marco 1:35).

Durante il suo ministero, Gesù era quasi sempre circondato dalla calca. Per trovare tempo per pregare indisturbato dovette alzarsi presto la mattina e andare in un posto isolato, lontano da interruzioni e persone.

Questo significa che la preghiera non deve essere solo una reazione spontanea che facciamo sul momento davanti a un problema o un imprevisto (il che è giusto), ma anche un tempo particolare, programmato e ragionato in cui ci mettiamo faccia a faccia con il nostro Padre celeste. Nel segreto della nostra cameretta, con la porta chiusa, come ha detto Gesù (Matteo 6:6).

Quattro consigli pratici

1. Stabilisci un tempo in cui non sarai interrotto. Con molta probabilità sarà un momento la mattina presto, prima che si mettano in moto tutte le tue responsabilità. Forse dopo una buona tazza di caffè!

2. Scegli un posto solitario. È importante non solo il quando, ma anche il dove, per non essere distratti o interrotti. 

3. Stabilisci la durata. Sii ragionevole e non cercare di fare il “super spirituale”. Mezzora può essere sufficiente per cominciare. Con l’andare del tempo vedrai i benefici di questi momenti trascorsi con il Signore e potrai prolungarli a tuo piacimento.

4. Usa un quaderno di preghiera. Ti sarà utile sia per ricordare i soggetti per i quali chiedi un intervento di Dio, sia per vedere come Egli risponderà alle tue richieste. Questo farà crescere la tua gratitudine e il tuo desiderio di perseverare nella preghiera.

Una vita proficua di preghiera non sarà frutto del caso. Non lo è mai. Sarà invece il risultato di una decisione consapevole e ponderata. E uno dei suoi benefici sorprendenti è quello di trasformare la nostra presunzione in umile gratitudine. 


 

Un pizzico di sale

Mamma si alzò e sbirciò fra le persiane. La pioggia cadeva pesante, fitta e implacabile sulle foglie gialle dei platani appiccicate al marciapiede. 
“Speriamo che si fermi per quando i bambini dovranno uscire per andare all’asilo...” pensò. Ma il cielo era di piombo, senza una sfumatura. Come quando ha intenzione di piovere per ore. 
Venne l’ora di svegliare i bambini. Diluviava ancora. 

“Sveglia, bambini! La maestra vi aspetta!” 
In questo periodo, la parola “la maestra” ha l’effetto di una fucilata. Quando si nominano i suoi voleri, non si obbietta o discute: si agisce. 
Davide, Daniele e Deborah si misero a sedere sul letto. 

“Hanno già chiuso la porta della scuola?” chiese Davide. 
“Non ancora, ma dobbiamo sbrigarci. Ecco, Daniele, i tuoi pantaloni... Deborah, infilati la gonna... Davide, quella calza è rovescia... Finite di vestirvi, poi venite in cucina. Io vado a vedere Stefanino”. 

Quando Mamma tornò in camera, Daniele era ancora in mutande, Deborah era senza gonna e Davide aveva messo la calza alla rovescia... 
Quando furono tutti vestiti, Mamma li portò alla finestra. “Quante gocce! Il cielo piange. Perché piange tanto, Mamma?” chiese Deborah. 
“Forse ha il male di pancia” osservò Daniele con un sorriso birbone.
“Ma noi ci bagneremo tutti!” si preoccupò Davide. 

“Sì, piove forte, ma Dio può fermare la pioggia per quando usciremo. Ora glielo chiediamo.” 
Mamma si mise a sedere sul letto e i tre bambini le si strinsero attorno. 

Tutti chiusero gli occhi e Mamma pregò: “Padre Celeste, per favore, ferma la pioggia per quando dovremo uscire così non ci bagneremo tutti e anche gli altri bambini avranno i piedi asciutti. Grazie, nel nome di Gesù. Amen.” 

Daniele si precipitò alla finestra. “Non si è fermata” sospirò deluso. 
“Ma ora noi dobbiamo ancora fare colazione, poi quando metteremo i grembiulini, Dio vedrà che siamo pronti per uscire e chiuderà l’acqua” spiegò Davide. 
“Come in un grande vasca da bagno!” commentò Deborah. 

E quando i grembiulini furono indossati, Dio “chiuse” l’acqua. 

La fede per i bambini è molto semplice. Si chiede a Dio una cosa e ci si aspetta di riceverla. Nessuna complicazione. 
Non per nulla Gesù dice a tutti noi: “Se non cambiate e non diventate come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli” (Matteo 18:3). 
E anche: “Se dimorate in me e le mie parole dimorano in voi, domandate quello che volete e vi sarà fatto” (Giovanni 15:7). – Ristampa dal gennaio 1963


 

La schermaglia vincente

Dimmi la verità: hai mai avuto conflitti con qualcuno? Battibecchi, offese, battute avvelenate e risentimenti? E hai mai giurato dentro di te: “Gliela farò pagare io!”?

Purtroppo, per la maggioranza di noi, gente “normale”, la risposta è “Sì!”

Per calmare la coscienza ci siamo detti che non era nulla, solo una banale differenza di opinioni fra amici, sposi, colleghi o fratelli di chiesa. Non abbiamo fatto o detto nulla di male. Certamente nulla di cui dovremmo pentirci o chiedere perdono. E forse siamo riusciti anche a convincerci che la colpa non era nostra, ma dell’altro… 

Devo dirti due cose però.

Primo. Che tu lo voglia ammettere o no, non si tratta di una piccolezza! Sono state offese delle persone (fra cui anche tu!), si sono creati dei risentimenti e dei cuori sono stati feriti. Lo spirito che provoca e aumenta problemi non è affatto cristiano. 

I tuoi tentativi di sminuire la gravità della situazione, di giustificarti, di sentirti dalla parte della ragione, non risolvono nulla. Anche se credi di poter dimenticare e tirare avanti, non fai che illudere te stesso.

Secondo. Per quanto ti ritenessi furbo e contento per l’effetto della tua battuta, e credessi di aver vinto grazie alla tua personalità, la verità è che non ne sei uscito né contento né soddisfatto. Che sia stato un battibecco o un’offesa, o che si tratti di una situazione che va avanti nel tempo, il risultato non è la gioia nel cuore né la soddisfazione, ma la tristezza e un senso di vuoto.

Forse, in questo momento, non mi vuoi dare ragione. 

Va bene, continua a pensarci su e valuta la tua situazione con sincerità. Vuoi davvero che continui così? Se non fai niente, è molto probabile che la situazione peggiori. O, come spesso avviene, vedrai ancora sorgere simili conflitti fra te e altre persone. È questo ciò che vuoi? L’unica risposta logica e ragionevole è “No!”

“Lo stolto prende piacere non nella prudenza, ma soltanto nel manifestare ciò che ha nel cuore” (Proverbi 18:2).  

“Le labbra dello stolto causano liti, e la sua bocca attira percosse” (Proverbi 18:6). 

Il mese prossimo, a Dio piacendo, tiriamo le somme di questo discorso. 

—Guglielmo

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La VOCE gennaio 2018

Il 2017 è passato ormai e non tornerà. È stato un anno da dimenticare o da ricordare?

Se siamo onesti, dobbiamo ammettere che ci sono stati momenti e aspetti dell’anno che preferiremmo dimenticare. E si spera che le difficoltà finanziarie, fisiche, nel lavoro e nei nostri rapporti con le persone non si ripetano più. Non è forse questo il motivo di tante usanze che fanno parte delle festività di fine anno?

I “botti”, i fuochi d’artificio, oltre a salutare e festeggiare il nuovo anno, in origine avevano anche il significato di cacciare via tutte le vecchie influenze negative.

Un tempo, in alcune città, camminare per le strade a mezzanotte del 31 era pericoloso a causa dell’abitudine diffusa di buttare dalle finestre cose di cui ci si voleva disfare. A Roma, per esempio, lasciando l’automobile parcheggiata fuori, rischiavi di ritrovarla “incastonata” da una poltrona gettata giù da un balcone.

Anche la cena del capodanno è piena di tradizioni che si crede portino fortuna ai commensali, tipo le lenticchie che, come simbolo di soldi, auspicano copiosi guadagni durante l’anno. E allo scoccare della mezzanotte tutti pronti a brindare per un futuro migliore.

Come credenti, abbiamo la libertà di festeggiare o meno il nuovo anno, sapendo che il nostro futuro non è condizionato da tradizioni scaramantiche, ma è nelle mani del nostro Padre celeste. Ma Dio vuole che ricordiamo o dimentichiamo quello che è passato?

Pensiero sbalorditivo

“Benedici, anima mia, il SIGNORE e non dimenticare nessuno dei suoi benefici” (Salmo 103:2). 

Ecco, non importa cosa ci sia successo durante l’anno, Dio si aspetta che non dimentichiamo quello che Lui ha fatto per noi.

Se lo conosciamo, se Egli è il nostro Salvatore, desidera che la nostra vita sia vissuta alla luce dell’immensa grazia che abbiamo ricevuto. Il punto di partenza è che, come peccatori, non meritiamo nulla di buono da parte di Dio, santo e perfetto. Anzi, il nostro comportamento richiedeva la giusta, severa condanna.

Non dobbiamo dimenticare, allora, che ogni momento vissuto nella realtà della sua grazia infallibile è una benedizione sbalorditiva.

È un pensiero assolutamente sbalorditivo: “Che cos'è l'uomo perché tu ti ricordi di lui o il figlio dell'uomo perché tu ti curi di lui?” (Ebrei 6:2).

Ti è sembrato che Dio si fosse dimenticato di te? Che non ti abbia curato come ti saresti aspettato? Hai pensato che avresti meritato di meglio? Carissimo amico, Dio non si dimentica dei suoi!

Egli non può rinnegare se stesso: in piena coerenza col suo carattere, tutto quello permetterà sarà per il nostro bene.

Ascolta queste parole: “Il SIGNORE è pietoso e clemente, lento all'ira e ricco di bontà. Egli non contesta in eterno, né serba la sua ira per sempre. Egli non ci tratta secondo i nostri peccati, e non ci castiga in proporzione alle nostre colpe. Come i cieli sono alti al di sopra della terra, così è grande la sua bontà verso quelli che lo temono” (Salmo 103:8-11).

Non mi stancherò mai di ripetere queste verità: Dio è perfetto e la sua saggezza è senza limiti. È anche onnipotente, capace perciò di mettere in atto il suo proposito benevolo. Nessuna prova dura un minuto in più di quello che possiamo sopportare o di quello che serve per adempiere in noi i suoi scopi eterni. Infatti, il salmo 103 dice anche che Dio sa bene che siamo deboli, nient’altro che polvere. Perciò ogni evento nella nostra vita è attutito attraverso l’imbottitura del suo amore immutabile e eterno.

Questo è senz’altro qualcosa che non dobbiamo mai dimenticare. Ci aiuterà a cominciare l’anno con una pace e una fiducia che ci sorprenderanno, meravigliando anche le persone intorno a noi. Infatti, è proprio questo ciò che significa vivere alla gloria di Dio: le persone vedono la sua opera in noi mentre ci osservano lodarlo anche nelle circostanze avverse.

PERÒ DIMENTICA…

Se hai fatto qualcosa di buono, non ti fermare. Anzi, dimenticalo, come se non l’avessi fatto!

Paolo scrive: “Fratelli, io non ritengo di averlo già afferrato; ma una cosa faccio: dimenticando le cose che stanno dietro e protendendomi verso quelle che stanno davanti, corro verso la mèta per ottenere il premio della celeste vocazione di Dio in Cristo Gesù” (Filippesi 3:13,14).

Se c’è una parola che descrive bene cosa desidera Dio da noi in questo nuovo hanno, è la parola progresso. Dio vuole che, dimenticando tutto ciò che ci vuole frenare, protendiamo verso la mèta eterna. Se abbiamo avuto dei successi, Egli non vuole che ci adagiamo su di essi, come se fossimo già arrivati al traguardo.

Anzi, per sapere con certezza che non siamo ancora arrivati, basta controllare se siamo vivi. Sei vivo? Allora hai altra strada da fare. È meglio che tu ti metta a correre senza perdere tempo pensando di essere ormai giunto alla mèta.
L’idea del correre dovrebbe darci anche un senso d’urgenza: non c’è molto tempo ma c’è molto da fare. Ci sono altri che hanno bisogno di te!

Se sei ancora vivo è perché Dio ti vuole usare nella vita di altre persone.

Forse pensi di non essere degno che Dio si serva di te per aiutare gli altri, perché hai fallito. Anche quello devi dimenticare. Dio vuole che ti rialzi e che continui a servirlo con fedeltà nonostante la tua caduta. Non sarà tutto come prima, ma ci sarà del progresso  e Dio ti userà come vuole Lui.

PROMESSE DA RICORDARE

  • “Egli dà forza allo stanco e accresce il vigore a colui che è spossato.” Isaia 40:29
  • “Tu, non temere, perché io sono con te; non ti smarrire, perché io sono il tuo Dio; io ti fortifico, io ti soccorro, io ti sostengo con la destra della mia giustizia.” Isaia 41:10
  • “Se poi qualcuno di voi manca di saggezza, la chieda a Dio che dona a tutti generosamente senza rinfacciare, e gli sarà data.” Giacomo 1:5
  • “Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità.” 1 Giovanni 1:9
  • “Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete veramente liberi.” Giovanni 8:36
  • “Il mio Dio provvederà a ogni vostro bisogno, secondo la sua gloriosa ricchezza, in Cristo Gesù.” Filippesi 4:19
  • “Quand’anche camminassi nella valle dell’ombra della morte, io non temerei alcun male, perché tu sei con me; il tuo bastone e la tua verga mi danno sicurezza.” Salmo 23:4
  • “Or sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno.” Romani 8:28

Mutevolmente al passo coi tempi

Sotto le feste, a casa nostra si fanno sempre tante foto di gruppo. Adesso più che mai, con tutti i cellulari ognuno scatta un suo ricordo personale della serata. Guardando le vecchie foto salta all’occhio quanto siamo cambiati negli anni: quel taglio di capelli o il modo di vestire che andava tanto all’epoca… Oggi sarebbe impensabile.

Ogni anno nascono nuove tendenze e quello che un tempo era un must, oggi è appeso nell’angolo più remoto dell’armadio. L’industria della moda sa quello che fa: ci spinge a spendere soldi. Cambia la punta delle scarpe, la larghezza delle cravatte, i colori dei vestiti, l’orlo dei pantaloni… E se non aggiorni il tuo guardaroba, rischi di sentirti fuori posto, fuori moda. Almeno è quello che vorrebbero loro.

Nella sfera spirituale, è possibile sentirsi fuori moda? Le tendenze cambiano. Guardandoti intorno, ti senti fuori posto o al passo coi tempi?

Forse, come credenti, siamo più restii degli altri a seguire i mutevoli usi e costumi della società, ma anche noi corriamo il pericolo di venir risucchiati in questo costante bisogno di aggiornamenti indispensabili.

Non è un fenomeno nuovo, anche se adesso è più esasperato. Era previsto sin dall’inizio che, nel tempo, la chiesa sarebbe stata tentata a cedere al cambiamento per assecondare la mentalità della società.

Per questo Dio ha ispirato l’apostolo Paolo a scrivere a Timoteo di stare in guardia da questo pericolo: “Ti scongiuro, davanti a Dio e a Cristo Gesù che deve giudicare i vivi e i morti, per la sua apparizione e il suo regno: predica la parola, insisti in ogni occasione favorevole e sfavorevole, convinci, rimprovera, esorta con ogni tipo di insegnamento e pazienza. Infatti verrà il tempo che non sopporteranno più la sana dottrina, ma, per prurito di udire, si cercheranno maestri in gran numero secondo le proprie voglie, e distoglieranno le orecchie dalla verità e si volgeranno alle favole. Ma tu sii vigilante in ogni cosa, sopporta le sofferenze, svolgi il compito di evangelista, adempi fedelmente il tuo ministero” (2 Timoteo 4:1-5).

Se c’è una cosa che è diventata assolutamente fuori moda è quella di parlare di peccato.

Mai dire che il peccato porta delle conseguenze serie. Mai accennare al giudizio o all’inferno, se no, la gente si stranisce. Meglio parlare di alienazione, difficoltà, sbagli... Senza offendere. Senza colpevolizzare nessuno.

È già successo in Svezia e negli Stati Uniti, e presto potrebbe succedere anche da noi di passare guai giudiziari se si parla di omosessualità come peccato. O se facciamo sentire male qualcuno dicendogli la verità sul gender che ha scelto.

Oltre al peccato, sulla lista sempre più lunga delle dottrine obsolete c’è anche l’inferno, i sei giorni letterali della creazione, la nascita di Gesù da una vergine, la signoria di Cristo, l’inerranza delle Sacre Scritture… Infatti la parola “dottrina” stessa è sempre più demodé. Adesso bisogna accogliere tutte le opinioni, anche le più discrepanti: nessuno deve sentirsi fuori posto. Accettare tutti anche a costo di compromettere la verità.

Ma l’apostolo Paolo scrive con tono grave e autorevole: “Ti scongiuro, davanti a Dio e a Cristo Gesù… predica… insisti.. convinci, rimprovera, esorta con ogni tipo di insegnamento e pazienza.”

Sì, ci vuole pazienza. Soltanto non a scapito delle verità eterne che, al contrario della moda, non passeranno mai.

Ci sono alcuni motivi per cui noi credenti siamo tentati di adeguarci al tenore spirituale del mondo e di adottarne i modi di ragionare, parlare e agire. Uno è che non ci piace essere tacciati come quelli attaccati a realtà ormai passate. L’uomo contemporaneo dev’essere aperto ad altre opinioni e realtà. Deve accettare che la morale non è statica, ma cambia insieme alla società. Dio, però, non ci ha chiesto di essere popolari ma fedeli! (cfr. Romani 12:2; Colossesi 2:8; Ebrei 13:9; Apocalisse 2:25)

Un altro motivo può essere che vorremmo sentirci in qualche modo più rilevanti nella società, più approvati. Essere in pochi ci fa sentire emarginati. Ma i veri credenti erano emarginati e perseguitati già duemila anni fa. Seguire Cristo non andava certo di moda ai tempi della prima chiesa. E come noi, anche i primi credenti subivano delle pressioni da i non credenti per scendere a compromessi nella fede.

Le novità spirituali si insinuano nelle chiese subdolamente, piano piano. I cambiamenti non vengono mai in modo eclatante, ma graduale. Cercando di essere più attenti e accomodanti alle esigenze e preferenze delle persone che non conoscono Dio, si finisce prima o poi per compromettere anche le verità bibliche.

Come si salveranno, se nessuno gli dice che sono sotto l’ira di Dio per il loro peccato? Basteranno un’atmosfera accogliente e le musiche orecchiabili a convincerli!? Ecco perché Paolo scongiura i credenti a essere vigilanti. Tanto più, perché a  volte questi attacchi provengono proprio dall’interno della chiesa stessa.

È facile capire a cosa si riferiva Paolo quando scriveva ai credenti del suo tempo di essere pazienti e di sopportare le sofferenze, ma che cosa ha a che fare con noi? Che bisogno c’è di soffrire? Forse è proprio la nostra voglia di evitare ogni tipo di sofferenza che ci rende propensi a non essere troppo attaccati alla dottrina. Ma se Gesù ha detto che avremmo avuto tribolazione, ce la dobbiamo aspettare e dobbiamo essere pronti ad affrontarla nel modo che onori Dio.

Con quali propositi stai cominciando il nuovo anno? Il bisogno di evangelizzare non è certo diminuito negli anni. Milioni di persone intorno a noi sono dirette verso una morte eterna senza speranza. Saranno alla moda, ma la loro fine sarà terribile.

Paolo termina questo passo con le parole solenni: “Adempi fedelmente il tuo servizio.” La mia sarà una domanda superflua, ma te la faccio lo stesso: Ce l’hai un sevizio preciso in chiesa? Cosa stai facendo? Come lo stai adempiendo? La mia preghiera è che tu possa avere lo zelo necessario per svolgerlo fedelmente, senza mai compromettere l’integrità del Vangelo seguendo le tendenze “alla moda” ma non bibliche.

Quale chiesa è meglio?

– Guglilelmo risponde, ristampa dal 1992

Caro Guglielmo,
Indipendentemente dalla presenza o meno nella propria città di una chiesa evangelica, in base a quali criteri il credente deve scegliere una determinata denominazione confessionale a cui appartenere?
Dato che la fedeltà al messaggio biblico dovrebbe essere la cosa in comune tra tutte le chiese evangeliche, a chi rivolgere la propria adesione?
Alla Chiesa del Nazareno, ai battisti, alle Assemblee di Dio, ai pentecostali, ai metodisti, ai fratelli, alle chiese di Cristo? Siccome tutti predicano il Vangelo, e anche se differiscono di particolari osservanze comunitarie, nessuno dovrebbe essere emarginato nella scelta.
Naturalmente, penso che lei sia orientato a consigliare la sua chiesa, ma vorrei delle motivazioni più esaurienti.
(Lettera firmata)

La tua lettera sembrerebbe un bel rompicapo. Consigliare una chiesa piuttosto che un’altra potrebbe rinnovare le guerre di religione!

Ma, forse, il problema sembra più complicato di quanto non sia. È vero che le differenze fra la maggior parte delle chiese evangeliche vanno scomparendo, con gli anni. Alcune sono nate per dare importanza ad una certa dottrina o pratica, ma spesso, col tempo, questa particolarità perde una parte o tutto il suo significato. Altre volte, le diverse denominazioni sono nate in precisi momenti storici, in una nazione o regione particolare, e anche queste particolarità perdono il loro significato con il passare degli anni (o dei secoli).

D’altra parte, sarebbe un errore credere che tutte le chiese evangeliche siano ugualmente preferibili. E questa non è un’affermazione di partigianeria. Chi legge con cura gli scritti del Nuovo Testamento si rende subito conto che una delle preoccupazioni costanti degli apostoli era combattere gli errori, e addirittura le eresie, che si intrufolavano nelle chiese (vedi Galati, 2 Pietro e le tre lettere di Giovanni per degli esempi più eclatanti). Perciò è più che probabile, se gli uomini e le astuzie di Satana non sono cambiate dai tempi apostolici, che degli errori gravi possano esistere in una o l’altra delle chiese da te nominate.

Dimostri uno scetticismo più che giustificato nei tempi attuali, di confusione e di adescamento interessato, nel temere che io ti indichi la “mia” chiesa come quella preferibile, o come l’unica giusta. Ma, si dà il caso che io non abbia nessuna posizione o titolo ecclesiastico da difendere e che nessuno dei nomi da te citati (né altri che si potrebbero citare) possono, a mio avviso, essere approvati acriticamente.

Per ridurre il succo della questione ai due elementi assolutamente essenziali, ogni chiesa deve essere giudicata su due basi. Primo, la dottrina biblica a cui effettivamente crede e che insegna e difende (non le “confessioni di fede” solo formalmente accettate). Non posso farti qui un elenco delle dottrine, sostenute biblicamente, che mi sembrano fondamentali. Però, un libro come Teologia elementare potrebbe servirti come base di ricerca.

Secondo, oltre alla sua dottrina, ogni chiesa deve essere giudicata sulla base della sua effettiva vitalità spirituale. Questa vitalità parte dall’esperienza della nuova nascita, come base per appartenervi, e continua con una vita coerente di crescita, di ubbidienza agli insegnamenti morali o etici della Bibbia, di amore e di servizio da parte dei suoi membri.

Se tu sei veramente nato di nuovo e hai ricevuto nella tua vita la presenza dello Spirito Santo, credo che tu possa usare queste indicazioni, senza pretendere di trovare la chiesa perfetta, per orientarti nel trovare un gruppo di credenti con cui adorare il Signore e crescere spiritualmente.

Un pizzico di sale

– Ristampa dal 1963

“Che cosa volete per il vostro pranzo di compleanno?” chiese Mamma.
I gemelli si consultarono, poi la guardarono increduli... “Possiamo dire noi quello che vogliamo?”

“Sì, domenica sarà il vostro compleanno e potete scegliere.” Le consultazioni furono varie, laboriose e infruttuose. Finalmente Mamma venne in soccorso dei due piccoli uomini indecisi.

“Vi piacerebbero, per esempio... per esempio... le ‘farfalle’ col sugo di pomodoro?”
“E formaggio sopra” specificò Davide. “ E poi... cotolette e insalata?” “Va bene” approvò Daniele.
“E la torta” dissero i due unanimi. Su quel punto non c’erano divergenze fondamentali.

“E come vi piacerebbe la torta?”
“Io la voglio gialla e verde” disse Daniele.
“E io rossa e rosa” soggiunse Davide. Sui colori non ci fu modo di intendersi. I due erano più cocciuti di due muli.

“E quante candele ci metterai, Mamma?”
“Cinque per Davide e cinque per Daniele.”
“E quante per me?” chiese Deborah. “Beh, tu ne hai avute tre, quando era caldo, in giugno. Adesso devi aspettare che faccia caldo di nuovo.”
“E quante per Stefanino?”
“Bisogna aspettare il caldo pure per lui...”

“Sì, ma non sono per niente contenta, perché Davide e Daniele hanno il compleanno e io no.”
“Ti lasceremo spegnere una delle nostre candele” disse Daniele. “Sei contenta che siamo così gentili?” “Però una sola” replicò Davide. Deborah accettò con condiscendenza.

Due giorni più tardi, Mamma si alzò presto per decorare la torta per non essere né vista né disturbata. E non era un problema da poco cercare di accostare quei quattro famigerati colori senza fare perdere l’appetito a nessuno... A opera finita, mentre disponeva le candeline, immaginava gli occhi lucenti dei bambini quando avrebbero visto le piccole fiammelle accese e avrebbero ascoltato con un largo sorriso un po’ imbarazzato, la canzoncina di augurio.

Mamma ricordò la gioia perfetta che lei e Papà avevano provato ogni volta che Dio (aveva affidato loro un nuovo piccolo tesoro da educare per Lui. Ma una sola nascita nella vita non basta. Cristo ha detto: “Se uno non è nato di nuovo non può vedere il Regno di Dio...” e tutti gli sforzi dei genitori devono essere tesi per condurre a Cristo i loro figli, affinché per mezzo di una fede personale e sincera “nascano di nuovo” nella famiglia di Dio.

“Mamma, tu sai una cosa?” sussurrò Daniele quando Mamma più tardi andò ad aprire le finestre della camera dei bambini. “Prima, quando tu eri in cucina a fare la torta io sono andato al gabinetto... Ma ho chiuso gli occhi per non vedere il ‘tuo’ segreto. Non ho visto proprio niente, neanche la crema rosa.”

“Neanche le candele?” chiese incredulo Davide.
“Beh, le candele sì, ma solo per un momento.”

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